Discorso di fine anno - Te Deum di ringraziamento
Genova, Chiesa del Gesù,
31 dicembre 2011
Autorità,
Cari Amici,
Sotto il segno materno di Maria, la grande Madre di Dio che la Chiesa venera nel primo giorno dell'anno civile, in questa cara chiesa dei Padri Gesuiti, che saluto con animo grato, ringraziamo il Signore per l'anno che si conclude, e invochiamo la sua grazia per quello che inizia. Come da tradizione, volgiamo brevemente lo sguardo sul tempo trascorso: ripercorriamo alcuni eventi e stati d'animo che l'hanno contrassegnato, non tanto per farne una cronaca – per altro già nota – ma per darne una lettura religiosa e sapienziale come è doveroso per dei cristiani e, comunque, per dei cittadini.
1. La vita della Diocesi
La vita della Chiesa di Genova ha continuato nella fedeltà ordinaria: mi sembra – la fedeltà che si ripete ogni giorno – un primo dato e valore al quale rendere merito, soprattutto oggi in cui sembra spesso sinonimo di noia e di grigiore. Pare che la vita vera, infatti, debba essere continuo cambiamento, sequenza di novità e di esperienze eccitanti, mentre la ripetizione dei giorni e dei propri doveri è percepita come monotonia e negazione dello slancio vitale. Come se vivesse di più chi non mette radici in una famiglia, in un luogo, nella concretezza di un lavoro che richiede di stare dove si è giorno dopo giorno con rigore. Questo modo di sentire, che rende spesso insofferenti ai doveri quotidiani e agli impegni ripetitivi, può insidiare chiunque. E' bene ricordarcelo. Le nostre parrocchie quotidianamente aprono le loro porte a tutti per il servizio liturgico e la catechesi, per l' accoglienza e l'ascolto, per la carità nelle sue molteplici forme, per l'educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, per il sostegno alle famiglie e agli anziani, per l'integrazione di chi approda nella nostra città alla ricerca onesta di vita migliore. Ai nostri cari sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, va il mio rinnovato affetto e la gratitudine della Diocesi, nonché il più convinto incoraggiamento. Nessuna ombra, seppur dolorosa, può offuscare il loro umile e quotidiano servizio.
La vita della Diocesi è stata quest'anno illuminata da alcuni eventi che vanno oltre se stessa: la Giornata Mondiale della Gioventù, il Congresso Eucaristico Nazionale e la beatificazione di Giovanni Paolo II.. Negli auguri natalizi del Santo Padre alla Curia Romana (Roma, 22.12.2011), Benedetto XVI è ritornato in particolare sulla Giornata dei giovani a Madrid come pure sul recente viaggio apostolico in Africa nel Benin, e ne ha ricavato una duplice considerazione: la santità personale come cuore di ogni vera riforma ecclesiale, e la gioia della fede. Ebbene, questa sintesi riguarda tutta la Chiesa e anche la società nel suo insieme. I cristiani, specialmente in Europa, hanno assoluto bisogno di riscoprire e di vivere una fede gioiosa capace di buoni frutti. Non è solo un dovere dei credenti, ma anche un debito verso il mondo. La fede è un dono: Dio l'ha data a noi ma non è solo per noi. Dobbiamo darne testimonianza agli altri e in ogni ambiente di vita e di lavoro con umiltà e coraggio, soprattutto con gioia. Una testimonianza malinconica e sbiadita non serve a nessuno, anzi, ostacola l'incontro con Cristo e la Chiesa. Una fede stanca, a volte sofisticata e critica nei confronti del Magistero, non è sinonimo di una fede pensata, bensì di presunzione e di indisponibilità ad arrendersi al Vangelo. Sono proprio di questi giorni le notizie della violenta persecuzione religiosa contro i cristiani in diversi parti del mondo. Mentre preghiamo per i perseguitati e per quei tormentati Paesi, non possiamo non esserne addolorati e restare pensosi: il coraggio e la fierezza con cui tanti fratelli sono testimoni della loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa, devono stimolarci ad essere anche noi, che godiamo della libertà religiosa, dei testimoni credibili e gioiosi della fede cattolica.
