Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Cronache della Diocesi di Novara - 2013

  1. #11
    Cronista Onoraria di CR L'avatar di marina83
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    Con il colore blu indiccherò tutto quello che riguarda le nomine, rinunce, storia della Diocesi;
    con il nero indicherò le omelie, le lettere pastorali e tutto ciò che riguarda Mons. Franco Giulio Brambilla;
    in verde indicherò tutti gli appuntamenti e le iniziative della Diocesi.

  2. #12
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    Scomparsi a 91 anni don Guarneri e don Pelosi

    Sono morti negli ultimi giorni del 2012 due anziani sacerdoti diocesani: Don Antonio Guarneri, deceduto sabato 29 dicembre all’ospedale di Borgosesia, e don Gabriele Pelosi, deceduto domenica 30 a Ghemme, dove era parroco emerito dopo aver svolto il ministero di parroco per oltre 50 anni, fino al 1997. Entrambi avevano 91 anni ed erano stati ordinati sacerdoti il 27 maggio 1944 dal mons. Leone Ossola.
    I funerali di don Guarneri si sono svolti lunedì 31 dicembre a Prato Sesia, dove era nato l’8 febbraio 1921, celebrati da monsignor Franco Giulio Brambilla. Il vescovo presiederà anche le esequie di don Pelosi, a Ghemme martedì 2 gennaio.
    Don Antonio Guarneri come primo incarico fu parroco di Camasco e in seguito gli fu affidato anche Morondo. Qui formò cinque compagnie filodrammatiche, quattro squadre di calcio, riformò l’Azione Cattolica maschile e poi anche un bel gruppo scoutistico. Don Antonio divenne anche Assistenze zonale dell’Azione Cattolica maschile. Dopo esser stato parroco di Carpignano Sesia a fine novembre 1952 divenne direttore del collegio “Diverium” di Stresa. Nel luglio 1957 venne nominato parroco di Brisino dove aprì un Convitto e realizzò numerose opere pastorali. Insegnante, il 2 giugno 1974 fu insignito del diploma di primo Grado dal Ministero della Pubblica Istruzione e della medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per meriti artistici e didattici. Nel dicembre del 1989 dovette lasciare la parrocchia per un’improvvisa malattia che lo costrinse a curarsi. Ritornò nel suo paese natale di Prato Sesia dove ha continuato il suo ministero collaborando con il parroco.

    Fonte: http://www.diocesinovara.it/diocesi_...on_Pelosi.html

  3. #13
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    Scomparsi a 91 anni don Guarneri e don Pelosi

    Sono morti negli ultimi giorni del 2012 due anziani sacerdoti diocesani: Don Antonio Guarneri, deceduto sabato 29 dicembre all’ospedale di Borgosesia, e don Gabriele Pelosi, deceduto domenica 30 a Ghemme, dove era parroco emerito dopo aver svolto il ministero di parroco per oltre 50 anni, fino al 1997. Entrambi avevano 91 anni ed erano stati ordinati sacerdoti il 27 maggio 1944 dal mons. Leone Ossola.
    I funerali di don Guarneri si sono svolti lunedì 31 dicembre a Prato Sesia, dove era nato l’8 febbraio 1921, celebrati da monsignor Franco Giulio Brambilla. Il vescovo presiederà anche le esequie di don Pelosi, a Ghemme martedì 2 gennaio.
    Don Antonio Guarneri come primo incarico fu parroco di Camasco e in seguito gli fu affidato anche Morondo. Qui formò cinque compagnie filodrammatiche, quattro squadre di calcio, riformò l’Azione Cattolica maschile e poi anche un bel gruppo scoutistico. Don Antonio divenne anche Assistenze zonale dell’Azione Cattolica maschile. Dopo esser stato parroco di Carpignano Sesia a fine novembre 1952 divenne direttore del collegio “Diverium” di Stresa. Nel luglio 1957 venne nominato parroco di Brisino dove aprì un Convitto e realizzò numerose opere pastorali. Insegnante, il 2 giugno 1974 fu insignito del diploma di primo Grado dal Ministero della Pubblica Istruzione e della medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per meriti artistici e didattici. Nel dicembre del 1989 dovette lasciare la parrocchia per un’improvvisa malattia che lo costrinse a curarsi. Ritornò nel suo paese natale di Prato Sesia dove ha continuato il suo ministero collaborando con il parroco.

