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Discussione: L'aborto non può essere terapeutico

  1. #1
    Moderatrice L'avatar di AntonellaB
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    L'aborto non può essere terapeutico

    L'aborto non può esser terapeutico, lo dico da medico ateo»


    di Raffaella Frullone


    «Bisogna esser franchi: scientificamente è impossibile dire, osservando un feto da ecografia, che il bimbo sarà sicuramente sanissimo o avrà dei problemi molto gravi. Impossibile dire che le cose saranno tutte nella norma, oppure che non lo saranno, o in che misura. Possiamo avere delle proiezioni, bisogna essere onesti e dire queste cose: dall’ecografia non possiamo in alcun modo avere certezze di quello che sarà».
    Non usa mezze misure Bernard Dan, neurologo pediatrico, capo del dipartimento di neurologia e direttore medico associato del Hôpital Universitaire des Enfants Reine Fabiola, nonché professore ordinario di neurologia e neurofisica dello sviluppo all’Université Libre de Bruxelles. «Questo non significa che non sia utile conoscere le proiezioni – ha sottolineato il professore intervenendo ad un incontro all’ultima edizione del Meeting di Rimini a fine agosto – è sempre funzionale farsi un’idea, per capire cosa possiamo aspettarci, ma l’avvenire non lo conosciamo realmente se non quando ci si presenta, e le condizioni di un bambino le conosciamo realmente solo quando nasce».

    Al Meeting Dan è arrivato per raccontare la storia di Giulia, la bambina che non doveva nascere. Ai suoi genitori infatti nel 2002 era stato consigliato l’aborto terapeutico poiché un’ecografia aveva rilevato delle anomalie. «Vostra figlia sarà un vegetale» aveva detto il medico a Mariangela Fontanini e Riccardo Ribera D’Alcalà, ma ai due, usciti dallo studio medico, basta uno sguardo di intesa per dirsi che la bambina sarebbe nata. Giulia oggi è tutt’altro che un vegetale. Certo non cammina e non parla, ma capisce due lingue, si muove, mangia, piange quando è triste, ride quando è contenta, ha una memoria incredibile per i volti.

    «Giulia è arrivata da me con i suoi genitori perché aveva problemi di sviluppo,
    problemi conseguenti ad una malformazione celebrale. Mariangela e Ricardo non avevano un buon rapporto con i medici poiché ancora fortemente scottati dalla "terapia" che era stata loro proposta durante la gravidanza, ossia l’aborto. Erano rimasti sconcertati dal fatto che non fosse stata presentata loro un'alternativa. Così ho dovuto prima ricostruire un rapporto con loro e poi cercare di entrare in relazione con Giulia – spiega Dan Bernard, che lo scorso anno è stato anche Presidente dell’accademia europea per la disabilità infantile - L’errore più comune, in presenza di un bambino affetto da handicap, è quello di concentrarsi sulle abilità che non possie: non parla, non cammina, ecc. Invece il nostro compito è quello di guardare la persona nella sua totalità, osservando quello che fa, come lo fa e perché lo fa e Giulia è capace davvero di tantissime cose. Questo percorso ci conduce verso la conoscenza reale della bambina. Se all’inizio erano state dette cose negative, per avere un’immagine completa e reale dobbiamo riconoscere le cose positive, è innegabile che quello che vediamo oggi è di una ricchezza molto più grande di quello che potevamo immaginare prima conoscendo l’immagine di Giulia solo attraverso l’ecografia».

    Eppure ai genitori era stato proposto un aborto terapeutico… «Aborto terapeutico è un’espressione grottesca, quello che dobbiamo aspettarci dalla medicina è migliorare la conoscenza che abbiamo, migliorare la condizione dell’uomo e della sua libertà, alleviare i sintomi, proporre terapie. Se un feto presenta delle gravi anomalie, la medicina non può dire che presenta una terapia suggerendo un aborto. Il mio è un discorso umiltà ed etica responsabile».