In Germania, nel convento di Erfurt, Il Santo Padre si chiedeva: "occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l'annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi" (23.9.2011). In questo cammino di crescita della fede, la Santissima Eucaristia occupa un posto centrale, è la sorgente perenne e feconda del nostro rinnovamento: tutto parte dal Mistero celebrato e adorato, e tutto della nostra esistenza ritorna a Lui perché venga purificato ed elevato fino a Dio, come ricorda il Concilio Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium, 10). Ho detto sopra che questo discorso riguarda non solo i cristiani ma tutti: infatti, una fede gioiosa e convinta, come è testimoniato dai giovani a Madrid e dalle comunità africane che pur vivono in condizioni precarie e difficili, non è forse anche un lievito per la società intera? Non è una continua infusione di fiducia per tutti?
Infine, non possiamo tacere l'impegno educativo che caratterizza questo decennio, così come hanno voluto i Vescovi Italiani. La scelta della nostra Diocesi, per l'anno pastorale ormai iniziato, è l'attenzione agli adolescenti, quella fascia di ragazzi tra i dodici e i diciassette anni che vivono il tumulto della crescita. Età delicata e straordinaria, piena di domande, turbamenti, scoperte, ma anche di richieste e di attese, di bisogno di riferimenti educativi credibili e autorevoli. Nelle comunità cristiane il lavoro capillare è ormai iniziato, e vedrà il suo culmine nell'incontro Diocesano degli adolescenti il 22 aprile prossimo alla Fiera del Mare. Il Signore benedica il lavoro di questi ragazzi, dei loro genitori e degli educatori.
2. La vita della Città
Gli occhi di tutti sono ancora segnati delle immagini della recente alluvione. E col pensiero siamo tornati alle precedenti del 1970 e del 1992. Nulla, di quanto è accaduto, possiamo dimenticare. Innanzitutto le sei vittime rubate dalla furia dell'acqua: le affidiamo alla misericordia di Dio e con grande affetto ci stringiamo ancora ai loro familiari. Anche questa volta, come sempre nelle emergenze, è scattata la generosità di tanti - giovani o meno – che subito hanno dato tempo ed energie, intelligenza e cuore, per sfangare vie, negozi, abitazioni e ambienti. Nella visita che ho fatto nei luoghi maggiormente colpiti, ho incontrato dolore e sconcerto, insieme a coraggio e determinazione a non arrendersi, ad andare avanti. Qui devo riconoscere, oltre la pronta dedizione di tanti - volontari e non -, la vicinanza dei parroci alla propria gente, e l'immediata attivazione della Caritas Diocesana per un piano mirato d' intervento per singoli e famiglie. Come vorremmo che lo spirito di generosità e di sacrificio che ha impastato quei giorni, che si è opposto subito alla violenza della natura, ad ataviche insufficienze strutturali e a costumi non sempre coerenti, diventasse un'onda buona permanente contro ogni male che vorrebbe spazzar via, come un'onda malefica, la gioia di una società giusta e solidale! Utopia? Ebbene, noi crediamo fermamente a questa utopia!