    Fonte:http://www.diocesinovara.it/diocesi_...on_Pelosi.html

  4. #14
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    Il Concilio e l'enciclica Pacem in Terris


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    Data: mercoledì 02 gennaio 2013

    Tipologia incontro: Incontro pubblico

    Ciclo di incontri:
    Non selezionato

    Ora inizio: 18,00

    Luogo: Parrocchia della Sacra Famiglia
    Via Udine, 1 - 28100 Novara
    Con:
    Mons. Luigi Bettazzi (Vescovo emerito di Ivrea)


    Conduce:
    Maurizio De Paoli (Vice Direttore di Famiglia Cristiana)

    Fonte:http://www.lanuovaregaldi.it/evento.cfm?evento=2110

  5. #15
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    L'ordinamento della società con riferimento al matrimonio e alla famiglia

    Data: lunedì 07 gennaio 2013

    Tipologia incontro: Seminario di studio

    Ciclo di incontri:
    Seminari di formazione sociale

    Ora inizio: 20,45

    Luogo: Auditorium Parrocchiale "Marika Invernizzi"
    Via Battisti, 2 - 28069 Trecate
    Con:
    Edo Patriarca (Responsabile nazionale Forum delle Famiglie)


    Descrizione evento:
    La famiglia come cellula della società umana. Sua funzione nella società industriale, ruoli nella società moderna.

    Per maggiori informazioni:
    Coordinamento Scientifico: Cell. 348 7115311
    Segreteria tecnica: Parrocchia di Trecate: Tel. 0321 71276

    Enti Promotori:
    Vicariato dell'Ovest Ticino


    Fonte:http://www.lanuovaregaldi.it/evento.cfm?evento=2055

  6. #16
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    Vi posto una piccola chicca. E' l'atto di un convegno presso l'Università Cattolica tenuto a Novembre 2011.

    Ho avuto qualche difficoltà col PDF ma spero che si capisca tutto. Comunque ho allegato il link, dove potrete leggere il documento in modo più agile.





    Esperienza religiosa, devozione e fede teologale - Dagli atti del convegno nazionale sull'esperienza religiosa

    17-18 novembre 2011

    SUA ECC.ZA MONS. FRANCO GIULIO BRAMBILLA
    *
    Esperienza religiosa,
    devozione e fede teologale
    1.
    Il fi lo di un discorso che continua
    Nel primo Convegno è stata posta a tema la questione del rapporto tra
    fi losofi a e mistica e, in particolare, tra esperienza religiosa e mistica.
    Senza dubbio si può affermare che, nella storia, l’esperienza religiosa registra
    nel confronto con la mistica uno dei suoi banchi di prova decisivi.
    In quel contesto, l’arco della mia argomentazione partiva dal mostrare
    che la fede cristiana è e non è un’esperienza. Occorreva superare due
    facili, quanto pericolose, equivalenze: che il cristianesimo è l’esperienza
    che ne facciamo; che il cristianesimo è il sentimento religioso. La fede
    cristiana è questo, ma è certamente molto più di questo: essa intrattiene
    con l’esperienza e il sentimento del sacro un rapporto di differenza e
    inseparabilità. Per mostrarlo seguivo un ampio percorso, che prevedeva
    tre mosse: nella prima, analizzavo il signifi cato di esperienza superando
    le sue più facili riduzioni: vale a dire, il suo signifi cato emozionale, sperimentale,
    terapeutico e immediatista; nella seconda mossa mettevo in luce
    la struttura dell’esperienza cristiana come vissuto e come sapere, coniugando
    esperienza e rivelazione; infi ne, nella terza mossa, delineavo
    la fede come forma di un’esperienza cristiana integrale.
    Solo dopo questo lungo periplo mi era stato possibile determinare il
    senso della mistica nel cammino di fede cristiana: il modo con cui l’esperienza
    mistica prende i contorni della fede veniva detto in rapporto
    ai due poli che determinano il rapporto del credente alla rivelazione:
    il mistero e la fede. Se ‘mistico’ dice innanzitutto
    riferimento al mistero,
    per il mistico cristiano tale relazione mette in contatto con il mistero
    che si dona nella storia (Gesù Cristo) e nei gesti salvifi ci che lo rendono
    presente (Parola e Sacramento). Di qui il paradosso del mistico ‘cristiano’
    che oscilla tra il contatto immediato con Dio che egli patisce e il
    darsi storico del mistero di Dio nelle mediazioni di Cristo, della Chiesa
    e dei suoi gesti salvifi ci. D’altro lato, l’esperienza mistica dice
    riferimento
    alla fede
    , anzi è una forma singolare dell’esperienza della fede, che però
    non può pensare di superare e trascendere il regime della fede. Il mistico

