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Discussione: 28 gennaio: San Tommaso d'Aquino, Dottore della Chiesa

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    28 gennaio: San Tommaso d'Aquino, Dottore della Chiesa

    SAN TOMMASO D'AQUINO




    Oggi la Chiesa ricorda San Tommaso d’Aquino, domenicano (Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274). Soprannominato Doctor Angelicus, maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, patrono dei teologi, degli accademici e degli studenti, e delle scuole e università cattoliche; proclamato Santo il 18 luglio 1323 e Dottore della Chiesa il 4 agosto 1880.

    La Chiesa favorisce la sua dottrina proclamando che essa è la propria (Benedetto XV, Fausto appetente die, 1921), e la prima volta che un concilio ecumenico raccomanda un teologo, questi è Tommaso, menzionato ben due volte da Concilio Vaticano II.
    Il Concilio, infatti, trattando della formazione sacerdotale ha affermato:
    “Per illustrare quanto più possibile i misteri della salvezza gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso per mezzo della speculazione avendo San Tommaso per maestro” (Optatam totius, n. 16).
    Nella Dichiarazione sull'educazione cristiana, rivolendosi alle scuole superiori, viene affermato invece:
    “(…) la Chiesa ha grande cura delle scuole di grado superiore specialmente delle università e delle facoltà. Anzi, in tutte quelle che da essa dipendono, mira organicamente a che le varie discipline siano coltivate secondo i propri principi e il proprio metodo, con la libertà propria della ricerca scientifica, in maniera che se ne abbia una sempre più profonda comprensione e, indagando accuratamente le nuove questioni e ricerche suscitate dai progressi dell'epoca moderna, si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrano nell'unica verità, seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente di S. Tommaso d'Aquino (Gravissimum educationis, 10).

    Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Fides et ratio, ha parlato della “novità perenne del pensiero di san Tommaso d'Aquino”:
    “Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo. In un'epoca in cui i pensatori cristiani riscoprivano i tesori della filosofia antica, e più direttamente aristotelica, egli ebbe il grande merito di porre in primo piano l'armonia che intercorre tra la ragione e la fede. La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, egli argomentava; perciò non possono contraddirsi tra loro.
    Più radicalmente, Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione. Quest'ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi alla conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino. Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo " esercizio del pensiero "; la ragione dell'uomo non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole.
    E per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia” (Fides et ratio, 43).



    Biografia dal sito santiebeati.it:

    Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
    E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.

    Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli
    Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.
    Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta.
    Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.
    A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore.

    Domenicano; incomprensioni della famiglia
    Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
    Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi.
    I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.
    Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.
    Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.

    Studente a Colonia con s. Alberto Magno
    Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica.
    Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.
    A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.
    Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

    Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
    Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.
    Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.
    Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.
    Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore.
    Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università.
    Già con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
    “Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).
    A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.

    Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici
    All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.
    Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici.
    Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.
    Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.
    Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.

    La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo
    A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.
    La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.
    Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.
    Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.

    Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli
    Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi.
    All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.
    A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio.
    Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
    Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.

    L’interruzione radicale del suo scrivere
    Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli.
    Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
    Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
    Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.

    I doni mistici
    La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
    Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
    Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.
    Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.

    Sempre più ammalato; in viaggio per Lione
    Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
    Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta.
    Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.
    Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
    Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia.

    La sua fine nell’abbazia di Fossanova
    Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.
    Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
    Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.

    Il suo insegnamento teologico
    La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
    Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
    Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
    Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham.
    L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio 1323.

    Il suo culto
    Nel 1567 s. Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.
    La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369.
    Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città.
    Volo quidquid vis,
    volo quia vis,
    volo quomodo vis,
    volo quamdiu vis.

