Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Cronache della Diocesi di Avellino 2013

  1. #21
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    Ordinazione sacerdotale di don Errico Russo

    Nell’ANNO DELLA FEDE con cuore grato a Cristo sommo ed eterno Sacerdote, annuncio con gioia a tutta la santa Chiesa di Dio che è in Avellino l’ORDINAZIONE SACERDOTALE del diacono DON ENRICO RUSSO mediante l’imposizione delle mie mani e la preghiera di consacrazione nella chiesa Cattedrale di Avellino:

    Domenica della Divina Misericordia 7 Aprile alle ore 18,00.


    Accompagnate questo discepolo con la vostra presenza e la vostra preghiera affinché sia testimone e custode della fede nella nostra Chiesa diocesana.

    † FRANCESCO MARINO
    Vescovo di Avellino


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  2. #22
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    Settimana Santa 2013

    "Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso? Anzi, è la fonte della luce, la fede permette di guardare il «sole» di Dio, perché è accoglienza della sua rivelazione nella storia e, per così dire, riceve veramente tutta la luminosità del mistero di Dio" (Benedetto XVI)

    24 MARZO - DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
    - SS. Messe: ore 8 - 10 - 12,30 - 18,00.
    Ore 10,00 - Benedizione dei rami d’olivo nella Chiesa di S. Francesco Saverio, processione verso il Duomo e celebrazione eucaristica presieduta da S.E. Rev.ma Mons. Francesco Marino.

    25 - 26 MARZO LUNEDÌ E MARTEDÌ SANTO
    - Ore 17,00 - Confessioni
    - Ore 18,00 - S. Messa

    27 MARZO - MERCOLEDÌ SANTO

    - Ore 17,30 - Messa Crismale

    28 MARZO - GIOVEDÌ SANTO
    - Ore 18,00 - S. Messa in Coena Domini
    - Ore 21,00 - Adorazione Eucaristica Comunitaria

    29 MARZO - VENERDÌ DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

    - Ore 16,00 - Celebrazione della Passione del Signore
    - Ore 17,30 - Processione del Cristo Morto e della B. V. M. Addolorata Itinerario: Via Duomo - Via M. Del Gaizo - Via L. Amabile – Piazza J.F.Kennedy - Via Circumvallazione - Via F. Guarini - Piazza A. Moro - Via C. Colombo - Via Derna - Viale Italia - Corso V. Emanuele - Piazza Libertà - Via G. Nappi - Piazza G. Amendola - Via Duomo - Cattedrale.

    30 MARZO - SABATO SANTO
    - Ore 22,00 - Veglia Pasquale

    31 MARZO - PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE

    - SS. Messe ore 8,00 - 10,30 - 12,30 - 18,30 - Ore 10,30 - celebrazione eucaristica presieduta da S. E. Rev.ma Mons. Francesco Marino.

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  3. #23
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    19 marzo 2013: festività di San Giuseppe L'UFFICIO DI PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO DELLA DIOCESI DI AVELLINO VI INVITA A PARTECIPARE ALL' ORA DI ADORAZIONE EUCARISTICA IN ONORE DI SAN GIUSEPPE ALLE ORE 20:00 presso CHIESA "MARIA SS. DI COSTANTINOPOLI" IN CORSO UMBERTO AD AVELLINO.


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  4. #24
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    Via Crucis

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  5. #25
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    Mercoledì Santo Messa Crismale

    La fede nel vivo del ministero presbiterale



    Introduzione

    A voi, carissimi confratelli nel sacerdozio e fedeli tutti che partecipate a
    questa Messa Crismale, esprimo i sentimenti di
    gioia e pace da parte di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo nel vincolo dello Spirito Santo.
    Possiamo tutti sperimentare la bellezza del nostro essere chiesa, sposa e corpo di Cristo e la gioia di un rinnovato dono di noi stessi a servizio del mondo verso cui Cristo ancora ci manda, per raggiungere con la “tenerezza e la misericordia” del Padre ogni
    creatura. Tenerezza e misericordia sono le prime parole che papa Francesco ha rivolto alla sua chiesa di Roma e al mondo e che a me piace ancora una volta richiamare a titolo di esempio per ognuno di noi e a significare la nostra comunione con lui. Come a Benedetto,
    anche a papa Francesco va oggi il nostro pensiero nella continuità della fede e dell’amore in Cristo.
    Nel clima singolare di questa celebrazione sentiamo con noi i preti e diaconi ammalati e anziani
    e sentiamo vicini nella comunione dei santi anche i confratelli la cui memoria è in benedizione.
    Facciamo gli auguri a d. Salvatore Favati
    per il 25° di Ordinazione Sacerdotale e a d. Corrado Penta per il 50°. Auguri anche a d.
    Felice Spiniello per il 60°. Lo diciamo con affetto fraterno e riconoscenza, associando a loro tutti voi carissimi presbiteri e diaconi.
    Il Signore benedica anche voi religiosi e religiose, seminaristi e fedeli laici:
    possiamo avvertire oggi la piena consapevolezza d’essere, insieme con il vescovo e i ministri
    ordinati, l’unico popolo messianico, di profeti, sacerdoti e re a servizio del regno di Dio che
    viene e che volgiamo annunciare e testimoniare.
    Ecco, ci presentiamo davanti al Signore e come sempre lo facciamo con il riconoscimento umile e sincero dei nostri peccati perché abbiamo bisogno del perdono di Dio, per potere celebrare bene l’Eucaristia.