    – dicevamo – non esce dalla storia, non pretende di superare i segni

    e i linguaggi della fede, ma casomai di penetrarli fi no alla loro sorgente

    più radicale che è l’amore inesauribile di Dio. La fede cristiana, allora,

    contrassegna pienamente il cammino della mistica; e anche tutti i segni

    straordinari (visioni, rivelazioni, apparizioni, estasi, stigmate, levitazioni,

    rapimenti, doni di preveggenza, ecc.) sono relativizzati, nel senso

    che sono posti in relazione alla fede che li misura, li norma, li interpreta.

    Al centro del mio intervento proponevo un tentativo di disegnare
    la

    forma dell’esperienza mistica
    : la mistica è una sorta di ‘confi ne’ o di ‘soglia’

    dell’esperienza cristiana.
    Anche se, a mio avviso, esistono anche altre soglie

    dell’esperienza cristiana: ad esempio quella di una carità e di una dedizione

    sconfi nata al fratello, che diventa quasi una forma del proprio credere

    e che si è realizzata in alcuni grandi santi della carità. La mistica è

    quella soglia dell’esperienza cristiana nella quale il credente è ‘posto in

    attenzione a una presenza’. Il mistico è colui che non solo vive
    alla presenza

    di Dio, ma anche e soprattutto
    della Sua presenza. Egli sta all’interno

    di un’iniziativa di Dio che incombe su di lui, che è irresistibile, che

    viene percepita come una presenza patita e subita. È quasi come se l’atto

    del credere (
    actus credentis non terminatur ad enuntiabile sed ad rem) passando

    attraverso le forme storiche della fede, pur senza abbandonarle né

    deprezzarle, le sentisse nella loro trasparenza simbolica, che lo fanno approdare

    alla sponda del mistero della condiscendenza di Dio in Gesù. La

    forma dell’approdo non è quella di un possesso, ma quella di una disponibilità,

    di un abbandono, di un’obbedienza vitale, di un’unione sponsale,

    di un’assenza presente, di un compimento del desiderio, senza che

    si possa parlare di un desiderio compiuto, che mantiene ancora i tratti

    dell’
    homo viator (di qui le immagini del ‘centro’ e del ‘fondo’ o del ‘vertice’

    dell’anima), di un’unifi cazione e semplifi cazione di tutte le pulsioni,

    gli affetti e i desideri. Il mistico si sente così come dall’esterno o dall’alto

    unifi cato nell’intimo più profondo di se stesso, nel ‘centro dell’anima’,

    in una pace profonda che arriva magari quando non la aspetta, che supera

    lunghi periodi di oscurità, di resistenza, di purifi cazione, e che viene

    incontro come dono, come unifi cazione della vita, come presenza beatifi

    cante, come trasformazione e trasfi gurazione dell’uomo.

