Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Tempo di Quaresima : Messaggio del Papa, riflessioni e iniziative varie

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    Tempo di Quaresima : Messaggio del Papa, riflessioni e iniziative varie

    AVVISO DI CONFERENZA STAMPA

    Si informano i giornalisti accreditati che domani, martedì 29 gennaio 2008, alle ore 11.30, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, avrà luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2008.

    Interverranno:

    Em.mo Card. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum";
    Rev.mo Mons. Karel Kasteel, Segretario del Pontificio Consiglio "Cor Unum";
    Rev.mo Mons. Giovanni Pietro Dal Toso, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio:
    Sig. Hans-Peter Röthlin, Presidente internazionale dell’opera di carità Aiuto alla Chiesa che soffre.

    fonte: Sala Stampa della Santa Sede
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  2. #2
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    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2008


    “Cristo si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9)



    Cari fratelli e sorelle!

    1. Ogni anno, la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per approfondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a riscoprire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli. Nel tempo quaresimale la Chiesa si preoccupa di proporre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Quest’anno, nel consueto Messaggio quaresimale, desidero soffermarmi a riflettere sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. Quanto sia forte la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la nostra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria: “Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). L’elemosina ci aiuta a vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle necessità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina possediamo. A questo mirano le collette speciali a favore dei poveri, che in Quaresima vengono promosse in molte parti del mondo. In tal modo, alla purificazione interiore si aggiunge un gesto di comunione ecclesiale, secondo quanto avveniva già nella Chiesa primitiva. San Paolo ne parla nelle sue Lettere a proposito della colletta a favore della comunità di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15,25-27).


    2. Secondo l’insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale (cfr n. 2404).

    Nel Vangelo è chiaro il monito di Gesù verso chi possiede e utilizza solo per sé le ricchezze terrene. Di fronte alle moltitudini che, carenti di tutto, patiscono la fame, acquistano il tono di un forte rimprovero le parole di san Giovanni: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17). Con maggiore eloquenza risuona il richiamo alla condivisione nei Paesi la cui popolazione è composta in maggioranza da cristiani, essendo ancor più grave la loro responsabilità di fronte alle moltitudini che soffrono nell’indigenza e nell’abbandono. Soccorrerle è un dovere di giustizia prima ancora che un atto di carità.


    3. Il Vangelo pone in luce una caratteristica tipica dell’elemosina cristiana: deve essere nascosta. “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, dice Gesù, “perché la tua elemosina resti segreta” (Mt 6,3-4). E poco prima aveva detto che non ci si deve vantare delle proprie buone azioni, per non rischiare di essere privati della ricompensa celeste (cfr Mt 6,1-2). La preoccupazione del discepolo è che tutto vada a maggior gloria di Dio. Gesù ammonisce: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Tutto deve essere dunque compiuto a gloria di Dio e non nostra. Questa consapevolezza accompagni, cari fratelli e sorelle, ogni gesto di aiuto al prossimo evitando che si trasformi in un mezzo per porre in evidenza noi stessi. Se nel compiere una buona azione non abbiamo come fine la gloria di Dio e il vero bene dei fratelli, ma miriamo piuttosto ad un ritorno di interesse personale o semplicemente di plauso, ci poniamo fuori dell’ottica evangelica. Nella moderna società dell’immagine occorre vigilare attentamente, poiché questa tentazione è ricorrente. L’elemosina evangelica non è semplice filantropia: è piuttosto un’espressione concreta della carità, virtù teologale che esige l’interiore conversione all’amore di Dio e dei fratelli, ad imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per noi. Come non ringraziare Dio per le tante persone che nel silenzio, lontano dai riflettori della società mediatica, compiono con questo spirito azioni generose di sostegno al prossimo in difficoltà? A ben poco serve donare i propri beni agli altri, se per questo il cuore si gonfia di vanagloria: ecco perché non cerca un riconoscimento umano per le opere di misericordia che compie chi sa che Dio “vede nel segreto” e nel segreto ricompenserà.


    4. Invitandoci a considerare l’elemosina con uno sguardo più profondo, che trascenda la dimensione puramente materiale, la Scrittura ci insegna che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35). Quando agiamo con amore esprimiamo la verità del nostro essere: siamo stati infatti creati non per noi stessi, ma per Dio e per i fratelli (cfr 2 Cor 5,15). Ogni volta che per amore di Dio condividiamo i nostri beni con il prossimo bisognoso, sperimentiamo che la pienezza di vita viene dall’amore e tutto ci ritorna come benedizione in forma di pace, di interiore soddisfazione e di gioia. Il Padre celeste ricompensa le nostre elemosine con la sua gioia. E c’è di più: san Pietro cita tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati. “La carità - egli scrive - copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8). Come spesso ripete la liturgia quaresimale, Iddio offre a noi peccatori la possibilità di essere perdonati. Il fatto di condividere con i poveri ciò che possediamo ci dispone a ricevere tale dono. Penso, in questo momento, a quanti avvertono il peso del male compiuto e, proprio per questo, si sentono lontani da Dio, timorosi e quasi incapaci di ricorrere a Lui. L’elemosina, avvicinandoci agli altri, ci avvicina a Dio e può diventare strumento di autentica conversione e riconciliazione con Lui e con i fratelli.


    5. L’elemosina educa alla generosità dell’amore. San Giuseppe Benedetto Cottolengo soleva raccomandare: “Non contate mai le monete che date, perché io dico sempre così: se nel fare l’elemosina la mano sinistra non ha da sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa medesima” (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201). Al riguardo, è quanto mai significativo l’episodio evangelico della vedova che, nella sua miseria, getta nel tesoro del tempio “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44). La sua piccola e insignificante moneta diviene un simbolo eloquente: questa vedova dona a Dio non del suo superfluo, non tanto ciò che ha, ma quello che è. Tutta se stessa.

    Questo episodio commovente si trova inserito nella descrizione dei giorni che precedono immediatamente la passione e morte di Gesù, il quale, come nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9); ha dato tutto se stesso per noi. La Quaresima, anche attraverso la pratica dell’elemosina ci spinge a seguire il suo esempio. Alla sua scuola possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi. L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno.


