Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Cronache dall'Arcidiocesi di Firenze (2010-2011)

  1. #1
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    Cronache dall'Arcidiocesi di Firenze (2010-2011)

    CRONACHE DALL'ARCIDIOCESI DI FIRENZE


    Apro oggi questa discussione sulla Chiesa Fiorentina, al temine di una settimana che ci ha dato gioie e dolori: prima il dolore per la perdita improvvisa del Parroco dell'Isolotto, il caro don Elio Agostini, per molti anni Direttore del Consiglio Presbiterale e Delegato Arcivescovile per i Presbiteri. La suo morte improvvisa lascia un grande vuoto nel nostro presbiterio e rende vacante una Parrocchia così importante come quella dell'Isolotto
    Ma oggi - Domenica II di Pasqua - un lieto evento: sono appena tornato dall'ordinazione Presbiterale di 5 diaconi del nostro Seminario: don Gianni Castorani, don Andrea Maenestrina, don Marco Paglicci, don Lorenzo Paolino e don Bledar Pio Xhuli. Ai nuovi prebiteri un augurio di essere per questa Chiesa Fiorentina vera icona di Cristo Buon Pastore.
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  2. #2
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    Alcune notizie...

    L'arcidiocesi di Firenze (in latino: Archidioecesis Florentina) è una sede metropolitana della Chiesa cattolica appartenente alla regione ecclesiastica Toscana. Nel 2006 contava 815.000 battezzati su 888.237 abitanti. È attualmente retta dall'arcivescovo Giuseppe Betori.
    La festa del patrono della città è il 24 giugno, giorno di san Giovanni Battista, mentre i patroni della diocesi sono san Zanobi e sant'Antonino Pierozzi, vescovi della città.

    L'arcidiocesi oggi è divisa in ventiquattro vicariati.

    Vicariati urbani
    1. San Giovanni - 25 parrocchie
    2. Porta a Prato - 22 parrocchie
    3. Porta alla Croce - 17 parrocchie
    4. Porta Romana - 28 parrocchie
    Vicariati suburbani
    1. Antella e Ripoli - 27 parrocchie
    2. Brozzi e Campi Bisenzio - 12 parrocchie
    3. Impruneta e Galluzzo - 15 parrocchie
    4. Scandicci - 22 parrocchie
    Vicariati foranei
    1. Barberino di Mugello - 23 parrocchie
    2. Borgo San Lorenzo - 19 parrocchie
    3. Castelfiorentino - 10 parrocchie
    4. Certaldo - 13 parrocchie
    5. Empoli - 21 parrocchie
    6. Firenzuola - 29 parrocchie
    7. Le Signe - 18 parrocchie
    8. Montelupo - 9 parrocchie
    9. Montespertoli - 19 parrocchie
    10. Palazzuolo - 13 parrocchie
    11. Pontassieve - 22 parrocchie
    12. San Casciano - 34 parrocchie
    13. Scarperia e San Piero a Sieve - 24 parrocchie
    14. Sesto Fiorentino e Calenzano - 25 parrocchie
    15. Tavarnelle - 22 parrocchie
    16. Vicchio - 27 parrocchie
    La cattedrale è il Duomo di Firenze.

    La provincia ecclesiastica di Firenze comprende inoltre le seguenti diocesi suffraganee:
    • Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro,
    • Diocesi di Fiesole,
    • Diocesi di Pistoia,
    • Diocesi di Prato,
    • Diocesi di San Miniato.
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  3. #3
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    Cronassi dei Vescovi

    • Felice † (attestato di NEL 313)
    • San Zanobi † (337 ? - 417 ? deceduto)
    • Maurizio † (? - 550 deceduto)
    • Anonimo † (578 ? - 590 ?)
    • Reparato † (attestato di NEL 684)
    • Specioso † (attestato di NEL 715 E NEL 724)
    • Tommaso † (attestato di NEL 743)
    • Aliprando † (Attestato nell '833)
    • Radingo † (Attestato nell '852)
    • Andrea † (Attestato nell '871)
    • Grasulfo † (900 circa)
    • Rambaldo † (930 - Luglio 964)
    • Sichelmo † (964 -?)
    • San Podio † (985 -?)
    • Guido † (1002 - Il DOPO 1004)
    • Ildebrando † (1008 - Il DOPO 1020)
    • Lamberto † (1025 - 1032 dimesso)
    • Atto † (1034 - Il DOPO 1037 deceduto)
    • Gherardo di Borgogna † (gennaio 1045 - Luglio 1061, IL Eletto papa con Nome di Niccolò II NEL 1059)
    • Pietro Mezzabarba † (1062 circa, dimesso)
    • Ranieri † (dal 1071 - 1113 ? deceduto)
    • Gottifredo degli Alberti † (1114 - 1142 deceduto)
    • Atto II † (1145 ? - 9 giugno 1154 deceduto)
    • Ambrogio † (1155 - 1158)
    • Giulio † (1158 - Il DOPO 1170)
      • Zanobi † (1161) (Antivescovo)
    • Bernardo † (1181 - 1188/1189)
    • Pietro † (1188/1189 -?)

