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Discussione: Servo di Dio Luigi Giussani, Sacerdote (15 ottobre 1922-22 febbraio 2005)

  1. #141
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    Don Giussani, ricordi e testimonianze otto anni dopo
    In tutto il mondo una serie di concelebrazioni di messe presiedute da cardinali e vescovi in ricordo del fondatore di Comunione e Liberazione


    Redazione
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    L’anniversario della morte di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005) e del 31° del riconoscimento pontificio della Fraternità di CL (11 febbraio 1982), sono ricordate con grande partecipazione in tutto il mondo dalla fraternità e il movimento e da coloro che hanno conosciuto e amato il fondatore di Comunione e Liberazione. Il legame profondo e indelebile con il suo fondatore è espresso bella recente lettera agli iscritti alla Fraternità di CL, in don Carrón scrive: «Affinché la nostra vita possa essere così cambiata, occorre la nostra disponibilità alla conversione, cioè alla sequela, secondo l’invito di don Giussani.

    Dunque è vivo il ricordo e soprattutto prosegue l’opera del fondatore, da parte di coloro che ne hanno raccolto il testimone. «Chiediamo la Grazia, nell’Anno della Fede, di una conoscenza e affezione sempre più profonde a Cristo attraverso la sequela intelligente e appassionata del carisma di don Giussani nella vita della Chiesa, al servizio dei nostri fratelli uomini» è l’intenzione che sta alla base, delle tante celebrazioni che si tengono in tutto il mondo. L’elenco completo è consultabile sul sito www.clonline.org. Dalla sua Milano con il cardinale Angelo Scola, 12 febbraio, ore 21, in Duomo a New York, con il cardinale Timothy Dolan, 10 febbraio, passando per Madrid, Vienna, San Paolo, Amman e Nairobi ecco alcune delle località in cui sono previsti momenti di ricordo di don Giussani.

    Il 6 febbraio 2013 ricevendo in udienza i partecipanti all’Assemblea Generale della Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo, Benedetto XVI ha ricordato don Giussani: «Ho conosciuto la sua fede, la sua gioia, la sua forza e la ricchezza delle sue idee, la creatività della fede. È cresciuta una vera amicizia; così, tramite lui, ho conosciuto anche meglio la comunità di Comunione e Liberazione». Rivolgendosi a don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, ha detto del Movimento: «E sono lieto che il successore sia con noi; che continua questa grande opera e ispira tante persone, tanti laici, donne e uomini, sacerdoti e laici, per collaborare alla diffusione del Vangelo, alla crescita del Regno di Dio».


    fonte: Vatican Insider
    «Ego sum resurrectio et vita.
    Qui credit in me, etsi mortuus fuerit, vivet».
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  2. #142
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    Oggi
    è l'anniversario della morte di questo grande sacerdote ed educatore di giovani e ... meno giovani!
    Voglio ricordarlo con affetto e gratitudine per la dedizione a tanti che a lui si sono rivolti
    e si rivolgono ancora oggi nella preghiera.
    Grazie don Giuss!

  3. #143
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    Messa di Scola con Cl in ricordo di don Giussani

    Alle 21 in Duomo, in occasione dell’anniversario della morte e del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione


    A nove anni dalla morte di monsignor Luigi Giussani e nel 32° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione (Cl), martedì 11 febbraio l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, presiederà una celebrazione eucaristica in Duomo alle 21. Come a Milano, in questi giorni si tengono celebrazioni di Cl in tutto il mondo (l’elenco è su www.clonline.org).
    Don Giussani nacque il 15 ottobre 1922 a Desio e morì il 22 febbraio 2005 a Milano. Due giorni dopo il funerale in Duomo fu presieduto dall’Arcivescovo cardinale Dionigi Tettamanzi, e concelebrato dal cardinale Joseph Ratzinger (inviato personale di Giovanni Paolo II, che pronunciò l'omelia e che a distanza di poche settimane sarebbe diventato Papa), dal cardinale Scola (allora Patriarca di Venezia), da don Julián Carrón (successore di Giussani alla guida del movimento di Comunione e Liberazione), da numerosi vescovi e da molti altri sacerdoti.
    Monsignor Giussani riposa in una Cappella posta in fondo al viale centrale del Cimitero Monumentale, anche per agevolare le numerose persone che ogni giorno si ritrovano a pregare e celebrare la Messa davanti alla sua tomba. In occasione del settimo anniversario della morte, il 22 febbraio 2012, era stata annunciata la formale richiesta alla Santa Sede per dare inizio al processo per la sua causa di beatificazione e canonizzazione: attualmente, in sede diocesana, si sta seguendo la prassi consueta in questi casi.

    Nell'omelia della Messa presieduta lo scorso anno l'Arcivescovo richiamò il «carisma pedagogico» di don Giussani, capace di comunicare in ogni ambiente il valore dell’incarnazione di Gesù e la sua logica che «documenta la bellezza della fede», e sottolineò il «vincolo di comunione intensissima con il servo di Dio don Giussani».