    6. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita ad “allenarci” spiritualmente, anche mediante la pratica dell’elemosina, per crescere nella carità e riconoscere nei poveri Cristo stesso. Negli Atti degli Apostoli si racconta che l’apostolo Pietro allo storpio che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina” (At 3,6). Con l’elemosina regaliamo qualcosa di materiale, segno del dono più grande che possiamo offrire agli altri con l’annuncio e la testimonianza di Cristo, nel Cui nome c’è la vita vera. Questo periodo sia pertanto caratterizzato da uno sforzo personale e comunitario di adesione a Cristo per essere testimoni del suo amore. Maria, Madre e Serva fedele del Signore, aiuti i credenti a condurre il “combattimento spirituale” della Quaresima armati della preghiera, del digiuno e della pratica dell’elemosina, per giungere alle celebrazioni delle Feste pasquali rinnovati nello spirito. Con questi voti imparto volentieri a tutti l’Apostolica Benedizione.


    Dal Vaticano, 30 ottobre 2007


    BENEDICTUS PP. XVI



    [00146-01.01] [Testo originale: Italiano]

    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  3. #3
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  4. #4
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    Tempo di Quaresima 2009

    CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2009

    Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2009 sul tema "Gesù, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4, 2).

    Intervengono: l’Em.mo Card. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum"; Mons. Karel Kasteel, Segretario del Pontificio Consiglio "Cor Unum"; Mons. Giampietro Dal Toso, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; la Sig.ra Josette Sheeran, Direttore Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP).

    INTERVENTO DELLA SIG.RA JOSETTE SHEERAN

    Desidero ringraziare profondamente Sua Santità Papa Benedetto XVI per avere invitato il Programma Alimentare Mondiale (WFP) a partecipare a questo speciale evento. Apprezziamo molto il sostegno del Santo Padre al lavoro che facciamo. E grazie, Cardinale Cordes e Pontificio Consiglio "Cor Unum", per la vostra assistenza.

    Il richiamo e l’incoraggiamento del Santo Padre al digiuno volontario per questa Quaresima ci aiuta anche a ricordare che la fame è in crescita ovunque. Essere al servizio degli affamati è un richiamo morale che unisce i popoli di tutte le fedi. Tutte le principali religioni sollecitano i propri credenti a essere Buoni Samaritani e a scegliere di aiutare gli altri. Il profeta Isaia dice: "Se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è a digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio".

    Vorrei assicurare tutti voi che di fronte alla fame, ciascuno di noi può fare qualcosa. Sfamare gli affamati è un profondo atto d’amore, restituisce dignità a una madre o a un padre che non può provvedere al proprio figlio affamato. Mahatma Ghandi disse che, per un uomo che ha fame, un pezzo di pane è il volto di Dio. Facciamo in modo di credere al miracolo di un mondo senza fame. Del resto, per i fedeli, il cuore di Cristo non racchiude forse questa nobile visione?

    E’ un obiettivo raggiungibile. Potremmo eliminare la fame tra i bambini che vanno a scuola praticamente da un giorno all’altro, se ci fossero abbastanza persone disposte ad aiutare. Il Programma Alimentare Mondiale porta questa speranza a 20 milioni di studenti, lavorando a stretto contatto con numerose associazioni d’ispirazione religiosa.

    In questo periodo di sfide economiche mondiali, non dimentichiamoci che la crisi alimentare e finanziaria colpisce in modo particolarmente duro i più vulnerabili del pianeta. Dal 2007, 115 milioni di persone hanno ingrossato le fila degli affamati, portando a quasi 1 miliardo quanti non hanno abbastanza cibo, vale a dire una persona su sei nel mondo. Non si tratta della disponibilità di cibo. Il problema riguarda la distribuzione, ma anche l’avidità, la discriminazione, le guerre e altre tragedie. Nel mondo c’è abbastanza cibo affinché ogni essere umano abbia adeguato accesso a una dieta nutriente. Ci troviamo davvero di fronte a una sfida al cuore umano.

    Questo è un momento critico. Se per molte famiglie questo comporta alcuni sacrifici, per i più poveri dei poveri, ciò significa non poter mangiare per un giorno, o due o tre. Questo drammatico calo nell’apporto nutrizionale è particolarmente allarmante per i bambini al di sotto dei due anni: è ormai provato, infatti, che le privazioni alimentari possono compromettere le loro menti e i loro corpi per tutta la vita. Oggi, un bambino muore di fame ogni sei secondi.

    Il punto è: c’è qualcosa che si può fare per alleviare l’umiliazione, il dolore e l’ingiustizia della fame? Ci sono soluzioni che aiutino le persone a sfuggire dalla trappola della fame una volta per tutte?

    La risposta è un chiaro "sì’". Abbiamo i mezzi e la tecnologia per farlo; ed è stato fatto in molti luoghi nel mondo.

    Consentitemi di fare alcuni esempi. Il Programma Alimentare Mondiale andò in Darfur nel 2003 quando i villaggi erano ancora in fiamme. Milioni di persone erano terrorizzate e rischiavano la morte per fame. Lo si può definire un miracolo dell’epoca moderna: il mondo si è rifiutato di stare a guardare e di lasciare che gli sfollati del Darfur morissero di fame. Oggi, grazie alla generosità di molte nazioni – e al coraggio dei nostri operatori umanitari – il WFP sfama, ogni giorno, 3 milioni di persone intrappolate, lontano da casa, in un deserto desolato e pericoloso. Il mondo ha impedito – per meno di 50 centesimi al giorno per persona – una morte di massa per inedia in Darfur.

    Una delle crisi più recenti ha coinvolto 60 nazioni, compreso il Senegal, per effetto, lo scorso anno, dell’aumento dei prezzi alimentari mondiali: un record storico mai registrato. Si stima che gli alti prezzi abbiano esposto il 40 per cento di famiglie contadine in Senegal al rischio della fame e della malnutrizione. Il WFP ha attuato programmi innovativi non solo per fornire cibo a 2 milioni di persone ma anche per metterle in grado di sfamarsi da sole.

