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Discussione: 31 Luglio - Sant' Ignazio di Loyola, Sacerdote, fondatore della Compagnia di Gesù

  1. #1
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    31 Luglio - Sant' Ignazio di Loyola, Sacerdote, fondatore della Compagnia di Gesù




    Sant' Ignazio di Loyola Confessore


    31 luglio


    Azpeitia, Spagna, c. 1491 - Roma, 31 luglio 1556


    Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani. All'abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. L'attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po'in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. (Avvenire)

    Etimologia: Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino

    Il primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di s. Ignazio, è stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona, per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
    Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
    Iñigo perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per questo anche la tonsura.
    Ma egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera.
    Nel 1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
    Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba.
    Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
    Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
    Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
    Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
    Un’epidemia di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
    In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
    Arrivato nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto e benedetto dall’olandese Papa Adriano VI.
    Imbarcatosi a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel 1524 in Spagna.
    Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
    Per delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia.
    Ma già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire s. Ignazio d’Antiochia.
    A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
    Ignazio di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.
    Il 27 settembre 1540 Papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla “Regimini militantis Ecclesiae”.
    L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
    Rimasto a Roma per volere del Papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
    Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
    Fu proclamato beato il 27 luglio 1609 da Papa Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV.
    Si completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.

    Le “Costituzioni” redatte da s. Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo, ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto dell’azione militante al servizio della Chiesa.
    La Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari obblighi di obbedienza ai superiori e al papa; alle preghiere del coro sostituì l’orazione mentale.
    Considerò inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri. È governata da un “Preposito generale”.
    I gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza speciale al papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che emettono soltanto i tre voti semplici.
    Non c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di s. Ignazio e si contraddistingue per l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori; in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella totale fedeltà alla Santa Sede.
    I Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
    Come attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
    Quindi svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
    Nel 1547, s. Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
    Alla morte di s. Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a 13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri (Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
    Ma soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con s. Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
    Più duratura fu la loro opera in Cina con Padre Matteo Ricci (1552-1610) e in America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’. Più sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono martiri i santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri cinque missionari.
    Col passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede; che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
    Si arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli, Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di Papa Clemente XIV.
    I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II; nel 1814 Papa Pio VII diede il via alla restaurazione della Compagnia.
    Da allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali, dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
    Nel 1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e 1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
    Nell’annuario del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139 martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro martirio.
    L’alto numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione.

    Autore: Antonio Borrelli
    _______________________

    Tratto dal Sito: www.santiebeati.it

  2. #2
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    La Chiesa celebra la memoria di Sant'Ignazio di Loyola


    “Signore, dammi il tuo amore e la tua grazia e questo mi basta”: scriveva così Sant’Ignazio di Loyola, di cui oggi la Chiesa celebra la memoria liturgica. Per l’occasione, alle 19.00, il preposito generale dei Gesuiti, padre Adolfo Nicolás, presiederà la Santa Messa nella chiesa romana del Gesù, dove si venera il corpo del Santo. Ignazio era nato nel 1491 a Loyola, nei Paesi Baschi. Ferito in guerra nel 1521, si dedicò alla lettura di un libro sulla vita di Gesù e dei Santi. Animato dal desiderio di seguire Cristo, nel 1523 scrisse gli “Esercizi spirituali”. In seguito, fondò la Compagnia di Gesù, approvata da Papa Paolo III nel 1540. Morì a Roma il 31 luglio del 1556. Ma qual è il cuore della spiritualità ignaziana? Isabella Piro lo ha chiesto al padre gesuita Lorenzo Gilardi, direttore della Casa per esercizi spirituali “Villa Santa Croce”, di San Mauro Torinese:

    R. – La spiritualità ignaziana è soprattutto un ricercare la volontà di Dio: conoscere, accogliere questo desiderio, questa aspettativa che Dio ha nei nostri confronti. Ed è per questo che la spiritualità ignaziana porta a sviluppare, nella persona che la assume e la vive, un atteggiamento contemplativo di scoprire la volontà di Dio in tutte le cose e di viverlo poi nell’azione: contemplazione nell’azione.

    D. – Oggi quale valore primario rappresentano gli Esercizi spirituali elaborati da Sant’Ignazio di Loyola?

    R. – Sant’Ignazio con gli esercizi svolge un servizio alla Chiesa, a tutta la Chiesa: gli esercizi sono per tutti. Gli esercizi spirituali sono un’esperienza di Dio, ma sono anche una pedagogia dell’esperienza spirituale: una pedagogia della ricerca della volontà di Dio, una ricerca della preghiera personale. Quindi, sono molto importanti e molto utili oggi, soprattutto per l’ambito europeo che è un ambito molto secolarizzato. Però noi sappiamo che sotto alla secolarizzazione c’è poi una domanda di trascendenza.

    D. – Sant’Ignazio fu un missionario anche in zone difficili, potremmo definirle “zone di frontiera”. Quale insegnamento trarre da questa sua esperienza?

    R. – Sant’Ignazio fu il cuore dell’attività missionaria della Compagnia di Gesù perché Sant’Ignazio fu veramente l’ispiratore di tutte le grandi missioni della Compagnia. Il grande ruolo di Sant’Ignazio per le missioni è stato quello di aver individuato le necessità, le urgenze, i bisogni più impellenti della Chiesa del suo tempo e aver inviato Gesuiti e missionari proprio in quelle zone. Quindi, il carisma di Sant’Ignazio è quello di Generale della Compagnia: cioè, una persona che ha colto le ispirazioni di Dio, ha letto le necessità e poi ha inviato i missionari. La situazione emblematica, quella più significativa, è l’invio di San Francesco Saverio in India: è stato veramente un momento carismatico.