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  4. #144
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    Il Vescovo Massimo:
    Discorsi e interventi


    APPUNTI PER LA PRESENTAZIONE DELLA BIOGRAFIA DI
    DON GIUSSANI DI ALBERTO SAVORANA

    APPUNTI PER LA PRESENTAZIONE DELLA BIOGRAFIA DI DON GIUSSANI DI ALBERTO SAVORANA
    - Reggio Emilia, Aula Magna Manodori – Università degli Studi di Modena e Reggio




    A quasi dieci anni dalla sua scomparsa, possiamo chiederci, senza retorica: quale parola ha oggi da dire don Giussani alla Chiesa e al mondo? Quale è l’attualità, la pertinenza, la vitalità di ciò che ha detto, ha fatto, ha lasciato? Quale è anzi la loro somma utilità?

    Parla attraverso queste mie parole la persona che, assieme ad altre, ha conosciuto don Giussani da vicino e gli è stato accanto, come figlio, per 45 anni, pur nella lontananza geografica; la persona che ha ricevuto moltissimo da lui e che gli deve gratitudine perenne; ma anche il giovane che, diventato prete quasi quarant’anni fa per vivere come lui, è ora vescovo della Chiesa, chiamato a discernere i carismi e a valorizzarli per il bene di tutto il popolo di Dio.

    Cosa insegna don Giussani?

    1. Un genio della fede

    Innanzitutto, a chi lo ha accostato in vita o lo accosta ora attraverso i suoi testi, anche attraverso le pagine di Alberto Savorana, e il movimento di CL, egli appare come un genio della fede. Senza tacere altri doni della sua ricchissima personalità a cui accennerò più avanti, il grande dono di don Giussani alla chiesa e agli uomini mendicanti di Dio, è di aver aiutato decine e decine di migliaia di persone e scoprire la vera natura del cristianesimo, vincendo, senza tematizzarlo eccessivamente, ogni moralismo, intellettualismo e clericalismo. Nelle parole e nell’opera di don Giussani il cristianesimo era ed è puramente un incontro di grazia, tra l’uomo e Cristo. L’uomo aperto, l’uomo in attesa, ma anche l’uomo dimentico, perduto, sprofondato nel male perché, in un’ultima libertà, incapace di negare la luce. La luce di Cristo che passa. Che passava allora (sulle strade della Palestina, divenute nostre, per noi che lo ascoltavamo raccontare gli incontri di Gesù come fosse ora, perché era davvero allora, ogni volta allora) e che passa nell’istante attraverso uno dei suoi, di coloro che lo avevano seguito, in una catena ininterrotta fino a te e me.

    Questa realtà del cristianesimo come avvenimento di grazia che accade in un incontro e diventa esperienza di luce, di pace, di apertura a ogni traccia di bene, speranza per ciò che verrà, ha vinto il moralismo molto diffuso negli anni cinquanta e sessanta (ma non è diffuso anche oggi?) che divideva il mondo in degni e indegni, buoni e cattivi, ma ha superato anche ogni intellettualismo che riduceva la fede a una serie di verità da conoscere, ha vinto il clericalismo che vedeva nella cristianità un potere da difendere e nel mondo un nemico da cui allontanarsi stando nel chiuso delle sacrestie e degli oratori.

    Un cristianesimo essenziale, kerigmatico, aperto, missionario: furono queste le caratteristiche fondamentali della proposta di Giussani che certo egli seppe e dovette continuamente ripensare ed esprimere in nuove forme e con nuove parole lungo tutto l’arco della sua vita.

    La Chiesa ha più che mai bisogno di questa riscoperta della vera natura del cristianesimo. Il magistero degli ultimi papi, (in particolare Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), seppure con accenti profondamente diversi ma non divergenti, ha molto insistito su questo carattere del cristianesimo come avvenimento.

    Tutto ciò fa considerare nella loro giusta urgenza, senza accentuarne l’importanza, i dibattiti sulla chiesa come minoranza, sulle questioni di potere interno alla chiesa.

    Ciò che è fondamentale è scoprire il modo con cui Dio ha voluto manifestarsi al mondo ed entrare gioiosamente in questo disegno. Coerentemente con questa visione don Giussani è stato un grande maestro del battesimo come via normale alla pienezza, un grande evocatore di tutte le vocazioni, da quelle laicali a quelle sacerdotali e religiose, senza mai metterle in esclusione le une dalle altre. Un privilegio ha dato alla dedizione laicale a Cristo nel mondo con cui vedeva uno dei segni dei tempi.
    Era contro ogni visione elitaria del cristianesimo, insofferente di chi si sente così grande da mettersi contro i vescovi e il Papa. Ha amato la sobrietà regale della liturgia arricchita soprattutto dal canto fermo e dalla polifonia. Non ha mai assolutizzato una particolare espressione culturale: per questo ha accettato nella liturgia, con moderazione, anche chitarre e cantautori del movimento, ma sempre purché fossero consoni alla santità dell’atto liturgico.

    2. Un genio dell’umano

    Proprio per questa concezione della fede Giussani fu un genio dell’umano. La sua opera più conosciuta e diffusa nel mondo, “Il senso religioso”, testimonia questa sua conoscenza del fenomeno umano, come direbbe Malraux, del fattore umano, secondo l’espressione di Graham Green.

    Un genio dell’umano innanzitutto perché egli ha amato tutto dell’uomo, della vita umana: ha amato il bere e il mangiare (ma il bere bene e il mangiare bene), assieme agli amici, nei posti belli. Non ha mai amato né la ricchezza, né lo sfarzo, è vissuto molto tempo in povertà, ma ha amato la bellezza.

