Roma, Domus Pacis 8.5.2011Carissimi Amici dell’Azione Cattolica,
Assemblea Nazionale di Azione Cattolica
OMELIA
“Camminava con loro”
sono lieto di essere con voi per la celebrazione della divina Eucaristia, cuore della vita cristiana e della Chiesa. Essa raccoglie i lavori del Assemblea Nazionale dell’Associazione, e io vi porto la vicinanza affettuosa e incoraggiante dei Vescovi Italiani. Sono certo che le decisioni maturate in questi giorni sono state guidate dalla vostra preghiera e dall’amore alla Chiesa: è questo che rende viva e vitale l’Azione Cattolica. Saluto tutti, a cominciare dal Presidente con il Consiglio Nazionale: un saluto fraterno all’Assistente Generale, S.E. Mons. Domenico Sigalini e agli Assistenti di Settore. A tutti e a ciascuno va il ringraziamento e la stima mia e dei Pastori delle nostre Diocesi.
Ci lasciamo ora prendere dal Vangelo per assaporare la perenne fragranza della Parola del Signore. L’episodio evangelico è notissimo, ma la Parola di Gesù è sempre nuova.
1. “Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro”
I due discepoli sono in fuga da Gerusalemme: è la fuga della tristezza che cerca sollievo allontanandosi dai luoghi del dolore nell’illusione di poter dimenticare. La meta è Emmaus, ma in realtà Emmaus non rappresenta nulla di particolare per i due, nessun interesse. L’importante è allontanarsi dal luogo della delusione, della speranza infranta. E per la strada conversano e discutono! Non è difficile pensare che il loro parlarsi non sia solo raccontare il vissuto, ma discuterne e forse recriminare, accusandosi l’un l’altro di superficialità, cercando chi ha colpa del loro essersi ingannati, di essere ora perdenti. È facile, in simili situazioni, incolpare gli altri delle proprie delusioni e insuccessi. E, in genere, c’è sempre qualcuno che riesce a dire agli altri: io l’avevo detto, l’avevo pensato.
Ma la novità che in quel momento irrompe è Gesù: Egli si avvicina e cammina con i due uomini che, più che pellegrini, parevano dei vagabondi perché fuggiaschi. Non dobbiamo dimenticarlo mai: Dio attraversa l’infinito per avvicinarsi all’uomo smarrito e triste. Non solo, ma si affianca e misura il suo passo sul nostro, resiste alle nostre chiusure, non si offende per le nostre durezze sgarbate – “Tu solo sei forestiero a Gerusalemme? Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni? – e pazientemente incalza e ascolta: “Che cosa?”.
Colpisce che i due non riconoscano Gesù risorto. La dimensione del corpo glorioso di Cristo se per un verso ci sfugge, per l’altro si lascia intuire attraverso dei segni singolari come il non essere subito riconosciuto, apparire e scomparire, entrare nel cenacolo a porte chiuse, chiedere da mangiare agli Apostoli e precederli nel preparare il pasto… La sconosciuta realtà del Risorto è oggettivamente difficile ad essere accolta, ma ciò nonostante dobbiamo sottolineare l’atteggiamento interiore dei due discepoli: erano talmente presi dai loro problemi, dominati dai loro sentimenti, da essere incapaci di vedere e riconoscere Gesù. Quando siamo troppo presi da noi stessi, ripiegati sulle nostre idee, diventiamo un po’ ciechi e sordi. Siamo prigionieri di noi stessi, autoreferenziali, e ci stacchiamo dalla realtà e dalla vita, inseguiamo i nostri stati d’animo, i nostri schemi.