    Il sarcofago "della fioraia", opera romana riusata per Giovanni da Velletri NEL Battistero di Firenze



    • Giovanni da Velletri † (1205 circa - 14 luglio 1230 deceduto)
    • Ardengo Trotti O Dei Foraboschi † (1231 - 1249 deceduto)
    • Filippo Fontana † (1250 - 1250 nominato arcivescovo di Ravenna)
    • Giovanni dei Mangiadori † (1251 - 26 maggio 1273 deceduto)
    • Iacopo da Castelbuono, O.P. † (1286 - 16 agosto 1286 deceduto)
    • Andrea dei Mozzi † (1287 - 1295 nominato Vescovo di Vicenza)
    • Francesco Monaldeschi † (1295 - Luglio 1301 deceduto)
    • Lottieri della Tosa † (1301 - 1309 deceduto)
    • Antonio d'Orso † (1309 - 18 luglio 1321 deceduto)
    • Francesco Silvestri † (1323 - 1341 deceduto)
    • Angelo Acciaioli I, O.P. † (1342 - 1355 dimesso)
    • Francesco Atti † (1355 dimesso)
    • Filippo dell'Antella † (1356 - 1361 deceduto)
    • Pietro Corsini † (1361 - 1369 dimesso)
    • Angelo Ricasoli † (1369 - 1382 nominato Vescovo di Faenza)
    • Angelo Acciaioli II † (3 giugno 1383 - 17 dicembre 1384 dimesso, occu La sede Fino al 1387)
    • Bartolomeo Uliari, O.S.B. † (9 dicembre 1385 - 18 dicembre 1389 dimesso)
    • Onofrio Visdomini, O.S.A. † (1389 - 1400 nominato Vescovo di Comacchio)
    • Alamanno Adimari † (1400 - 1401 nominato arcivescovo di Taranto)
    • Iacopo Palladini † (1401 - 1410 nominato Vescovo di Spoleto)
    • Francesco Zabarella † (18 giugno 1410 - 17 giugno 1411 dimesso)

    Sant'Antonino



    • Amerigo Corsini † (1411 - 18 marzo 1434 deceduto) Primo arcivescovo
    • Giovanni Vitelleschi † (12 ottobre 1435 - 9 agosto 1437 dimesso)
    • Ludovico Scarampi Mezzarota † (6 agosto 1437 - 19 dicembre 1439 nominato patriarca di Aquileia)
    • Bartolomeo Zabarella † (1440 - 1445 deceduto)
    • Sant 'Antonino Pierozzi, O.P. † (1446 - 2 maggio 1459 deceduto)
    • Orlando Bonarli † (1459 - 1461 deceduto)
    • Giovanni de 'Diotisalvi † (1462 - 18 luglio 1473 deceduto)
    • Pietro Riario, O. F. M. Conv. † (20 luglio 1473 - 3 gennaio 1474 deceduto)
    • Rinaldo Orsini † (1474 - 5 luglio 1508 dimesso)
    • Cosimo de 'Pazzi † (1508 - 8 aprile 1513 deceduto)
    • Giulio de 'Medici † (9 maggio 1513 - 19 novembre 1523 Eletto papa CON IL Nome di Clemente VII)
    • Niccolò Ridolfi † (11 gennaio 1524 - 11 ottobre 1532 dimesso)
    • Andrea Buondelmonti † (1532 - 27 Novembre 1542 deceduto)
    • Niccolò Ridolfi † (8 gennaio 1543 - 25 maggio 1548 dimesso) † (per la Seconda Volta)
    • Antonio Altoviti † (1548 - 28 dicembre 1573 deceduto)
    • Alessandro de 'Medici † (15 gennaio 1574 - 1 º aprile 1605 Eletto papa CON IL Nome di Leone XI)

    Tomba di Giuseppe Maria Martelli



    • Alessandro Marzi Medici † (7 luglio 1605 - 13 agosto 1630 deceduto)
    • Cosimo de 'Bardi † (26 settembre 1630 - 18 aprile 1631 deceduto)
    • Pietro Niccolini † (5 luglio 1632 - 1 º dicembre 1651 deceduto)
    • Francesco Nerli seniore † (16 dicembre 1652 - 6 novembre 1670 deceduto)
    • Francesco Nerli junior † (22 dicembre 1670 - 31 dicembre 1682 dimesso)
    • Jacopo Antonio Morigia, B. † (27 febbraio 1683 - 28 ottobre 1699 dimesso)
    • Leone Strozzi † (7 luglio 1700 - 4 ottobre 1703 deceduto)
    • Tommaso Bonaventura della Gherardesca † (12 novembre 1703 - 21 settembre 1721 deceduto)
    • Giuseppe Maria Martelli † (20 maggio 1722 - 23 maggio 1741 ritirato)
    • Francesco Gaetano Incontri † (29 maggio 1741 - 25 marzo 1781 deceduto)