    D. – Nel 1540 Sant’Ignazio fondò la Compagnia di Gesù. Sono passati 5 secoli da allora. Oggi quali sfide si trovano ad affrontare i Padri gesuiti?

    R. – Dopo cinque secoli, molte cose sono cambiate: la Chiesa è cambiata, ma la società è cambiata, la scienza ha fatto grandissime evoluzioni. Tuttavia, rimane un’ispirazione fondamentale che qualifica la Compagnia di Gesù e i Gesuiti ed è qualcosa di molto attuale, molto utile. Io direi che la Compagnia di Gesù è un ordine missionario, è istituito per aiutare le persone nel loro rapporto con Dio, a procedere verso Dio: cioè, aiutare la persona nella felicità eterna. Questo è il carisma che rimane ancora valido nella Compagnia: aiutare le anime nella loro crescita di fede, portarle a Dio e in questo aiutarle anche da un punto di vista integrale; aiutarle dal punto di vista spirituale, ma anche dal punto di vista materiale perché già al tempo di Sant’Ignazio, proprio nelle Costituzioni ignaziane, è presente la fondazione dei Collegi. Quindi, Sant’Ignazio ha guardato alla crescita della persona umana nella sua integralità, sia la crescita spirituale ma anche la crescita culturale: cioè, in tutto. Questo è il carisma della Compagnia di Gesù: far crescere la persona in tutto, nella sua integralità, e portarla fino a Dio.

    fonte: Radio Vaticana
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  3. #3
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    CARTA DEL SANTO PADRE FRANCISCO
    PARA EL V CENTENARIO DE LA CONVERSIÓN DE SAN IGNACIO DE LOYOLA



    (Dal sito della Santa Sede).


    ================== ================== ==================


    All’Eminentissimo Cardinale
    Juan José Omella Omella
    Arcivescovo di Barcellona
    e Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola

    Caro fratello,

    Il 14 novembre si celebrerà a Barcellona un evento singolare, i 500 anni dall’arrivo di un povero soldato a un luogo recondito della geografia della Spagna, mentre era in cammino verso la Terra Santa. Il nostro protagonista, dopo aver servito il re e le sue convinzioni fino a versare il proprio sangue, era ferito nel corpo e nello spirito, si era spogliato di tutto e nutriva il proposito di seguire Cristo in povertà e umiltà. A lui in quel momento poco importava alloggiare in ostelli per i poveri o doversi rifugiare in una grotta per pregare, e ancor meno che questo comportasse l’essere “considerato stolto e pazzo” (e.e. 167). Eppure — paradossi del destino — cinque secoli dopo le autorità civili e religiose di quella regione, insieme al preposito generale dell’istituto religioso da lui fondato, la Compagnia di Gesù, si riuniscono in forma istituzionale per celebrare quell’evento.

    Anche io desidero unirmi a questo atto, per il quale ho voluto che mi rappresentassi, pregandoti di far giungere il mio saluto a tutte le autorità presenti, sia civili sia ecclesiastiche e, attraverso di esse, al Popolo fedele di Dio, che ricorda sant’Ignazio di Loyola con devozione e affetto, e agli uomini di buona volontà che lo rispettano in quanto uomo integro e coerente nelle sue convinzioni. E anche ai membri della Compagnia di Gesù che come me lo venerano come fondatore.

    È significativo in questo momento pensare che, per portarlo fino a lì, Dio si sia servito di una guerra e di una peste. La guerra, che lo fece uscire da Pamplona e fu il detonante della sua conversione, e la peste che gli impedì di arrivare a Barcellona e lo trattenne nella grotta di Manresa. È una grande lezione per noi, perché non ci mancano guerre e pesti per farci convertire. Possiamo quindi considerarle come un’opportunità per invertire la rotta seguita fino a ora e investire in ciò che è veramente importante, qualunque sia l’ambito in cui ci muoviamo. Perché, per mezzo delle crisi, Dio ci dice che non siamo noi i padroni della Storia, con la maiuscola, e neppure delle nostre storie, e per quanto siamo liberi di rispondere o meno alle chiamate della sua grazia, è sempre il suo disegno di amore a guidare il mondo.

    In quella circostanza, Ignazio si dimostrò docile a questa chiamata, ma la cosa più importante è che non trattenne quella grazia per sé, ma la considerò fin dall’inizio come un dono per gli altri, come un cammino, un metodo che poteva aiutare altre persone a incontrare Dio, ad aprire il proprio cuore e a lasciarsi interpellare da Lui. Da allora i suoi esercizi spirituali, come altri cammini di perfezione, quali i dodici gradi di umiltà di san Benedetto, las moradas [il castello interiore] di santa Teresa, o più semplicemente ciò che ci propongono le beatitudini o i doni dello Spirito Santo, si presentano a noi come quella scala di Giacobbe che dalla terra ci porta al cielo, e che Gesù promette a quanti lo cercano sinceramente.

    Che il Signore ti benedica, caro fratello, che benedica il Popolo che peregrina in quelle terre, e che la Vergine Santa vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me,

    Fraternamente,

    Francesco

    Roma, San Giovanni in Laterano, 12 settembre 2022


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    (Fonte della traduzione: L’Osservatore Romano; 15 novembre 2022).
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    quand’anche avesse perduto il resto del mondo» (Axel Oxenstierna).



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