CRONACHE
DALL'ARCIDIOCESI DI MILANO
Anno 2011
Ottava del Natale nella Circoncisione del Signore[/SIZE][/FONT]
44ª Giornata per la Pace
Omelia
Milano – Duomo, 1° gennaio 2011
Per una rinnovata fraternità ecumenica
Vi saluto con viva cordialità e vi auguro un anno di gioia e di pace, “fratelli e sorelle in Cristo”. Di proposito uso questo appellativo nel saluto che vi sto rivolgendo: è un appellativo che ha la forza di evocare il senso originale e profondo che nelle Scritture possiede il nome.
Il nome
Come sappiamo, per la Bibbia il nome dice l’essere profondo della persona, dell’io aperto al tu, e dunque in relazione. Ora, chiamarci “fratelli e sorelle in Cristo” significa che noi siamo in relazione, più precisamente in una relazione paritetica e familiare, fondata in Gesù, in colui che ci ha introdotti come figli e figlie nella comunione stessa di Dio.
La nostra adozione a figli è connessa con l’annuncio del Verbo di Dio che si è fatto carne: “A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). È stato questo l’annuncio di gioia nella notte di Natale.
Abbiamo un unico Padre, lo stesso Padre di Gesù Cristo! Dal suo Spirito siamo resi tra noi fratelli e sorelle! Questo nostro comune nome ci rimanda alla comune paternità di Dio: un’unica grande famiglia di figli e figlie, di fratelli e sorelle abbracciati dall’unico Padre. Infatti il senso biblico del nome proprio di Dio indica la sua relazione di prossimità e di amore: Io sono “con” voi e “per” voi. A nostra volta, chiamarci con un nome, che dice il nostro essere tra noi in una relazione fraterna, è davvero cosa stupenda. E’ la venuta del Figlio di Dio nella nostra carne umana che ha reso e sempre rende possibile questa relazione. Mi sembra significativo sottolinearlo proprio oggi, perché tutte tre le letture bibliche che abbiamo ascoltato sono incentrate sul nome.
Nella prima lettura Dio dice: “Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò” (Nm 6,27). È la benedizione che egli affida ai sacerdoti del suo popolo. Essi lo benediranno con la triplice ripetizione del suo nome proprio. È il nome che Dio aveva rivelato a Mosè, al roveto ardente, e che nella benedizione sacerdotale, per non essere pronunciato, viene sostituito tre volte con il termine “il Signore”.
Nel Vangelo Luca ricorda che al Figlio di Dio, otto giorni dopo la nascita, “fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo” (Lc 2,21). Sì, il suo era un nome comune tra gli ebrei, ma scelto da Dio stesso per il proprio Figlio.
E infine l’apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi, afferma di Gesù: “Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi…” (Fil 2,9-10). Gesù a Pasqua riceve dunque il nome stesso di Dio, perché “ogni lingua proclami: ‘Gesù Cristo è Signore!’, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11). È questa la fede che come cristiani siamo chiamati ad annunciare al mondo. E siamo chiamati ad annunciarla insieme!
La fraternità ecumenica
Mi è caro allora rivolgere l’appellativo “fratelli e sorelle in Cristo” a tutta questa assemblea liturgica, alle persone qui riunite che la medesima fede e l’unico battesimo hanno reso testimoni dello stesso Vangelo, nella sequela dell’unico Signore e Maestro. Il mio pensiero e il mio saluto vanno in particolare ai rappresentanti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano: con la loro presenza essi ci offrono un segno tangibile di amicizia fraterna. E’ un’amicizia espressione di quella comunione in Cristo che lo Spirito ha già realizzato e che, grazie al movimento ecumenico, già sperimentiamo nella “fraternità ritrovata” (cfr. Giovanni Paolo II, enciclica Ut unum sint). E’ vero: le nostre Chiese non hanno ancora raggiunto la pienezza della comunione visibile, ma in noi è viva la speranza che un giorno la possano riconoscere e canonicamente sancire.
Per questo, anche se oggi non condividiamo in pienezza con tutti i rappresentanti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano la mensa eucaristica, tutti sono graditi ospiti in questa celebrazione. Rilevo in particolare che la liturgia della nostra Chiesa ambrosiana, a otto giorni dal Natale, mette a fuoco un aspetto essenziale dell’Incarnazione di Dio: l’appartenenza di Gesù al popolo ebraico. Con la sua circoncisione egli porta nella propria carne, fin sulla croce, il segno che contraddistingue ogni maschio del popolo dell’alleanza.