    Voglio tutto ciò che vuoi Tu, perchè lo vuoi Tu, nel modo in cui lo vuoi Tu, fino a quando lo vuoi Tu.
    (dalla "Preghiera universale" attribuita a Clemente XI)

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    Dall'Osservatore Romano di oggi:

    Il metodo di san Tommaso d'Aquino
    Se si tratta della verità
    non importa chi la dice


    di Inos Biffi
    Non raramente si sente affermare che Tommaso d'Aquino è stato un modello di dialogo con le culture del suo tempo. Ed è vero, ma sarebbe anzitutto necessario precisare - e non lo si fa quasi mai - che cosa si intenda per dialogo. La parola dialogo è ripetuta oggi fino alla noia per i campi più svariati, ma la si lascia abitualmente nel vago di un significato generico, dove spesso un'ovvietà improduttiva rischia di rasentare la banalità.
    Ma torniamo a Tommaso d'Aquino. Egli è entrato certamente a contatto con la cultura del suo tempo, rappresentata specialmente da Aristotele che ormai si trovava - come direbbe Congar - alla sua terza entrata in Occidente, quella dei contenuti, dopo l'entrata riguardante la Logica vetus, con Boezio, e la Logica nova.
    Il commento, anche analitico, alle opere del filosofo non è sicuramente un'iniziativa originale di Tommaso, ma è sorprendente che egli, "maestro in Sacra Pagina", abbia dedicato tanto tempo e impegno all'analisi dei testi aristotelici. O forse meglio, non sorprende, se si tiene presente che il loro studio particolareggiato aveva come scopo quello di porre la verità che coglieva in esse a servizio della sua professione di teologo e quindi a servizio della sacra doctrina.
    Questa sua attività di commentatore - che non si limitava ad Aristotele, egli commentò anche il Liber de causis, di cui rilevò la matrice platonica - non passava, in ogni caso, senza l'attenzione e la stima dei maestri della Facoltà delle arti. Quando Tommaso partì da Parigi nella primavera del 1272, promise a questi che avrebbe inviato loro alcuni commentari di opere filosofiche, ed essi infatti lo ricordarono e li richiedevano, insieme con le reliquie di Tommaso, in una lettera del maggio 1274 al capitolo generale di Lione.
    Ma, di là da queste annotazioni storiche, è illuminante rilevare il metodo di Tommaso nel dialogo con la cultura del suo tempo. Si nota anzitutto il principio fondamentale della sua ricerca o della sua "etica mentale", espresso in questi termini e da lui attributo a sant'Ambrogio: "Al principio di ogni verità, chiunque sia colui che la professi, vi è lo Spirito Santo (omne verum, a quocumque dicatur a Spiritu sancto est)" (Super evangelium Joannis, capitolo 1, lectio 3). All'Angelico importa la verità, non la sua provenienza, e là dove essa sia presente riceve da lui tutto il suo riconoscimento. Ed è esattamente quello che egli ricercava in Aristotele: la verità, per altro ben consapevole quanto, senza la Rivelazione, anche le menti più alte faticassero a trovare quale fosse il fine ultimo dell'uomo: satis apparet quantam angustiam patiebantur hinc inde eorum praeclara ingenia (Summa contra gentiles, 3, 48).
    Tommaso aveva una confidenza assoluta nella verità, al punto da affermare nel Commento al libro di Giobbe (13, 19), che "la verità non cambia a secondo della diversità delle persone, per cui, quando uno dice la verità, chiunque sia la persona con cui disputa, non può essere vinto" (veritas ex diversitate personarum non variatur, unde cum aliquis veritatem loquitur vinci non potest cum quocumque disputet), quand'anche si tratti di Dio.
    Con questa sua sensibilità non sorprende che, quando commenta un autore, non gli prema tanto la ricostruzione storica - nella misura per altro in cui gli fosse possibile - quanto lo sforzo perché secondo l'oggettiva coerenza ai loro stessi principi venga raggiunta la verità.
    Così, di là dalla sua consapevolezza o meno, avviene quando egli analizza le opere di Aristotele. Non sono infatti mancate critiche alla sua esegesi quanto alla sua fedeltà al testo del filosofo. Di fatto, nel suo dialogo con lui su questa fedeltà testuale prevale la preoccupazione veritativa. D'altra parte, egli ha in certo modo teorizzato il suo metodo dialogico.
