Mentre giunge al termine questo lungo Avvento 2016 (lungo, perché abbiamo avuto la grazia di quattro settimane complete), vorrei condividere con voi un paio di articoli dal blog Sacramentum futuri - Liturgia e Bibbia.
AVVENTO: COSE INAUDITE O QUASI (1)
Solo uno spirito libero ed originale quale Luis Bouyer poteva scrivere le osservazioni che riportiamo da un testo di cui possediamo solo la versione inglese. Si tratta di un testo datato (1956), che conserva tuttavia il suo valore. Se non altro, perché vi si trovano delle posizioni chiare. In manuali più recenti e più aggiornati, invece, fra le ridda di ipotesi e dati, manca il coraggio di una sintesi. C’è da dire, è vero, che la sintesi nella scienza liturgica non può essere la quadratura del cerchio: è un organismo troppo complesso, la liturgia, perché per esso funzionino alla perfezione schemi e teorie troppo rigide. Ma fra il compilatore enciclopedico, che non si espone mai e appesantisce il testo con notazioni e note senza arrivare nemmeno ad un tentativo di soluzione, e lo studioso che, rischiando di venir contraddetto dall’ultimissima scoperta, prova comunque ad offrire un’interpretazione dei dati, preferiamo quest’ultimo. Preferiamo Louis Bouyer.
Da questi fatti, si deve concludere che a prima vista può sembrare, forse, sconcertante, ma è comunque inevitabile. Questa conclusione è che l'Avvento, insieme con il Natale e l'Epifania, lungi dall'essere la prima parte o l'introduzione dell'anno liturgico, è propriamente la sua fine. Dal tardo Medioevo, è diventato generalmente consuetudine considerare la prima Domenica di Avvento come l'inizio del ciclo temporale dell'anno. L'usanza di mettere al primo posto nei libri liturgici la liturgia di questa Domenica potrebbe essere cresciuta più o meno come conseguenza di questa interpretazione errata del Natale, che noi abbiamo cercato di dissipare. [...] Lungi dall’essere un nuovo inizio, l'Avvento è ancora in diretta continuità con le ultime domeniche dopo la Pentecoste ...*
Non possiamo riportare tutti i passaggi del capitolo in questione, che sostanzialmente ricentra l’Avvento e il Natale nell’attesa escatologica, compimento del mistero della salvezza. Compimento dunque, non inizio.
Poco prima aveva scritto, azzardando una spiegazione dell’introduzione del ciclo natalizio nell’anno liturgico:
…la celebrazione del Natale e dell'Epifania (le due feste sono così strettamente collegati da formare un’unica celebrazione) rivela un significato, la cui maestosa grandezza è stata spesso trascurata, ma la cui realtà non può essere messa in discussione. Questa celebrazione è quella dell’attesa escatologica: la speranza, l'ardente preghiera, per la Parusia. "Vieni, Signore Gesù. Vieni presto". Questa è l'ultima parola nella celebrazione del Mistero: nutre in noi l’insoddisfazione verso Dio, la santa impazienza dovremmo chiamarla, che deve rimanere nei nostri cuori, quando abbiamo celebrato il Mistero come dovremmo. Da questo punto di vista, è facile capire come mai il ciclo di Natale-Epifania sia stato introdotto nel l'anno liturgico, alla fine del IV secolo, quando la Chiesa di Costantino era ben inserita in questo mondo ed era in pericolo di perdere il fervore della sua speranza per il mondo a venire. Lo scopo di Avvento, Natale ed Epifania è di rianimare incessantemente in noi quella speranza, quell’aspettativa. Ma come possono farlo se riduciamo il loro significato di una commemorazione sentimentale dell'infanzia di Gesù, soprattutto quando in essa vediamo solo ciò che tocca il nostro cuore per tutta l'infanzia, trasmutato solo da qualche alone di divinità.*
Comunque, è dai tempi Sant’Agostino che ci si interroga sul valore e sul senso della celebrazione liturgica del Natale: memoria o sacramento? Anche la questione della data, ossia la scelta della Chiesa di assumere un giorno fisso e non invece legato al ciclo mobile delle feste determinate dal calendario lunare, segnala la particolarità di tale festa. Ad essa, poi, si aggiunge il fatto che per la liturgia del Natale non vi è un evidente retroterra ebraico di feste o consuetudini, che Cristo abbia assunto e compiuto e che poi entrano in qualche modo anche nella liturgia cristiana.
A questo punto ci viene in mente che Danielou, nel suo studio sulle feste, nota la singolarità della biblica festa delle Capanne, unica che non ha trovato una corrispondenza nella liturgia cristiana (1). L’ora tarda in cui scriviamo e la stanchezza che vince ormai il raziocinio ci fanno balenare un’associazione folle fra le capanne dei Tabernacoli e la «capanna» del presepe. Ma questo sarebbe troppo, troppo inaudito.
(1) «Il Nuovo Testamento non annulla, ma porta a compimento il Vecchio. Non esiste dimostrazione più chiara della validità di questa affermazione che quella delle feste liturgiche: le grandi solennità del giudaismo, Pasqua e Pentecoste, sono state recepite dal Cristianesimo ed arricchite soltanto di un nuovo contenuto. C’è tuttavia un’eccezione a questa regola: la terza grande festa del giudaismo, quella dei Tabernacoli… […] … la Festa dei Tabernacoli non è interamente legata con alcun mistero della vita di Cristo. E’ forse per il fatto che, più di ogni altra festa, essa è legata a quello che tra i Suoi misteri non è ancora compiuto: quello dell’ultima Parusia»: J. Danielou, Bibbia e Liturgia. La teologia biblica dei Sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, Roma 1998, 293.
FONTE
*Le parole tratte dal libro di Bouyer (capoversi rientrati) sono riportate solo in lingua inglese; la traduzione è completamente sotto la mia responsabilità (con l'aiuto di Google Translate). G.