    Un esempio entusiasmante di innovazione è ciò che chiamo le "Signore Senegalesi del Sale". Il Senegal è una nazione con deficit alimentare, che produce però un surplus di sale. Il problema è che nel sale non vi è iodio aggiunto e nel Senegal si registra un alto tasso di malattie legate a deficit di iodio, come il gozzo che produce danni duraturi nelle menti e nei corpi dei bambini. Il WFP ha deciso di acquistare tutto il sale di cui necessita da 7.000 villaggi produttori dopo aver dato loro gli strumenti per iodizzare il sale. Ciò ha effetti positivi per tutti. Le donne possono contare su un reddito stabile, noi abbiamo il sale iodizzato per i nostri programmi e ora il sale iodizzato viene venduto dai produttori ai villaggi aiutando a combattere la malattia. Si tratta di un esempio di come si possa sostenere la popolazione locale nell’autosviluppo salvaguardando, sempre, la dignità delle persone che assistiamo.

    Infatti, lo scorso anno il WFP ha acquistato cibo per oltre 1 miliardo di dollari, per i propri programmi, direttamente nei paesi in via di sviluppo aiutandoli a spezzare alla radice il circolo vizioso della povertà.

    I programmi di alimentazione scolastica hanno dimostrato nella loro applicazione di consentire la fornitura di pasti e altri servizi sociali basilari ai bambini, garantendo nel contempo la loro istruzione. Non c’è forse esempio migliore di programma di alimentazione scolastica di quello che gestiamo in Afghanistan. Lì, abbiamo visto un’intera generazione di ragazze andare a scuola per la prima volta. Si tratta di un enorme cambio per un paese che una volta vietava alle bambine di andare a scuola. Sappiamo che le famiglie sono più propense a mandare i propri figli a scuola se questi riceveranno un pasto durante la giornata.

    I programmi di alimentazione scolastica del WFP, nel mondo, hanno aumentato le iscrizioni scolastiche del 28 per cento per le ragazze e del 22 per cento per i ragazzi, rappresentando un mezzo efficace e sostenibile per fornire istruzione e nutrizione rafforzando, nel contempo, il ruolo sociale delle donne e delle ragazze.

    Un altro esempio entusiasmante del potere del mondo di agire positivamente è, oggi, Gaza. Conosciamo la crisi umanitaria in atto, io stessa l’ho potuta vedere con i miei occhi appena due settimane fa: la gente non poteva prelevare le consuete razioni alimentari a causa dell’azione militare e, anche se avevano il cibo, non lo potevano cucinare. Il WFP ha lanciato un appello chiedendo aiuto al settore privato per trovare cibo altamente nutriente e pronto all’uso per i bambini di Gaza. Oggi, sono disponibili barrette fortificate di datteri per Gaza grazie alla cooperazione con le aziende alimentare, dall’Egitto all’Olanda. Si tratta di un potente esempio di un’umanità, dal cuore amorevole, in azione.

    Bisogna lavorare tutti assieme. Il WFP collabora con istituzioni caritatevoli e ONG di tutto il mondo per garantire che i nostri programmi siano misurati sui bisogni locali. Le istituzioni cattoliche sono un partner chiave per il WFP. Ad esempio, il WFP lavora con le Caritas locali nelle diocesi di quasi 40 paesi in programmi di "cibo in cambio di lavoro", sanitari ed educativi. Lavoriamo anche con il Catholic Relief Services, collaborando in 15 paesi.

    Ho incontrato Papa Benedetto XVI e sono stata profondamente commossa dal suo impegno e compassione per gli affamati del mondo. Parlando recentemente, il Papa ha richiamato i governi a guardare ai poveri, specialmente ora: "Dobbiamo dare una nuova speranza ai poveri", ha detto. "Come non pensare a così tanti individui e famiglie schiacciati dalle difficoltà ed incertezze che l’attuale crisi finanziaria ed economica ha provocato su scala mondiale? Come non menzionare la crisi alimentare e il riscaldamento globale del pianeta che rendono ancora più difficile per chi vive in alcune delle zone più povere del pianeta l’accesso al cibo e all’acqua?". Nel suo messaggio al Corpo Diplomatico, l’8 gennaio 2009, il Papa, citando San Giovanni, ci indica la strada da seguire nel messaggio quaresimale di quest’anno: "Se qualcuno possiede i beni del mondo e di fronte a un fratello in necessità si rifiuta alla compassione, come può l’amore di Dio dimorare in lui?". Molte persone, specialmente in questo periodo quaresimale, vogliono sapere come possono aiutare. Ciò è manifesto nel messaggio quaresimale che abbiamo appena ascoltato con la sua sfida a crescere nello spirito del Buon Samaritano.

    L’assistenza umanitaria non è possibile senza l’intervento di Buoni Samaritani che aiutano le persone nel bisogno. Che si tratti delle generose donazioni dei governi nazionali o di collette fatte in chiese, moschee e scuole, le donazioni alle agenzie di soccorso come il WFP e la Caritas sono essenziali per continuare a raggiungere gli affamati nel mondo.

    Poco dopo essere giunta al WFP, ho lanciato la campagna "Fill the Cup" che prende il nome dall’umile tazza di plastica rossa nella quale serviamo porridge a pranzo a milioni di bambini. Questo semplice pasto costa solo 1 euro a settimana e può salvare la vita di un bambino. Abbiamo calcolato che con 3 miliardi di dollari l’anno, il mondo potrebbe eliminare la fame tra i bambini che studiano. La tradizione del digiuno volontario durante la Quaresima, combinato con la beneficienza, possono davvero cambiare la vita di un bambino.

    C’è bisogno anche che i governi nazionali assumano un ruolo guida. In questa fase di misure di salvataggio finanziario di trilioni di dollari, abbiamo bisogno di un salvataggio umano per combattere la fame. Abbiamo chiesto che lo 0,7 per cento di quanto previsto nei piani di rilancio sia destinato alla lotta contro la fame. Le misure di soccorso finanziario devono servire non solo a Wall Street e Main Street ma anche ai luoghi dove non ci sono strade.