    Nel De caelo et mundo afferma: "Lo studio della filosofia non mira a conoscere quello che gli uomini hanno pensato, ma quale sia la verità (studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid homines senserint, sed qualiter se habeat veritas rerum)" (i, 22, 8). Ora, questo primo momento, inteso alla conoscenza del pensiero umano e che potremmo chiamare della ricerca storica, non solo non manca ma è largamente presente in Tommaso, e ne è prova la sua vasta e continua attenzione culturale in campo anche profano, e in primo luogo nell'area della cultura aristotelica, senza parlare di altri autori di cui conobbe e utilizzò il pensiero, tra gli altri Boezio, Avicenna, Averroè, Mosè Maimonide.
    Questo primo momento non gli è però sufficiente. Tommaso mira, come metodo, a oltrepassarlo, e lo fa nel secondo momento del suo itinerario scientifico, quando si dedica a indagare l'intenzione oggettiva - l'intentio profundior - che anima l'espressione di un autore e che a essa soggiace, di là dalla coscienza dell'autore stesso. Egli si impegna, così, a "scrutare con maggior profondità l'intenzione di Agostino (profundius intentionem Augustini scrutemur)" (De spiritualibus creaturis, 10, 8).
    Sulla relazione tra espressione e intenzione, particolarmente applicata a san Tommaso, e sul ritardo della prima rispetto alla seconda, si è soffermato con singolare finezza André Hayen, gesuita di Lovanio, uno dei più acuti interpreti dell'Angelico, le cui opere - alcune delle quali tradotte in italiano - conservano intatto il loro valore.
    E, tuttavia, anche questa seconda tappa non basta a san Tommaso. In ambedue i testi citati egli afferma che a importare non sono né la storia né l'intenzione profonda: lo studio della filosofia deve avere come suo fine la conoscenza non di quello che i filosofi hanno scritto, ma di quale sia la veritas rerum; e per quanto concerne Agostino il punto d'arrivo non è quello di sapere quale sia stata la sua intenzione, ma una volta ancora quello che è vero: quomodo se habeat veritas circa hoc.
    Nessun dubbio che san Tommaso abbia trascorso la sua laboriosa vita di teologo in dialogo culturale, ma non per un puro conoscersi reciproco, per un ammirarsi a vicenda o per fare semplicemente della storia, bensì con lo spirito critico ed esigente di chi si propone di discernere il vero dal falso e di giungere al traguardo liberante della verità: di quella stessa verità che i principi di un autore includevano, anche se questi si era incoerentemente fermato come su un sentiero interrotto. Un simile metodo, indubbiamente, non potrebbe essere praticato da chi sia indifferente di fronte al discorso della verità, al quale Tommaso era invece sensibilissimo, e che alla fine unicamente gli interessava.
    Tornando in particolare ai suoi commenti ad Aristotele, è indubbio che egli ha travalicato il testo del filosofo, che lo ha prolungato. A Tommaso non importava per se stessa "la ricostruzione storicamente esatta del pensiero di Aristotele" (Jean-Pierre Torrell), per cui ha fatto dire al filosofo cose alle quali questi "non aveva neppur pensato". Ma è proprio dal profilo di questa intenzione, di questo audace amore per la verità che Tommaso non cessa di essere il modello di un dialogo che non si rassegna a essere sterile e vuoto.
    In ogni caso, è grazie a questo suo metodo che egli ha potuto lasciare una mirabile somma di teologia, dov'è inclusa una filosofia "vera" - storicamente o non storicamente aristotelica - in certo modo trasfigurata dalla fede, più che sua "ancella" e non per ciò meno filosofia.
    Che è poi il compito proprio di ognuno che, come lui, voglia essere "maestro in sacra Pagina": leggere, interpretare e proporre integralmente il Mistero, nella sua verità e nella sua bellezza, che possono apparire solo al credente, e non stemperarsi in confronti alla fine inconcludenti.