Ci guardiamo attorno e vediamo Genova, città bella e cara al cuore di tutti noi, nell'orizzonte della nuova compagine governativa e nel quadro europeo. Non si può non amare questa Città raccolta tra il mare e i monti, dalla storia nobile e ardita, di gente laboriosa e sobria, concreta e a volte ruvida! La parola data, la stretta di mano, la fede, il senso del dovere e dell'onore, la devozione popolare alla Santa Vergine espressa dalle innumerevoli edicole dei nostri vicoli, hanno segnato la sua vita, hanno siglato patti e commerci, hanno accompagnato ardimento e misura. Qualcuno penserà che sono cose passate, che i tempi sono cambiati, che non si vive di poesia, che bisogna aggiornarsi. E' tutto vero, ma solo in parte. Possono cambiare le forme, infatti, ma la sostanza, se è buona, resta e deve restare. E la sostanza è l'onestà del vivere, in famiglia e sul lavoro, in chiesa e in società. E' la sobrietà, la non ostentazione oggi così di moda; è il senso della misura nei costi e nei ricavi; è la voglia di lavorare insieme, di affrontare i problemi insieme, di trovare soluzioni possibili, di tentare strade nuove con quello stesso ardimento con cui i nostri padri hanno solcato i mari e gli oceani, hanno creato commercio, imprese e industria, dando lustro a Genova e imponendola sulla scena del Mediterraneo e oltre come città di ingegno, di lavoro, di affidabilità. Ma – ci chiediamo - è così cambiato il carattere dei genovesi, nativi o acquisiti che siano? E questo patrimonio è inesorabilmente andato o è ancora possibile? Sì, è possibile, ma ad una condizione: il nostro amore per Genova! E' questo amore che conserva e rinnova i nostri tesori. Genova non deve essere percepita come un luogo dove si vive e si lavora, ma – di più - come la nostra casa e la nostra famiglia. E' l'affezione che si ha per le cose che rende le cose importanti e degne di sacrificio: non è il tornaconto, qualunque esso sia, che crea il senso di appartenenza, ma l'amore. Lo si vede anche per l'Europa, dove siamo ancora lontani da questo. Se la stima e l' affezione sono presenti nel cuore di ognuno, allora saremo in grado di far sentire a chiunque che Genova è una città strategica; che conviene al Paese che essa viva e prosperi pur nelle difficoltà dell'attuale crisi; che impoverirla nella sua vocazione produttiva non è un guadagno per nessuno. Se la voce dei genovesi, a tutti i livelli, diventerà "una" rinunciando ognuno a qualcosa del proprio interesse, prestigio, ambizione, senza gelosie né invidie, allora sarà possibile far comprendere che Genova è una città dove è conveniente creare lavoro, ed bello per la qualità della vita, così come già non pochi professionisti stranieri pensano nonostante l'apparenza contraria. Ma per mantenere lavoro e per attirarne altro, è necessario che ci sia da parte di tutta la città una benevolenza di fondo, uno sguardo di simpatia e non di pregiudiziale sospetto, che non si complichino le procedure, che si rendano rapide il più possibile come in altre Nazioni, che si dia il benvenuto a chi viene per creare impresa piccola o grande che sia. La cultura del sospetto e della diffidenza avvelena i rapporti e spegne l'iniziativa. La paura che qualcuno ci possa guadagnare, seppure il suo giusto, che cosa porta? La stagnazione. E i lavoratori, le famiglie? Non solo bisogna accogliere, ma anche favorire il lavoro qualunque esso sia, basta che sia onesto e quindi dignitoso. Ci sono modi personali, schemi vecchi e procedure burocratiche che di fatto scoraggiano sia l'impianto di nuove linee di produzione, sia il salvataggio di ciò che esiste; e il lavoro prende altri lidi. Qual è il vantaggio? Ma vorrei dire piuttosto: quale grave responsabilità! L'ora è difficile – lo sappiamo - e la crisi tocca tutti, ma è diverso il punto di partenza di ognuno. E questo bisogna tenerlo ben presente altrimenti non è possibile l'equità da tutti invocata! La Chiesa genovese è vicina al mondo del lavoro in modo continuativo e rispettoso, specialmente attraverso l'opera costante dei Cappellani. Questo servizio, che ha una lunga storia, è noto, e noi siamo onorati di poter stare accanto ai lavoratori da sacerdoti attenti a loro, alle loro famiglie, alle aziende. Così come è nota la sua presenza capillare per condividere gioie e ansie della gente. Attraverso le sue molteplici articolazioni - Parrocchie, Associazioni e Gruppi, Enti e Organizzazioni - disseminate sul territorio, la Chiesa deve manifestare l'amore di Gesù che si è fatto tutto a tutti per offrire il pane del corpo e il pane dell'anima. La forbice tra la ricchezza e la povertà è aumentata pesantemente, e le richieste di intervento nell'anno che va a concludersi sono cresciute in modo significativo. Possono essere utili alcuni rapidi dati: mentre nel 2010 i 38 Centri di ascolto hanno fatto 6700 interventi, quest'anno gli interventi hanno toccato 25.000 persone, la maggioranza delle quali è tra i 35 e i 55 anni, e di cui il 30% dispone di un lavoro, ma che non permette di giungere alla fine del mese. Mentre le 16 mense disseminate hanno distribuito giornalmente 921 pasti per un totale annuo di 257.360. Questi dati, che toccano solamente alcune voci della rete di prossimità e di speranza, non li offro alla vostra considerazione per esibizione – che sarebbe sciocca e antievangelica – ma, come in famiglia, per rendere grazie al Signore che sprigiona il meglio dei cuori, e per crescere nella consapevolezza di ciò che si fa e di quanto si potrebbe ancor fare a fronte di un disagio che è in crescita. Il bisogno è grande, ma anche la generosità è grande! Comprendo che questo non basta: bisogna aiutare a uscire dalle necessità perché ognuno cammini con le proprie gambe. Ma intanto, davanti al bisogno, bisogna dare delle risposte immediate, sapendo comunque che nessuno Stato giusto ed equo potrà mai rendere superfluo l'amore, né forme di aiuto per bisogni che non dipendono da ristrettezze economiche ma spirituali.