    Ciascuno di noi ha una scelta; passare senza fermarsi accanto a chi ha bisogno o agire per aiutarlo. In questa Quaresima, scegliamo un mondo libero dalla fame.


    INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. PAUL JOSEF CORDES

    Ogni anno la parola del Papa ricorda il nostro impegno ad aprire il cuore e la mano a chi è nel bisogno. In questa Quaresima il Papa attira la nostra attenzione sul digiuno, che definisce come "il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento". Mrs. Josette Sheeran, direttore esecutivo del World Food Programme, con fatti concreti ci ha descritto la povertà, ma anche le possibilità per combatterla. La ringrazio per le sue parole di incoraggiamento e di richiamo. Per non degradarsi a ideologia o a puro esercizio mentale, l’aiuto ha sempre bisogno di concretezza, di affrontare direttamente le situazioni di miseria.

    Non dico una novità: carestie e penuria di mezzi sono ancora molto diffusi nel mondo. Dieci giorni fa ero nelle Filippine, a Manila, in un quartiere povero dal nome "Laperal Compound", accompagnato dal Direttore della Caritas locale. È molto diverso ammirare le immagini di posti da sogno in materiale pubblicitario, oppure, su passaggi stretti coperti da fango – quasi fogne a cielo aperto – stringere le mani di bambini, donne e uomini, entrare nelle loro baracche, incoraggiarli e benedire chi lo chiedeva. Poco dopo la visita, ho avuto occasione di interloquire sul mio incontro con la Presidente della Repubblica, la signora Gloria Macapagal Arroyo. Mi sono sentito in dovere di ricordare a lei, e poi ai Vescovi filippini – e lo voglio ricordare a chi è presente qui oggi, così come a me stesso: non possiamo semplicemente arrenderci alla miseria degli uomini; per quanto possiamo dobbiamo apporvi rimedio.

    L’intervento della Signora Sheeran e il mio breve richiamo alle Filippine ci hanno "messo con i piedi per terra". Questa prospettiva di realismo mi consente d’altra parte la possibilità di leggere adesso il nostro documento pontificio nell’orizzonte più grande della fede e del suo rapporto con lo stile di vita di oggi. Restando sensibili alla grande indigenza di tanti nostri contemporanei, possiamo evitare di diventare degli ideologi se evitiamo di limitare l’appello del Papa solo alle necessità che saltano agli occhi.

    "Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura" (Ef 5,29). L’apostolo delle genti, san Paolo, scrive questa osservazione nella sua lettera alla comunità di Efeso. La sua affermazione è palese. Forse riprende nella sua argomentazione un modo di dire consueto nell’antichità. Quasi in contemporanea con lui il poeta romano Decio Giunio Giovenale (†140 d.C.) forgiava la frase nota a tutti gli sportivi: "Mens sana in corpore sano – una mente sana in un corpo sano". Trattare bene il proprio corpo, curarlo con sollecitudine, non è malvisto da alcuno, ma a tutti ci appare come una cosa sensata, anzi lodevole. Senza alcuna esitazione?

    Ai nostri giorni questo desiderio umano ha raggiunto dimensioni gigantesche. Fanno rizzare gli orecchi i dati statistici sul mercato del "wellness". I moderni templi della cura del corpo negli ultimi anni hanno sperimentato una diffusione che toglie il fiato. Nel 2006 circa 8 milioni di italiani facevano uso di questi centri. 15 miliardi di euro erano i costi di questi training (Sole 24 Ore del 20.11.2007). Mentre in Germania nel 1980 erano circa 100.000 i frequentatori di centri fitness, oggi sono 13,5 milioni, dunque il 16,5% della popolazione. In Olanda li utilizzano il 16,4% degli abitanti (IST – Studien zum Fitness-Markt).

    Il nostro Messaggio Quaresimale si trova senza dubbio in una certa contraddizione con il trend sociale fin qui descritto; infatti le parole del Papa sulla rinuncia ad un primo sguardo non favoriscono le inclinazioni profonde dell’uomo. Tuttavia mirano al suo bene. Paradossalmente la cura illimitata del corpo in un certo momento può degenerare in suo indebolimento e provocarci danno. È possibile che le esigenze del corpo siano aumentate e incrementate. Il corpo insiste sempre più sui suoi diritti. Ma il suo desiderio di benessere e piacere forse riduce la libertà e non potrà poi più essere gestito dalla volontà dell’uomo. Il corpo diventa un tiranno. In Germania attualmente le case farmaceutiche vendono 19 milioni di pacchetti di mezzi dimagranti. Cifre eloquenti. E più che gli obesi ci interrogano i drogati. In essi si può riconoscere facilmente che non è più la ragione a scegliere, ma gli impulsi della carne.

    Nel corso dei secoli le religioni hanno considerato e raccolto le esperienze dell’uomo con il suo corpo – favorire la cura del corpo, sì, ma anche opporsi alla sua idolatria. Per esempio il buddismo. Suo scopo è il superamento di ogni sofferenza. Poiché il corpo per la sua avidità di cose materiali diventa spesso origine di sofferenza, il Buddha insegna come l’uomo si deve sciogliere dai legami terreni e come può vivere questa separazione. Deve disabituarsi alla sua "sete" di cose create, abbandonare la brama e le inquietudini che ne derivano, ucciderla dentro se stesso. Così giunge al "nirvana", al pieno estinguersi di ogni desiderio.

    Più conosciuta del percorso del buddismo verso la liberazione dalla sofferenza è la prassi di digiuno dell’islam. Per questa religione, il digiuno è la quarta colonna che la sostiene. Il mese di digiuno, il ramadan, è obbligatorio per tutti i musulmani – rinuncia ad ogni assunzione di cibo dal sorgere del sole fino al tramonto del suo ultimo raggio. Ma il crudo fatto del digiuno da solo non basta. Si deve invece verbalizzare che ha un suo senso religioso. Esso è reso più vivo dalla lettura del Corano e dai tempi di preghiera. Oltre alla serietà con cui viene realizzato, anche il significato del digiuno può essere esemplare per noi cristiani.