    Il professor Dan in sostanza sostiene la necessità di creare uno staff per l’accompagnamento dello sviluppo dei ragazzi affetti da handicap. La chiama «la rete protettiva», una trama di rapporti sociali, famigliari e affettivi che non solo aiutano la famiglia ad affrontare la situazione, ma contribuiscono in maniera decisiva al miglioramento psicofisico del paziente, il calore umano secondo il neuropsichiatra, sarebbe una terapia insostituibile e straordinariamente efficace.

    Diverse testate hanno parlato di Dan Bernard come il “il professore ateo”, ma lui sottolinea «Non mi definirei esattamente ateo, ma certo non ho difficoltà a dire che i miei discorsi medici e scientifici sono atei nella sostanza perché non hanno bisogno di riferirsi a Dio per stare in piedi. L'investimento nel mio lavoro è dovuto ai miei valori, che sono quelli della famiglia, e al mio ruolo di padre. Non c’è soddisfazione maggiore che entrare in comunicazione con un bambino che apparentemente non comunica. Quando mi inginocchio per parlare con loro, èil momento in cui mi sento il più grande tra gli uomini».

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  2. #2
    Vecchia guardia di CR L'avatar di haxel
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    in effetti non ha nulla di teraupetico
    Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli

  3. #3
    Iscritto L'avatar di (Riccardo)
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    bioetica...

    La parola stessa" bioetica" lascia perplessi....
    Stimolati dal progresso scientifico spesso perdiamo il senso delle radici stesse dell'essere:parlo di campi medici e non, di radice non squisitamenta cattolica.La vita,frutto d'amore e,spero,responsabilita',appare nell'ecografia,come bell'immagine strutturata e crescente ma sotto il nostro controllo arbitrario.
    Tutto questo se da un lato puo' dare un senso di tranquillo dominio delle cose naturali,altrimenti rischia di estromettere il concetto di Essere in se',figura questa si etica,dai piani di disegni che ci superano abbondantemente.
    Nisi Deus non daretur...ecco gli ultimi decenni,ora comincia, mi auguro, la fase nuova della coscienza ;le armi che abbiamo come sempre,purtroppo pero', hanno un doppio taglio...

    Ammiro la forza interiore di coloro che sanno accettare tutte le creature che il buon Dio ci regala.
    Ed ammiro la loro fede.
    riccardo

  4. #4
    Fedelissimo di CR L'avatar di Giovy
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    Perdono e amore per curare il post-aborto

    I CAV e l'adorazione eucaristica per sanare le ferite



    di Antonio Gaspari

    FIRENZE, domenica, 6 novembre 2011 (ZENIT.org) - Accoglienza, ascolto, cura psicologica e spirituale: questo è quanto i Centri di Aiuto alla Vita vogliono offrire alle mamme traumatizzate dal post-aborto.

    Nel corso del XXXI convegno nazionale dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV) che si svolgendo a Firenze, il vicepresidente del movimento per la Vita, Roberto Bennati, ha raccontato che “sono sempre di più le donne che hanno abortito che cercano consolazione nei nostri CAV”.

    Si tratta di una nuova emergenza a cui stiamo cercando di rispondere, organizzando e preparando le nostre operatrici perché siano in grado di fornire un servizio di prima accoglienza, dopodiché ci si indirizza dagli specialisti, psichiatri e psicologi che fanno parte di una rete di assistenza qualificata e amorevole”.

    Bennati ha precisato che si sta pensando seriamente ad offrire un recupero anche in campo spirituale; per questo al Convegno nazionale è stato invitato don Alberto Pacini, che promuove e diffonde l’Adorazione Eucaristica perpetua come riparazione e liberazione.

    “Abbiamo cominciato questo lavoro tre anni fa ed ora vogliamo dare continuità e completezza, non solo con la cura psicologica ma anche con quella spirituale”, ha sottolineato il vicepresidente del MpV. “I CAV – ha concluso Bennati - ascoltano e accolgono, sono luoghi di perdono, e le donne lo sanno”.