Siamo entrati così in un orizzonte più vasto, quello del mondo ormai globalizzato nel quale i gli Stati e le economie sempre più sono interconnessi tra loro. Dire che è necessario riscoprire l'etica sembra di fare del moralismo a buon mercato, o di voler semplificare la complessità. Nulla di tutto questo! Però, se è vero che i meccanismi dell' economia e della finanza si sono complicati anche a causa delle nuove dinamiche mondiali, è altrettanto vero che senza un codice etico, e senza una coscienza collettiva conforme, non si affronta in modo virtuoso nessuna complessità. Che la grande finanza internazionale guidi ormai i giochi sembra un dato innegabile; ma così non deve essere, perché una finanza fine a se stessa non serve il mondo ma se ne serve, e alla fine ne risentono i più deboli. Quando, infatti, il criterio sembra essere il guadagno il più alto e facile possibile, e nel tempo più breve possibile, allora il profitto non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso e quindi immorale perché condiziona e sottomette anche l'economia e la politica, e quindi l'uomo. Al di là di ogni ventata antipolitica, va detto che la politica è assolutamente necessaria, e deve mettersi in grado di regolare la finanza perché sia a servizio del bene generale e non della speculazione facile e garantita. Non è possibile vivere fluttuando ogni giorno. Chi decide? E con quali criteri? E con quale libertà di giudizio? Con quale imparzialità? Sono domande gravi e urgenti: la politica del mondo non ne può prescindere se vuole corrispondere al suo mandato di promuovere la giustizia e il bene comune. Uscirne si può, non solo si deve. Nulla vi è di fatale in queste cose: l'uomo crea le complessità dei sistemi, e quindi può semplificarli senza rimanere soffocato dalle sue stesse mani.