    La bellezza che a lui giungeva dalla poesia, dalla musica, dal canto.

    In questo modo egli ha aperto ciascuno dei suoi figli alla conoscenza: della storia, della letteratura, dell’arte, delle scienze… Non c’era campo dell’umano che non lo appassionasse e da cui non si sentisse particolarmente toccato. Ma era nell’incontro con ogni singola persona che vibrava questa sua curiosità, apertura e interesse. Chi lo seguiva non si sentiva parte di un gruppo, di una comunità chiusa, ma parte del mondo.

    3. Il metodo dell’evangelizzazione

    Oltre ad essere un genio della fede dell’umano Giussani è stato un genio della Chiesa. Ha portato chi lo seguiva a immedesimarsi con il metodo della manifestazione di Dio nel mondo. Dio si rivolge a taluni per parlare a tutti. Comincia da un piccolo seme, da un piccolo gregge, ma vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. L’esperienza dell’elezione per Giussani, cuore del suo metodo educativo, non è mai stata l’affermazione di una chiusura, ma il centro affettivo di una apertura ecumenica.
    La rivoluzione del mondo comincia nella persona, nel suo incontro con Dio fatto uomo, ma penetra poi in tutti i campi dell’umano, proprio attraverso la vita quotidiana dell’uomo e della donna. La comunione, secondo l’accento che a questa parola ha dato don Giussani, è la vera realizzazione della persona che consiste nello scoprire nel “noi” la vera identità dell’io. Giussani è stato un grande cantore della vita quotidiana vissuta in modo straordinario, con la coda dell’occhio abitata da Cristo. La sua ecclesiologia, profondamente radicata nella teologia di san Giovanni e san Paolo, arricchita dalle frequentazioni con il mondo ortodosso, ha molte cose da insegnare oggi ad una Chiesa che vuole rinnovarsi ma non scomparire.

    4. La vita come vocazione

    Forse la parola più importante che don Giussani ha lasciato è proprio l’esperienza della gioia che nasce nell’uomo quando si accorge di essere amato, di essere oggetto di una misericordia incomprensibile e infinita, quando scopre la positività di tutta la vita, paradossalmente anche del male. Questa positività, vissuta da Giussani soprattutto negli anni della malattia, è il suo insegnamento più importante in un’epoca come la nostra che stenta a trovare le ragioni per vivere. La vita come vocazione è dunque la parola più alta di don Giussani alla Chiesa e al mondo. Quella che vorrei arrivasse anche attraverso di noi a tutti i giovani che incontriamo.





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  5. #145
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    BERGOGLIO E GIUSSANI.
    Le sintonie di fondo tra il futuro Papa e il futuro Beato (a Dio piacendo). Dall’uomo “religioso” all’“incontro” cristiano