    (©L'Osservatore Romano - 28 gennaio 2009)
    Volo quidquid vis,
    volo quia vis,
    volo quomodo vis,
    volo quamdiu vis.

    Voglio tutto ciò che vuoi Tu, perchè lo vuoi Tu, nel modo in cui lo vuoi Tu, fino a quando lo vuoi Tu.
    (dalla "Preghiera universale" attribuita a Clemente XI)

  3. #3
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    Vorrei ricordare che San Tommaso è compatrono del forum.

  4. #4
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    PELLEGRINAGGIO AD AQUINO

    OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

    Sabato, 14 settembre 1974




    Questa città è troppo celebre perché noi potessimo trascurare di farvi almeno una breve sosta per onorarla e per incontrare nella sua sede il Vescovo, i Sacerdoti, i Fedeli, e anche le Autorità civili di Aquino. Abbiamo visitato con grande venerazione Fossanova, dove è morto San Tommaso; adesso visitiamo con non minore devozione la Città che a San Tommaso dà il suo titolo; e siamo lieti di potere condividere con voi oggi un momento di preghiera per venerare la sua memoria e per implorare la sua intercessione.

    E a voi, abitanti di Aquino, che cosa diremo? Superfluo certamente raccomandare a voi d’essere sempre lieti e fieri d’essere i discendenti e i concittadini di un così grande Uomo, un Santo, un Dottore della Chiesa, che ne ha illustrato la dottrina come forse nessun altro nella sua storia è riuscito a fare. Grande gloria per voi, grande fortuna! Lasciate che noi vi auguriamo, anzi vi raccomandiamo d’esserne degni!

    E come può una popolazione come la vostra, dopo sette secoli dalla morte di San Tommaso, e assorbita in un contesto storico e sociale ben differente da quello in cui visse ed operò quel Santo, essere in qualche modo nella linea della sua tradizione? Voi non pretendete di gareggiare con la sua sapienza e nemmeno di mettervi sulla traccia della sua vocazione, sia religiosa, che intellettuale.

    Nessuno può pretendere d’essere al fianco d’un tale Maestro! Ma tutti, quanti siamo figli fedeli della Chiesa, possiamo e dobbiamo, almeno in qualche misura, essere suoi discepoli! E questo faremo se daremo alla nostra istruzione e formazione religiosa l’importanza ch’essa merita di avere. Dove, se non ad Aquino, lo studio della nostra religione, anche nella forma elementare, ma necessaria e sapiente, deve essere tenuto in onore, e deve essere compiuto da tutti con particolare impegno? Ecco allora la lezione che ancora viene a noi dal vostro Santo Maestro, Tommaso d’Aquino: procuriamo di dare studio assiduo ed amoroso alla Dottrina cristiana, quella che vi è insegnata dal vostro Vescovo, dal vostro Parroco, dai vostri Sacerdoti e Maestri e Maestre di Religione, sia in Chiesa e sia nelle Scuole. Noi abbiamo ricevuto, proprio questa mattina, in Udienza un numeroso gruppo di giovani Studenti, provenienti da tante parti d’Italia, come vincitori del Concorso «Veritas», cioè di quel libero Concorso di Giovani che si sono dedicati in modo speciale allo studio della Religione; non sappiamo se fra essi vi era qualche Studente proveniente da Aquino; sarebbe stato molto bello!

    Perciò noi ci permettiamo di insistere in questa nostra raccomandazione: se siete veramente consapevoli dell’onore d’appartenere ad Aquino, che dà il nome al più grande Teologo delle nostre Scuole, non solo medioevali, ma anche moderne, cercate d’essere diligenti ed impegnati nello studio regolare perseverante della Religione.

    Questa nostra raccomandazione noi la rivolgiamo specialmente a quegli Studenti che hanno scelto per vocazione la vita ecclesiastica o religiosa: onorate San Tommaso con lo studio del suo pensiero!

    La Chiesa, pur ammettendo come legittimo e doveroso la conoscenza delle nuove e varie forme della cultura religiosa, non ha cessato di rinnovare, anche nel recente Concilio, uno studio preferenziale delle Opere di San Tommaso. Egli è tale Maestro da essere considerato ancor oggi attuale e, nella diffusione di tante opinioni false o discutibili, come provvidenziale! Vada questa nostra esortazione ai nostri Seminari, alle nostre Case Religiose, alle nostre stesse Università!

    Ed allora la nostra voce, da Aquino, si rivolge anche ai Maestri di Filosofia e di Teologia, che nella Chiesa di Cristo compiono la grande missione di trasmettere la Dottrina genuina della Chiesa.

    Noi guardiamo a loro con grande fiducia, con grande speranza! Noi li preghiamo, in nome di Cristo, d’essere fedeli al magistero che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, d’essere come San Tommaso appassionati della Verità religiosa nella sua autentica espressione; e vada ad essi, in questa circostanza e da questo luogo benedetto, la nostra paterna esortazione, la nostra incoraggiante riconoscenza, la nostra Apostolica Benedizione!