    Ritratto di Monsignor Antonio Martini, Prato, Palazzo Comunale



    • Antonio Martini † (7 luglio 1781 - 31 dicembre 1809 deceduto)
      • SEDE VACANTE † (1809-1815)
      • Antoine-Eustache d'Osmond † (1811 - 1813) (Illegittimo)
    • Pier Francesco Morali † (15 marzo 1815 - 29 settembre 1826 deceduto)
    • Ferdinando Minucci † (28 gennaio 1827 - 2 luglio 1856 deceduto)
    • Giovacchino Limberti † (3 agosto 1857 - 27 Ottobre 1874 deceduto)
    • Eugenio Cecconi † (21 dicembre 1874 - 15 giugno 1888 deceduto)
    • Agostino Bausa, O.P. † (11 febbraio 1889 - 15 aprile 1899 deceduto)
    • Alfonso Maria Mistrangelo, Sch.P. † (19 giugno 1899 - 7 Novembre 1930 deceduto)
    • Elia Dalla Costa † (19 dicembre 1931 - 22 dicembre 1961 deceduto)
    • Ermenegildo Florit † (9 marzo 1962 - 3 giugno 1977 ritirato)
    • Giovanni Benelli † (3 giugno 1977 - 26 ottobre 1982 deceduto)
    • Silvano Piovanelli (18 marzo 1983 - 21 marzo 2001 ritirato)
    • Ennio Antonelli (21 marzo 2001 - 7 giugno 2008 nominato Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia)
    • Giuseppe Betori, Dall '8 settembre 2008
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  4. #4
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    L'Arcivescovo

    Giuseppe Betori [Foligno (Perugia) 1947], sacerdote dal 1970 è arcivescovo di Firenze dal 26 ottobre 2008. Ha studiato alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico, dove ha conseguito il dottorato in Sacra Scrittura con una tesi poi pubblicata con il titolo Perseguitati a causa del Nome. Strutture dei racconti di persecuzione in Atti 1,12-8,4 (Biblical Institute Press, Roma 1981).

    Autore di numerosi saggi sull’opera lucana e su temi di ermeneutica biblica e di catechetica, è stato docente di introduzione alla Sacra Scrittura e di esegesi del Nuovo Testamento presso l’Istituto Teologico di Assisi. Giuseppe Betori [Foligno (Perugia) 1947], sacerdote dal 1970 è arcivescovo di Firenze dal 26 ottobre 2008. Ha studiato alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico, dove ha conseguito il dottorato in Sacra Scrittura con una tesi poi pubblicata con il titolo Perseguitati a causa del Nome. Strutture dei racconti di persecuzione in Atti 1,12-8,4 (Biblical Institute Press, Roma 1981).

    Già direttore dell’Ufficio catechistico nazionale e poi sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, ha curato la pubblicazione di vari volumi del catechismo della C.E.I., l’organizzazione del Convegno ecclesiale di Palermo (1995) e di quello di Verona (2006), l’avvio e lo sviluppo del “progetto culturale”, la preparazione della XV Giornata mondiale della gioventù (2000).

    Il 5 aprile 2001 è stato nominato segretario generale della Conferenza episcopale italiana e vescovo titolare di Falerone, ricevendo l’ordinazione episcopale il 6 Maggio 2001.

    Nominato arcivescovo di Firenze l’8 settembre 2008, ha concluso il mandato di segretario generale della C.E.I. il 25 settembre 2008 e ha fatto il suo ingresso nell’arcidiocesi fiorentina il 26 ottobre 2008.

    Il 10 febbraio 2009 è stato eletto dai vescovi toscani presidente della Conferenza Episcopale Toscana.



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  5. #5
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    Il Vescovo Ausiliare


    Mons. Claudio Maniago

    Mons. Claudio Maniago è nato a Firenze l’8 febbraio 1959 Figlio di un cuoco e di una casalinga di origini friulane, giunti a Firenze per motivi di lavoro. La vocazione di “Don Claudio”, come lo hanno sempre chiamato gli amici e Sacerdoti, è nata nella Parrocchia fiorentina della “Regina della Pace”. Conseguita la maturità classica, è entrato nel Seminario Maggiore, frequentando lo Studio Teologico Fiorentino. A Roma è stato alunno del Collegio “Capranica” ed ha conseguito la licenza in Liturgia presso la Pontificia Università S. Anselmo. E’ stato Ordinato Sacerdote il 19 Aprile 1984 a Firenze. Rettore del Seminario Minore, dal 1987 a l 1994, nello stesso periodo è stato anche Direttore del Centro Diocesano per le Vocazioni, membro del Consiglio Pastorale Diocesano ed Assistente Ecclesiastico del “Serra Club”. Nel 1988 è diventato Cerimoniere Arcivescovile e docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale; nel 1991 è stato nominato Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano e membro della Commissione ordinandi. Nel 1994 l’allora Arcivescovo, Cardinale Silvano Piovanelli lo ha nominato Pro-Vicario Generale, Moderatore della Curia e Canonico Onorario della Cattedrale. Dal 2001 è Vicario Generale dell’Arcidiocesi. L’8 settembre 2003, festa della Natività della Beata Maria Vergine, è stato ordinato Vescovo nella Cattedrale di S. Maria del Fiore.
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  6. #6
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    Arcivescovi Emeriti


    Card. Ennio Antonelli
    nato a Todi il 18 novembre 1936, ordinato il 2 aprile 1960, eletto a Gubbio il 25 maggio 1982, consacrato il 29 agosto 1982, trasferito a Perugia - Città della Pieve il 6 ottobre 1988, nominato Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana il 25 maggio 1995, promosso alla Sede Metropolitana Fiorentina il 21 marzo 2001, creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 ottobre 2003 del titolo di S.Andrea delle Fratte. Nominato Presidente del Pontifi cio Consiglio per la Famiglia il 7 Giugno 2008.