    Noi cristiani possiamo dunque imparare da queste religioni che il digiuno vuole imprimere un taglio netto alla nostra vita. Per loro non vuol essere semplicemente un tema di discussione per un talk televisivo. Anzi, e ancora più sconcertante per la società di oggi: il digiuno per le religioni che ho menzionate trascende la dimensione terrena e persegue un obiettivo al di là di questo mondo: l’ingresso nel nirvana o l’obbedienza verso Allah, Signore del cielo e della terra.

    Tuttavia il digiuno di queste religioni non può essere semplicemente identificato con quello cristiano. Esiste invece una differenza fondamentale tra il rifiuto del mondo da parte del Buddha o le leggi del ramadan islamico da una parte, e la Quaresima cristiana dall’altra. Il Buddha vuole liberare dal peso che la terra rappresenta; sopprimere lo stato di caduco attaccamento dell’uomo ad essa. Dietro si nasconde una visione del mondo gnostica, come se fosse buona solo la realtà spirituale, mentre quella corporale sarebbe necessariamente cattiva.

    Per l’islam esiste un’altra ragione per dimenticare ciò che è terreno. Dio ha il suo trono in una distanza infinita. Non si fa trovare nel mondo. Comunica con la creazione e con l’uomo solo mediante la sua legge, la sharia. Tanto meno Dio entra nel mondo, né si mescola con esso. Sarebbe un’eresia scandalosa affermare che Allah avrebbe come figlio un membro del genere umano. Allah nel Corano ha 99 nomi, ma mai è chiamato "padre".

    La motivazione che induce le due religioni al digiuno è la lotta contro il potere della materia sull’uomo. È influenzata dal pensiero dualistico. Il digiuno ha dunque una colorazione negativa; si tratta di liberarci dal peso che le cose create caricano su di noi. Ciò rischia però di isolare l’uomo, e dunque di chiuderlo e di ripiegarlo su se stesso. Per il cristiano invece il desiderio mistico non è mai la discesa nel proprio sé, ma la discesa nella profondità della fede, dove incontra Dio.

    Oggi non sperimentiamo solo una proliferazione delle istituzioni del fitness, ma ci troviamo anche nel mezzo di un supermercato di tutte le possibili religioni. Si tratta dunque sì di imparare dalle altre religioni, ma anche di non cancellare i contorni della propria fede, di non scegliere sostituti o surrogati, ma di restare fedeli all’eredità ricevuta e di conoscerla sempre meglio. La rivelazione divina dice qualcosa di nuovo in ogni epoca storica; è inesauribile.

    Non voglio ora presentarvi il contenuto del Messaggio papale: non voglio ripetere i dettagli, buoni ed utili, del digiuno, a cui Benedetto XVI fa riferimento: che mediante il nostro rinnovato rivolgerci a Dio possiamo trovare benevolo ascolto per le nostre preghiere; che con il nostro digiuno possiamo rendere possibile l’aiuto al misero; che dovremmo avere il coraggio dell’autocritica alla luce di Dio, per poi implorare il perdono dei peccati nel sacramento della penitenza. Non voglio spiegare tutto questo un’altra volta.

    Infatti tutti gli elementi menzionati sono solo mezzi. Servono ad un unico scopo. Papa Benedetto lo formula con le parole del suo Predecessore. La Quaresima offre al cristiano un percorso spirituale e pratico per esercitare senza tagli e riserve l’offerta di noi stessi a Dio (cfr. Veritatis splendor, 21). Questa è l’intenzione delle norme e delle pratiche quaresimali. Nel "fare di sé dono totale a Dio" (Messaggio Quaresimale 2009) risiede la differenza fondamentale con gli obiettivi del digiuno nelle religioni che sopra ho citato; il punto saliente della singolare visione cristiana.

    Il digiuno durante questa Quaresima non ha una colorazione negativa: come potremmo noi disprezzare la nostra carne, se il Figlio di Dio l’ha assunta diventando davvero nostro fratello! Lo spogliarsi e il rinnegarsi sono pienamente positivi: mirano all’incontro con questo Cristo. Dunque i cristiani quando digiunano non girano attorno a se stessi. Si uniscono al loro Signore che digiuna e per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto non ha preso cibo. In Cristo cercano la comunione con il Tu divino. In Lui ricevono nuovamente in dono quell’amore che rinnova il loro essere cristiani. Ed è così che si impegnano nella lotta alla miseria e diventano messaggeri dell’amore di Dio, come lo ha descritto in maniera così avvincente il nostro Papa nella sua prima enciclica "Deus Caritas est".

    Giungo alla conclusione.

    Dopo l’esperienza della seconda guerra mondiale e le sollecitazioni del Concilio Vaticano II anche nella Chiesa cattolica aumentò la disponibilità ad aiutare. Diocesi benestanti si apprestarono a dare una mano alle Chiese locali povere. Soprattutto nella Quaresima i Vescovi iniziarono a chiedere sostegno finanziario e diedero avvio nelle loro comunità a collette specifiche. Nel cosiddetto Primo Mondo nacquero le famose "Azioni quaresimali", che a livello mondiale fanno immensamente del bene e risvegliano speranza in situazioni disastrose. (In questo solco, devo anche ricordare che nei prossimi giorni, il 22 febbraio, ricorre il 25.mo anniversario della creazione della nostra Fondazione "Giovanni Paolo II per il Sahel" che finanzia progetti contro la desertificazione nel sud del Sahara).

    È nella natura delle cose che primariamente, e a volte esclusivamente, si sottolinei l’aspetto materiale della miseria, descritto in modo così convincente dalla sign. Sheeran. Tuttavia sarebbe molto superficiale se il senso della preparazione alla Pasqua si limitasse all’appello per la colletta.

    Perciò l’aspetto spirituale che il Messaggio Quaresimale in questo anno evidenzia, merita grande considerazione. La parola del Papa non vuole semplicemente aggiungere una ulteriore alle tante iniziative umanitarie dei nostri giorni. Vuole certamente ottenere che diamo quanto abbiamo risparmiato rinunciando a ciò che è "buono e utile". Ma questa azione deve avere per i fedeli un significato cristiano: contenere il proprio io deve fare spazio per l’offerta di sé a Dio; poiché solo Lui è, in fin dei conti, la felicità cui aneliamo.


    fonte: sala stampa santa sede

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    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2009

    Cari fratelli e sorelle!

