INGRESSO DEL VESCOVO
MONSIGNOR ANTONIO DI DONNA
NELLA DIOCESI DI ACERRA
O M E L I A
Cattedrale di Acerra, domenica 10 Novembre 2013
Miei cari fratelli e sorelle,
in questo primo incontro con voi vorrei che io e voi fossimo liberi da una preoccupazione: io dalla preoccupazione di farvi un discorso con il quale darvi una buona impressione sin dalle prime battute; e voi dalla preoccupazione di leggere, tra le righe, orientamenti e prospettive.
Vorrei liberarmi anche dalla tentazione di esporre un programma. Io non ho alcun programma; il programma lo faremo insieme, a partire già dai prossimi giorni, quando mi metterò in ascolto della vostra storia e delle vostre attese.
Io non ho un programma, il mio programma è il Vangelo, la parola del Signore, sulla quale getterò le reti; e, come il beato Vincenzo Romano, parroco di Santa Croce a Torre del Greco, anch’io dico: “ Niente io posso, niente io sono, sulla tua parola, come Pietro, mi immergerò in questo mare”.
Il mio programma è quello che il nostro s. Alfonso indica come il programma di un Vescovo. Egli dice che il Vescovo deve fare tre cose: pregare; predicare; dare udienza.
Vi dirò solo due parole, parole che sgorgano dal cuore, che traggo dalla Parola di Dio di questa domenica.
La prima parola è questa. Vengo a portarvi una buona notizia: Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi. Questo annuncio deve venire prima di ogni altra preoccupazione, deve starci a cuore, soprattutto a me Vescovo: non vorrei che l’amministrazione ordinaria della Diocesi mi distragga dall’annuncio del Vangelo. Ma l’annuncio deve stare a cuore anche a voi, soprattutto a voi cari fratelli presbiteri. Questo annuncio richiede di
pensare in grande, di guardare lontano, di prendere il largo. Questo annuncio richiede l’unità della Chiesa, l’unità del presbiterio. Non lasciamoci rinchiudere in questioni piccole e meschine!
Che cosa sono le nostre questioni interne di fronte alle grandi sfide del nostro tempo: come dire Dio oggi; come trasmettere la fede alle nuove generazioni; come educare a una nuova coscienza di fede; alla giustizia e alla salvaguardia del creato; come dare speranza alla gente?
Dio non è Dio dei morti ma dei viventi. Il Dio che sazia quella fame di vita iscritta nel cuore dell’uomo. Di quella vita in pienezza di cui ha fame la nostra gente, specialmente in questo momento della sua storia. Il nostro territorio è stato sottoposto, per molteplici fattori, ad un vero e proprio saccheggio ambientale, che è correlato con l’aumento di diverse malattie; inoltre, l’industria locale ha praticamente fallito i suoi obiettivi e ha compromesso la vocazione agricola del territorio; infine ci sono i bisogni delle fasce più deboli. Mi unisco al grido di giustizia che sale dalla nostra gente, e mi unisco a quel risveglio di coscienza e di partecipazione popolare che sta coinvolgendo molti cittadini.
Partiamo da questo grido, intercettiamo questa fame di vita, facciamo alleanza con essa per annunciare il Dio dei viventi, contro le profezie di morte che si susseguono in questi giorni. Recuperiamo il rispetto “per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, e per sora acqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”. Non si avveri quanto il capo Sioux diceva ai conquistatori che depredavano le sue terre: “ Quando avrete abbattuto l’ultimo albero della foresta e l’ultimo bisonte, quando avrete ucciso l’ultimo pesce, quando avrete inquinato tutte le acque, vi accorgerete che i soldi non si mangiano”.
La seconda parola è questa: il nostro Dio è un Dio di uomini, si lega a persone, è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Gesù. Sono venuto per edificare con voi un Chiesa di persone, una chiesa di volti, meno preoccupata della sua organizzazione, una chiesa snella, leggera, povera e libera. Una Chiesa di persone che vive relazioni umane profonde e autentiche. Vorrei puntare molto sulle relazioni umane, come indica il motto che ho scelto (“Apparuit humanitas Dei nostri”). Vorrei
avere un buon rapporto con voi, carissimi sacerdoti e diaconi, perché il benessere del presbiterio è il benessere di tutta la Chiesa locale. Vorrei avere un buon rapporto con voi, religiosi e religiose, e soprattutto con voi laici e laiche. Vengo per volervi bene.
Aiutatemi ad essere pastore in mezzo a voi secondo il profilo tracciato da Papa Francesco: “Siate pastori accoglienti, in cammino con il vostro popolo, con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione, capaci di guardare anche ai vostri limiti e di avere una dose di buon umorismo. Questa è una grazia che dobbiamo chiedere, noi Vescovi. Tutti noi dobbiamo chiedere questa grazia: Signore, dammi il senso dell’umorismo. Trovare la strada di ridere di se stessi, prima, e un po’ delle cose”. Aiutatemi ad essere così!
A te, Chiesa di Napoli, Chiesa Madre, affettuosamente presente con il suo Arcivescovo Crescenzio, con il Vescovo ausiliare Lucio e con tanti fratelli presbiteri e diaconi, il mio ringraziamento e la perenne gratitudine. A voi tutti, amici carissimi, che porterò sempre nel mio cuore, rinnovo la mia amicizia.
A te, Chiesa di Acerra, cui da oggi, e per il tempo che il Signore vorrà donarmi, mi consegno, offro il mio servizio e la mia guida, le mie energie, le mie doti e, sì, anche i miei limiti.
La vergine Maria, la divina pastora, la “bella mia speranza” cantata da s. Alfonso, ci accompagni. I santi patroni, s. Alfonso, san Cuono e figlio, intercedano per noi.
http://www.diocesiacerra.it/pls/acer...20Ingresso.pdf