    Card. Silvano Piovanelli
    nato a Ronta di Mugello il 21 febbraio 1924, ordinato il 13 luglio 1947, eletto alla Chiesa titolare di Tubune di Mauritania il 28 maggio 1982, consacrato il 24 giugno 1982, promosso a Firenze il 18 marzo 1983, da Giovanni Paolo II creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 25 maggio 1985, del Titolo di S. Maria delle Grazie a Via Trionfale, rinunzia alla Sede Arcivescovile il 21 febbraio 1999.
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  7. #7
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    Omelia dell'Arcivescovo Giuseppe Betori in occasione della Messa Crismale

    Nella sinagoga di Nazareth Gesù proclama l’“oggi” della salvezza di Dio che si manifesta all’umanità nella sua persona di consacrato dal Padre quale profeta, sacerdote e re. L’antico annuncio del libro di Isaia, ascoltato nella prima lettura, si compie in lui e apre per tutti gli uomini l’era della presenza dello Spirito e della sua azione di trasformazione del mondo nel regno di Dio. Di questa novità della storia sono beneficiari tutti i poveri della terra, per i quali è giunta la buona notizia della “liberazione”, della venuta dell’“anno di grazia del Signore”. L’amore gratuito di Dio verso l’umanità apre un orizzonte di speranza, in cui ogni uomo e ogni donna possono gettare le loro angosce e le loro paure e rigenerarle in vita nuova.


    L’effusione dello Spirito, che consacra il Messia mediante l’unzione, rifluisce sull’intero corpo di Cristo nel tempo, la sua Chiesa. Lo ricorda il testo dell’Apocalisse, proclamato come seconda lettura, che mentre invita alla contemplazione del “testimone fedele”, del “primogenito dei morti” e del “sovrano dei re della terra”, il Signore Gesù Cristo, non manca di ricordarci che da lui è scaturito un popolo profetico, sacerdotale e regale. In quella liturgia celeste, descritta dall’Apocalisse, siamo invitati a riconoscere l’immagine compiuta di quanto è seminato nella vita di ciascuno di noi al momento del battesimo e portato a pienezza nella confermazione e nella partecipazione all’eucaristia: il nostro essere consacrati dallo Spirito divino a immagine del nostro Signore Gesù. Gli oli che tra poco consacreremo sono il segno esteriore di questa trasmutazione divina della nostra esistenza, tramite di un’appartenenza totale a Cristo e della condivisione della sua missione redentrice.


    Ma se questo segna la vita di ogni cristiano, qualcosa di ancor più profondo si attua nella vita di un sacerdote, che della partecipazione alla messianicità di Gesù si appropria in una forma specifica, diventando partecipe della sua missione fino ad agire “in persona di Cristo”, a partire da una sostanziale identificazione con lui. Su questa nostra identità di presbiteri siamo chiamati a riflettere ogni anno in questa celebrazione, in cui siamo invitati anche a rinnovare le promesse fatte nel giorno della nostra ordinazione.


    Qual è il volto di prete che siamo chiamati ad assumere per essere fedeli alla nostra consacrazione secondo la figura di Cristo? Non voglio proporvi una dottrina del sacerdozio, ma una concreta figura sacerdotale, che è gloria del nostro presbiterio. Lo faccio quest’oggi a venticinque anni esatti dalla sua morte. Il giovedì santo di venticinque anni fa, era il 4 aprile, moriva infatti a Firenze don Raffaele Bensi. Non pochi di voi lo hanno conosciuto e provo timore nel cercare di farne memoria in questa cattedrale, in cui sessantasei anni prima, in questo stesso giorno, era stato ordinato prete. Supplirete con la vostra comprensione alle mie lacune, ma ho ritenuto che nessuno meglio di don Bensi potesse a Firenze parlare del prete e della sua missione.


    Provo a dirvelo subito, come io l’ho capito, con una formula breve per essere ritenuta, ma proprio perché breve anche incapace di dire tutto di lui. Un prete che ha vissuto la propria missione con una dedizione assoluta di sé, non proponendo la propria umanità bensì l’agire della grazia di Dio, ma anche collocando l’azione della grazia in un clima di ascolto profondo dell’altro, di rispetto della sua libertà, convinto, com’è scritto sulla sua tomba, che “l’uomo si agita e Dio lo conduce”. Annotava don Silvano Nistri alla morte di don Bensi che “se il cristianesimo è attenzione all’uomo, al singolo uomo – «al più piccolo dei miei fratelli», come amava dire il Signore – don Bensi lo ha capito come pochi. Un’attenzione fatta di premure. Di rispetto, fino allo scrupolo che sa davvero di miracolo”. E in questo darsi agli altri e tenerli in grande considerazione, per il mistero di Dio di cui ciascuno è portatore, ha offerto una testimonianza viva e vivace della fede cristiana in tutta la sua integrità, con un’amorosa appartenenza alla Chiesa senza alcuna riserva.