    Massimo Borghesi
    Filosofo
    Il cardinale Jorge Maria Bergoglio non ha mai incontrato direttamente Mons. Luigi Giussani e, tuttavia, è innegabile che, sul piano ideale, un incontro ci sia stato. In quattro occasioni Bergoglio ha presentato, a Buenos Aires, volumi di Giussani usciti in edizione spagnola. Nel 1999 El sentido religioso, nel 2001 El atractivo Jesucristo, nel 2005 ¿Por qué la Iglesia?, nel 2008 Se puede vivir así?. Come confesserà, nel 2001, due ragioni lo portavano ad una consonanza con Giussani. «La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale». Bergoglio si riferiva qui alla visione antropologica enucleata ne Il senso religioso, testo di Giussani da lui presentato nel 1999. «Da molti anni – aveva affermato in quell’occasione – gli scritti di Monsignor Giussani hanno ispirato la mia riflessione[…]. Il senso religioso non è un libro ad uso esclusivo di coloro che fanno parte del movimento; neppure è solo per i cristiani o per i credenti. E’ un libro per tutti gli uomini che prendono sul serio la propria umanità. Oso dire che oggi la questione che dobbiamo maggiormente affrontare non è tanto il problema di Dio, l’esistenza di Dio, la conoscenza di Dio, ma il problema dell’uomo, la conoscenza dell’uomo e il trovare nell’uomo stesso l’impronta che Dio vi ha lasciato per incontrarsi con lui. […] Per un uomo che abbia dimenticato o censurato i suoi “perché” fondamentali e l’anelito del suo cuore, il fatto di parlargli di Dio risulta un discorso astratto, esoterico o una spinta ad una devozione senza nessuna incidenza sulla vita. Non si può iniziare un discorso su Dio, se prima non vengono soffiate via le ceneri che soffocano la brace ardente dei “perché” fondamentali. Il primo passo è creare il senso di tali domande che sono nascoste, sotterrate, forse sofferenti, ma che esistono». Qui la lettura di Bergoglio coincide, alla lettera, con quanto scrive Giussani: «Il fattore religioso rappresenta la natura del nostro io in quanto si esprime in certe domande:”qual è il significato ultimo dell’esistenza?”, “perché c’è il dolore, la morte, perché in fondo vale la pena vivere?”». Per l’allora cardinale di Buenos Aires, proveniente dalla scuola gesuitica, questa nostalgia trascendentale gli ricordava, indubbiamente, l’antropologia trascendentale sviluppata da Karl Rahner. Le assonanze, tra Giussani e Rahner, non toglievano, tuttavia, le differenze. Giussani aveva sviluppato ed articolato la sua nozione di “senso religioso”, nel 1958, seguendo la peculiare impostazione tomistica data dal cardinale di Milano Giovanni Battista Montini nella sua Lettera pastorale del 1957 Sul senso religioso. In essa veniva precisata la dimensione religiosa come vis appetitiva, come esigenza di verità non criterio di verità. Veniva in tal modo evitato il rischio aprioristico che soggiace all’impostazione rahneriana, fortemente dipendente dal trascendentalismo kantiano. Ciò spiega il rilievo che assume in Giussani la categoria di incontro. L’incontro è la modalità con cui il Mistero raggiunge sensibilmente l’uomo, lo tocca nello spazio e nel tempo con dei segni che lo provocano ad una risposta. L’incontro è la modalità concreta mediante cui il senso religioso passa dalla potenza all’atto, diviene manifesto da latente che era. L’impostazione trascendentale, l’esigenza innata di Dio iscritta apriori nella nostra natura, non elimina, in tal modo, la novità dell’aposteriori, la modalità imprevedibile con cui l’agire di Dio, la grazia, si manifesta. Per questo Bergoglio, sempre commentando la nozione giussaniana di senso religioso, afferma: «D’altra parte, per interrogarsi di fronte ai segni è necessaria una capacità estremamente umana, la prima che abbiamo come uomini e donne: lo stupore, la capacità di stupirsi, come la chiama Giussani, in ultima istanza un cuore di bambini. Solo lo stupore conosce.[…] L’oppio culturale tende ad annullare, indebolire o uccidere tale capacità di stupore. Il principio di qualsiasi filosofia è lo stupore. C’è una frase di papa Luciani che dice che il dramma del cristianesimo contemporaneo risiede nel fatto di mettere categorie e norme al posto dello stupore. Lo stupore viene prima di tutte le categorie, è ciò che mi porta a cercare, ad aprirmi; è ciò che mi rende possibile la risposta, che non è né una risposta verbale, né concettuale. Perché se lo stupore mi apre come domanda, l’unica risposta è l’incontro: e solo nell’incontro si placa la sete».
    L’antropologia religiosa, da un lato, e l’incontro come modalità con cui la fede accade, dall’altro, sono i due poli che, tanto per Giussani quanto per Bergoglio, indicano il punto della questione cristiana oggi. Il cristianesimo non si manifesta come un insieme di precetti o di valori.«All’inizio dell’essere cristiano – scrive Francesco nella Evangelii gaudium citando Benedetto XVI – non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (EG, &7). Analogamente, nella presentazione del testo di Giussani L’attrattiva Gesù, affermerà: «Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. I primi, Giovanni, Andrea, Simone, si scoprirono guardati fin nel profondo, letti nel loro intimo, e in essi si è generata una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li faceva sentire legati a lui, che li faceva sentire diversi. […] Non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione se su di essa non si è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. […] il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato». Su questo punto, di totale sintonia tra Bergoglio e Giussani, si misurano una serie di conseguenze di grande rilevanza.
    La prima è che la Grazia precede, viene prima. Nella presentazione di L’attrattiva Gesù Bergoglio afferma che «L’incontro accade […] Questo è pura grazia. Pura grazia. Nella storia, da quando è iniziata fino al giorno d’oggi, sempre primerea la grazia, sempre viene prima la grazia, poi viene tutto il resto». Giussani, nel suo volume rimandava ad un suo articolo apparso su “30 Giorni”: Qualcosa che viene prima (4, 1993). Ne L’attrattiva Gesù «Il “qualcosa che viene prima” è l’incontro con Cristo, anche se non preciso, anche se non realmente consapevole. Come per Andrea e Giovanni era una cosa stupefacente, non definibile da loro. La cosa che viene prima, la grazia, è il rapporto con Cristo: è Cristo la grazia, è questa Presenza, ed è il tuo rapporto con essa, il tuo dialogo con essa, il tuo modo di guardarla, di pensarci, di fissarla» (p. 24).
    La seconda conseguenza è che se l’incontro è la modalità essenziale con cui la fede si comunica, ieri come oggi, allora, in un mondo tornato in larga misura pagano, il cristianesimo dovrà declinarsi nella sua forma essenziale e non, primariamente, nelle sue conseguenze etiche la cui salvaguardia spetta, nell’agone pubblico, ai laici cristiani impegnati nel temporale. Giussani, il quale già nello scritto metodologico Riflessioni sopra un’esperienza (1959) invitava ad un richiamo cristiano «semplice ed essenziale» dacché «la Chiesa è discretissima nel fissare i punti obbligatori», scriverà, nel 1982 (Uomini senza patria), che «Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio ed accoglienza ovunque». Papa Francesco, da parte sua, dirà nella sua intervista a P. Antonio Spadaro: «Gli insegnamenti tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza: L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. E’ da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». L’attrattiva Gesù, termine ripreso nella Evangelii gaudium al &39, deve precedere la dottrina morale. La precede in quanto procede dall’incontro, non è realizzabile al di fuori di questo. Posizione, questa, che impedisce, all’origine, il sorgere di ogni possibile fondamentalismo cristiano.
    Terza ed ultima conseguenza è la similarità dei giudizi che accomuna Bergoglio a Giussani sui rischi cui va incontro il cristianesimo contemporaneo: gnosi e pelagianesimo. Se il Cristianesimo è un Avvenimento che si rende manifesto in un incontro, storico e sensibile, se esso primerea rispetto ad ogni nostra azione od intenzione, allora lo svuotamento spiritualistico del fatto cristiano, la negazione del suo essere carne, così come la pretesa moralistica di poter costruire da sé il mondo nuovo, appaiono le deviazioni da correggere. Come scrive Bergoglio nel 2001: «questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. E neppure con il pelagianesimo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianesimo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente che non escono mai da se stessi». Si tratta, in entrambe i casi, di un processo di mondanizzazione della fede. Nella Evangelii gaudium si afferma che «Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista ed autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore» (EG, & 94). Laddove è interessante notare come la forma del neopelagianesimo presente non sia più quella dominante negli anni ’70, propria della teologia politica cristiana influenzata dal marxismo, ma una forma nuova, di destra, tipica di certo tradizionalismo cattolico. Ciò che è essenziale comunque, per l’incontro ideale Bergoglio-Giussani, è anche qui la sintonia di fondo. Gnosi e pelagianesimo sono il pericolo perchè il cristianesimo è un Evento reale che prosegue nella storia e perché questo Evento è la fonte (gratuita) di umanità nuova che non può essere generata dall’uomo. Ciò che Giussani ha insistentemente sottolineato in tutta la sua testimonianza educativa trova così in Bergoglio una sua ideale prosecuzione.