    OMELIA

    Introduzione: siamo e diventiamo sempre più “uomini di fede”?

    Nell’anno della fede, il tempo in cui viviamo, l’impegno pastorale di cui ci facciamo
    carico, la gioia e le prove dell’essere preti oggi pongono domande radicali: siamo e diventiamo
    sempre più “uomini di fede”? Desidero allora in questa Messa Crismale proporvi
    una riflessione sulla nostra fede –sì, anche sulla mia fede di vescovo, cristiano con voi e per voi –, riferendomi ad un testo
    del Nuovo Testamento: la lettera agli Ebrei, che viene offerta alla nostra riflessione e preghiera nell’Ufficio delle Letture della Liturgia delle Ore di questi giorni. Vorrei partire proprio da alcuni versetti che abbiamo meditato ieri:
    «Anche noi
    dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo
    sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che
    gli era posta dinanzi, si sottopose alla
    croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di
    Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei
    peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo»

    (Eb 12, 1-3).



    I. TENENDO FISSO LO SGUARDO SU GESU’


    La fede nasce da uno sguardo. Non tanto il nostro, ma quello di Gesù.
    Ma quando ci siamo accorti del
    lo sguardo di Gesù posato su di noi?, quando abbiamo riconosciuto la sua voce e inteso il suo appello
    Seguimi? Per molti di noi, come per me, è successo quando eravamo bambini, piccoli
    chierichetti sull’altare o ragazzini vivaci negli spazi parrocchiali. Lo sguardo di Gesù ci ha
    raggiunto attraverso lo sguardo di un prete o l’incanto di un momento di preghiera.
    C’è chi, impegnato in Ac o in un gruppo scout o sui banchi di una scuola, ha
    incrociato lo sguardo di Gesù da adolescente. Per altri l’incontro è avvenuto in età più adulta, dopo un’esperienza di studio o di lavoro e di volontariato. A volte dopo un cammino lineare di vita cristiana, a volte con un itinerario più travagliato.
    Stare sotto lo sguardo di amore e di misericordia di Gesù e tenere gli occhi fissi su di
    lui: la fede è tutto questo, è semplicemente questo. Da lì nasce per il credente ogni chiamata,
    ogni sequela: anche la nostra vocazione ministeriale.
    Una vocazione che, da una parte, ci pone in mezzo al popolo di Dio sotto lo
    sguardo di Gesù, dall’altra ci fa misteriosamente partecipi del suo stesso sguardo di
    compassione e di tenerezza verso la folla:
    «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”» (Mt 9, 36-38).
    Ed è molto significativo che l’invito alla preghiera,
    perché il Padre mandi operai nella sua messe, sia intimamente collegato con lo sguardo di Gesù sulle folle stanche e sfinite.


    II. CIRCONDATI DA UNA MOLTITUDINE DI TESTIMONI

    Il brano della lettera agli Ebrei invita a tenere fisso lo sguardo su Gesù, sostenuti e
    «circondati da una moltitudine di testimoni». Una moltitudine che non si ferma alle soglie del Vangelo, ma continua ad accrescersi lungo tutta la storia della Chiesa: pensiamo ai santi e ai beati canonizzati e ad
    altri testimoni significativi della storia cristiana. Ma fanno parte di questa moltitudine
    tante altre persone semplici e sconosciute che hanno vissuto per fede e hanno permesso alla catena ininterrotta della traditio fidei di arrivare fino a noi.
    Molti di questi sono sacerdoti: anche quelli, ormai nella gloria del Signore, cui dobbiamo riconoscere un ruolo decisivo per la nostra vocazione e per la nostra crescita umana e cristiana. E’ sempre commovente sentire citare da molti di voi i nomi di parroci, padri spirituali, educatori e docenti e Vescovi. Davvero la nostra riconoscenza verso di loro deve essere grande. Ma accanto a molti preti come non ricordare tanti uomini e donne, sposati, consacrati, laici, che ci hanno offerto una testimonianza cristallina e gioiosa di fede anche in tempi non facili? Con i nomi noti dobbiamo ricordare tutte quelle persone, a cominciare dai nostri genitori e familiari, da cui abbiamo ricevuto vere testimonianze di fede e di amore. Contando sulla loro testimonianza e sulla loro preghiera –nel mistero dellacomunione dei santi– anche noi sentiamoci chiamati a vivere la santità da preti in un popolo di uomini e donne credenti.