2. “Spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”
Dopo aver provocato i due discepoli a far emergere ciò che avevano nel cuore, e dopo aver pazientemente ascoltato, il Maestro parla e insegna: spiega le Scritture. Non basta, infatti, conoscere le Scritture – i discepoli le conoscevano – bisogna saperle comprendere. Gesù stesso le spiega: esse parlano di Lui che è la Parola. Per questo la conoscenza delle Scritture può avvenire solo nella Chiesa e con la Chiesa, Corpo di Cristo. La formazione integrale delle persone, cosa che voi ben conoscete e che perseguite, richiede oggi un supplemento di consapevolezza e di impegno: la cura della vita spirituale attraverso la preghiera e la vita sacramentale, la conoscenza amorosa e docile delle Scritture, del Catechismo della Chiesa Cattolica, della Dottrina Sociale e del Magistero, la faticosa e serena intelligenza della storia nei suoi movimenti e complessità, il servizio e la testimonianza, costituiscono gli elementi irrinunciabili dell’itinerario formativo ai vari livelli di età. Elementi che richiedono senza dubbio impegno, costanza e anche fatica, ma senza dei quali ogni analisi del presente rischia il generico e, soprattutto, luoghi comuni e letture parziali. Rende la presenza dei cattolici nella storia una presenza inadeguata, incapace di porre un giudizio di valore sulle cose, e quindi inefficace rispetto a quell’ essere “lievito e sale, luce e città posta sul monte”, che è un unico e indivisibile imperativo evangelico. La storia è spesso complessa e complicata, a volte addirittura confusa nei suoi fenomeni, ma lo sguardo del credente deve cogliere le linee sotterranee, i criteri di fondo che guidano, con fili invisibili ma ferrei, logiche personali e collettive. Deve essere attento a non lasciarsi ingannare dai fenomeni di superficie: essi sono reali e concreti, ma non necessariamente i più importanti e decisivi. Deve avere la capacità spirituale e culturale di andare anche oltre la coltre più o meno ruvida degli accadimenti, per stanare i criteri di giudizio, e per confrontarsi con la forza della verità. Il Santo Padre Benedetto XVI, che ha inviato un significativo messaggio a questa Assemblea, ne è maestro, basta mettersi alla sua scuola. Non si tratta, infatti, di diventare analisti elucubrati e contorti, ma di rimanere nell’orizzonte della gente – quella che incontriamo nelle nostre Parrocchie e che fa umilmente storia –; bisogna rimanere ancorati alla solida terra del quotidiano, della vita dura e austera; dobbiamo arricchire questa insostituibile esperienza umana e popolare con gli elementi formativi prima accennati che voi conoscete per convinzione e per storia. Ritengo che – questi elementi - debbano essere rilanciati non tanto sul piano teoretico, ma sul piano della prassi ai diversi livelli dei nostri gruppi, perché i ragazzi, i giovani, gli adulti possano scoprire e far crescere la bellezza di una fede pensata e vissuta, testimoniata e annunciata in ogni ambiente e situazione. Perché siano in grado di porre dei giudizi spirituali e morali, di fede e di ragione. Quando il Papa insiste nel ricordare che il problema più grande è quello di aprire al mondo l’accesso a Dio, va al cuore dell’ora presente: Dio continua a parlare all’uomo, ma il cuore umano è oggi diventato più sordo alla voce umile e rispettosa di Dio: Egli si propone con la parola dell’amore che è Gesù crocifisso e glorioso.
3. “Partirono senza indugio”
Ecco la conclusione: riconosciuto il Risorto, la notte non fa più paura perché nella loro anima è sorta la luce. Le parole dette poco prima al misterioso viandante – “resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” – sono parole lontane, svanite: il giorno, quello dell’anima, è spuntato e non vedrà tramonto. Né la notte né la strada insicura intimoriscono; al contrario, sentono imperioso il bisogno di tornare a Gerusalemme per dirlo ai fratelli, per condividere la luce e la gioia, per annunciare il Risorto. Cari amici, la fede come la gioia non si può trattenere, deve essere condivisa perché il bene o è diffusivo o non è bene. Un bene trattenuto si corrompe e si perde. Per questo tornano sui loro passi senza aspettare l’alba: non possono farne a meno. Quale insegnamento! Se ci pensiamo, sentiamo la commozione salire dall’anima e inondare il cuore: ma, forse, sentiamo anche una domanda pungente sulla nostra passione apostolica, sull’ansia evangelizzatrice, sul nostro coraggio di dire al mondo, in qualunque ambiente, Gesù Cristo. E il nostro pensiero corre spontaneo e veloce al beato Giovanni Paolo II. Il Santo Padre Benedetto XVI, che vogliamo ringraziare con affetto filiale e devota obbedienza per aver beatificato il suo amato Predecessore, diceva: “Ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non aver paura a dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola, ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia di libertà”. E Benedetto XVI questa verità ce la presenta senza sofismi e fumosità, con il rigore disarmante e umile del suo Magistero; ma anche offre una testimonianza serena e amorevole sapendo, come il suo Predecessore, che l’evangelizzazione è aprirsi al mondo senza lasciarsi travolgere dal mondo.
I due discepoli giungono trafelati a Gerusalemme dove trovano i fratelli che ascoltano la testimonianza di Pietro: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi sono ansiosi di raccontare quanto è loro accaduto, ma aspettano e ascoltano: solo dopo raccontano e sottopongono al giudizio apostolico la loro esperienza. Non deve sfuggire questo modo di fare appena accennato dall’Evangelista: vi sono, nella narrazione, delle accentuazioni, delle priorità non solo di tempo ma di valore e di servizio. Il ministero petrino, infatti, conferma l’autenticità della fede, dei ministeri e dei carismi, presiede la carità del Corpus Ecclesiae, difende dai lupi rapaci, guida ai pascoli alti, incoraggia e stimola.
Cari Amici, chiediamo al Signore Gesù, Pastore e Custode delle anime, il dono di una fede più grande e consapevole; chiediamo un amore sempre crescente per la Chiesa Maestra e Madre; chiediamo una passione luminosa per l’uomo che è “la via della Chiesa perché “Cristo è la via dell’uomo”. Nel decennio che i Vescovi italiani hanno dedicato alla sfida educativa, sarete anche voi, insieme alle molteplici realtà ecclesiali, dei riferimenti vivaci e generosi per i campanili e le piazze del nostro amato Paese. Come sempre, ci contiamo!
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
fonte: http://www.chiesacattolica.it/cci200...a_abitare.html