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  6. #146
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    Omelia del vescovo Massimo per don Giussani


    L’omelia di monsignor Massimo Camisasca nella santa Messa in suffragio di don Luigi Giussani nel X° anniversario di morte. Reggio Emilia- Basilica della Ghiara, 20
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  7. #147
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    Un DVD per far conoscere don Giussani

    Esce domani in edicola, nel decennale della scomparsa del fondatore di Comunione e Liberazione per il quale si è aperto il processo di beatificazione

    REDAZIONE
    TORINO

    Domenica 22 febbraio ricorrerà il decennale della scomparsa di Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Per ricordarne lo straordinario lascito, il Corriere della Sera, in collaborazione con la Fraternità di Comunione e Liberazione, porta in edicola il film in dvd “DON LUIGI GIUSSANI 1922-2005. Il pensiero, i discorsi, la fede”, a cura di Roberto Fontolan e Alberto Savorana, art director Dario Curatolo.

    Il dvd sarà in edicola per un mese a partire da sabato 21 febbraio, acquistabile insieme al Corriere della Sera al costo aggiuntivo di 9,99 euro.

    Inedito, ricco di materiali esclusivi, accompagnato da un libretto con la trascrizione di tutti i testi, il dvd è stato realizzato grazie a un accurato lavoro di ricerca e montaggio e raccoglie filmati inediti, l’incontro con papa Giovanni Paolo II, interviste, materiali d’archivio, foto, ricordi di scuola e di vita, immagini della sua casa.

    Don Giussani, che nel dvd si definisce «un prete qualsiasi della diocesi di Milano», è stato un protagonista cruciale del nostro tempo, al quale sia il mondo cattolico sia quello laico hanno tributato straordinaria attenzione.

    Spiega nell’Introduzione don Julián Carrón, suo successore alla guida di CL: «La pubblicazione del libro Vita di don Giussani e il video La Strada bella, realizzato per i sessant’anni dalla nascita di Comunione e Liberazione, hanno destato un interesse per la figura di don Giussani che è andato ben al di là di quanto si poteva immaginare. Ecco, allora, l’idea di un video che consentisse alle persone che non lo hanno mai conosciuto di “incontrare” il volto di don Giussani, il suo sguardo, il suo temperamento, la sua vibrazione umana; la sorpresa di ascoltare dalla sua viva voce che cosa ha significato per lui l’incontro con Cristo».

    Il dvd restituisce la grande passione educativa che ha caratterizzato tutta la vita di don Giussani, la sua volontà di trovare una comunicazione religiosa che fosse più facilmente accettata dai giovani, spaziando con sicuro carisma dal Vangelo ai ricordi di famiglia fino a Giacomo Leopardi. In una sequenza del dvd don Giussani descrive così il metodo che ha caratterizzato fin dall’inizio il suo impegno educativo, indicandone con chiarezza lo scopo: «Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Una fede che non possa essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, è una fede che non può resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto».

    Su www.clonline.org è possibile vedere in anteprima un trailer del dvd.

    Da Vatican Insider


  8. #148
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    10.mo morte Giussani. Carrón: 7 marzo, CL lo ricorderà assieme al Papa

    Ricorre questa domenica il 10.mo anniversario della morte del Servo di Dio don Luigi Giussani e il 60.mo di fondazione di “Comunione e Liberazione”. Numerose le celebrazioni per la ricorrenza: il 23 febbraio, a Milano, sarà il cardinale Angelo Scola a ricordare in una Messa il fondatore di CL, lo stesso giorno a Roma il cardinale vicario Agostino Vallini; a Buenos Aires il cardinale Mario Poli presiederà invece una celebrazione in suffragio il 26 febbraio. Per una testimonianza su come la comunità di CL vive questo anniversario, Alessandro Gisotti ha intervistato il presidente della Fraternità di “Comunione e Liberazione”, don Julián Carrón:

    R. - Questo decimo anniversario lo accogliamo con una grande gratitudine che cresce con il passare degli anni, perché più andiamo avanti più ci rendiamo conto di che cosa ci ha lasciato, della sua eredità, perché la sua eredità, il suo carisma, la sua visione, il suo sguardo sul cristianesimo si comprende di più quando più uno entra e cerca di seguirlo perché non si può capire il cristianesimo senza partecipare ad esso.