    Mi è piaciuta questa definizione che di don Bensi ci ha offerto il magistrato Gianni Meucci: “Don Bensi appartiene a quel singolare modo di essere prete che ha caratterizzato il periodo storico di passaggio dagli schemi culturali della civiltà contadina-tridentina a quelli, non ancora chiaramente identificabili, della civiltà post-moderna… Il prete come presenza-testimonianza della lotta fra Dio e il Maligno, fra libertà e tentazione di rifiutarla; come presenza di grazia nella vita degli uomini nella quale «Tutto è grazia»”. Non sono, questi, caratteri transeunti della identità di un prete, e mi piacerebbe che per ogni prete fiorentino si potessero ripetere le parole che scrisse per don Bensi il cardinale Piovanelli: “Un sacramento personale di Gesù che accoglie e perdona. Un padre sempre pronto ad ascoltarti, a farti coraggio e a metterti sulle orme di Cristo con le ali dell’entusiasmo”.


    Conosciamo bene come il suo apostolato passasse soprattutto per le strade della predicazione, dell’insegnamento, dell’amministrazione del sacramento del Perdono. Ma in questo intrecciarsi di tracciati sacramentali, dottrinali e pastorali, ciò che alla fine emergeva era la possibilità di incontrare una personalità presbiterale compiuta, perché in essa si sedimentava una totale appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Il tutto non privo di tensioni e di sofferenze.


    Ascoltiamolo: “Ripenso a me fanciullo quando Dio mi prese, separato dal mondo come Giovanni, nella solitudine, per ascoltare la Sua voce. E quante cose mi disse! Quante cose mi dissero! E poi fui in mezzo a voi, e poi fui in mezzo agli altri. Quante disillusioni, quante amarezze, quante tristezze, e anche quante gioie! Eppure non mi sono mai pentito di essere prete; ma quante volte ho sentito l’anima mia fasciata di tristezza e di incomprensione. Perché non è facile, sapete, la missione di questo uomo misterioso che è il prete”. E, a proposito di difficoltà nella vita di un prete, così scriveva al caro don Renzo Rossi: “Io spero tanto nella cosa più grande: cioè la sofferenza esplicita, implicita e misteriosa che accompagna la vita dei preti… Dio quando ne avrà tanta a disposizione manderà grazia, luce, indicazioni per una vita cristiana pentecostale inserita nel vero misterioso destino degli uomini”.


    Quali fossero le sue sofferenze, don Bensi lo svela in una sua omelia: “Sento la verità di Dio, la verità di Cristo, che dice la verità è vita, che dice la santità dei sacramenti, che dice che il cristianesimo è cosa vera. E sentirsi tante volte incapaci ad entusiasmare gli altri, a farli vivere questa verità unica e sostanziale, è cosa tremenda. Se sentiste la tragedia di questo sentire l’inutilità della parola, sentire che questo cristianesimo in tante anime è alla superficialità di esse, che non infiamma, non conduce, non libera. È terribile. Eppure sono prete: un giorno un vescovo unse le mie mani facendomi prete e padre. Ma con l’avermi fatto prete mi ha forse fatto capace di comunicare al mondo, attraverso la parola, la santità? Mi ha forse fatto più buono? No, mio Dio… Questa è l’intima tragedia di ciascuno di noi…”.


    E più avanti, nella stessa omelia, confessa: “C’è nell’anima questo bisogno non incidentale ma sostanziale di donarsi, dall’alba al tramonto, trascurando ogni nostro desiderio…: devo essere un buon pastore,… che dà la sua vita, come Cristo l’ha data, in modo assoluto… Così il cristianesimo vivo è fatto non di parole, ma di aspirazioni vere, vissute… Il cristianesimo è – al pari del pane – un continuo spezzarsi, perché tutti mangino: perché tutti hanno il diritto di avere da noi. Ma Signore questo tuo cristianesimo è terribile: chi potrà viverlo totalmente, compiutamente? Ed ecco perché gli altri che hanno ascoltato questa grande parola, dicono che i preti e i cristiani sono ipocriti. Ma Signore io sono sicuro che Tu non sei come gli uomini. Se vedi in me e in loro la passione di dare, anche se non siamo come Tu vuoi, sono sicuro che ci guarderai con occhi di misericordia”.


    Su questa sintesi di donazione totale e di abbandono fiducioso nella misericordia siamo chiamati anche oggi a misurare la verità del nostro sacerdozio. Voglia il Signore che ciascuno di noi sappia farlo con quella radicalità ma anche con quella serena gioia che segnò sempre la vita di don Bensi. A Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote, chiediamo che al ricordo delle parole si unisca la memoria viva della testimonianza. Magari per dare ragione a quanto don Bensi, a proposito di preti fiorentini, scriveva ancora a don Renzo Rossi: “E dire che qui c’è un centinaio di preti che tutti i vescovi vorrebbero avere se li conoscessero, hanno cervello e bontà da vendere e attendono chi li ingaggi per una giornata di divine fatiche”. Parole che sento di sottoscrivere, per confessarvi, da questo altare tra poco profumato di crisma, la fiducia che sento di poter riporre in voi, fratelli e figli a me carissimi. Amen.
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  8. #8
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    Omelia dell'Arcivescovo Giuseppe Betori nella Veglia Pasquale

    Al termine del cammino quaresimale, che ci ha condotto alle questioni essenziali della vita dell’uomo, invitandoci a un’autenticità spesso perduta; dopo i giorni del triduo pasquale, che ci ha riproposto l’immagine del Crocifisso, che per amore si dona per la salvezza dell’umanità; al culmine di questa notte di veglia, che dalla creazione all’esodo, dalla rinascita dopo l’esilio alla promessa di una nuova alleanza, ci ha guidati con l’apostolo Paolo a meditare sul significato del nostro battesimo, è risuonato tra noi il testo di Luca che apre in quel vangelo i racconti legati alla risurrezione del Signore Gesù.