    Da qui mostravo anche la peculiarità del
    linguaggio simbolico dei mistici:

    si colloca nella tensione tra silenzio (parola non detta) e linguaggio simbolico

    (unifi cato e unifi cante, che rinvia oltre). Si tratta di un sapere che

    non sa, di una nescienza, della ‘nube della non conoscenza’, che tuttavia

    è un sàpere, è un gustare, è un essere trasformati, è un arrendersi, la

    cui descrizione deve raccogliere tutte le risorse del linguaggio simbolico

    e poetico. I grandi mistici sono stati spesso anche grandi poeti e, anche

    quando non lo sono, sentono che ogni narrazione della loro
    esperienza
    non afferra il suo centro più intimo, perché è il linguaggio dell’amore,
    di chi si abbandona, gusta, è toccato, è ferito, è trasformato da una presenza.
    Il linguaggio dei mistici è, dunque, il precipitato di un ‘sapere trasformante’,
    com’è stato effi cacemente detto, di una grazia che trasforma
    le radici e il vissuto della libertà in tutte le sue dimensioni.
    Infi ne, cercavo di ricordare le tipologie dell’esperienza mistica. Esiste
    una mistica essenziale:
    Wesensmystik, da Meister Eckhart e la mistica

    renana alle Beghine fi amminghe, fi no a Beatrice di Nazaret. C’è una mistica
    sponsale:
    Brautmystik, una mistica dell’alleanza che si lascia educare

    dalla tradizione biblica, già tracciata nei Padri, e che ha nel Medioevo il
    corifeo in san Bernardo, per poi trovare un caso singolare in santa Teresa
    d’Avila e, in posizione paradossale, san Giovanni della Croce. E, infi -
    ne, v’è una
    mistica dell’assenza, dove l’esperienza del sottrarsi di Dio, della

    notte, della sua assenza, appare la dominante dell’esperienza: Caterina
    da Genova, Mectilde de Bar, san Paolo della Croce.
    Il risultato ottenuto in quel Convegno ha incoraggiato i cultori ad allargarne
    l’orizzonte al rapporto tra fi losofi a ed esperienza religiosa. Mi
    è stato chiesto di proporre esplicitamente alla considerazione rifl essiva
    il rapporto tra esperienza religiosa e fede teologale. Se, come dicevo,
    l’esperienza mistica è una soglia dell’esperienza religiosa, cioè quella ‘linea
    di confi ne’ che la fa sporgere verso il mistero, esiste anche un’ampia
    radura dell’esperienza religiosa che appartiene alle forme dell’umano
    comune. Formulando il titolo del mio intervento ‘esperienza religiosa
    e fede teologale’ credo sia utile abbordare anche la forma pratica più
    diffusa dell’esperienza religiosa: la forma della
    devozione e di tutte le modalità

    con cui il sacro si rappresenta. Perciò ho pensato di completare il
    titolo con la seguente dizione: ‘esperienza religiosa, devozione e fede teologale’.
    La giustifi cazione teorica di tale approccio sta nel fatto che non
    è possibile una riduzione trascendentale dell’esperienza religiosa e delle
    sue condizioni di possibilità, senza passare anche attraverso l’approccio
    fenomenologico ed ermeneutico delle forme del religioso. Se l’accostamento
    alla mistica rappresenta la sfi da più azzardata, l’indagine sulla devozione
    ci porta nella landa più critica in cui sopravvive ancora qualcosa
    dell’esperienza religiosa nello spazio della società secolare.
    Le grandi fi gure della spiritualità, che hanno scalato le vette dell’avventura
    cristiana, hanno vissuto la loro esperienza spirituale sapendo coniugare
    le forme della devozione e l’arduo cammino della fede. La loro
    spiritualità è stata sovente contrassegnata dall’accesso alla fede mediante
    il colore e il calore della devozione, talvolta con tratti fortemente teocentrici
    (cfr. il tema della ‘nascita divina’ e della ‘gloria di Dio’), talaltra
    con accenti cristocentrici (come la devozione all’umanità e alla passione
    di Gesù, o al ‘cuore di Gesù’), non poche volte con una forte componente
    mariana o ecclesiale. Sembra quasi che la sequela a Cristo neces-

    siti di una porta d’ingresso, di un canale che accenda il cuore e conduca
    la mente verso la comunione al Mistero trinitario. Accostando la geografi
    a dell’esperienza religiosa da questo punto di osservazione della devozione
    e del sentimento del sacro operiamo un approccio fenomenologico
    ed ermeneutico per così dire più ampio, più capace di osservare
    le forme del religioso, accessibili all’esperienza comune. E, quindi, in
    modo paradossale siamo posti a confronto con problemi teorici e pratici
    all’opposto di quelli dell’esperienza mistica. Se nel mistico è la
    mediazione

