Nosiglia: Torino diventi a misura degli ultimi
A partire dalla Fiat «la solidarietà è via obbligata»
DA TORINO
FEDERICA BELLO
«Né rassegnati, né indignati, ma impegnati per costruire insieme il futuro di Torino». È l’invito che a un anno dal suo arrivo nel capoluogo piemontese l’arcivescovo Cesare Nosiglia ha voluto rivolgere a tutta la città attraverso una lettera che ieri mattina ha presentato in Arcivescovado. Un messaggio per il nuovo anno indirizzato a quanti sono impegnati nella politica, nelle istituzioni, nel mondo ecclesiale, ma anche a ogni singolo cittadino perché «è importante che ognuno di noi faccia la sua parte perché l’avvenire di Torino sia una possibilità reale e già fin d’ora in costruzione».
Diffusa integralmente attraverso il settimanale diocesano torinese «La Voce del Popolo» e il sito www.diocesi.torino.it, la lettera «Il futuro di Torino nelle nostre mani» individua tre ambiti di intervento in cui impegnarsi e cooperare, individuando «proposte concrete di crescita e di rilancio nella nostra società»: il lavoro, i giovani, gli immigrati. Settori distinti, ma fortemente correlati in cui la Chiesa torinese desidera «mettersi in gioco in dialogo con il territorio, ma recuperando al massimo il suo specifico che è l’annuncio e la testimonianza del messaggio cristiano». Ed ecco che nell’ambito del lavoro il richiamo dell’arcivescovo Nosiglia è centrato sull’importanza del «fare squadra» e di fare della solidarietà una «via obbligata»: «È una riflessione che propongo a tutti – ha precisato – ma che voglio sottolineare in particolare per quanto riguarda la Fiat. Sono certo che lo speciale rapporto che il gruppo ha sempre avuto con Torino, e che si è mantenuto saldo anche nei momenti più complessi e difficili della sua storia, rappresenta un patrimonio di qualità che va oltre gli aspetti finanziari ed economici e investe altri valori altrettanto importanti sul piano umano, etico e comunitario, valori da non disperdere, anche a fronte del nuovo e articolato assetto internazionale che l’azienda ha assunto nel mondo». Da un lato rafforzare il «marchio Torino», dall’altro non ripiegarsi su se stessi facendo sì che la crisi diventi un «tempo propizio per ripensare lo stile di vita, per accorgerci che accanto a noi e con noi nella stessa città c’è chi ha bisogno del nostro aiuto». «In questo – ha proseguito – occorre abbassare le pretese e le attese, distribuire i sacrifici partendo da chi ha di più. I poveri e senza fissa dimora, gli ammalati e i disabili, i rom… fino agli anziani e ai bambini, il popolo degli ultimi, sono i nostri 'maestri'. Costruire una città a misura loro è il nostro comune obiettivo».
Una Torino dunque a misura degli ultimi e che guardando al futuro non può non tenere conto dei giovani, un universo troppo spesso correlato esclusivamente alle problematiche occupazionali. L’impegno a contrastare le tante fragilità dei giovani e a favorire il dialogo intergenerazionale devono essere rilanciati e sostenuti: «anche la nostra Chiesa diocesana ha bisogno di lasciarsi interpellare dall’'estraneità' dei giovani al nostro mondo culturale, sociale e pastorale. Forse dovremmo davvero aprire i nostri oratori anche nei centri commerciali e nei luoghi di divertimento». «Occorre dimostrare in forme efficaci ai giovani che si crede nelle loro capacità e creatività, che il mondo degli adulti ha fiducia in loro non solo a parole ma con mirate scelte politiche, economiche e culturali».
Infine l’invito dell’arcivescovo a non guardare agli immigrati - il 13% dei torinesi - solo in termini di assistenza. «Pensando alle nuove generazioni – ha concluso Nosiglia – ai molti bambini, ragazzi e giovani nati in Italia, dobbiamo chiederci in che modo lavoriamo per offrire loro prospettive di 'cittadinanza' nella nostra società, aiutando altresì i nostri giovani a considerare i loro coetanei immigrati non dei concorrenti, ma dei compagni di viaggio con cui costruire insieme il comune futuro».
fonte: Avvenire, 4 gennaio 2012, pag. 18