    III. IL CANTICO DELLA FEDE: SIETE BENEDETTI DA DIO

    Contemplo con meraviglia e gratitudine la testimonianza di fede del popolo cristiano e del nostro clero diocesano.
    Rendo grazie al Signore per questo spettacolo splendido, edificante,
    incoraggiante e commovente. Continuando la storia degli antenati, voi ricevete
    l’approvazione e la benedizione di Dio. E io, considerando la testimonianza della vostra vita, carissimi confratelli, posso continuare il cantico della fede che l’autore della lettera agli Ebrei ha iniziato.

    Per fede voi
    avete interpretato la vita come una vocazione
    e vi siete consegnati ad un
    ministero che non promette successo, ricchezza, prestigio, sicurezza, ma piuttosto espone –insieme a tante gioie e tante grazie -a sacrifici, fatiche e incomprensioni.

    Per fede, carissimi fratelli, voi
    avete perseverato nelle diverse stagioni
    che avete
    attraversato: quando la gente accorreva numerosa e quando la parteci
    pazione era stentata,
    quando la Chiesa godeva di grande popolarità e quando la sua presenza generava
    insofferenza, quando essere preti ha significato essere al centro delle attenzioni e quando
    c’è stata l’impressione di essere insignificanti e non attesi da nessuno.

    Per fede voi, preti e diaconi di questa Chiesa e di questo tempo,
    siete costanti nella
    preghiera e nell’annuncio del Vangelo, anche quando la gente sembra pretendere molte altre
    cose e pare poco interessata alla preghiera e al Vangelo.

    Per fede voi
    dedicate gratuitamente tempo e attenzione, risorse materiali e preghiere a
    tante persone senza attendere alcun ricambio: vi curate dei malati, educate i più giovani,
    sostenete i deboli e gli anziani.

    Per fede
    voi accogliete e onorate i poveri
    che bussano alla vostra porta con il loro carico
    di sofferenza, di confusione, di pretese, riconoscendoli fratelli nel nome di Cristo.

    Per fede voi
    vivete questo tempo di transizione, operate nei “cantieri aperti” della
    diocesi, vi impegnate ad attuare linee pastorali che hanno il sapore del cammino
    dell’esodo: abbandonare sicurezze e garanzie e avventurarsi nel deserto con lo sguardo e il
    cuore rivolti alla terra promessa.

    Per fede voi siete nel presbiterio e
    assumete le responsabilità che vi vengono richieste,
    vigilando sul rischio del protagonismo arbitrario e dedicandovi a quella “pastorale di
    insieme” che vi chiede di condividere i doni ricevuti per l’utilità comune e la gioia di tutti.

    Per fede voi
    vivete l’obbedienza e la franchezza, cercate il confronto
    e l’accompagnamento, vi riferite al Vescovo con le vostre domande e proposte perché
    credete che l’unico Spirito ci rende un cuore solo e un’anima sola e illumina e guida tutti
    noi.

    Per fede voi
    custodite la speranza e la confidenza in Dio, anche quando nella dedizione
    del ministero si insinua lo scoraggiamento per l’inevidenza dei frutti.

    Per fede
    voi
    sapete gioire e ringraziare del “centuplo”
    che il Signore a piene mani vi
    offre, spesso attraverso l’aiuto, la generosità, la disponibilità di tanti fratelli.

    Per fede voi donate conforto e gioia, offrite la benedizione di Dio e parole di speranza, anche quando siete nella prova e nella desolazione.

    Per fede voi

    vivete la giovinezza
    con la luce e il coraggio delle scelte definitive, vivete l’età maturacon una disponibilità e responsabilità che non conoscono pentimento, vivete gli anni della vecchiaiacome tempo di preghiera e di sapienza.

    Per fede voi
    gioite della testimonianza cristiana di tanti uomini e donne di oggi, vi sentite sostenuti dal loro affetto, sopportati dalla loro pazienza, incoraggiati dalla loro presenza. Per fede voi
    vivete il celibato come dono gioioso al Signore e alla Chiesa e riconoscete in tanti sposi cristiani un esempio di amore concreto e fedele. Bella è la vostra fede: bella e gioiosa.