    All'inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso allenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno - per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della potenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, "sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace" (Preconio pasquale). Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei soffermarmi quest'anno a riflettere In particolare sul valore e sul senso del digiuno. La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica. Leggiamo nel Vangelo: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4,1-2). Come Mosè prima di ricevere le Tavole della Legge (cfr Es 34,28), come Elia prima di incontrare il Signore sul monte Oreb (cfr 1 Re 19,8), così Gesù pregando e digiunando si preparò alla sua missione, il cui inizio fu un duro scontro con il tentatore.

    Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento. Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnano che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso induce. Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l'invito a digiunare. Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda all'uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire" (Gn 2,16-17). Commentando l'ingiunzione divina, san Basilio osserva che "il digiuno è stato ordinato in Paradiso", e "il primo comando in tal senso è stato dato ad Adamo". Egli pertanto conclude: "Il 'non devi mangiare' è, dunque, la legge del digiuno e dell'astinenza" (cfr Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come un mezzo per riannodare l'amicizia con il Signore. Così fece Esdra prima del viaggio di ritorno dall'esilio alla Terra Promessa, invitando il popolo riunito a digiunare "per umiliarci - disse - davanti al nostro Dio" (8,21). L'Onnipotente ascoltò la loro preghiera e assicurò il suo favore e la sua protezione. Altrettanto fecero gli abitanti di Ninive che, sensibili all'appello di Giona al pentimento, proclamarono, quale testimonianza della loro sincerità, un digiuno dicendo: "Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!" (3,9). Anche allora Dio vide le loro opere e li risparmiò.

    Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l'atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale "vede nel segreto, e ti ricompenserà" (Mt 6,18). Egli stesso ne dà l'esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Il vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il "vero cibo", che è fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore "di non mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male", con il digiuno il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia.

    Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cristiana (cfr At 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5). Anche i Padri della Chiesa parlano della forza del digiuno, capace di tenere a freno il peccato, reprimere le bramosie del "vecchio Adamo", ed aprire nel cuore del credente la strada a Dio. Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e raccomandata dai santi di ogni epoca. Scrive san Pietro Crisologo: "Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica" (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

    Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una "terapia" per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostolica Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a "non più vivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e ... anche a vivere per i fratelli" (cfr Cap. I). La Quaresima potrebbe essere un'occasione opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costituzione apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di quest'antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all'amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr Mt 22,34-40).

    La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità alla persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere nell'intimità con il Signore. Sant'Agostino, che ben conosceva le proprie inclinazioni negative e le definiva "nodo tortuoso e aggrovigliato" (Confessioni, II, 10.18), nel suo trattato L'utilità del digiuno, scriveva: "Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita un'interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio.

    Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. Nella sua Prima Lettera san Giovanni ammonisce: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?" (3,17). Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Enc. Deus caritas est, 15). Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza e di attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunità ad intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunitario, coltivando altresì l'ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l'elemosina. Questo è stato, sin dall'inizio, lo stile della comunità cristiana, nella quale venivano fatte speciali collette (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e i fedeli erano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato messo da parte (cfr Didascalia Ap., V, 20,18). Anche oggi tale pratica va riscoperta ed incoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale.

    Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un'arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui effetti negativi investono l'intera personalità umana. Opportunamente esorta un antico inno liturgico quaresimale: "Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia - Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti".

    Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalità di aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr Enc. Veritatis splendor, 21). La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Penso in particolare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio divina, nel ricorso al Sacramento della Riconciliazione e nell'attiva partecipazione all'Eucaristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale. Con questa interiore disposizione entriamo nel clima penitenziale della Quaresima. Ci accompagni la Beata Vergine Maria, Causa nostrae laetitiae, e ci sostenga nello sforzo di liberare il nostro cuore dalla schiavitù del peccato per renderlo sempre più "tabernacolo vivente di Dio". Con questo augurio, mentre assicuro la mia preghiera perchè ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra un proficuo itinerario quaresimale, imparto di cuore a tutti la Benedizione Apostolica.

    Dal Vaticano, 11 Dicembre 2008

    BENEDICTUS PP. XVI

    [00203-01.01] [Testo originale: Italiano]

    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

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    24/02/2009 14.25.02
    Il significato del digiuno cristiano rispetto alle altre religioni nella riflessione quaresimale del cardinale Paul Josef Cordes



    "Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo". E' una delle riflessioni di maggior richiamo contenuta nel Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2009. Domani, il Papa - che non terrà al mattino la consueta udienza generale - presiederà il rito di benedizione e imposizione delle Ceneri, che segna l'inizio della Quaresima, al termine della celebrazione eucaristica nella Basilica romana di Santa Sabina. Al microfono di Roberto Piermarini, il cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, si sofferma sul valore attribuito da Benedetto XVI al digiuno cristiano:

    R. - Sono molto contento che il Papa abbia scelto questo tema. Viviamo in un mondo in cui c’è il culto del corpo. E’ vero che San Paolo dice: “Nessuno ha mai disprezzato il proprio corpo” e dunque è importante voler bene al corpo. Ma qualche volta questa cura è esagerata. Solo in Germania sono stati venduti 18 milioni di kit per il dimagirmento. Sappiamo tutti che dobbiamo limitarci a curare eccessivamente il nostro corpo. Quindi, da parte del Papa era importante parlare del digiuno. Inoltre, anche altre religioni praticano il digiuno. Conosciamo il Ramadan dell’islam: in un contesto di diversità religiose, quindi, è un compito molto importante sottolineare prima il digiuno e dopo riscoprire anche lo specifico del cristiano.


