
Originariamente Scritto da
Carbonate



É vera la precisazione che fai tra "uccidere" e "commettere omicidio", ma in questo caso è citata fuori contesto. Se un aggressore, con un atto ingiusto, mi mette in pericolo allora io ho il diritto di salvaguardare la mia vita anche se, per farlo, non posso evitare di provocare la sua morte. É l'aggressore, con la sua libera scelta, che mette in condizione l'aggredito di doversi difendere e lo "obbliga" a reagire. In una gravidanza il bambino non sceglie di compiere nessun atto che deliberatamente metta in pericolo la vita della madre, quindi la casistica morale della legittima difesa non regge in questi termini: l'aggressore ingiusto, in un certo senso, si espone al pericolo di poter perdere la vita in conseguenza della difesa dell'aggredito compiendo, per propria libera volontà, un atto malvagio. Il bambino, evidentemente, non fa niente di tutto questo. Questo vuol dire che la Chiesa obbliga tutte le madri ad essere delle martiri? Non esattamente. Quello che la Chiesa chiede è che non si persegua deliberatamente l'aborto, né come fine né come mezzo, perché non è mai lecito sopprimere volontariamente una vita innocente - ed è "innocente" a fare la differenza tra il caso dell'aggressore e quello del bambino nel grembo della madre -. Ma non vieta alla madre di sottoporsi a tutte quelle terapie che possono esserle utili anche se, qualora la madre sia in pericolo di vita, queste terapie sono incompatibili con la gravidanza. Qui sì si può chiamare a paragone il principio morale sul quale si regge la legittima difesa. Nella legittima difesa io non agisco con l'intenzione di uccidere l'aggressore ma agisco con l'intenzione di difendere il mio diritto alla vita: da tale azione, moralmente lecita, può derivare una seconda conseguenza non intenzionale, anche se non evitabile, che è quella di provocare la morte dell'aggressore. Nel sottopormi a terapie io non agisco con l'intenzione di sopprimere la vita che ho in grembo ma agisco con l'intenzione, moralmente buona, di prendermi cura della mia vita e può avere come seconda conseguenza, non intenzionale anche se non evitabile, di portare alla morte del bambino. Quello che non è moralmente lecito fare è perseguire intenzionalmente la morte del bambino. Può accadere che non possa essere evitata come conseguenza di una terapia che, se la vita della madre è a rischio - perché deve sempre essere salvaguardato il principio di proporzionalità tra la conseguenza intenzionale del proprio atto e le eventuali conseguenze non intenzionali che ne possono derivare -, può essere intrapresa.