    La fede è bella perché rende bella la vita ed è fonte di autentica gioia. La bellezza e la gioia della fede non sono una percezione emotiva, non vogliono provocare un semplice benessere del “sentire”. E’sostanza vera, è realtà profonda l’essere contenti di essere preti. E’ il frutto in noi dell’attrattiva dell’amore del Signore Gesù, della gratuità della sua dedizione, della forza della sua libertà, del fascino irresistibile della sua umanità di Figlio di Dio, della sua vita superlativamente vera, buona, bella, felice! Confessiamolo apertamente: nessuno ci ha mai amato così, come Cristo Signore!Ancora una volta ha ragione sant’Agostino: «Egli non aveva più né bellezza né decoro per dare a te bellezza e decoro. Quale bellezza? Quale decoro?

    L’amore della carità, affinché tu possa correre amando e amare correndo... Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello».



    A questa bellezza vogliamo essere sensibili e fedeli: è la bellezza che salva e
    trasfigura! Ad essa orientiamo il nostro sguardo interiore con affezione grande, continua e
    commossa.




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  6. #26
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    Articolo di S. E. Mons. Marino su "Il Mattino" di Avellino in occasione della Santa Pasqua 2013
    Pasqua di Risurrezione 2013

    Eccoci a vivere ancora una volta, insieme, il grande mistero della Pasqua del Signore, che ci pone davanti alla morte ed alla Risurrezione di Gesù.
    Ma domandiamoci, chiediamoci che cosa vuol dire questo grande momento, questo lieto annuncio, per noi che viviamo nell' orizzonte dell' oggi, così travagliato e difficile, che "navighiamo a vista" nelle situazioni precise e concrete, ma incerte, della nostra esistenza?
    Pasqua è innanzitutto festa di libertà. Libertà che il Signore Gesù ci ha donato, a prezzo del suo sangue, dalla morte e dalla schiavitù del peccato, libertà che significa anche liberazione, riscatto, da tutto quello che mortifica, imprigiona ed umilia l'uomo. Dalla croce si leva un grido di vittoria sul male e sulla morte.