    religiosa il punto critico, nel senso che essa tende ad essere in qualche
    modo superata, nell’esperienza della devozione il pericolo sta nella
    sua diffi coltà radicale alla
    trascendenza, nel senso che le forme pratiche

    del sentire religioso sembrano assorbire nel loro buco nero ogni forma
    di alterità e di avvento. È non è chi non veda che anche la chiarifi cazione
    di quest’ampia regione dell’esperienza religiosa sia oggi decisiva dinanzi
    allo
    tsunami del ritorno del sacro, del bisogno di spiritualità, del

    sentimento religioso.
    Il tema della devozione sembra oggi dividere gli spiriti tra coloro che
    respingono con le devozioni anche la devozione in favore di una fede
    ‘dura e pura’ e coloro che cavalcano le devozioni come risposta effi cace
    al ritorno del sacro e al bisogno emergente di spiritualità. Occorre,
    invece, cercare la via stretta capace di assumere e purifi care la devozione
    e di educarla a essere la porta d’accesso alla fede. Si tratta di una via
    che dev’essere sempre di nuovo ripercorsa, affi nché la devozione faciliti
    il cammino che conduce alla buona relazione al Signore dentro una
    fraternità evangelica, e, d’altro lato, la sequela di Cristo non manchi del
    sentimento e delle forme che sappiano riscaldare il cuore e muovere la
    libertà all’ardimento della fede.
    D’altra parte, il tema della devozione pare riemergere sullo sfondo
    della ‘crisi della devozione’ nella società secolare, una crisi che però ha
    visto pullulare quasi a lato alcune modalità di ripresa vischiosa e sentimentale
    del religioso. La devozione ha a che fare con il ‘sentimento del
    sacro’, è il modo con cui l’uomo e la donna riconoscono il debito nei
    confronti della trascendenza (degli altri, del divino o di Dio), ma faticano
    a trovare le forme pratiche di tale riconoscimento. Cerco di illustrare
    il ‘transito’ dalla devozione alla fede, e viceversa, attorno a tre passi successivi,
    che faccio precedere da uno sguardo al momento presente di crisi
    della devozione e, dunque, di questa forma dell’esperienza religiosa.

    2.
    Crisi della devozione e nuovo bisogno di spiritualità

    Nella società
    secolare la crisi della devozione si presenta con un duplice
    volto: si fa fatica a dar forma
    comune al sentimento religioso; non si riesce

    a trovare la lingua per dar voce alle forme
    pratiche che esplicitano questo

    sentimento dell’esistenza.
    In effetti, nell’attuale società secolare si parla di ‘crisi della devozione’,
    ma se ne parla sulla base di un uso spregiativo del termine ‘devozione’
    (parallelo all’utilizzo negativo del termine ‘religione’ contrapposto
    alla ‘fede’). La ‘crisi’ della devozione diventa un interessante test dello
    scollamento tra desiderio e pratica della vita spirituale. Se, per un verso,
    si manifesta insistentemente un’intenzione di vita cristiana autentica
    (ad es. di preghiera, di silenzio, di ascolto), dall’altro, si fatica a trovarne
    la lingua, la modalità concreta (le forme personali della preghiera
    e l’evidenza sociale rito). In tal modo l’intenzione e il desiderio risultano
    fi acchi e velleitari (e trovano alibi nello slogan che si può pregare

    nella vita
    anche senza dire preghiere). I modi concreti della devozione e le

    forme rituali diventano legalistiche e ripetitive, incapaci di suggerire alla
    coscienza la lingua in cui mediarsi.
    Sullo sfondo sta il presupposto, tipicamente moderno, che il sentimento
    o la devozione debbano essere ‘spontanei’, quasi affi orare alla
    coscienza senza alcun debito verso le forme culturali con le quali la vita
    trasmette ciò di cui vive, ama e spera. Più ancora radicalmente la società
    secolare non sa fornire un ‘linguaggio condiviso’ per
    transitare la soglia