In questo mese di gennaio ci attende inoltre la comune preghiera per l’unità dei cristiani, cui sono dedicati otto giorni dal 18 al 25 preceduti dalla giornata del 17 gennaio. Quest’ultima, Giornata del dialogo cristiano-ebraico, è importante per scoprire il nesso che esiste tra il cammino dei cristiani verso l’unità e la necessaria conversione dei nostri rapporti con il popolo ebraico.
L’antico scisma, avvenuto nel II secolo tra il movimento dei discepoli di Gesù e il movimento giudaico sopravvissuto alla fine del tempio di Gerusalemme, appare come prototipo dei successivi scismi che hanno diviso la cristianità. Ora, per avere in noi “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), è necessario abbandonare definitivamente i pregiudizi secolari nei confronti degli ebrei e, alla luce del Vangelo di Gesù e della sua testimonianza di fede e di amore, ripensare ai rapporti con coloro che credono nello stesso e unico Signore Dio.
La Giornata dell’Ebraismo - introdotta esattamente 20 anni fa, il 17 gennaio 1990, dai Vescovi italiani per le comunità cattoliche - è stata assunta e condivisa, per la città di Milano, nel 2004 da tutto il Consiglio con le sue 18 Chiese di diversa confessione. Anche questo è un piccolo ma positivo segno di speranza, di fraternità ecumenica, sulle vie dell’unità.
La libertà religiosa
La Chiesa cattolica celebra oggi, primo giorno dell’anno civile, la Giornata mondiale della pace. Papa Benedetto XVI quest’anno l’ha voluta dedicare a un tema di grande importanza e di estrema attualità: “Libertà religiosa, via per la pace”.
Il suo messaggio inizia precisandone la radice e i contenuti fondamentali: “Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata…” (n. 2); “Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali… gode di uno statuto speciale… è anche un’acquisizione di civiltà politica e giuridica… non è patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra… Essa è ‘la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani’ (Giovanni Paolo II)” (n. 5). In particolare il Papa afferma che la libertà religiosa “valorizza e mette a frutto le più profonde qualità e potenzialità, capaci di cambiare e rendere migliore il mondo” (n. 15). Ma nello stesso tempo ricorda che “ancora oggi si registrano persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sulle religioni” (n. 13). E come tutti con profonda amarezza e sconcerto sappiamo, “in Asia e in Africa le principali vittime sono i membri delle minoranze religiose, ai quali viene impedito di professare liberamente la propria religione o di cambiarla, attraverso l’intimidazione e la violazione dei diritti, delle libertà fondamentali e dei beni essenziali, giungendo fino alla privazione della libertà personale o della stessa vita” (n. 13). Oggi sono spesso i cristiani ad essere vittime di fanatismi presenti in altre religioni.
C’è dunque la necessità e l’urgenza di difendere la libertà delle minoranze religiose “le quali – precisa il Papa - non costituiscono una minaccia contro l’identità della maggioranza, ma sono al contrario un’opportunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale” (n. 13). Questo, ovviamente, vale per tutti, anche per i cristiani e i cattolici in particolare, sia dove e quando sono una minoranza osteggiata, sia dove e quando sono una maggioranza privilegiata. La coerenza non è sempre facile e può costare moltissimo. Così come è costata moltissimo ai ventuno cristiani copti uccisi ieri notte in un attentato mentre erano in preghiera ad Alessandria d’Egitto. Episodio grave e non isolato, purtroppo: in questi mesi in ragione della loro fede sono stati perseguitati e uccisi altri cristiani in Iraq, Pakistan, Filippine, Nigeria, India e in altri Paesi.