    D. - Non crede che questa cura ossessiva del corpo di cui lei parla, possa portare a un’idolatria del corpo stesso?


    R . - Certamente. Dicevano già i Romani: Mens sana in corpore sano. Una mente sana ha bisogno di un corpo sano. Il corpo ha il suo valore, non possiamo negare tutto questo. Però, curare eccessivamente il proprio corpo ha sempre i suoi rischi. Tutta la pubblicità, per esempio, ci mostra il bel corpo: raramente presenta i vecchi che stanno soffrendo. Il corpo è messo così in evidenza, per cui non vediamo più il fatto che più importante del corpo o insieme ad esso deve esserlo lo spirito, la volontà, la libertà. Sono valori astratti ma importanti per salvaguardare uno stato corretto e sano del corpo. Il culto del corpo è molto pericoloso. In Germania, c’era perfino un sapone che si chiamava “Kult”. Questo evidentemente non significa che non bisogna trattare bene il corpo, ma non si deve esagerare con questo desiderio di voler dominare con il corpo la volontà dell’uomo, altrimenti il corpo diventa un tiranno.


    D. - Cosa contraddistingue la pratica del digiuno cristiano da quello delle altre religioni?


    R. - Se noi guardiamo alle altre grandi religioni scopriamo che l’islam - ad esempio - non ha una relazione con il Creato come il cristianesimo. L’islam non può scoprire nel Creato nessun elemento divino perché Dio è lontanissimo dalla creazione: c’è un abisso tra Dio ed essa. Dio ispira la creazione tramite la legge, la sharia, non ha nessuna relazione personale con la creazione. Invece, il cristiano può identificarsi con il Creato, perché Cristo è il Figlio di Dio e si è incarnato, ha preso la nostra carne. Questa è una cosa insuperabile, perché così noi possiamo avere nel Creato una relazione con Dio stesso. Cristo è il nostro modello, lui è andato nel deserto e così possiamo trovare nel digiuno la persona di Gesù Cristo. Mi sembra che tutti i metodi del digiuno siano importanti, ma lo scopo è quello di vedere come Gesù Cristo viva il digiuno nel deserto: lì ci troviamo di fronte una persona. L’islam ha di fronte una legge, un Dio lontano, noi abbiamo Cristo vicino che ci dà l’esempio del digiuno. I metodi del digiuno hanno questo scopo e non sono molto importanti: importante è che troviamo Cristo. Il Papa dice nel suo Messaggio che il digiuno ci aiuta a dedicarci totalmente a Dio.


    D. - Eminenza, il digiuno volontario in tempo di Quaresima può contribuire a combattere la fame nel mondo?


    R. - Il Papa lo dice abbastanza chiaramente nel Messaggio. Se io nego qualche cosa di buono e di utile al mio corpo, mi rimane anche una certa somma di denaro. Se io nego ai miei occhi la televisione per un certo tempo, avrò tempo per pregare. Se io cancello nel mio cuore l’orgoglio, avrò forse desiderio di confessarmi. Così, il tempo di Quaresima è per me un tempo di approfondimento della vita cristiana. E’ quasi un esercizio spirituale. La Chiesa ci offre 40 giorni per prepararci alla Pasqua. Sono contento di questo Messaggio perché qualche volta nel mondo la preparazione alla Pasqua era solo un tempo per preparare la colletta e la gente pensava: se faccio una bella offerta ho fatto la mia preparazione. Invece, questo Messaggio quaresimale del Papa ci mostra chiaramente che ci sono altri elementi importanti quanto la colletta che ci indicano il vero senso della Quaresima che vuol dire prepararci a celebrare la Pasqua come morte e risurrezione di Gesù Cristo. Solo chi è morto può sentire la gioia della Risurrezione e solo chi ha fatto veramente un passaggio verso questa morte, negando se stesso, avrà la gioia di celebrare nella veglia di Pasqua la gioia della Risurrezione.

    fonte: Radio Vaticana
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    TERRA SANTA: QUARESIMA, UN PELLEGRINAGGIO VIRTUALE FINO A GERUSALEMME

    Un pellegrinaggio virtuale a Gerusalemme per la Quaresima. E’ l’iniziativa di Christian Aid che si apre domani sul sito internet http://lentpilgrimage.christianaid.org.uk in concomitanza con il Mercoledì delle Ceneri. Attraverso brevi video, podcast, gallerie fotografiche, storie e testimonianze i partecipanti, che potranno iscriversi direttamente sul sito, saranno condotti in Terra Santa. La durata del pellegrinaggio è quella della Quaresima, 40 giorni, ed in questo tempo saranno invitati a conoscere quei luoghi che hanno segnato il cammino di Gesù verso Gerusalemme. Nel sito, infatti, sono riportate le varie tappe di questo percorso descritte grazie all’aiuto di persone che hanno già viaggiato in queste zone, o che qui abitano o lavorano. Giorno per giorno, cliccandovi sopra si potrà conoscere, per esempio, Nazareth, Betlemme, Gerico, il luogo del battesimo sul Giordano, Ramallah e Hebron. Luoghi antichi e moderni che raccontano anche il conflitto ultradecennale che segna questa terra e che vogliono mostrare cosa significhi lavorare per la pace. I pellegrini virtuali potranno ‘postare’ i loro commenti e riflessioni ed eventualmente porre domande, offrire preghiere e sostenere opere di solidarietà per le comunità locali.

    fonte: Agenzia SIR
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    Inizia la Quaresima tempo di fraternità
    Nelle diocesi italiane tanti progetti di carità concreta A Tivoli nascerà una mensa per poveri e anziani soli
    DI AUGUSTO CINELLI