    Fonte: www.vatican.va
    "Vi scongiuro, sosteniamoci in questo cammino" Card.Angelo Scola

  5. #5
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    PELLEGRINAGGIO ALL’ABBAZIA DI FOSSANOVA

    OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

    Sabato, 14 settembre 1974



    Fratelli e Figli carissimi!

    Noi siamo venuti a Fossanova per venerare San Tommaso d’Aquino, dove egli morì, il 7 marzo 1274, settecento anni fa, all’età di circa cinquant’anni. Era nostro pensiero di fare, quasi furtivamente, questa visita, a titolo di devozione privata; ma le circostanze prevalgono su questa nostra intenzione; e, con la presenza di tante personalità ecclesiastiche, religiose, civili, e di tanto popolo desideroso di associarsi a questo nostro atto di pietà religiosa, il nostro umile e personale ossequio diventa pubblico e si fa cerimonia celebrativa. Meglio così, per l’onore collettivo e significativo che è reso alla memoria del Santo, ben degna di ricordo e di venerazione comune, per l’occasione che a noi è offerta di incontrare voi tutti e di salutarvi nella veste degnissima di fedeli credenti e cultori della stima che a tanto Santo è dovuta, e nella veste specifica di ciò che voi siete e rappresentate in questo momento e in questo luogo, e per il dovere che in noi si pronuncia di rivolgervi una parola, semplicissima e spoglia da ogni pretesa d’essere al tema superlativo, che la menzione del grande Dottore esigerebbe da noi e per voi; una parola dovuta più al carattere liturgico di questa cerimonia, che a quello celebrativo del Santo che intendiamo onorare e invocare.

    Diremo dunque soltanto qual è la ragione, - una delle ragioni! - che sembra emergere dalla evocazione della memoria di S. Tommaso, provocata da questa nostra pia escursione estiva e festiva.

    Identifichiamo subito questa ragione, se noi tutti chiediamo a noi stessi: perché siamo qui? Dato il carattere assunto da questo convegno, non certo per compiere soltanto un gesto di religiosa venerazione, come se all’apparizione del Santo, sullo schermo della nostra coscienza, non ci curvassimo tremanti e felici davanti alla sua grande e ieratica figura. Tale figura, resa viva dalla comunione dei Santi, sempre rievocata da un rito religioso come questo, provoca in noi una domanda audace: Maestro Tommaso, quale lezione ci puoi dare? A noi, in un momento breve e intenso qual è il presente, a noi lontani sette secoli dalla tua scuola, a noi, galvanizzati dalla cultura moderna, a noi, fieri del nostro sapere scientifico, a noi, distratti dal «fascino della frivolezza», la fascinatio nugacitatis, di cui parla il libro della Sapienza (Sap. 4, 12), e di cui noi sperimentiamo oggi, con la prevalenza della conoscenza sensibile su quella intellettuale e spirituale, il vertiginoso incantesimo, a noi, sottoposti alla anestesia del laicismo antireligioso, a noi, S. Tommaso, che ancora grandeggi, filosofo e teologo, sull’orizzonte del pensiero avido di sicurezza, di chiarezza, di profondità, di realtà, a noi, anche con una sola parola, che cosa ci puoi dire?

    S. Tommaso ora non risponde con parole, ché troppe verrebbero al nostro ascolto dalle opere sue, ma col riflesso della sua figura e del suo insegnamento, da cui pare a noi ascoltare un’esortatrice lezione: la fiducia nella verità del pensiero religioso cattolico, quale da lui fu difeso, esposto, aperto alla capacità conoscitiva della mente umana. Bastino alcuni aspetti della monumentale opera sua a confortare in noi questa fiducia, la quale noi vorremmo che rimanesse vitale ricordo della centenaria commemorazione del Santo Dottore.