    D. - Nell’omelia per il funerale nel Duomo di Milano, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, sottolineò che don Giussani aveva testimoniato che il cristianesimo “non è un sistema di dogmi, un moralismo, ma un incontro con il Signore, un avvenimento”. Questo messaggio, che è poi al cuore della testimonianza di don Giussani, come è continuato in questi anni?

    R. - Noi abbiamo provato con la nostra fragilità e nei nostri limiti a vivere di questo, perché per noi non c’è altra modalità di vivere il cristianesimo se non quello che lui ci ha testimoniato e che ci ha introdotto quasi in ogni fibra dell’essere: il cristianesimo, prima di tutto, non è la riproposizione formale dell’annuncio cristiano, una serie di verità o un moralismo, ma è l’incontro con una presenza con cui la vita va giocata, perché l’unica cosa è una presenza così, una presenza affettivamente attraente – diceva lui – che può veramente guadagnare il cuore dell’uomo tutto desideroso della felicità, della pienezza, di quel senso del vivere, di quell’intensità del vivere che soltanto qualcuno presente può veramente rendere possibile. Nessuna dottrina, nessuna etica può veramente attrarre la totalità dell’uomo come l’attrae una presenza.

    D. - Come è noto, con Giovanni Paolo II e anche con Benedetto XVI c’era una grande affinità, una consonanza con Don Giussani. Quali sono i punti di contatto più forti che secondo lei CL ha con Papa Francesco?

    R. - Noi con Papa Francesco sentiamo una sintonia totale per la sua insistenza sull’essenziale, sul guardare Cristo, sul non trattenersi sulle cose secondarie - perché senza questo sguardo su Cristo non si capisce il resto. La fede che si comunica per attrazione e quindi questa gioia del Vangelo che occorre testimoniare, tutto questo è ciò che ci lega a Papa Francesco. Noi sentiamo questa sintonia totale, perché è proprio questa modalità del cristianesimo vissuta così, insieme al desiderio della missione di andar fuori, perché noi dall’inizio delle nostra storia siamo stati sempre negli ambienti, nelle periferie, nelle università piuttosto che nel mondo del lavoro, nelle borgate della città, rispondendo ai bisogni. Per questo sentiamo da tutti i punti di vista una grandissima sintonia con Papa Francesco che veramente ringraziamo di questo costante richiamo che per noi è il richiamo alla nostra storia.

    D. - Lei ha già avuto occasione di un’udienza privata con Papa Francesco. C’è invece in programma un incontro della comunità con il Papa?

    R. – Si, lui ha voluto concederci per questa ricorrenza un’udienza che celebreremo a Piazza San Pietro con lui insieme a tutto il movimento il 7 marzo. Siamo già tutti in attesa chiedendo al Signore di preparare il nostro cuore per accogliere le indicazioni che lui vorrà darci per poter continuare il nostro cammino in fedeltà e nel carisma di don Giussani.


    fonte: Radio Vaticana
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    Qui credit in me, etsi mortuus fuerit, vivet».
    (Io. 11, 25)

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    Don Giussani e il cristianesimo che incendia

    Luigi Amicone Tacere? «Ma la mitraglia non la mollo», usava dire quando salute o potenze laiche e clericali cospiravano al bel mettere a tacere la sua “povera voce”



