Codex Juris Canonicis
Libro I. Norme generali
Titolo VII. Gli atti giuridici
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§1. Ad validitatem actus iuridici requiritur ut a persona habili sit positus, atque in eodem adsint quae actum ipsum essentialiter constituunt, necnon sollemnia et requisita iure ad validitatem actus imposita.
§2. Actus iuridicus quoad sua elementa externa rite positus praesumitur validus.
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§1. Per la validità dell’atto giuridico, si richiede che esso sia posto da una persona abile, e che in esso ci sia ciò che costituisce essenzialmente l’atto stesso, come pure le formalità e i requisiti imposti dal diritto per la validità dell’atto.
§2. L’atto giuridico posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni si presume valido.
Commento
I cann. 124–128, di cui fa parte quello qui in commento, sanciscono i principî generali sugli atti giuridici. Occorre dunque, in primo luogo, interrogarsi circa il significato di tale espressione, onde dalla risposta dipenderà l’ambito di applicazione delle suddette norme.
Secondo quanto insegna la dottrina, sono queste disposizioni generali applicabili a qualsiasi tipo di atti e negozî giuridici, sia di carattere pubblico (atti amministrativi), sia di carattere privato (contratti e negozî giuridici in generale), salve le discipline particolari dettate per taluni tipi di atti. Al riguardo, dunque, la definizione che meglio ne designa l’ambito di applicabilità è quella di negozio giuridico: manifestazione di volontà, giuridicamente rilevante, diretta a costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici. Definizione, cioè, nella sua latitudine, idonea a ricomprendere atti tra loro affatto diversi, come il testamento e il contratto: il primo, preso in considerazione dal can. 668, in materia di obblighi dei religiosi prima della professione perpetua (sostanzialmente rinviante alle leggi civili quanto ai requisiti di validità), negozio giuridico tipico, la cui causa è la sistemazione d’interessi post mortem; il secondo, negozio inter vivos, e precisamente, giusta il rinvio operato dal can. 1290 alle norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti sia in genere sia in specie, accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 cod. civ.).
È opportuno indugiare ancora un poco sulla nozione di atto giuridico. Facendo riferimento alle categorie giuridiche generali del diritto civile, si definisce fatto giuridico qualsiasi accadimento, naturale od umano, cui l’ordinamento collega effetti giuridici, senza che assuma rilevanza la volontarietà della produzione di tali effetti. Tra i fatti giuridici si distinguono i fatti umani, o sia quei comportamenti umani che producono effetti giuridici. Requisito dei fatti umani è che l’uomo abbia la consapevolezza e la volontarietà di porre in essere un determinato comportamento, mentre non necessitano la consapevolezza e la volontarietà degli effetti giuridici ad esso collegati. A sua volta, categoria interna ai fatti umani è quella degli atti giuridici, o sia quei fatti umani non solo compiuti con consapevolezza e volontarietà, ma relativamente ai quali l’autore abbia avuto anche la volontà di produzione degli effetti giuridici collegati al fatto. Peraltro, quanto ai contratti e, giusta l’art. 1324 cod. civ., gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, sufficiente sarà, al fine della costituzione del rapporto giuridico nascente dal negozio, il c.d. intento empirico, inteso come rappresentazione del risultato economico che si vuole conseguire col rapporto, e generica consapevolezza che quel risultato implica l’attivazione di meccanismi legali.