    Fiducia, perché l’opera sua si attesta nella storia del pensiero, sia filosofico, che teologico, come una sintesi di ciò che altri sommi maestri, prima di lui, hanno studiato e lasciato in eredità alla cultura universale: egli ha assimilato il tesoro di sapere più significativo del suo tempo (ch’è tempo incomparabile per ampiezza e per acutezza di studio speculativo); lo ha qualificato con il più rigoroso intellettualismo, quello aristotelico, che senza disconoscere altre supreme forme della conoscenza, come quella neoplatonica agostiniana, sembra metterlo in sintonia con la nostra rigorosa mentalità scientifica moderna; lo ha sottoposto senza pregiudizi alla discussione dialettica d’un’onesta e stringente razionalità; lo ha perciò aperto ad ogni possibile acquisizione progressiva, reclamata che sia dalla scoperta d’un’ulteriore verità.

    Fiducia ancora dobbiamo a San Tommaso, perché ci aiuta a risolvere il conflitto, tanto conclamato e radicalizzato nel tempo nostro, fra le due forme di conoscenza di cui dispone la mente dell’uomo credente, la fede e la scienza, partendo dalla parola di Dio rivelata e suffragata da ragionevoli motivi di credibilità, e poi impegnandovi la mente umana, la scienza, a studiarla con principii e metodi propri, in modo che la risultante teologia possa, senza presunzione e senza superstizione, assurgere ad un vero e meraviglioso livello di scientia Dei.

    Fiducia finalmente per quel provvidenziale risultato che deriva al pensiero, anzi alla vita dell’uomo dalla complementarietà reciproca della fede e della scienza. La fede cerca nella scienza, cioè nella conoscenza umana naturale, non già la certezza ch’è dono di grazia, ma la sua conferma, il suo sviluppo, la sua difesa, il suo godimento: fides quaerens intellectum; e l’intelletto quaerens fidem riceve il ricambio d’una guida terminale senza pari, garantito com’è dalla fede della sovrastante Verità divina, che tutta illumina l’umana conoscenza, la preserva dall’inutilità del suo sforzo, dall’inguaribilità del dubbio, dal disperato scetticismo finale del nihil scire, non che dal folle orgoglio d’un dispotismo scientifico, oggi più che mai probabile, che può ritorcere a offesa e a morte dell’uomo pensante le conquiste del suo stesso pensiero.

    Fiducia. S. Tommaso può essere per noi uno dei più autorevoli e convincenti testimoni della provvidenziale esistenza di quel magistero, affidato da Cristo alla sua Chiesa, che non preclude le vie del sapere, ma le apre, le rettifica e le difende, e che non sequestra ai soli iniziati alle fatiche, alle ascensioni, alle acrobazie del pensiero la luce della Verità vivificante, ma la offre con umile e sublime catechesi a quanti nella Chiesa stessa si riconoscono discepoli, e riserva la rivelazione dei misteri più alti e più salutari della fede ai piccoli, ai semplici, ai poveri, al Popolo ignaro delle speculazioni difficili, ma docile e disponibile all’ineffabile dialogo della Parola di Dio.

    Invochiamo quindi San Tommaso che invitandoci ancor oggi alla sua scuola ci introduce al colloquio, nello Spirito Santo, con Cristo Maestro.

    Fonte: www.vatican.va
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  6. #6
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    Mi permetto di aggiungere un'immagine di un dipinto di Benozzo Gozzoli al Louvre, (1475 circa) il Trionfo di San Tommaso d'Aquino, tra Aristotele e Platone, mentre schiaccia Averroè.


  7. #7
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    Ho ricevuto oggi da una newsletter mariana questo bellissimo pensiero di San Tommaso:


    L'umanità del Cristo, per essere unita a Dio; la beatitudine creata, perchè essa è godimento di Dio; e la beata Vergine, perchè è Madre di Dio, hanno una certa dignità infinita (quandam dignitatem infinitam) derivata dal bene infinito che è Dio. Sotto questo aspetto nulla può essere fatto di migliore, come nulla può essere migliore di Dio.