    Il prof. Tonino Cantelmi, direttore del servizio Psichiatrico dell’Istituto Regina Elena di Roma, docente universitario, autore di innumerevoli studi e libri - l’ultimo scritto insieme a Cristina Cacace e Elisabetta Pittino con il titolo Maternità interrotte. Le conseguenze psichiche dell’interruzione volontaria di gravidanza (San Paolo Edizioni) - ha esordito affermando che “L’aborto volontario è un fattore di rischio per la salute mentale della donna”. “Non si tratta di una opinione ma di una verità scientifica riconosciuta ormai a livello internazionale”.

    A questo proposito il prof. Cantelmi ha citato uno studio pubblicato a settembre dal British Journal of Psychiatry, in cui l’autrice Priscilla Koleman ha esaminato 22 ricerche di area anglosassone e incrociato i dati relativi a 36 diversi disturbi e a quasi 900.000 persone per arrivare ad un risultato drammatico: “le donne che hanno abortito registrano l’81% di aumento del rischio di soffrire di problemi mentali”.

    Tra i disturbi, il prof. Cantelmi ha elencato, l’ansia, la tendenza al suicidio, il ricovero in reparti psichiatrici, l’abuso di sostanze, l’uso di psicofarmaci. Per questi motivi, ha precisato il noto psichiatra, “noi diciamo che lo Stato deve farsi carico di questo problema”.

    “Lo Stato – ha aggiunto - deve sapere che per ogni interruzione volontaria di gravidanza, si minaccia la stato di salute mentale di chi la pratica”. Cantelmi ha anche detto che “va rivista la pratica del consenso informato, perché quando una donna va al consultorio, deve sapere che per ogni aborto volontario c’è un rischio molto altro per la sua salute mentale”.

    Don Alberto Pacini, rettore della Basilica di Sant’Anastasio a Roma, ha spiegato che “il sacramento dell’Eucaristia è legato alla riconciliazione. Si tratta un sacramento terapeutico, un sacramento di guarigione”.

    “Quando ci sediamo in confessionale in ascolto - ha aggiunto - ci troviamo a esercitare questo ministero di consolazione oltre che di guarigione interiore”.

    In merito all’aborto, don Alberto ha raccontato che il Vescovo gli ha concesso la facoltà di confessare questo peccato che è uno dei peccati gravi riservati alla Penitenzieria vaticana.

    Circa l’inconsolabilità di alcune donne che hanno praticato l’interruzione volontaria di gravidanza, don Alberto ha spiegato che il messaggio comunicato è di speranza e di misericordia.

    “La persona – ha precisato - deve sapere che può beneficiare della misericordia di Dio, deve sentirsi amata, deve sperimentare questo amore che guarisce, questo amore che aiuta a riparare, perché non basta la confessione ci vuole la riparazione”.

    “Gesù – ha aggiunto don Alberto - curava, accoglieva, perdonava, curava anche le ferite più gravi, e attraverso l’adorazione Eucaristica si permette al Cristo di aiutarci in un modo molto concreto”.

    A questo proposito il rettore della Chiesa di Sant’Anastasia ha raccontato di una cappella in cui “ci appelliamo al Signore attraverso l’intercessione di Maria per riparare il peccato di interruzione volontaria di gravidanza” e “non è un caso che due CAV a Roma sono sorti proprio nelle chiese dove si pratica l’adorazione Eucaristica perpetua”.