    L'Uomo sfigurato, il Dio Crocifisso, assume e riassume in sé ogni sofferenza umana, ogni stato e condizione di malattia, di impossibilità, di fragilità, di disagio, di povertà, di disperazione, di solitudine, di abbandono: nessuno può sentirsi più escluso dalla Croce che segna il trionfo della solidarietà divina sull'egoismo umano. Cristo è risorto!
    La voce che si è levata alta e forte, all'alba del terzo giorno, dinanzi a quel "sepolcro vuoto", esprime la certezza che una morte è già stata vinta e che ogni morte può, anzi, deve, essere vinta. Cristo risorge per farci risorgere. Questo evento non è riservato solo al Cristo, ma è destinato a riproporsi al termine della vicenda umana di ognuno di noi.
    La venuta stessa di Gesù è in funzione del nostro coinvolgimento nel processo di umanizzazione piena e completa, in preparazione della redenzione, della risurrezione di tutta la storia. C'è dunque non solo la possibilità, ma, oserei dire, la necessità, per noi, "discepoli del terzo millennio" alla sequela di questo Uomo nuovo, risuscitato dai morti, non solo di risorgere, ma di "aiutare a risorgere" ogni fratello, ogni sorella incontrati lungo il cammino. Proprio nei giorni della Settimana Santa, ricordiamo e celebriamo Gesù che arriva alla fine del suo percorso di vita, anche lui esausto, amareggiato. Ma l’ultimo gesto d'amore che egli compie, anche se ai nostri occhi appare assurdo e paradossale, è quello del dono di sé. Infatti, spesso, noi confondiamo l’amore con la felicità, ma non è questo, però, che intendeva Gesù: l’Amore, quello vero, passa attraverso la Croce, il sacrificio di sé, l'obbedienza al Padre, ad imitazione del Divino Maestro.
    Papa Francesco, durante l'omelia della Domenica delle Palme, in Piazza San Pietro, con ferma dolcezza, ci ha consegnato una parola, legata indissolubilmente all'amore ed alla gioia cristiana, che è appunto la Croce.
    Non possono essere scissi, questi due aspetti. "La Croce di Cristo abbracciata con amore non porta alla tristezza, ma alla gioia!” e poi invitava tutti noi a “vincere il male che c’è in noi e nel mondo: con Cristo, con il Bene! Ci sentiamo deboli, inadeguati, incapaci? Ma Dio non cerca mezzi potenti: è con la croce che ha vinto il male! Non dobbiamo credere al Maligno che ci dice: non puoi fare nulla contro la violenza, la corruzione, l’ingiustizia, contro i tuoi peccati!
    Non dobbiamo mai abituarci al male! Con Cristo possiamo trasformare noi stessi e il mondo.” Occorre, dunque, impegnarsi per diffondere una "cultura della risurrezione" capace di coinvolgere la vita concreta, senza più limitarsi semplicisticamente al buonismo ed alla banalità, luoghi comuni e frasi fatte, atteggiamenti sterili e ripetitivi. Ogni cristiano di buona volontà, deve iniziare, a partire da sé, con lo sviluppare una "mentalità" nuova, in grado di trasferire la risurrezione dal calendario alla vita quotidiana di tutti, inserendola e rafforzandola, progressivamente, nel modo di pensare, di valutare, di operare, di interagire, nelle sfere più diverse, da quelle della vita interiore a quelle della vita pubblica e politica, ciascuno secondo la propria condizione di vita, ciascuno secondo le proprie responsabilità anche istituzionali e di governo.
    Gesù morendo sulla croce ci ha rivelato che il senso della vita umana, dell'esistenza umana è proprio la carità, l'amore liberante, che ci fa andare incontro ai fratelli. Questo modo di essere e di agire, è, in fondo, la vera libertà, perché ogni nostra azione non sarà più condizionata, dettata, dalle logiche del profitto, dell'egoismo, dell'interesse personale, del tornaconto, dell'utilità, ma solo l'amore, la fratellanza, la condivisione, l'accoglienza, saranno i criteri ispiratori dell'azione del cristiano, fedele e responsabile, che si sente direttamente chiamato ad operare per un avvenire migliore, per una società rinnovata, perché strutturata all'insegna del "bene comune", per una umanità pacificata, perché più giusta e solidale. Dobbiamo diventare tutti consapevoli che essere cristiani non significa affatto non avere problemi o affrontarli con leggerezza; essere cristiani significa, invece, che le nostre tristezze, le nostre ferite, le nostre preoccupazioni, le nostre quotidianità, vengono lavate, purificate, con il sangue di Cristo. Il Signore non ci "esonera" dalla sofferenza, non ci toglie il dolore, ma lo trasforma, mentre ci trasforma, lo illumina, mentre ci illumina, lo rende "fecondo", mentre ci rende "fecondi". E' straordinario, perché proprio da qui nasce la gioia vera, piena, evangelica: dall’essere consolati e salvati da Dio.
    Surrexit Christus, spes nostra! Apriamoci, dunque, alla speranza pasquale che giunge a noi dal Cristo Risorto! Basta ammirare i prati che, in questi giorni, si rivestono di erba verde, i germogli che non vedono l’ora di aprirsi al calore del sole, dopo la lunga stagione invernale, per iniziare quel processo che li porterà al fiore e poi al frutto. E' meraviglioso. Anche la natura ci invita alla speranza. Lo Spirito del Cristo Risorto in noi, dà fondamento e certezza al nostro sperare, lo custodisce, a garanzia della correttezza del nostro attendere; è la dinamica, la forza nuova che irrompe nel nostro mondo, per risuscitare, vivificare, elevare ad uno stato superiore le nostre coscienze stordite, anestetizzate, silenti. Una grande luce si è aperta sul destino degli uomini, illuminando di speranza il nostro cammino verso la vera dimensione della vita, quella definitiva che supererà la morte e potrà godere della visione di Dio. Ecco perché nessuno potrà mai restare deluso! Cristo risuscitato dai morti è vicino a ogni uomo, contemporaneo a ogni uomo. Cristo è vivo: è presente nella Chiesa e agisce nel mondo fino alla fine dei tempi (Mt 28, 20). Presente e attivo per mezzo della sua Parola viva, del suo Corpo e del suo Sangue nel sacramento dell’Eucaristia, della grazia dei sacramenti, del suo Spirito vivo e santo che realizza tra i fedeli i frutti della Redenzione e della Salvezza.
    Cristo è risorto, è veramente risorto! È questa la verità della Pasqua: è questo il grido di giubilo che percorre oggi, di nuovo, tutto il mondo, è questo l'annuncio che fa fremere ed esultare all'unisono i cuori dei credenti. Possiamo di nuovo alzare il capo e guardare verso il Cielo, possiamo varcare le soglie delle nostre rassegnazioni e delle nostre paure, possiamo finalmente uscire dai nostri "sepolcri" ed incamminarci sicuri verso l'orizzonte della Speranza! E’ questo il mio augurio pasquale per tutti.