    Una scelta volontaria che libera il credente dalle catene dell’egoismo e lo apre all’amore di Dio e del prossimo. È il senso che la tradizione cristiana ha da sempre attribuito al digiuno quaresimale, un gesto che quest’anno Benedetto XVI ha messo al centro del suo messaggio per il tempo, che si apre oggi, di preparazione alla Pasqua. Proprio il mercoledì delle Ceneri, del resto, sottolinea l’importanza del digiuno, come segno di rinuncia e di educazione alla volontà e alla vicinanza ai fratelli. L’astinenza dal cibo, sottolinea nel messaggio il Pontefice, offre la concreta opportunità di mostrare attenzione a chi è in difficoltà, destinando il frutto della rinuncia a gesti di solidarietà. Come accade nella diocesi di Tivoli, dove, per iniziativa del vescovo Mauro Parmeggiani, dei sacerdoti e dei fedeli tiburtini, quanto raccolto con il digiuno quaresimale servirà a realizzare una mensa per i poveri e gli anziani soli. La mensa porterà il nome del santo martire Lorenzo, patrono della città e della diocesi di Tivoli, cui la Chiesa tiburtina sta dedicando un anno di speciali celebrazioni, per commemorare i 1.750 anni dal martirio. «In questo momento in cui i poveri sono sempre più poveri e gli anziani sempre più soli – spiega il vescovo – abbiamo pensato ad un piccolo segno di vicinanza a loro, che rimanga a ricordo dell’anno dedicato al diacono san Lorenzo e dia l’opportunità a chi fa fatica a mettere insieme ogni giorno il pranzo, di trovarsi alcune volte alla settimana non solo per consumare un pasto caldo ma per farlo insieme a chi condividerà con loro, oltre alle risorse economiche, anche il tempo, la compagnia e il dialogo fraterno».
    Durante le Messe di oggi, in tutte le parrocchie della diocesi verrà raccolto il frutto del digiuno, che sarà poi consegnato in occasione dei pellegrinaggi di ciascuna vicaria alla cattedrale di San Lorenzo che si svolgeranno ogni domenica pomeriggio del tempo quaresimale. Dopo il raduno dei gruppi vicariali presso la chiesa di San Pietro della Carità, seguiranno la «statio» penitenziale e il pellegrinaggio verso la Cattedrale, dove il vescovo Parmeggiani presiederà la celebrazione eucaristica. Le offerte della comunità diocesana per la nascente «Mensa di san Lorenzo» saranno dunque espressione concreta dello stile penitenziale manifestato dai pellegrinaggi dell’Anno Laurenziano, a dimostrazione di una attenzione e di una condivisione verso i fratelli indigenti che è insito nel significato del tempo di Quaresima. La mensa sarà inaugurata nella prossima estate e sarà coordinata dalla Caritas diocesana.

    fonte: Avvenire, 25/02/09
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    Dai vescovi l’invito ad «aprire» il cuore al prossimo
    DI PAOLO PITTALUGA


    Come tradizione, il tempo di Quaresima offre ai vescovi italiani l’occasione per riflettere sulle istanze della Chiesa locale. E in un momento difficile come l’attuale, i presuli si soffermano sull’invito a cambiare stile di vita.
    Ne è convinto il vescovo di Carpi, Elio Tinti, che nel suo messaggio individua due temi: tempo di conversione e cambiamento di stile di vita di fronte alla crisi economica. Spiegando il rito delle ceneri il presule emiliano osserva: «Vorremmo bruciare in questa Quaresima il nostro orgoglio, la nostra prepotenza e arroganza; ogni nostro egoismo, ipocrisia, falsità e disonestà; ogni desiderio cattivo, pigrizia e vizio». E ancora, «Vorremmo bruciare le nostre parole volgari, le disobbedienze e i desideri di fare quello che ci pare ». Riferendosi all’attualità, Tinti sostiene che la crisi «ci obbliga tutti a nuovi stili di vita, a un tenore di vita più sobrio, più essenziale, più attento a chi sta peggio, a ripensare una diversa scala di valori e d’importanza delle cose che viviamo».
    Davanti allo «tsunami economico » e al rischio di un’estensione della crisi generati dall’«incoscienza di molti» la Chiesa di Ariano Irpino-Lacedonia, nell’Avellinese, è vicina a chi soffre, famiglie, cassa integrati, disoccupati e licenziati. Lo scrive il vescovo, Giovanni D’Alise, nel messaggio Il digiuno: scuola e palestra per nuovi stili di vita essenziali, sobri e solidali.
    La crisi per il presule è «un’opportunità per un ripensamento degli stili di vita », perché «consumare non è un valore in sé». Ecco allora l’importanza del digiuno che è «terapia per conformarsi alla volontà di Dio», che «conferisce unità alla persona», «che apre il cuore al prossimo» e che dispone all’ascolto di Cristo: uno stimolo ad «una vera conversione interiore».
    Seguire il Cristo, mettere in pratica il Vangelo e vivere quotidianamente con gioia l’appartenenza alla Chiesa» sta riuscendo sempre più difficile, scrive Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Acerenza, in Basilicata, nel messaggio Quaresima: tempo di Parola, per la riconciliazione, per la carità. Secondo il presule è però possibile credere al Vangelo se «si immette nella mente e nel cuore il dinamismo della conversione, del cambiamento di mentalità e del rinnovamento della vita». Così si può iniziare il cammino quaresimale con scelte e «comportamenti per uno stile di vita cristiana sobrio ed essenziale», puntando sulla riscoperta della Parola, mettendo in pratica il digiuno «dai pettegolezzi», riconciliandosi «con Dio, con i fratelli e con sé stessi» e accostandosi alla Confessione. E ancora aprendosi a gesti di accoglienza e di solidarietà con i poveri che guardano con fiducia alla Chiesa e non possono essere delusi.
    Un invito alla conversione dei cuori e delle menti, per smontare la falsa visione della vita, dando ad essa il suo reale significato. È questo il cuore del messaggio di Vincenzo Bertolone, vescovo di Cassano all’Jonio. «Il Signore – scrive il presule calabrese – ci viene incontro e ci sollecita alla conversione, a cambiare direzione di vita, ma pretende di separarci dalle certezze costruite ad arte; ci chiede di seguirlo, ma desidera che lo facciamo portando una croce sulle spalle». Come vivere dunque la Quaresima? «Desiderando – scrive Bertolone –, cercando e trovando tempo per ascoltare Dio, per incontrarlo nella preghiera, nella misericordia e nelle rinuncia». Di qui l’invito a lasciare «aperto l’uscio della nostra anima al Signore perché entrandovi faccia sparire come nebbia al sole le comode posizioni in cui ci stavamo crogiolando ».
    Ha colloaborato Quinto Cappelli

    fonte: Avvenire, 25/02/09
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