    del sacro. Ne fa le spese proprio la ‘devozione’, il sentimento religioso,
    il quale non può non esprimersi e costruirsi che attraverso molteplici
    ‘devozioni’. È la ‘fi ne delle devozioni’. Ma ciò non comporta automaticamente
    la ‘fi ne della devozione’!
    Essa, invece, si trasforma e si ripresenta oggi, rispetto alle forme della
    devozione precedenti il Concilio, in una versione debole, ma non meno
    pervasiva. Il sentimento (anche quello religioso) viene saturato senza
    bisogno di riferirsi a Dio e alle sue immagini. Si ripiega intimisticamente
    in un ‘sentire’ e un ‘sentirsi’ rinchiuso in una coscienza senza
    corpo, senza mondo, senza gli altri e, perciò, anche senza Dio. È facile
    notare che la ‘crisi della devozione’ e la ‘fi ne delle devozioni’ nella società
    secolare sono sopravvissute a coloro che ne avevano già preparato
    il funerale.
    La sopravvivenza è avvenuta nelle forme di un religioso vischioso,
    diffuso, sentimentale e di un sacro selvaggio, che stanno prefi gurando
    forme di religione settaria o elitaria. È il ‘fai da te’ della religione.
    Molti pezzi del
    puzzle sono autentici, ma l’insieme è falso o, detto più

    cautamente, è frutto di un ‘bricolage’ personale. Ciascuno (persona o
    gruppo) sceglie la forma della ‘sua’ religione, ma più precisamente si
    dovrebbe dire della sua ‘religiosità’. Questo ‘religioso’ assume forme
    molto pervasive in una devozione che sembra viaggiare a lato dell’esperienza
    di fede (ecclesiale), sembra quasi mancare di una lingua e
    di gesti affi dabili, riconoscibili anche da altri. Per questo
    ricostruisce
    da capo e in proprio la lingua, i gesti, i luoghi dove esprimere un sentimento
    che sembra ‘distratto’ dall’esperienze comuni della vita liturgica
    e spirituale.
    Molta gente partecipa alle liturgie cattoliche e non, ma quando si
    tratta di esprimere la propria devozione si abbevera ad altre fonti e santuari,
    ad altre forme di preghiera e ad altre guide. Oppure, più diffusamente,
    dichiara di credere in Dio, ma per quanto riguarda il bisogno di
    esprimere la sua credenza non sente il bisogno di una lingua e di pratiche
    comuni. Ognuno ha la sua religiosità e la costruisce individualmente
    o in piccoli gruppi. Non bisogna però semplicemente trattare con suffi
    cienza questo ‘sacro selvaggio’. Rimuoverlo signifi cherebbe lasciarlo in
    balia di un’incontrollata espansione e della possibilità di manipolazione
    da parte dei nuovi movimenti religiosi. Ignorarlo in nome di una presunta
    purezza della fede signifi ca consegnare la fede a esperienze individuali
    o a gruppi elitari.
    Educare la devozione e alla devozione allora signifi ca ritrovare la lingua
    e ridare forme espressive che ridonino la capacità di varcare la soglia
    del sacro per transitare al Santo. La devozione e le sue forme consentono
    il passaggio
    dalla vita al sacro e dal sacro al santo, e viceversa. Un

    transito che è messo in moto dal ‘sentimento’, cioè dalle forme del ‘sentire’,
    dell’essere affetto. Le forme del sentire sono il modo con cui l’uomo
    percepisce se stesso, si sente appunto come ‘sor-preso’ (preso-da-sopra)
    dalla vita. Per questo il sentimento è collegato al ‘sacro’. Nell’esperienza
    del ‘timore’ davanti al segreto dell’esistenza e alla sua origine trascendente
    (il
    tremendum et fascinosum del sacro), l’uomo impara a ricevere

    la vita in dono e a dedicarsi ad essa. Il timore reverenziale del sacro
    (la devozione) richiede di diventare affi damento esistenziale (la fede).
    Senza questo luogo di passaggio non è possibile vivere la fede (e, dunque,
    anche la fede cristiana) come un
    affectus, cioè come qualcosa che ci