    + Francesco Marino, vescovo

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  7. #27
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    Convegno Unione Giuristi Cattolici 12 Aprile 2013

    NICHILISMO GIURIDICO
    Valori non negoziabili
    Avellino, 12 Aprile 2013 ore 17,00
    Palazzo vescovile- Piazza Libertà, Avellino



    PROGRAMMA
    • Saluti: S. E. Mons. Francesco Marino Vescovo di Avellino
    • Mons.Vito Angelo Todisco Uditore Tribunale Rota Romana Cons. ecclesiastico UGC Avellino
    • Prof. Pasquale Stanzione Università di Salerno Presidente UGCI Salerno e delegato regionale
    • Avv. Fabio Benigni Presidente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino
    • Avv. Pasquale Nunziata Presidente UGCI Avellino
    • RELATORE: Prof. Francesco D’Agostino Università di Tor Vergata. Pres.Centrale UGCI. Pres. Emerito Comitato Nazionale di Bioetica


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  8. #28
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    Omelia per l'ordinazione presbiterale di don Enrico Russo
    7 aprile 2013


    Sorelle e fratelli carissimi,
    la Chiesa di Avellino, stasera, indossa il vestito luminoso della sposa e leva il canto gioioso delle nozze “ Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre Signore dura in eterno”(Sal 117). Anche il tempio di pietra, volto di questa Chiesa che peregrina nei secoli, sembra trasfigurato ed animato dalla gioia di questa assemblea che lo colma e lo eccede. E tutti insieme, stasera, tempio di pietra e Chiesa viva di gente, siamo un canto, un unico canto a Colui che “era morto, ma ora vive per sempre ed ha potere sopra la morte e sopra gli inferi” (cfr. Ap 1, 18). E’ il sepolcro vuoto, è la gloria del Cristo Risorto in questo ottavo giorno che accende il canto della chiesa che cammina, si edifica e confessa il Crocifisso Risorto(papa Francesco), è il canto del cuore. La nostra comune preghiera liturgica colma diun’unica gioia questa stupenda Cattedrale e l’assemblea che l ’inabita. Sorelle e fratelli miei, tornati a casa, noi diremo semplicemente così: nel duomo oggi abbiamo udito cantare le pietre, le sentivamo catare con noi, perché la pietra del sepolcro è stata rotolata via ed il bianco sudario della morte è divenuto il candido, luminoso vestito della sposa! L’annuncio della Resurrezione sta oggi in mezzo a noi attraverso i due racconti delle apparizioni di Gesù che il quarto Evangelo ci ha consegnato ed attraverso questo nostro fratello Enrico (quanto vorremmo che fossero di più, e bravi come lui ad essere ordinati oggi!) che consegnerà la sua giovane vita al Signore per il servizio della Sua Chiesa. Nella prima e nella seconda apparizione del Risorto al pavido gruppo dei discepoli, sta al centro l’immagine delle mani e del costato trafitto. Esso segna l’accesso del discepolo alla fede, alla pienezza della fede pasquale “non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: mio Signore e mio Dio!”. Ma segna anche l’uscita verso il cammino dell’annuncio e della missione “Gesù mostrò loro le mani ed il costato... e disse...: come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Ecco: le piaghe del Risorto, le ferite aperte nella sua carne, soprattutto la ferita del costato di cui l’evangelista ha lungamente parlato, divengono le porte dell’accesso, fino alla pienezza dell’incontro, alla reciprocità dell’appartenenza che costituisce, nel pensiero del quarto Evangelo, la misura compiuta dell’essere discepolo, del diventare “suoi”. Ma le ferite del Risorto sono anche la porta aperta attraverso la quale il dono della Rivelazione, l’effusione dello Spirito, la Chiesa-sposa nel dono dei Sacramenti, escono verso il cammino della missione, incontro all’uomo racchiuso nella geografia della lontananza, del dubbio, della paura, come i discepoli rinserrati “ per paura dei Giudei ”, oppure avvolto ed intriso nella tristezza della sera, come avverrà nel villaggio di Emmaus. Quella porta, quell’accesso aperto nel costato, che il Risorto insistentemente presenta a Tommaso ed agli altri discepoli, chiama e rammemora un altro accesso che era stato chiuso al sorgere della nostra storia: “il Signore Dio scacciò l’uomo dal giardino e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini con la spada di fuoco per impedire l’accesso all’albero della vita” (Gen 3, 24). Ecco, nel costato trafitto di Cristo, l’accesso all’albero della vita è stato aperto, è divenuta pervia la strada che conduce al giardino. Anzi, nel dono dello Spirito, è la vita stessa che esce incontro all’uomo, è il giardino di Eden che viene ad inverdire la nostra terra deserta. Carissimo Enrico, io penso a te, al dono del Presbiterato che stasera ti viene conferito, come ad un essere costituito al servizio di questo incontro, al servizio dell’accesso al costato aperto del Risorto. Un prete è il servo dell’incontro! Un prete è, per grazia, questa terra dell’Eden, questo giardino di Dio che fa fiorire il deserto, fa fruttificare la steppa. E’ con la forza inerme della Parola, è con la potenza misericordiosa dei Sacramenti, è