    Don Alberto Pacini ha concluso proponendo di aprire Centri di Aiuto alla Vita in ogni Chiesa dove si pratica l’adorazione Eucaristica perpetua.

    http://www.zenit.org/article-28579?l=italian

  5. #5
    Moderatrice L'avatar di AntonellaB
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    La menzogna dell'aborto che cura

    di Renzo Puccetti
    18-11-2011


    «Di fatto, per la donna sana con un matrimonio felice, l’aborto è più spesso veramente terapeutico». Con questa frase il dottor Malcolm Potts a pagina 227 del suo saggio scientifico dedicato all’aborto pubblicato per le edizioni dell’Università di Cambridge nel 1977, "demitizzava" il presunto danno per la madre derivante dall’aborto volontario. Chi era il dottor Potts? Si può rispondere che per decenni, assieme a Christopher Tietze, Mary Calderone, Alan Guttmacher, egli abbia costituito la punta di lancia dello schieramento militante di medici abortisti, risultato determinante per la legalizzazione dell’aborto in America e nell’occidente. Fondatore della prima clinica per la contraccezione giovanile a Cambridge, primo uomo ad operare alla clinica per aborti londinese Marie Stopes, primo direttore medico di una delle maggiori organizzazioni abortiste, la International Planned Parenthood Federation, ancora oggi dalla cattedra dell’Università di Berkley il professor Potts è attivo promotore di iniziative volte alla diffusione del controllo delle nascite e all’espansione dell’accesso all’aborto. Difficile immaginare qualcosa di diverso, se si è convinti che abortire faccia bene alla salute delle donne.

    In effetti l’abortismo libertario, per utilizzare una categoria del giurista Lombardi Vallauri, si è sempre affermato attraverso il tentacolo umanitario. Perché in moltissime legislazioni, compresa quella italiana, le donne possono liberamente abortire? Per salvaguardare, si dice, la loro salute, identificata nella quasi totalità dei casi, con la salute psichica. Negli anni della lotta per giustificare l’aborto legale come riconoscimento di un diritto alla salute, fu molto importante per il movimento abortista potere disporre di studi che dimostravano alti livelli di ansia tra le donne con gravidanza non programmata ed il miglioramento che seguiva l’interruzione volontaria della gravidanza. La frase citata in apertura, che semplicemente riprendeva una pubblicazione medica del 1970, può essere considerata un esempio di quell’azione ideologica camuffata da avanzamento nelle acquisizioni scientifiche.

    In effetti sarebbe stato strano che l’ansia connessa alla gravidanza e dalla preoccupazione per un livello in genere ad elevato contenuto emozionale, non si mostrasse mitigata nel breve periodo dopo l’aborto, ma che cosa succedeva guardando le cose con una prospettiva di puù lungo termine? In effetti nel corso degli anni ha cominciato a emergere una realtà assai diversa rispetto al quadro idilliaco di psico-terapeuticità dell’aborto: un certo numero di donne stavano male, alcune uscivano da quell’esperienza a pezzi e avevano cominciato a rivolgersi a psicologi, psichiatri, sacerdoti in cerca di una qualche forma di aiuto, per un malessere che non voleva saperne di abbandonarle. Dopo una serie di studi risalenti in maggioranza agli inizi degli anni 2000, nel 2004 giunse uno dei colpi più forti alla teoria fino a quel momento sostenuta da uno studio molto ampio della durata di 14 anni condotto confrontando tutte le donne che dal 1987 al 2000 avevano abortito volontariamente con le altre che invece avevano patito un aborto spontaneo o invece avevano portato a termine la gravidanza con la nascita del figlio. Lo studio venne pubblicato sulla rivista dei ginecologi americani e mostrò che l’aborto volontario si associava ad una mortalità tripla e addirittura, se si andavano a contare le morti da causa violenta, l’incidenza risultava aumentata di ben sei volte. Dopo quello studio non si poteva più sostenere che le donne avessero una saluta migliore dopo l’aborto.