Chi agisce così non è solo persecutore e nemico dei cristiani, ma persecutore e nemico dell’Islam, di tutte le religioni, e anzitutto persecutore e nemico dell’uomo e del suo desiderio profondo e inalienabile di esprimere il desiderio di Dio. Mentre manifestiamo ai rappresentanti della comunità copta a Milano, presenti a questa celebrazione, la nostra vicinanza umana e spirituale, preghiamo affinché cessino le violenze sui cristiani e ogni tipo di violenza. E mentre preghiamo per chi è stato ucciso, per le loro famiglie, per chi – in molte parti del mondo - professa la propria fede in Gesù Cristo mettendo in pericolo la propria vita, noi stessi ci sentiamo interrogati sulla nostra fede, qui, oggi. Per noi, l’amore per il Signore Gesù è realtà seria e impegnativa? Vale come la nostra esistenza terrena? Cosa siamo pronti a perdere per testimoniare la centralità del Signore nella nostra vita? Proprio in questo Duomo, nello scorso mese di giugno abbiamo celebrato i funerali di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia, ucciso a causa della sua fede. La sua testimonianza cristiana forte e gentile, appassionata e dialogante, indomabile ma sempre rispettosa della fede degli altri sia - per noi e per tutti i cristiani che vivono in situazioni di persecuzione - modello e stimolo per vivere la serietà della fede e il dovere della testimonianza.
Il messaggio di Benedetto XVI, inoltre, ci riserva un avvertimento, che può interessare anche noi in Italia, quando scrive: “La strumentalizzazione della libertà religiosa per mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito, l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo, può provocare danni ingentissimi alle società” (n. 7). Urge allora più vigilanza cristiana da parte dei cristiani nei confronti di reciproche strumentalizzazioni che potrebbero svilupparsi tra potere politico e potere religioso.
La scelta del tema della libertà religiosa come via per la pace è stata suggerita anche dalla ricorrenza, nel prossimo ottobre 2011, del XXV anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 da Giovanni Paolo II. Fu un gesto profetico che mise in moto molteplici iniziative di incontro e dialogo tra leader ed esponenti delle diverse religioni. Ricordo in particolare due appuntamenti a noi più vicini: gli annuali Incontri internazionali di preghiera per la pace, approdati anche a Milano nel 1993 e nel 2004, e la più recente nascita a Milano di un piccolo Forum delle Religioni.
Anche in collaborazione con questo Forum la nostra città si preparerà a celebrare, fra due anni, la ricorrenza del XVII centenario di una data storica, il 313, quando a partire da Milano si diffuse la comunicazione che in tutto l’impero romano era concessa la libertà di culto ad ogni forma religiosa. La religione pagana cessava così di essere la religione ufficiale e il culto cristiano assumeva pubblica legittimità. Evidentemente l’ottica di Costantino era funzionale alla “pax romana” e all’unità politica dell’impero. Ma il IV secolo, anche se non poteva conoscere l’idea moderna di “libertà religiosa” quale fondamentale diritto umano, segnò certamente una svolta decisiva per la storia del cristianesimo come religione.
La kenosi ecclesiale
Nel cosiddetto “spirito di Assisi”, che privilegia la piccolezza e la minorità, anche noi ora vogliamo pregare e invocare la benedizione di Dio sul nuovo anno civile, perché – come scrive Benedetto XVI - “tutti gli uomini e le società ad ogni livello ed in ogni angolo della Terra possano sperimentare la libertà religiosa, via per la pace!” (n.15).
La lettera ai Filippesi, che la liturgia oggi ci ha fatto riascoltare, ci invita a meditare con grande serietà sulla via di abbassamento che Cristo Gesù ha scelto e ha seguito fino alla morte di croce. Egli “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini …” (Fil 2,6-8). Le nostre Chiese sono disposte a seguirlo lungo questa stessa via di kenosi, di svuotamento, di abissale umiltà? Come singoli fedeli e come Chiese sappiamo noi “diminuire” di importanza e di prestigio mondani, per attenderci solo da Dio gloria e riconoscimenti? Di Gesù è detto che è Dio a conferirgli onore e gloria: “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami: ‘Gesù Cristo è Signore!’, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11).
Quale luminosa grazia se un giorno si potesse dire questo di noi e della nostra Chiesa! Non è impossibile, se davvero ci affidiamo alla benedizione biblica ascoltata: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia” (Nm 6, 25).
Che Dio ci conceda di crederlo, fratelli e sorelle in Cristo. E per noi e per la Chiesa del Signore sia davvero così. Amen!
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/omelia_pace.pdf