con la testimonianza innamorata della tua vita che sarai il servo dell’incontro. Ma prima di tutto occorre che tu, Enrico, stenda la tua mano fino a toccare il costato trafitto, protenda cioè la tua vita verso il cuore del Risorto, verso la persona di Gesù. L’anima di un prete, la sorgività profonda e pura del suo ministero è tutta qui, in questo protendersi della mano verso il Signore, in questo slanciarsi di una vita opaca e prosaica, quale la nostra è, verso il roveto ardente, verso quel fuoco che brucia e non si consuma che è il cuore del Signore Risorto. E questo slancio verso l’incontro, questo varcare la porta del costato è la tua fede ed il tuo amore. Se quella mano tesa verso il costato si dovesse abbassare, se lo slancio della fede e dell’amore dovesse infiacchirsi, diventeresti triste attaccapanni di casule e camici, dischi rotti e incagliati che continuano a ripetere il loro ritornello di formule e riti. Essere servi dell’incontro vuol dire anzitutto avere personalmente incontrato il Signore, ed ogni giorno ripartire verso al decisività di quell’incontro; vuol dire custodire nel centro della propria vita la memoria e la persona di Gesù, come uno scrigno custodisce il suo tesoro, la sua perla preziosa. Essere servi dell’incontro vuol dire percorrere le strade del servizio apostolico mantenendo il cuore del discepolo ed ogni giorno seguire con amore Lui, che ti cammina dinanzi. Essere servi dell’incontro vuol dire avere casa davanti a Lui, accoglierlo nella tenda della tua giornata, del tuo tempo, lasciare che si levi alto, in volo, il “noi” dell’alleanza e dell’amicizia con Lui. Per questo, carissimo Enrico, se vuoi mantenere la gioia di ciò che stasera diventi, se vuoi mantenere negli anni la freschezza e la robustezza di quella mano tesa verso il costato, occorre che tu sia prete che sappia e voglia personalmente pregare (e per questo sei stato formato alla spiritualità di s. Francesco che ti è cara alla scuola dei cari figli di S. Ignazio e degli Esercizi spirituali nel Seminario di Posillipo). Occorre che faccia lungamente dimora davanti al Tabernacolo. La forza del tuo cammino apostolico è tutta nei ginocchi piegati, in quell’intenso e prolungato dialogo interiore che ti mantiene negli anni innamorato del tuo Sacerdozio perché puoi dire, con la povertà e la trepidazione di Pietro: “Signore, tu sai tutto, tu lo sai che ti voglio bene”. Ma il costato trafitto è anche la porta della missione, è il passaggio attraverso il quale l’amore di Dio si fa pellegrino verso ogni creatura, mendico sulla soglia di ogni vita. Essere i servi dell’incontro significa amare la strada come la ama Dio, percorrerla anche con fatica e pena per bussare alla porta di ogni persona e porgerle, umilmente ed appassionatamente, quel dono di fede e di amore che hai ricevuto. Il prete ha due tende piantate: una è davanti al tabernacolo e l’altra è sulla strada, dentro l’intreccio di vita della gente. Enrico, non siamo fatti preti innanzitutto per rispondere a chi ci cerca: avremmo forse qui sui nostri territori troppo riposo! Siamo fatti preti per andare noi a cercare chi non ci cerca, chi si avvolge nel mantello bigio dell’indifferenza o del rifiuto. Se la Chiesa di Avellino stasera è nella gioia, se anche le pietre cantano stasera nel duomo di Avellino, (ma pensiamo anche alla parrocchia dei santi Martino e Nicola di Bari in Monteforte Irpino o di S. Michele di Serino!) non è perché qualche campanile in più avrà un prete, è soprattutto perché con i tuoi piedi la terra dell’Eden, il giardino di Dio, uscirà dalla porta del costato di Cristo e farà fiorire di fede e di speranza le strade di questa nostra terra irpina, accenderà con il fuoco pasquale della vita le attese del nostro popolo. Caro Enrico, ti guardo stasera e con te guardo questo Presbiterio, la tua famiglia, gli amici e tutta, tutta la gente che gremisce la nostra Cattedrale. Ti guardo e sento che l’onda del ricordo, e forse del la gratitudine a Dio innanzitutto sale alta dentro di me. L’abbiamo già ricordato ieri notte nel monastero delle Clarisse di S. Lucia di Serino a cui va il nostro ricordo nella comunione di preghiera in questo momento, ti guardo e ricordo la storia di questi anni che sono stati il tempo del tuo seminario (con tutti gli altri amici seminaristi) ed il mio Episcopato, qui ad Avellino. Mi verrebbe da dire, salvo l’età: siamo cresciuti insieme, ciascuno lungo la propria strada, ma dentro la stessa Chiesa, quella di Avellino, quanto mai bella e fraterna. Oggi siete voi, cari seminaristi, che continuate la stessa strada, quella di Enrico e tanti altri preti qui presenti, voi tanto diversi nel carattere eppure così stupendamente amici per la pelle e fratelli nell’anima. Carissimi sacerdoti e aspiranti al Sacerdozio, continuate ad essere tutti voi, per questa Chiesa, con questa Chiesa, il braccio teso verso il costato trafitto, i servi dell’incontro con la Parola, i Sacramenti, la vita; coloro che fanno sorgere, costruiscono e custodiscono il “noi” della fede e dell’amore, il “noi” della Chiesa Avellinese. Francesco Marino