    Colto in fallo il movimento abortista mise immediatamente al lavoro i propri tecnici, per depotenziare l’esplosività di quel dato e questi riuscirono a tirare fuori dal cilindro una soluzione, seppure parziale: quel risultato non attestava la pericolosità dell’aborto per la salute mentale delle donne per due motivi sostanziali, il primo perché il confronto sarebbe dovuto essere svolto confrontando le donne che abortiscono non con tutte le donne che partoriscono, ma con solo quelle che portano a termine una gravidanza non programmata o espressamente indesiderata, la seconda ragione che inficiava il risultato consisteva nella mancanza di controllo della salute mentale prima dell’aborto. Si formò così piuttosto velocemente la linea del Piave dell’abortismo psichiatrico e ginecologico: le donne che abortiscono non stanno psicologicamente peggio a causa dell’aborto, ma i problemi psichici sono presenti tra queste in maggiore misura prima dell’aborto e determinano un maggiore rischio di aborto; se si considerano questi fattori l’aborto non esercita alcun impatto negativo sulla salute mentale delle donne che ad esso si sottopongono. Nel 2006 un altro ricercatore, il neozelandese Fergusson, non credente, schierato su posizioni pro-choice, pubblica i risultato di un’indagine in cui più di mille bambini vengono seguiti dalla nascita fino l’età di 25 anni. Pur tenendo di conto di numerosissimi altri fattori che teoricamente potevano influenzare il risultato emerge che le ragazze con esperienza di aborto volontario mostravano un’incidenza di ansia, depressione e pensieri suicidari significativamente superiore alle coetanee che non erano mai rimaste incinte ed a quelle che, incinte, avevano fatto nascere il bambino.

    C’è di più, il dottor Fergusson, dopo la pubblicazione dell’articolo, rivela al pubblico di avere subito pressioni affinché quei dati non fossero pubblicati. Si trattava di una realtà scomoda, un non credente non poteva essere accusato di confessionalismo. Come un orologio il movimento abortista si mise di nuovo al lavoro e trovò la soluzione nella pubblicazione di revisioni della letteratura, la più importante delle quali, nel 2008, ad opera niente di meno che della potente associazione degli psicologi americani, una realtà dove il pensiero relativista è pressoché un dogma di fede. Che tra i sei revisori almeno due, Brenda Major e Nancy Felipe Russo fossero esponenti dichiarati dell’ideologia abortista, ed altri, come Linda Beckman, appartenenti al fronte pro-choice, è dettaglio da non trascurare, tanto che già a nomine appena avvenute, il mondo pro-life esprimeva la certezza di un pronunciamento negazionista. E questo è infatti quanto avvenne; attraverso un sapiente gioco di selezione degli studi e di valutazione differenziata delle problematiche metodologiche a seconda del risultato degli studi, la commissione giunse a concludere che «tra le donne che hanno un singolo aborto legale nel primo trimestre per una gravidanza non programmata per ragioni non terapeutiche, il rischio relativo di problemi mentali non è maggiore del rischio tra le donne che portano a termine una gravidanza non programmata».

    Nel 2011 è infine apparsa una medesima revisione del collegio degli psichiatri inglesi che, seppure in maniera più sfumata, afferma che «i risultati per la salute mentale sono probabilmente gli stessi, indipendentemente che la donna con gravidanza indesiderata opti per l’aborto o la nascita», aggiungendo però uno spunto precauzionale: «se le donne che abortiscono mostrano una reazione emotiva negativa all’aborto, o fanno esperienza di eventi vitali stressanti, dovrebbe essere offerto sostegno e controlli poiché con maggiore probabilità di altre sviluppano un problema di salute mentale». La saga potrebbe sembrare finita qui, ma in effetti non è così. Con una articolo "bomba" apparso sul numero di settembre della rivista degli psichiatri inglesi Priscilla Coleman, specialista con lunga esperienza di studio ed assistenza alle donne in difficoltà psicologica dopo l’aborto, pubblica una revisione dei dati su poco meno di novecentomila donne che per la prima volta assembla le risultanze numeriche provenienti da 22 studi ed il risultato è chiaro: rischio aumentato di ansia, raddoppio dell’abuso di alcool, uso di marijuana più che triplicato, rischio suicidarlo aumentato di due volte e mezzo; nel complesso un aumento dell’81% di problemi psichici a carico delle donne che abortiscono.