    Ricorrendo i dieci anni dalla sua scomparsa (22 febbraio 2005), siamo sicuri che don Luigi Giussani schiferebbe mirra e incenso sulla sua persona. Ci richiamerebbe a stare davanti al «Mistero che fa tutte le cose». E «a essere sempre nella vostra giornata appuntati sulla preghiera, sull’avamposto della domanda: la domanda è l’avamposto dell’uomo che va in battaglia». Così che, proseguiva il Giuss in una di quelle giornate – questa è del 2001 – a tu per tu con i giovani di Cl e non di Cl, «non so, fra 50 anni, fra 500 anni, ci abbiamo a ritrovare tutti nella consolazione che l’Essere porta a chi non Lo distoglie, nella affermazione del niente, dalla sua intensa partita». Lungi dalla preziosa reliquia in cui lo si potrebbe incartare, defraudandolo della santità conclamata vox populi (e, noi pensiamo, tra dieci o cento anni dalla Chiesa certificata), il Giuss, come lo chiamavano tutti, è un fenomeno della natura dove la natura prende coscienza infallibile del proprio desiderio e destino: Gesù Cristo.
    Dalla sua vita, «dalla mia vita alla vostra», diceva senza mai confondere se stesso con Colui che lo portava, e, anzi, ripugnando ogni forma di personalismo, è sgorgata una fonte per la persona, è sgorgato un popolo; è sgorgato un movimento “sorgivo”, come ha detto del carisma giussaniano il cardinale di Milano Angelo Scola.
    Cristianesimo che ha incendiato, in primis, ragazzi delle superiori e ragazzi universitari che, dal 1954, Giussani seguì a migliaia, seguì uno a uno, dando tutto, con passione del “rendere ragione” e sbalorditivo impeto umano. Al punto che un medico tedesco che lo visitò agli inizi della sua lunga malattia gli domandò quanto avesse parlato e fatto nella vita per ridursi in quello stato di limone spremuto, senza fiato. E gli ordinò di tacere.
    Tacere? «Ma la mitraglia non la mollo», usava dire quando salute o potenze laiche e clericali cospiravano al bel mettere a tacere la sua “povera voce” («il nostro canto più bello» diceva Giuss, scritto da una delle sue prime ragazze al liceo Berchet, Adriana Mascagni). Ma poi, quale “mitraglia”?
    Così, se «è questa carenza atroce che si nota in voi, come giovani d’oggi, questa carenza tremenda di stupore di fronte alla bellezza, di capacità ricettiva della bellezza». Se «l’esito che invece vi colpisce è quello che provoca una pura reattività. L’esito con cui le cose vi raggiungono è quello di una reattività: vi provocano una reattività e vi bloccano in voi stessi… Lo stupore, il ricevere la bellezza è l’inverso… si chiama estasi, essere nell’altro… La vostra è una incapacità di estasi, ma diciamolo con un termine più banale, è una incapacità di affezione». Ed «è l’incapacità di affezione quella che vi impedisce la decisione». Ecco la “mitraglia”: l’affezione. Tant’è. «Se qualcheduno, invece che prendere spunto dalle categorie del movimento per fare le sue filosofie o le sue dottrine, svolgesse una dottrina dell’esperienza del movimento – ma dovrebbe essere uno capace di estasi – la chiave di volta di quella dottrina sarebbe la parola “affezione”».


  10. #150
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    GIUSSANI 2005-2015/ Bertinotti: il suo "cuore" rompe l'omologazione del potere


    Oggi sono dieci anni dalla scomparsa di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. "Il
    tempo che passa — ha scritto recentemente di lui don Julián Carrón, attuale presidente di Cl — le circostanze storiche che ci troviamo ad affrontare, la nostra disponibilità a lasciarci 'guidare' da don Giussani, lo rendono sempre più autorevole ai nostri occhi". Un carisma, quello di Giussani, che ha "contagiato" in varia misura migliaia di persone in tutto il mondo, battezzati e non credenti, perfino fedeli di altre religioni. "Ci spiazzò fin dagli anni 60, con il suo approccio totalizzante alla fede… divideva la Chiesa, era comprensibile: recuperare il carisma originale fa sempre male…". A dirlo non è un credente ma un ateo, sia pure in ricerca, come definisce se stesso Fausto Bertinotti, uomo-simbolo della sinistra italiana, sindacalista, già leader di Rifondazione comunista ed ex presidente della Camera dei deputati.

    Bertinotti, chi è per lei don Giussani?
    Risposta difficilissima, come tutte quelle che riguardano una personalità così rilevante… Un uomo di fede; questa è la prima cosa che direi di lui.

    Quando cominciò a sentirne parlare?
    Più di mezzo secolo fa, credo tra la fine degli anni 50 e l'inizio degli anni 60, quando mi occupavo dei movimenti giovanili. Ci imbattemmo in una formazione ignota fino ad allora, si chiamava Gioventù studentesca ed era guidata da un certo don Giussani.

    Che cosa ricorda di particolare?
    La mia generazione era abituata al dialogo con esperienze come quella delle Acli, con i giovani dell'Azione cattolica, e anche con altri gruppi… ma la venuta alla luce di Gs (che sarebbe poi divenuta Comunione e liberazione, ndr) fu un fatto nuovo, una presenza che all'inizio non era facile per noi da decifrare, perché aveva in sé una componente sociale molto rilevante e però anche un'impronta religiosa così marcata da essere in realtà quest'ultimo il tratto assolutamente prevalente, anche nell'ambiente scolastico…

    Continui.
    Si trattava di una presenza… (Bertinotti ci pensa a lungo) …mi verrebbe da dire combattiva, ma è un termine sbagliato e lo ritiro… ecco: una presenza segnata da un impegno totalizzante.

    Che cosa significa per lei?
    Gli altri gruppi erano anch'essi composti da credenti nei quali la vita di fede, la certezza religiosa, erano ben presenti nella pratica, ma come una sorta di premessa all'agire sociale. Mentre nei giovani di don Giussani la fede e la vita erano un tutt'uno.

    Cl è figlia di don Giussani. Quel dna totalizzante lo si può attribuire a quell'esperienza anche oggi?
    Vede, io faccio fatica oggi a ritrovare sulla scena sociale, politica e culturale forti elementi di continuità in tutte le grandi esperienze nate nel secolo scorso. E' come se fossimo precipitati in un altro mondo, e quello che si è spezzato è il filo della continuità. Si è spezzato per i comunisti, ma anche per i cristiani. C'è innanzitutto una ragione esterna: è cambiata la scena, siamo entrati in una altro capitolo della storia, quello del capitalismo finanziario globalizzato. E' un paradigma regressivo. Mi pare che siamo dentro una profonda crisi di civiltà.