Ma vorrei attirare l'attenzione anche su un altro aspetto che sembra una caratteristica del nostro Paese ma anche, non poco, della nostra Città: l'autolesionismo. Le eccellenze di genialità, di professionalità, di manodopera, di studio, che abbiamo e che possiamo offrire... gente che gira il mondo per lavoro, mi dice che ci sono e che non dobbiamo continuamente cospargerci il capo di cenere. Ma bisogna anche fermare la macchina del fango. Parlo del fango morale, quello che viene gettato a palate su questo o su quello – persone e situazioni, enti e istituzioni – o quello che viene sparso secondo la strategia delle piccole dosi attraverso l'insinuazione, il sospetto, il dubbio, il si dice, e per cui nessuno risulta mai responsabile e paga. Non è amore di verità che guida questo sistema ormai inveterato, ma scopi meschini anche se ammantati da nobili intendimenti. Questo modo di fare diffuso ha due effetti nefasti: crea una cortina di sfiducia generale e corrompe il costume generale proprio sulla frontiera delle relazioni, frontiera su cui si costruisce il vivere sociale. A forza di seminare vento si raccoglie tempesta, dice un motto di sapienza: si tratta della tempesta della sfiducia, del tutti contro tutti, dell' avvilimento, della litigiosità esasperata e inconcludente, della rabbia sorda ma che potrebbe scoppiare. A fronte di questa macchina, pare che tutti restino impauriti e bloccati. Ma la paralisi a chi giova? Bisogna reagire insieme e con determinazione: insieme si può. Genova può farcela a superare gli affanni presenti se diventa meno litigiosa, meno passiva, se sviluppa fiducia e coesione ad ogni livello e in ogni ambiente. Non deve avere paura del cambiamento: radicata nelle sue tradizioni di laboriosità e capacità, ha un bagaglio di energie civili, morali e religiose tale da poter guardare fiduciosa al suo futuro, senza paura del nuovo che avanza inarrestabile ma che non vuole sfigurarla. Criticare è facile, costruire è difficile: a demolire basta un momento, a costruire occorre tempo e fatica perché bisogna pensare, essere propositivi e accettare i rischi. Diversamente, si perdono le occasioni di sviluppo e di crescita necessarie per mantenere e per costruire lavoro, specialmente per i giovani. Non dimentichiamolo: nella nostra Città non sono poche le persone che pensano in positivo, che hanno responsabilità gravi e si dedicano con coscienza, e anche con buoni risultati e prospettive per il lavoro, ma devono fare più rete. E a proposito di essere propositivi, sappiamo tutti che non basta avanzare proposte per partecipare alla vita della società a qualunque livello, è necessario e onesto fare delle proposte possibili: l'ottimo è nemico del bene e lo blocca, ricordando che, non di rado, per "ottimo" s'intende caparbiamente la propria opinione personale o di parte. Bisogna confrontarsi in ogni ambiente su proposte realizzabili in tempi ragionevoli, tenendo conto non di un interesse pur legittimo, ma dell'insieme, e soprattutto di ciò che oggi è più vitale e urgente, il lavoro. Se senza lavoro non c'è sviluppo, dobbiamo ricordare anche che senza sviluppo non ci sarà lavoro. Comprendiamo che non è un gioco di parole.
Infine, desidero ringraziare il Signore per il dono della famiglia: parlo delle nostre famiglie. Sappiamo tutti che l'istituto familiare attraversa anche a Genova serie difficoltà, ma nonostante ciò la famiglia in Italia tiene, e sempre più si rivela non solo grembo della vita dono di Dio, scuola di umanità e di fede, ma anche presidio primo e fondamentale della società, della sua sicurezza, dell'economia, del sostegno reciproco, della tenuta civile. Tutti sappiamo quanto la famiglia, specie nelle prove, sia capace di stringersi e unire risorse e sforzi sostenendo i propri membri e – con la generosità che non manca – anche altre famiglie, i più deboli e sprovveduti. Non tutelare le famiglie a tutti i livelli significherebbe distruggere lo Stato. Nella Visita Pastorale in atto – è questo il quinto anno ed ho visitato 244 Parrocchie sulle 278 – ho conosciuto persone e famiglie ammirevoli per l'esempio di umiltà e di stile di vita, di onestà e di senso del dovere, di unità familiare e di sacrificio. Ne sono rimasto edificato: è questa la stragrande maggioranza del nostro popolo che non fa scena sui media ma che fa storia, quella vera.
Carissimi Amici, insieme ce la possiamo fare: insieme come città-famiglia, insieme come Paese, insieme come comunità delle Nazioni e dei Popoli. E' questa la volontà di Dio. Chiediamo al Signore del cosmo e del tempo che doni a tutti la fiducia, il coraggio e la forza di rinnegare visioni particolaristiche e meschine, per pensare al bene comune nel quale chi è più povero e indifeso deve avere spazio maggiore. La Madonna della Guardia, al cui Santuario ritorniamo in pellegrinaggio ogni primo sabato del mese, continua a guardare Genova: benedica tutti, in particolare i lavoratori con le loro famiglie, benedica i giovani e le persone più sole. E' questo il mio augurio di buon anno!
Angelo Card. Bagnasco
http://www.diocesi.genova.it/documenti.php?idd=3224