    L’articolo ha suscitato un prevedibile polverone, accuse di incompetenza scientifica e faziosità sono state apertamente rivolte all’autrice, critiche al processo scientifico che ha portato all’accettazione dell’articolo da parte sulla rivista e invito al ritiro dello studio hanno caratterizzato il contenuto di numerosi commenti. Accanto a questi, la difesa del prof. Fergusson che ha anticipato un prossimo studio realizzato con lo stesso approccio della Coleman, ma tenendo conto delle critiche rivolte al suo lavoro. Il risultato? Considerando anche i soli studi in cui le condizioni psichiche erano valutate anche prima dell’aborto, vengono confermati l’incremento del rischio per la salute delle donne che abortiscono (+36%), l’aumento del disturbo d’ansia, dell’abuso di sostanze, dei comportamenti suicidari.

    In conclusione credo che la lezione da trarre sia la stessa che abbiamo scritto al Bristish Journal of Psychiatry che l’ha pubblicata tra le lettere: allo stato delle conoscenze è incontestabile anche per gli stessi abortisti che l’aborto non è per niente terapeutico; a livello di salute pubblica costituisce una procedura per le donne di nessuna utilità al fine della salvaguardia della loro salute mentale, si tratta in sostanza di una procedura futile. A livello fattuale il "serio pericolo per la salute della donna" posto a giustificazione della richiesta di aborto dalla legge italiana non riceve alcuna mitigazione dall’aborto. Vorrà il mondo della politica, dell’informazione, della cultura, della legge prenderne atto e trarne le logiche conseguenze? C’è da dubitarne, ma qui si gioca una buona fetta dell’onestà intellettuale di tanti attori sulla scena; hic Rhodus, hic saltus.

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  6. #6
    Veterano di CR
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    Superare residui ideologici. La solida regola del dialogo di fronte all'inedito-Ru486

    https://www.avvenire.it/opinioni/pag...l-ineditoru486

  7. #7
    Amministratore L'avatar di Raffaele
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    Citazione Originariamente Scritto da bingen2 Visualizza Messaggio
    Superare residui ideologici. La solida regola del dialogo di fronte all'inedito-Ru486

    https://www.avvenire.it/opinioni/pag...l-ineditoru486
    Ho concluso la lettura a questo punto:


    Ma la legge 194 non è una legge contro la vita e può essere accettata dai cattolici.



    Evidentemente abbiamo due idee molto diverse del cattolicesimo, e io non voglio avere proprio nulla a che fare con quello che viene promosso in quella lettera. E non perdo tempo in facili confutazioni.

    Siccome questo forum vuole essere e rimanere cattolico (nel senso autentico della parola) direi che possiamo fare a meno per il futuro di articoli simili.

    In generale Avvenire è purtroppo una fonte sospetta, e va presa con le pinze.
    In Cristo l'universo è creato e tutto sussiste in lui.

  8. #8
    CierRino d'oro L'avatar di ITER PARA TUTUM
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    D'altronde sappiamo tutti di chi è la proprietà di questo quotidiano (un tempo ero abbonato, ho disdetto da vari anni) e con un Presidente della CEI che ha definito la 194 "apprezzabile", davvero abbiamo poco da sperare.
    Non resta che si arrivi presto a toccare il fondo per poi cominciare la risalita.

  9. #9
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    Stop all’aborto eugenetico, la Polonia fa la storia

    Il 22 ottobre la Corte costituzionale ha dichiarato che il cosiddetto «aborto terapeutico» (l’uccisione del malato) è incompatibile con la carta fondamentale polacca, che tutela il diritto alla vita. Proteste violente da parte degli abortisti. L’evento è storico e mostra, anche all’Italia, che le norme ingiuste si possono abolire

  10. #10
    Gran CierRino di Platino e Diamanti L'avatar di sere85
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    In Italia non avverrà mai. Come può passare una cosa simile qualcosa la cei giudica apprezzabile la 194?
    Siamo seri...

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