Ciò fissato, il canone in commento prescrive innanzi tutto, al comma primo, che l’atto giuridico, per la sua validità, sia posto da persona abile. L’abilità (o capacità) di cui parla la norma è non già la capacità giuridica, intesa come attitudine ad essere titolari di rapporti giuridici, bensì la capacità di agire, o sia l’attitudine a compiere atti giuridici. In particolare, ai fini della validità dell’atto, occorre, al momento di confezione del negozio, la sussistenza di un duplice ordine di requisiti: la capacità legale e la capacità naturale. Il che val dire, sono cause di invalidità dell’atto giuridico l’incapacità legale e l’incapacità naturale. La prima è quella che deriva da minore età, interdizione, inabilitazione e che comporta l’attivazione degli istituti (di rappresentanza o assistenza) predisposti dall’ordinamento per la tutela degli incapaci. Al riguardo, si precisa: l’interdizione di cui trattasi è l’interdizione dall’amministrazione dei beni, presa incidentalmente in considerazione dal can. 1478, da non confondersi con l’interdizione come pena ecclesiastica, precisamente la censura per mezzo della quale si negano ai fedeli, che pure non perdono la comunione ecclesiale, taluni beni sacri espressamente elencati nel can. 1331. Ancora, l’interdizione, così correttamente intesa, è giudiziale o legale. Interdetti giudiziali sono coloro che, trovandosi in condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai proprî interessi, siano stati sottoposti ad apposito procedimento, concluso con sentenza d’interdizione debitamente pubblicata (artt. 414 ss. cod. civ., resi applicabili, quanto ai contratti, dal can. 1290). Interdetti legali, invece, sono, automaticamente per effetto di pena accessoria, i condannati alla pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore ad anni cinque (art. 32 cod. pen., reso applicabile, quanto ai contratti, dal can. 1290). La seconda è quella cui si allude con la formula della incapacità d’intendere e di volere, la quale, a sua volta, si concreta in ogni stato psichico abnorme, ogni perturbamento psichico che alteri gravemente, senza annientarle, le capacità intellettive e volitive del soggetto. Così intesa, l’abilità (o capacità) è presupposto dell’atto giuridico.
Indi, la norma stabilisce i requisiti dell’atto giuridico, distinguendo gli elementi che costituiscono essenzialmente l’atto stesso, dalle formalità e i requisiti imposti dal diritto per la validità dell’atto. I primi sono quelli che attengono all’essenza o natura dell’atto e si denominano elementi costitutivi, o essenziali. La mancanza di un elemento costitutivo importa l’invalidità dell’atto perché privo di esistenza, così configurando quella species del genus invalidità che è l’inesistenza dell’atto giuridico. Ad esempio, è inesistente (cioè invalido sub species d’inesistenza) l’atto posto in essere in assenza di volontà, o privo di oggetto, inteso come causa (cioè funzione economico–sociale dell’atto). I secondi sono tutte gli altri elementi e condizioni, anche di forma (formalità), richiesti dal diritto positivo a pena d’invalidità dell’atto giuridico. La mancanza di uno di tali requisiti è causa di nullità ipso jure, cioè, proprio, d’invalidità, o, quanto meno, di annullabilità previa pronunzia di sentenza da parte del giudice, cioè di rescindibilità. Ad esempio, salvo che il diritto non disponga diversamente, è rescindibile l’atto viziato da dolo, o da timore grave ingiustamente incusso, giusta quanto dispone il can. 125.
Il secondo comma pone una presunzione di validità dell’atto giuridico posto debitamente in essere con riguardo ai suoi elementi esterni. Elementi esterni possono definirsi quei requisiti, imposti dal diritto, idonei a connotare esternamente di validità l’atto giuridico, il quale, appunto, in virtù della loro genuinità, appare, prima facie, valido. È evidente il collegamento con il comma precedente, nella parte in cui fa riferimento alle formalità e ai requisiti imposti dal diritto per la validità dell’atto, i quali, se afflitti da vizî, importano, come veduto, nullità ipso jure (invalidità) o rescindibilità, a seconda dei casi. Anzi, può dirsi che gli elementi esterni coincidano con quelle formalità e requisiti, che sono proprio gli elementi dell’atto giuridico relativamente ai quali la formulazione d’un giudizio di sussistenza e regolarità non implica necessità di approfonditi scrutinî, al contrario risultando d’evidenza. Ciò comporta che, pur in presenza d’un atto giuridico esternamente valido, la prova dell’insussistenza o del vizio d’un elemento costitutivo dello stesso o del presupposto di capacità ne cagioni ugualmente l’invalidità, sub species di inesistenza. In altri termini, la presunzione di cui trattasi non può non qualificarsi come presunzione relativa, o iuris tantum, cioè superabile mediante la prova contraria, consistente nella patologia d’uno (o più) degli elementi essenziali; invero, assumendola come assoluta, o iuris et de iure, risulterebbe totalmente svuotata la portata precettiva del primo comma, proprio nella parte in cui richiede la presenza, nell’atto, di ciò che lo costituisce essenzialmente, nonché l’abilità del suo autore.