    Siamo stati ricondotti «al mattino presto», a quel confine tra la notte e l’alba, a Gerusalemme, in cui alcune donne, le stesse che hanno seguito Gesù fin dalla Galilea e sono state testimoni della sua morte in croce, si recano alla tomba del Crocifisso «portando con sé gli aromi» per completare la cura del corpo del Signore. Trovano qualcosa di inaspettato, la pietra del sepolcro «era stata rotolata via»; ma «non trovano il corpo del Signore Gesù». Quel sepolcro vuoto non dice però ancora nulla, da solo non fonda alcuna fede nella risurrezione; genera piuttosto domande, inquietudini, incertezza, che si assommano ai timori e agli interrogativi che avevano preso possesso dei loro cuori lungo la via della croce del loro Maestro.


    Non fosse così, la risurrezione non sarebbe un contenuto della fede, ma un fatto semplicemente da constatare, un dato di cui prendere atto, ma, proprio perché prigioniero della sfera dell’umano, sul quale nessuno avrebbe potuto chiedere di giocare la nostra vita. Ad aiutare a superare il piano della pura fattualità, senza peraltro negarla o sminuirla, e a invitare a entrare nel mondo dei significati fondativi sono i «due uomini» che appaiono alle donne «in abito sfolgorante» che li segnala come inviati del mondo divino, i quali interrogano e invitano alla comprensione tramite la memoria. «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?». Non può giacere nel sepolcro della morte colui che è il Vivente, lui da cui viene la vita per ogni uomo. La morte non può tenerlo prigioniero in un sepolcro: «è risorto», passando da questa condizione mortale alla realtà di una creazione nuova.


    Per chi ha occhi di fede tutto questo non dovrebbe suonare come inaudito. «Ricordatevi come vi parlò…». Basta far memoria di Gesù, del suo passaggio tra noi, delle sue parole, che avevano svelato come fosse necessario che egli si consegnasse agli uomini per poterli salvare, per poter appunto aprire per tutti la strada che conduce dalla morte alla vita. È questo l’invito degli esseri celesti: mettersi all’ascolto della parola di Gesù, coltivare la memoria viva della sua persona ci apre alla comprensione di fede che dai segni ci fa risalire alla verità che ci salva.


    Eppure neanche questo è del tutto sufficiente, come mostra il fatto che le parole delle donne non riescono a muovere alla fede gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali trattano le donne da bizzarre e deliranti: «Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento». Neppure Pietro, che, dopo aver ascoltato le donne, vede il sepolcro vuoto e le bende, riesce a superare la soglia dello stupore. Il seguito del vangelo di Luca ci mostrerà che per giungere a fede matura nella risurrezione di Gesù occorre un ulteriore passaggio, quello dell’incontro personale con il Risorto; solo allora le parole dell’annuncio diventano completamente vere e credibili.


    Ascolto della parola e esperienza viva di Cristo risorto è giusto quanto offre la Chiesa a chi si avvicina per incontrare nel Vangelo una forma vera e piena per la loro vita. Lo chiedono stanotte più di trenta adulti in questa diocesi, e con la loro richiesta proclamano a tutti la perenne attualità della fede cristiana. Non pochi oggi la vorrebbero fenomeno residuale in un mondo adulto, in cui l’unica verità ammessa sarebbe quella di uno scientismo totalitario e l’unico proposito degno di attenzione quello di una libertà senza riferimenti, arrivando a decidere così, secondo i canoni di un’etica solo soggettiva, del destino dell’uomo, anche di chi deve nascere. C’è chi pensa che l’uomo arrogante della modernità e ancor più quello disincantato della post-modernità siano incompatibili con un messaggio che si presenta fondato su una croce umiliante e che promette una risurrezione a vita nuova. Ma, a quanti si impancano a maestri di pensiero, tutti gli umili della terra potrebbe insegnare che solo nel volto del Nazareno essi si riconoscono, e in lui riconoscono le proprie aspirazioni e il compimento di esse. Secoli, millenni di scetticismo e di critica corrosiva hanno inutilmente cercato di seppellire la verità e la forza di vita che promana dalla persona di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto. Non lasciamoci impaurire dagli stanchi epigoni di questa lotta alla fede cristiana e alla Chiesa. Questa notte veda le nostre comunità risorgere anch’esse per un rinnovato slancio di annuncio e di testimonianza del Vangelo di Gesù.


    Vogliamo ringraziare questi adulti che si apprestano al battesimo, come pure i genitori che in questa notte di Pasqua, e nel corso dell’anno, portano al fonte battesimale i propri figli, per la testimonianza che ci offrono e per il coraggio che con questo infondono alle nostre comunità. Esse rischiano di ripiegarsi su se stesse, mentre oggi è loro richiesta una primavera missionaria, sapendo che il tesoro di verità e di vita che racchiudono ha un potere di rinnovamento del mondo che non possiamo soffocare e che il mondo, anche senza saperlo, attende.