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    ARTICOLO DI MONS. MARINO PER LA SETTIMANA EUCARISTICA DEI GIOVANI
    6- 12 MAGGIO 2013


    LA GIOVINEZZA BISOGNA METTERLA IN GIOCO PER I GRANDI IDEALI (Papa Francesco)

    I giovani oggi appaiono smarriti nel mondo mediatico, nel villaggio planetario. L’uomo contemporaneo è un personaggio beckettiano, che aspetta invano l’incontro con Godot. Sperimenta un senso diffuso di spaesamento. Il futuro è schiacciato ed il domani oscuro.
    Scrive Benedetto XVI nel messaggio per la giornata mondiale della gioventù di quest’anno: “Stiamo attraversando un periodo storico molto particolare: il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone. Dio è amore.”


    Questo è il fondamento! Esprime il desiderio mai sopito dal giorno di Pasqua, quando il Signore Risorto si mostra consegnando alla Chiesa e al mondo il novum cristiano gravido di speranza per il futuro, potenzialità per ricomporre la nostra fragile umanità: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.” (Rm 5,8)
    S. Ireneo di Lione la sintetizzerà nell’espressione: La Gloria di Dio è l’uomo vivente. Il Dio cristiano è la nostra Speranza, non il tappabuchi delle nostre illusioni. E’ il Dio di Gesù Cristo il cui nome è inciso nella storia di dolore e di gioia dell’umanità.
    Il nichilismo oggi è come se avesse crudelmente indorato le fibre dolenti dell’animo. Sviato e incantato con droghe che annebbiamo e distolgono dall’edificare l’esistenza. I volti s’incrociano, ma non si incontrano, si confondono fra parole vuote senza interessi, senza passioni, senza ideali e pregni d’egoismi. S’incrinano i rapporti feriali e s’inalberano silenzi. Ci rimette così la Vita! Un’atmosfera che contraddice la primavera di Pasqua di Risurrezione. Un clima grigio che par prendere il sopravvento e non schiude orizzonti di senso. Le nostre famiglie registrano cantiche di lamenti e di dolori. La vita si acquatta, con il suo ansimante respiro, in anfratti di solitudine, di pregiudizi e di paure. E’ dilapidato, in questa maniera, il patrimonio di solidarietà che ha tessuto il nostro paesaggio di verdi colline. Il sapiente ricamo contadino che ha sarchiato la terra d’Irpinia, ha svezzato speranze e fatto fiorire intelligenze volitive. I colori tenui e le fragilità della giovinezza richiedono un paterno accompagnamento. Richiede sacrificio e coraggio costruire solide mura d’affetti con fondamenta di roccia. I vocaboli da declinare sono Amore e Dialogo di comunione. E’ questa trama che fa rifiorire l’esistenza. E’ la vita eucaristica che ci immette nella comunione con Dio. Le sole parole non colmano i crepacci, le cengie ghiaiose, i canaloni impervi della vita. La testimonianza cristiana e la fraternità, sì! Certo, assaporiamo il peso di solitudini amare ma, se trafitti da un raggio di sole, la notte buia è rischiarata dalle luci dell’aurora. Se abbracciamo le implorazioni, le attese, che brillano negli occhi luminosi, nei volti di tanti giovani e, nelle loro rumorose solitudini, inizieremo ad essere Uomini.
    Con papa Francesco a voi giovani ripeto: “Non fatevi rubare la Speranza !”.

    Francesco Marino
    Vescovo di Avellino


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