    E poi?
    …difficile quindi riposizionarsi, per culture che sono cresciute nel vecchio contesto. Ma il secondo elemento è una mutazione intervenuta nei protagonisti. Direi così: il problema è il rapporto con il potere. Meglio, il rapporto tra la pratica sociale, o politica o culturale e la fede che ne sta all'origine. Intendo sia fede trascendente sia fede laica, storicamente determinata dal secolo, quella fede che ci mette in relazione con ciò che attendiamo e non è visibile, ivi compresa una società diversa.

    E qual è la sua diagnosi?
    Queste pratiche originate dalla fede, secondo me, al confronto con il potere non hanno retto la prova. Tutte.

    Ma il carisma di don Giussani, per come lei ha avuto modo di conoscerlo, riesce a far fronte a questo cambiamento?
    Per me è difficile dirlo… C'è una risposta alla sua domanda che non può che essere interna alla tradizione di cui Giussani porta il segno. Dico "tradizione" perché secondo me don Giussani ha prodotto una tradizione, che a sua volta sta dentro la tradizione del cristianesimo. Ma dall'esterno, posso dire che l'esperienza totalizzante di Giussani è attraente, perché manifesta l'intelligenza e la volontà di sottrarsi all'omologazione del tempo.

    Si spieghi, presidente.
    Oggi il capitalismo ha foggiato un uomo a sua immagine, e gli ha dato una sua umanità, che è quella dell'individualismo mercantilista. Come diceva Benjamin, si è configurato come una religione… E' l'omologazione dalla quale metteva in guardia Pasolini. Ecco allora che in quella tensione, anche drammatica, che è propria di ogni proposta totalizzante, starei per dire integralista, c'è anche l'antidoto alla riduzione operata dal nostro tempo.

    E la proposta di Giussani può ancora scardinare l'omologazione del potere?
    Secondo me almeno indica questa possibilità e questa prospettiva. D'altra parte è questo che mi interessa di lui. C'è un… sì, un integralismo, in Giussani, che è tipico del pensiero forte. Sono rischi che il pensiero debole non corre, ma il pensiero debole si condanna alla disumanizzazione che è inscritta nella società del nostro tempo… Anche il pensiero forte ha dei rischi, ma in ogni caso va "scalato", ecco. E' questo che della lezione di Giussani continua a intrigarmi.

    Lei lo definisce "integralista", ma per Giussani non può esserci adesione alla verità senza libertà, senza affetto, senza stupore.

    Certo. In questo è assolutamente moderno.

    Lei porta avanti da tempo una sua forte ricerca religiosa personale. Perché ancor più del cattolicesimo in quanto tale le interessa un'esperienza come quella di don Giussani?
    Di don Giussani come di altre figure di fedeli: il cardinale Pellegrino, per altre ragioni il cardinal Martini, padre Balducci… sono tutte presenze molto diverse. E' un ventaglio che può apparire acrobatico dal vostro punto di vista, lo capisco, ma quello che mi interessa è la testimonianza dell'uomo di fede, il rapporto tra il nostro tempo e la fede con cui si attraversa il secolo.

    Lei cita spesso san Paolo…
    E' vero; "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede" (2 Tm 4, 7, ndr). In questo trittico c'è quello che mi interessa e mi coinvolge nell'esperienza dell'uomo di fede, anche di don Giussani.

    Don Giussani ha fatto un riferimento costante alla parola "cuore". Lei come lo intende?
    Sorprende l'uso del termine, ma non la questione sollevata, perché il tema dell'amore, per come io lo leggo, è il tema del cristianesimo. Giussani ha recuperato un termine tradito dalla commercializzazione e lo ha riproposto nel suo carattere scandaloso, quello di riferirsi a un'esigenza di bene e di giustizia assolute.

    Da non credente, una personalità come quella di Francesco le sembra estranea al carisma di Giussani?
    Estranea non si può mai dire per una figura che appartiene alla stessa fede di un'altra, ma io vedo in papa Francesco soprattutto l'elemento della discontinuità, della rottura con il mondo passato; ovviamente anche suggerita e provocata dall'atto di rottura del pontefice che lo ha preceduto.

    Anche per quanto riguarda il riferimento al cuore? Francesco ne parla ogni momento…
    Credo che operata la discontinuità, ritorni il problema di fare i conti con ciò si trova nella tradizione. Da chi, quanto e come vengono presi gli elementi di quella tradizione e ri-attualizzati in un altro corpo, questo è un problema che andrebbe indagato. Poi bisogna anche capire, della tradizione, che cosa prendi, o che cosa sei capace di prendere. Questo credo che don Giussani lo sapesse bene.

    Saprà anche lei, non solo dalla biografia di Giussani, che il fondatore di Cl ha fatto grattare molte teste nell'establishment ecclesiastico.
    Lo capisco e lo ricordo bene. Vale anche per un'istituzione temporale e insieme trascendente come la Chiesa la regola generale di tutte istituzioni: qualunque elemento di scandalo o di trasgressione all'ordinamento viene ricordato come una minaccia…

    Don Giussani però non ha mai scardinato nulla.
    Scardinato no, ma "affacciarsi sul nulla" è una condizione necessaria per poter integrare il futuro… Naturalmente tutto sta nell'"affacciarsi", appunto, nel vedere il dato con occhi nuovi senza precipitare. Recuperare il carisma originale fa sempre male… Del resto è anche quello che sta facendo questo papa, mi pare.

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