Al di là dello sconcerto, che non c'è neanche bisogno di palesare, e del dispiacere che questo sacrilegio sia avvenuto nella mia terra, rilevo in questa vicenda un segno importante, che non credo debba essere sottovalutato, perché lo riscontro in molti casi simili a questo.
Nell'introduzione della lettera, infatti, il vescovo sottolinea la "sensibilità per i temi sociali" e l' "attenzione per i più poveri ed emarginati" del sacerdote. Io noto che molto spesso i sacerdoti particolarmente sensibili a questi "temi" si dimostrano poi assai carenti dal punto di vista dottrinale e liturgico, e mi chiedo - penso che tale domanda dovrebbero farsela anche i superiori che discernono - se questi sacerdoti non abbiano un'idea di sacerdozio del tutto sbagliata e, piuttosto che sentirsi ministri del Signore per e con gli uomini, si sentano invece presidenti di un'associazione umanitaria.
Ovviamente occuparsi dei più poveri ed emarginati non è in contrasto con la fede, anzi la Carità è il cuore stesso della Fede cristiana, ce lo dice san Paolo, e ce lo dice già Gesù stesso con il suo comandamento dell'Amore.
Allora mi chiedo perché è avvenuto anche qui uno scollamento così profondo da arrivare a creare simili situazioni?
Nei tempi passati abbiamo avuto grandi santi della Carità, che hanno speso veramente fino all'ultima goccia del loro sangue per i poveri - penso al mio conterraneo il Beato Giuseppe Benedetto Dusmet, la cui memoria si celebra fra qualche giorno -, persone che hanno veramente amato come il Signore ci comanda, perché il loro amore nasceva dalla preghiera, si fortificava nella preghiera e tornava alla preghiera, soprattutto nella sua forma più alta e sublime, che è l'Eucaristia. Proprio il Dusmet, per fare un esempio concreto, morì senza neanche le lenzuola sul letto, perché le aveva donate ai poveri, quale sensibilità più alta verso i più poveri e gli ermarginati!? Eppure, egli essendo vescovo, vigilava anche sulla sua diocesi, si recava quotidianamente a piedi in qualche chiesa e lì sostava in preghiera dinanzi al Santissimo, e se notava qualche forma di poco rispetto verso l'Eucaristia non mancava di farlo presente con paterna cura e a volte anche con l'ironia, come quando entrando in una chiesa e trovandola sporca e impolverata scrisse con il dito su uno dei banchi: "Il vescovo è stato qui".
Tutto questo per dire che, a mio avviso, il problema è molto più grave di quanto sembra, perché va al di là della rubrica liturgica, più a monte, è un problema di discernimento e, ancor prima, di vocazione: c'è una difficoltà - parlo qui in generale perché non conosco la persona nello specifico - a capire la differenza fra una vocazione e un'altra, difficoltà sulla quale, purtroppo spesso, gli stessi superiori preposti al discernimento sorvolano, accontentandosi del minimo indispensabile, proprio come accadeva nel passato, "che almeno sappia LEGGERE la Messa".
Speriamo che la vicenda possa un po' scuotere l'anima di questo sacerdote (e di tanti altri), infondergli un po' di "inquietudine" spirituale, sicché possa ritornare al cuore della sua vocazione e riscoprirla nella sua autenticità, comprendendo che un sacerdote deve saper trovare l'equilibrio fra Fede e Carità, perché senza questo equilibrio non sarà mai veramente alter Christus. E che possa anche "allertare" vescovi, rettori, padri spirituali, affinché siano capaci veramente di fare discernimento e sappiano dire francamente a un candidato al sacerdozio: "Si, tu sei idoneo; no, tu sei più idoneo ad andare sulla Sea Watch".