    tocca, che ci sor-prende, che assume le forme del ‘sentire’ e del ‘sentirsi’,
    quali possibilità di ‘dire’ e di ‘dirsi’ di fronte al mistero dell’esistenza
    e di vivere l’esistenza come mistero. La
    devozione si accende quando e

    perché l’uomo opera questo passaggio. La devozione fa mettere in moto
    la libertà lasciandosi sorprendere da un sentimento che lo porta a varcare
    le diverse ‘soglie’ dell’esistenza. Per questo ritorna inevitabilmente
    in tutti i passaggi della vita, del nascere e del morire, del crescere e del
    donarsi, dell’amare e del soffrire. Le
    devozioni sono la lingua parlata e il

    gesto praticato per varcare queste ‘soglie’, perché l’esistenza non deriva
    soltanto da quanto riusciamo a costruire con la nostra ragione strumentale
    e con la nostra azione produttiva. Si tratta allora di operare un
    triplice transito che consenta alla devozione di varcare la soglia verso la
    sua forma matura che è la fede, la quale non si lascia semplicemente alle
    spalle la devozione, ma la assume e la trasforma.

    3.
    La devozione tra fede e rito

    Il primo transito è il più diffi cile perché dovrebbe coniugare la fede e il
    rito. La devozione, la ‘buona’ devozione è il collante tra la fede e il rito.
    Si potrebbe persin o provare ad abitare una navata di una chiesa, il luogo
    eminente dove dovrebbe avvenire questo primo transito. Lo spettacolo
    sarebbe sorprendente, come sa bene chi ha provato qualche volta a
    partecipare a una celebrazione, spostando il suo punto di osservazione
    dalla parte del credente.
    La fenomenologia di una celebrazione reale è fortemente istruttiva.
    Si può notare una modalità passiva, quella di gran lunga più diffusa, che
    s’attende una qualche spettacolarizzazione da parte dei gestori del sacro
    incapaci di suscitare emozioni e azioni; e che talvolta scade in didascalia,
    proclamazione di valori e comportamenti morali; qualche volta persino
    si trasforma in
    happening. Si può osservare una devozione e un’attenzione

    intensissima, ma vissuta a margine del rito celebrato, quasi in luogo e
    forma discosta, che rielabora il rito in una sorta ‘di fai da te’ soggettivo.
    Si nota per fortuna anche una presenza che è capace di unire una celebrazione
    sobria, degna, armonica all’attesa di poter pregare in una comunità
    credente, in forme persuasive, semplici, emozionanti senza essere
    seduttive e teatrali.
    Quando avviene così, il rito è il luogo in cui si esprime la fede, il credente
    si ritrova e si alimenta non solo esprimendo un sentimento a monte
    delle forme pratiche della fede, ma attraverso di esse. Le forme dell’ascolto,
    del silenzio, del canto, della lode, della consegna e del servizio,
    della personale cura di sé e dello scambio sociale trovano un luogo e
    una lingua comune.
    Pensiamo tutto questo in rapporto al gesto centrale della liturgia cristiana,
    segnatamente la Messa. La forma devota della partecipazione era
    legata alla comunione, che era diventata così il momento soggettivo della
    messa tanto da poter essere persino scorporata da essa, per essere riservata
    al momento personale e connotata nel suo momento devozionale.
    Tutta una letteratura devota (e la gestualità corrispondente: la necessità
    della confessione, il digiuno eucaristico, la preparazione e il ringraziamento
    ritualizzato) è andata ad alimentare questo momento a lato
    della struttura rituale dell’eucaristia (la parola di Dio, il senso pasquale
    della messa, la sua dimensione comunitaria). La correzione di questo
    vistoso difetto è stata prodotta riportando la celebrazione nella navata,
    tra la gente, o almeno tentando di avvicinare la distanza tra rito e vita,
    tra celebrazione e fede.
    La riforma liturgica postconciliare ha così assunto un ruolo guida
    scendendo nello spazio della devozione, dirigendo vigorosamente le
    forme della celebrazione e qualche volta reprimendo le forme della
    de-