    Per quanti vengono in questa notte al fonte del battesimo, e per noi che in questa notte siamo invitati e rinnovare i nostri impegni battesimali, sono state proclamate le parole dell’apostolo Paolo, che ci ha ricordato che essere battezzati in Cristo Gesù significa essere «sepolti insieme a lui nella morte», portando a morire il nostro uomo peccatore per risorgere alla vita stessa di Cristo. Solo morendo al peccato possiamo liberarci infatti dalla sua schiavitù, così da entrare in quella vita «per Dio, in Cristo Gesù» che è il dono che ci fa il Risorto. La sorgente di questa morte al peccato è il battesimo che la Chiesa ci dona e che siamo chiamati a vivere ogni giorno. Così l’intera nostra vita è sotto il segno della morte e della risurrezione, che Cristo ha congiunto nella sua Pasqua.


    Abbiamo udito cantare nell’annuncio pasquale che ha aperto questa liturgia:


    «Il santo mistero di questa notte sconfigge il male,


    lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori,


    la gioia agli afflitti.


    O notte veramente gloriosa


    che ricongiunge la terra al cielo


    e l’uomo al suo creatore!».


    In queste parole troviamo il senso di questa veglia e il significato ultimo dell’esperienza cristiana. Al Signore risorto, riconosciuto nella fede, salga la nostra lode e il nostro grazie. Amen.
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  9. #9
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    Omelia dell'Arcivescovo Giuseppe Betori nella Domenica di Pasqua

    Al canto del Gloria il fuoco nuovo ha percorso velocemente la navata di questa cattedrale per incendiare il carro pasquale e proclamare, con lo splendore e il fragore dei giochi pirotecnici, come usa da secoli qui a Firenze, la novità di vita che questa festa, la Pasqua del Signore, apre e significa. Nessuno può rimanere sordo al richiamo dell’annuncio pasquale: «Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro», abbiamo cantato nella veglia della notte e ora, nel mattino di Pasqua, ci vogliamo unire ai primi discepoli di Gesù, per andare incontro al mistero della sua risurrezione.

    Lo facciamo con i tre discepoli di cui narra il vangelo secondo Giovanni, che condividono con noi la stessa incertezza nell’animo e, al momento, l’assenza di una visione diretta del corpo di Cristo risorto. Ancora nella notte, «al mattino, quando era ancora buio», per prima, Maria di Màgdala si avvia al sepolcro. A differenza dagli altri evangelisti, Giovanni non parla di altre donne, non dice che il gesto era dettato dalla volontà di ungere il corpo di Gesù. Maria va, senza un apparente perché; meglio, con un perché più profondo, che scaturisce dall’affetto che nutre per il Signore: ella non accetta di averlo perso per sempre. Il buio non è solo attorno a lei, ma anche nel suo cuore, smarrito e reso incerto dalla visione di lui, il suo Maestro e Signore, in croce. La sua , quella della Maddalena, è la ricerca di incontrare in qualche modo Gesù, di non interrompere il dialogo di fede e di amore che aveva animato la sua vita dopo che lo aveva incontrato la prima volta sulle strade della Galilea e lui l’aveva liberata dai demoni che l’avevano resa schiava. È l’amore a guidare Maria, il bisogno di qualcosa, di qualcuno che riempia la sua vita e la colmi di una presenza che è compagnia, condivisione, conforto. Al primo impatto con il sepolcro, Maria non raggiunge l’intento della sua ricerca. Vede soltanto una pietra «tolta dal sepolcro», e non entra neanche nel sepolcro per verificare cosa è successo, deducendo subito, umanamente, che qualcuno avesse sottratto il corpo del suo Signore, impedendo così a lei e agli altri discepoli di sapere dove poter esprimere il loro dolore e rinnovare il loro amore. Il sepolcro vuoto non genera in lei la fede, anzi moltiplica il suo smarrimento. Ma non resta da sola nel turbamento, e va subito ad avvertire gli altri discepoli. Come mostra successivamente il racconto, ella torna poi subito al sepolcro, quasi a dire che, pur rimanendo nel buio, ancora non si spegne in lei la ricerca, e allora il suo amore verrà premiato dall’incontro con la persona di Gesù. Egli si mostrerà a lei nella figura del custode del giardino, il volto di uno sconosciuto in cui Maria deve scoprire il volto stesso di Gesù.

    Dopo di lei tocca a Pietro giungere alla soglia del sepolcro, dove il discepolo più giovane, che lo ha preceduto, lo attende, riconoscendo con questo gesto il ruolo primaziale di Pietro tra gli apostoli di Gesù. Vi arriva, Pietro, con la fatica di una vita che è stata piena di contraddizioni, di slanci di fede autentica, ma anche di un rinnegamento che gli pesa, sebbene proprio in quel frangente abbia potuto sperimentare la forza rigenerante del perdono, che Gesù gli ha offerto con il suo sguardo, uno sguardo in cui ha potuto sperimentare l’amore del Maestro con la stessa intensità con cui lo aveva sperimentato a Cesarea di Filippo, quando egli aveva fatto di lui la pietra su cui avrebbe fondato la sua Chiesa. Arriva Pietro alla soglia del sepolcro con la consapevolezza che a lui e non ad altri il Maestro ha affidato il compito di primo fra i testimoni, di colui che deve confermare i suoi fratelli nella fede. Ma anche lui, seppure superi la soglia del sepolcro e vi entri, non riesce però a superare in quel momento la soglia della fede. Constata i fatti: «osservò i teli posati là, e il sudario… non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte», ma i fatti non bastano a far nascere in lui la fede.