  8. #8
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    "Io sono felice di essere tra voi,

    tra voi che avete dato la patria,

    i natali a San Tommaso d'Aquino"

    Papa Paolo VI, Roccasecca, 1974



    La casa di San Tommaso

    Paolo VI Visita Aquino 14/09/1974





















    Ultima modifica di WIlPapa; 29-01-2009 alle 00:05
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  9. #9
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    Bonaventura e Tommaso a confronto
    L'intelligenza non basta


    di Inos Biffi

    Secondo san Bonaventura, la teologia inizia con la fede, ossia con "il Cristo inabitante nel cuore" (Christus inhabitans). È infatti questa inabitazione - scrive nel prologo del Breviloquium - la fonte da cui provengono "la stabilità e l'intelligenza di tutta la Sacra Scrittura" (firmitas et intelligentia totius sacrae scripturae). "È impossibile che uno sia iniziato a essa, se prima non ha infusa in sé la fede di Cristo, che di tutta la Scrittura è la lampada, la porta e il fondamento (lucerna et ianua et fundamentum)" e quindi se non è sotto "l'influsso della Trinità beata" (influentia Trinitatis beatae).
    Quando manchi o si spenga la fede, che è un'"esperienza" di Cristo e un'azione trinitaria, l'avvio della teologia è semplicemente impossibile. La sua finalità, tuttavia, secondo il Dottore Serafico - Commento alle Sentenze, Proemii quaestio iii, 1m - non si conclude in modo compiuto nell'intelletto: "Non è questo il suo punto d'arrivo, dal momento che la Rivelazione mira ultimamente a suscitare l'affetto" (ibi non est status, quia illa revelatio ordinat ad affectum).
    Possiamo discernere nell'itinerario teologico un primo momento, che consiste nella "scienza teologica speculativa" (scientia speculativa) o nella contemplazione. A esso deve seguire un secondo momento, quello in cui l'intelletto si estende e si esprime nell'azione (prout extenditur ad opus), e allora la teologia diviene una scienza pratica (scientia practica sive moralis).
    Ma non basta: occorre che la scienza e l'azione si congiungano nella forma "affettiva", cioè bisogna che l'intelletto susciti l'amore (prout extenditur ad affectum), così che si ottenga la sapienza, la quale comprende insieme "la conoscenza e l'amore" (simul dicit cognitionem et affectum).
    Non sono, quindi, sufficienti né il puro sapere scientifico né l'azione come tale.
    In altre parole, la teologia mira certamente alla "grazia della contemplazione" (gratia contemplationis) e, senza dubbio questa contemplazione è un fine della teologia; non però il suo fine principale, che è quello che "diventiamo buoni" (ut boni fiamus).
    "La fede - scrive il Dottore Serafico - risiede nell'intelletto, ma in modo tale da suscitare l'amore" (Sic est in intellectu, ut nata sit movere affectum).
    Ed eccone la ragione: "La conoscenza che Cristo è morto per noi, e altre verità simili a questa, a meno di essere dei peccatori e di avere un cuore duro, suscita l'amore", a differenza di quando si abbia una conoscenza di tipo geometrico, del tipo "la diagonale è incommensurabile col lato".
    "Il fine a cui tende questa dottrina - scrive sempre nel Breviloquium - è che diventiamo buoni e siamo salvati, e questo non avviene mediante una pura considerazione astratta, ma piuttosto con un atteggiamento o impegno della volontà" (haec doctrina est, ut boni fiamus et salvemur, et hoc non fit per nudam considerationem, sed potius per inclinationem voluntatis).
    Per altro, un simile esito affettivo non può mancare, visto che l'"indagine" (prescrutatio) teologica, mostrando come "Dio perdoni i peccati, e quale medicina usi per le nostre piaghe, e quali premi ci elargirà in futuro", porta alla luce la dimensione nascosta (absconditum) del mistero divino, cioè "la dolcezza della divina misericordia".
    Siamo, con questo, esattamente nel linguaggio e nel tono dei maestri francescani precedenti Bonaventura, come Alessandro di Hales: "Questa scienza (la teologia) pertiene maggiormente alla virtù che non al puro sapere speculativo; è più sapienza che non scienza, e consiste maggiormente nella virtù e nell'azione che non nella contemplazione e nella conoscenza" (haec scientia magis est virtutis quam artis, et sapientia magis quam scientia; magis consistit in virtute et efficacia quam in contemplatione et notitia).
