Vedere Palombella all'opera e sentire cosa è diventata da cappella del Duomo conferma i timori che si paventavano quando la nomina del salesiano era ancora una voce di corridoio.
Posto che una ventata d'aria fresca sarebbe stata necessaria, non tanto dal punto di vista della scelta del repertorio quanto, forse, più per quel che riguarda la gestione dell'organico e la vocalità (si presti attenzione, però: un miglioramento della vocalità si sarebbe potuto avere lavorando sull'intonazione e sull'amalgama senza pregiudicare il modo di cantare tradizionale della cappella del Duomo), sicuramente l'impostazione vocale e lo smantellamento della tradizione musicale della cappella della Cattedrale che il novello maestro sta portando avanti con consapevole e lucido disegno non contribuirà alla risurrezione - se così si può dire - della cappella del Duomo.
Palombella non può pretendere di conformare al suo stile e al suo gusto una cappella musicale con secoli di storia alle spalle in meno di due mesi, il cambiamento repentino del repertorio provoca straniamento e disorientamento: meglio sarebbe stata una progressiva integrazione del repertorio consolidato con qualche novità.
Questo modo di fare, segno evidente dell'autoreferenzialità del personaggio, vanifica un intento che si sarebbe potuto anche rivelare vincente.
Arrivando a commentare più specificamente il Pontificale di ieri vorrei mettere in luce qualche criticità.
Ordinarium Missæ:
la scelta della Messa de Angelis, estranea alla tradizione ambrosiana (non solo perché non si tratta di canto ambrosiano ma anche, e soprattutto, perché essendo la più recente delle messe in canto piano non è mai stata recepita dal rito ambrosiano) è stata una chiara mossa pubblicitaria per propinare (riciclare...) una propria composizione già pronta.
Giacché il Pontificale è stato celebrato in italiano non avrei visto male la messa di Picchi-Migliavacca nell'attesa, magari, che Palombella produca un alternatim per il gloria ambrosiano o tiri fuori dai traboccanti archivi della cappella del Duomo qualche messa composta per quella Cattedrale o quel Capitolo senza andare a parare su Palestrina et similia che, pur sempre validi, nulla ebbero a che fare con l'ambiente e la tradizione milanese.
In mezzo all'indigestione di modernità - che non sarebbe di per se malvagia, se però si desse il tempo ai cantori di abituarsi a cantare questo repertorio prima di proporlo nei pontificali... - un merito al novello maestro lo devo riconoscere: l'adozione nel Credo III della lezione ambrosiana del testo "et ascendit ad cœlos".
Faccio rientrare nell'Ordinarium Missæ anche i 12 Kyrie: non classificabili e sussurrati a mezza bocca!
Quello che mi ha lasciato più perplesso è stata l'incomprensibile intromissione dell'organo che ha separato i 12 Kyrie dalla sallenda con una introduzione in organo pleno della sallenda, mi risulta una novità...
Un'altra scelta perdente è l'impiego di canti "generalisti" riarmonizzati che nulla hanno a che fare con la solennità che si celebra e vengono proposti dal maestro soltanto per mettersi in mostra e per dimostrare quello che è capace di tirar fuori dalla semplice melodia di un canto assembleare. Foglia di fico per scaricarsi la coscienza e fingere un'apertura alla "partecipazione attiva" dell'assemblea, ma ci vuole un bel coraggio ad aprire il Pontificale di Tutti i Santi con "Cristo Gesù salvatore", per non parlare di "Dov'è carità e amore" alla comunione che fa il paio con il canto generalista di comunione adottato per il Pontificale della Dedicazione del Duomo un paio di settimane fa.
Si assiste al paradosso di una convivenza di momenti di attenzione estrema all'aderenza al contesto - si veda, ad esempio, il canto dell'ingressa e del transitorium della messa del giorno - con scelte di "musica d'atmosfera" che accompagnano il momento della processione introitale senza preoccuparsi della coerenza. L'adozione di canti generalisti si scontra con la scelta, invero un po' monotona e a lungo andare stucchevole, dell'esecuzione dell'antifona mariana propria del tempo - Ave regina cœlorum - come canto finale: il concetto non è malvagio, tuttavia derogherei in certi contesti non tanto al canto mariano, che conserverei, quanto proprio alla scelta della medesima antifona ambrosiana che a questo punto sentiremo fino a Natale. L'impiego dell'antifona mariana ricalca un uso della basilica vaticana - la sosta del papa davanti all'immagine o alla statua della Madonna posta nei pressi dell'altare - estraneo al Duomo di Milano: se proprio si volesse perseverare su questa via sarebbe meglio coordinarsi con i cerimonieri e far fermare l'arcivescovo in presbiterio sino al termine del canto dell'antifona cui far seguire, magari, un brano di repertorio vocale o organistico a tema.
Sentire Vianelli suonare il "Cantate Domino" di Marco Enrico Bossi dopo l'antifona mariana mi ha fatto tenerezza: ecco gli ultimi sbiaditi ricordi della cappella che fu, dove non vi erano pregiudizi, preconcetti e discriminazioni fra compositori di prima, seconda, terza o quarta classe, dove il fluire della storia plurisecolare della musica sacra era realmente percepibile e apprezzabile, non come ora dove si salta a pié pari da PALestrina a PALombella ignorando tutto quello che c'è stato in mezzo...