    Chi giunge a credere è invece «l’altro discepolo, quello che Gesù amava», quel discepolo che nel quarto vangelo è la figura dell’autentico seguace di Cristo, colui cioè che è trasformato dall’amore di Cristo e vede le cose con gli occhi stessi del suo Signore. «Vide e credette», annota l’evangelista, a riguarda di questo discepolo che sa abitare nel mistero e non ha bisogno dell’incontro diretto con il Risorto per abbandonarsi a lui. Ma lo stesso evangelista non manca anche di farci notare, che la strada comune con cui a tutti i discepoli è dato di poter entrare nella fede è quella dell’ascolto della parola di Dio: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».

    Di questo si incaricherà la predicazione degli apostoli e poi della Chiesa lungo i secoli. Pietro e gli altri Undici, come ci ha narrato il libro degli Atti degli Apostoli, fatti forti dall’incontro personale con il Risorto, che era apparso loro vivo e aveva mangiato con loro, diventano suoi annunciatori, rileggendo la sua vita e il mistero della sua croce e risurrezione alla luce delle Scritture. Se dunque il brano del vangelo ci aveva indotti a nutrire nel nostro cuore un atteggiamento di ricerca del Signore, per aprire a lui la nostra vita, riconoscendo nella sua persona ciò che nel profondo cerchiamo come risposta alle nostre attese più vere, la prima lettura ci ricorda che come Chiesa abbiamo il dovere di non tenere per noi stessi l’esito di questa ricerca e di farne dono a tutti: «[Dio] ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli [Gesù di Nazareth] è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio», afferma Pietro.

    Annuncio e testimonianza del Risorto sono al cuore della Pasqua cristiana, per cui chi è stato toccato da questa presenza non può non dire a tutti, nelle parole e nella vita, che in Gesù è data agli uomini la misura dell’autenticità della loro vita e la forza per attuarla. È lui l’unico vero Signore della storia, il solo che può liberarci dai falsi signori che vogliono diventare padroni della nostra vita e, nella mistificazione della comunicazione globale, confondere la nostra capacità di ascolto dell’unica voce che parla parole di verità per noi. Come Pietro anche la Chiesa conosce la debolezza dei suoi figli, chiede loro percorsi di riconoscimento oggettivo del male commesso, di pentimento di fronte a chi ne soffre e di conversione. Con pari convinzione non si smarrisce di fronte alle fragilità interne e neppure alle aggressioni esterne. È nel nome del Risorto che la Chiesa proclama nel mondo che la salvezza dell’uomo ha il suo unico fondamento in quel sepolcro vuoto che, alla luce delle successive visioni del Signore Gesù, svela che la morte è stata da lui vinta e con lui può essere da noi vinta.

    Sta qui il messaggio di speranza che la Pasqua semina nei nostri cuori. A una umanità che continua a sperimentare quanto intessuto di malvagità sia il suo cammino nella storia, viene annunciato che è possibile creare una storia nuova, libera dal male e proiettata verso il bene. L’apostolo Paolo ce lo ha detto, implorando: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra». Le cose di lassù non stanno a indicare realtà alienanti rispetto a questo mondo. Paolo e Gesù non ci chiedono di disinteressarci di questo mondo, di dimenticare le nostre responsabilità storiche, al contrario. Ciò che indicano è piuttosto la necessità che l’uomo, come persona e come società, consideri il senso delle cose nel tempo in rapporto al loro valore per l’eternità. La prospettiva eterna del tempo che passa, lungi dal deprezzarlo, lo salva dalla sua precarietà e ne svela il senso ultimo, oltre le apparenze e le frammentarietà. Di questo «lassù», di questo “oltre” ha bisogno in particolare l’uomo dei nostri giorni, facile preda delle sensazioni passeggere e degli interessi limitati e di parte.

    Permettete che dica che ne ha bisogno particolare la nostra città, se vuole ritrovare uno spirito nuovo, per una costruzione comune e coesa di una società che aiuti tutti a crescere, secondo la nostra antica tradizione, piena di vivacità battagliera ma anche di grande progettualità ideale. Occorre che tutti riprendiamo in mano le nostre responsabilità nell’ottica del bene comune. Ma per far questo occorre che alziamo gli occhi dal nostro “particulare” e ci misuriamo sugli orizzonti infiniti di un eterno, che è il dono del Risorto, lui che ci chiama a mettere via le nostre piccole bassezze e a volgere lo sguardo «lassù», riconoscendo in lui «il giudice dei vivi e dei morti» e nel suo vangelo l’unica “carta magna” di una società di vita nuova. Questo vollero dire i nostri antichi quando fecero dipingere nella cupola di questa cattedrale l’affresco del giudizio universale, così che gli occhi di tutti, attirati dalla magnificenza di questo slancio dell’architettura verso l’alto, riconoscessero in un’altra altezza, quella della fede nel Risorto, la misura della loro vita. A questa stessa misura siamo oggi richiamati nella speranza che la Pasqua infonde nei nostri cuori.
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  10. #10
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