    Anche san Tommaso insegna che la "sacra dottrina" è una scienza pratica, tuttavia egli ritiene che essa sia "più speculativa che pratica", dal momento che "si occupa più delle cose divine che degli atti umani, dei quali tratta solo in quanto attraverso di essi l'uomo è ordinato alla perfetta conoscenza di Dio, nella quale consiste la beatitudine eterna" (Summa Theologiae, i, 1, 4). Si direbbe che san Tommaso sia più coraggioso e teologico.
    Si tratta quindi di capire bene il significato che egli annette a questo carattere "speculativo": egli intende con ciò affermare che il fine ultimo della teologia non siamo noi, e non è neppure il nostro comportamento morale o la nostra salvezza, ma è Dio, verso il quale si volge tutto l'interesse. In questo senso la teologia non è "utile", ma è gratuita. Essa è interamente relativa a Dio, che attrae a sé tutta la contemplazione.
    Tommaso non nega l'esito di bontà che deve avere il fare teologia, ma la propensione del suo pensiero è che non tanto si deve fare teologia "per diventare buoni" (ut boni fiamus), quanto si deve essere buoni per fare teologia e quindi per raggiungere la contemplazione di Dio, che della teologia è il fine ultimo. La "bontà" produce una consonanza con la teologia. È tuttavia significativo, come indice della fondamentale consonanza di Bonaventura e di Tommaso sulla natura "affettiva" della teologia quanto l'Angelico stesso nel Commento alla Lettera agli Ebrei scrive sulla natura affettiva della sacra dottrina. Questa - egli scrive - "è come il cibo dell'anima (...) è cibo e bevanda, poiché disseta e sazia l'anima. Le altre scienze si limitano a illuminare l'intelletto. Questa illumina l'anima e anche la nutre e la corrobora" (sacra ergo doctrina est cibus et potus, quia animam potat et satiat).
    Nella medesima linea è un'altra grande affermazione di Tommaso nello stesso Commento: "Vi è una duplice perfezione: la prima relativa all'intelletto, e si ha quando uno possiede un intelletto capace di giudicare e di discernere rettamente su quanto gli viene proposto. La seconda perfezione è quella dell'affetto, e questo proviene dalla carità, che uno possiede quando si trova totalmente unito a Dio.
    "Ora la Scrittura Sacra ha questo di caratteristico, che in essa non si trovano solo realtà su cui speculare, come nella geometria, ma anche realtà che si sperimentano con l'affetto. Nelle altre scienze basta che l'uomo sia perfetto quanto all'intelletto, in queste invece si richiede che lo sia quanto all'intelletto e quanto all'affetto".
    Le figure della teologia in Bonaventura e Tommaso sono profondamente diverse, come d'altronde erano differenti i loro temperamenti mentali: l'esigenza di "riflessione" è maggiore in Tommaso, mentre viva e accesa in Bonaventura è l'inclinazione all'estetica teologica, alla profusione dell'immagine, alla "confessione" e al bisogno della sua esperienza, o forse meglio all'elogio di questo bisogno. Abbiamo parlato di estetica, e infatti egli, quale figlio di san Francesco, non esita a vedere suggestivamente nella Scrittura - e quindi nella struttura della teologia - la forma della croce, o, come la chiama, una "forma di croce intelligibile" (forma crucis intelligibilis), che con i suoi bracci comprende e riassume tutta la realtà e tutta la storia.
    Chi voglia conoscere la teologia medievale deve studiare sia Bonaventura sia Tommaso. In ogni caso il teologo francescano e il teologo domenicano si ritrovavano nella persuasione che il teologo deve associare alla perfezione dell'intelletto la perfezione dell'amore.



    (©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2009)
    "Vi scongiuro, sosteniamoci in questo cammino" Card.Angelo Scola

  10. #10
    Bizzipap
    visitatore

    San Tommaso d'Aquino - Sacerdote e dottore della Chiesa

    San Tommaso d'Aquino Sacerdote e dottore della Chiesa



    Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274

    Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)

    Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, Studenti

    Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico
    Emblema: Bue, Stella


    Martirologio Romano: Memoria di san Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.
    (7 marzo: Nel monastero cistercense di Fossanova nel Lazio, transito di san Tommaso d’Aquino, la cui memoria si celebra il 28 gennaio).

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