    vozione. Il risultato è stato, secondo alcuni, la perdita del senso del sacro,
    proprio nello spazio dove la gente prega, il quale in alcune assemblee
    assomiglia talvolta più alla riunione di un condominio. Di qui la ricerca
    della chiesa antica, l’enfasi sul tempo opportuno alla preghiera, la
    valorizzazione del gesto sacrale e del canto in una lingua remota. Qualcuno
    ha contestato persino il carattere un po’ intellettuale della riforma
    e il suo presupposto antidevozionalista.
    Gli interventi verbali in una celebrazione hanno raggiunto a volte livelli
    insopportabili, mettendo a dura prova la capacità di ascolto del fedele
    e relegandolo al ruolo di un ascoltatore passivo e non di un credente
    che prega celebrando. La predicazione, allora, è diventata il termometro
    della qualità della celebrazione e della scelta del fedele. Era come
    l’ultima chance che gli restava non potendosi più esprimere attraverso
    la sua devozione: scegliere la messa in base al predicatore. La celebrazione
    puntava sulla qualità della fede nel sacramento celebrato, senza
    attenzione al bisogno di rito e di devozione che la stessa fede richiede.
    Vissuto così il rapporto fede-sacramento può correre il rischio di passar
    sopra la ritualità umana.

    4.
    La devozione tra tempo sacro e senso della festa

    Un secondo aspetto della crisi della devozione riguarda il
    tema della festa.

    La religiosità popolare, studiata da un’interminabile letteratura, si riferisce
    al ‘tempo sacro’: le feste che conferiscono identità al gruppo sociale
    (feste patronali, confraternite, ricorrenze legate all’eziologia del luogo,
    ecc.); le feste che scandiscono il ritmo del calendario civile-religioso
    (tradizioni popolari natalizie, legate al tema dell’origine della vita; tradizioni
    ‘misteriche’ pasquali, stazioni quaresimali, misteri della settimana
    santa, religiosità popolare pasquale; tradizioni religiose legate alle stagioni
    naturali, capodanno, semina, mietitura, raccolto); le feste che segnano
    i tempi dell’esistenza umana (nascita, iniziazione, matrimonio,
    vita adulta, malattia, morte). Questi erano i luoghi che tradizionalmente
    esprimevano il sentimento religioso della vita, in rapporto all’identità
    personale, alla vita sociale e al tempo del calendario.
    Anche qui la secolarizzazione, combinata con alcuni fenomeni della
    vita civile, come la mobilità locale e più in genere un’esperienza del
    tempo (in particolare del tempo libero, generalmente coincidente con
    la festa) ha messo in crisi il senso della festa come ‘momento opportuno’
    (
    kairós) in rapporto al tempo feriale. Quest’ultimo è solitamente un

    tempo vissuto in termini funzionali, cronologici, dove l’uomo appare
    soggetto di produzione e di trasformazione. Il sentimento della festa è
    legato all’interruzione del tempo feriale. Tale sospensione era general

    mente strutturata dalla tradizione popolare (feste patronali, misteri della
    settimana santa, riti ciclici e di passaggio, ecc.) per dar corpo al senso
    di appartenenza sociale (ecclesiale), dentro cui avveniva uno scambio
    simbolico, volto alla costruzione dell’identità e alla coltivazione del
    rapporto sociale.
    La fi ne del regime di ‘cristianità’ con la differenziazione di società civile
    e comunità religiosa (cristiana), combinata ai citati fenomeni della
    mobilità e del tempo libero, ha strappato alla festa il suo valore simbolico
    unifi cante. Restano forme vistose di sopravvivenza e di ricupero della
    festa, ma che vengono però vissute dentro il regime con cui il sentimento
    del tempo della festa viene vissuto nella società secolare, non più come
    tempo ‘sacro’, ma come tempo ‘libero’, intervallo nel tempo lineare,
    sospensione del suo ritmo produttivo, evasione dal carcere del tempo
    cronologico. Si fa fatica a restituire il signifi cato simbolico del momento
    della festa, come tempo per ritrovare sé stessi e la relazione con
    gli altri, al di là delle dinamiche della prestazione e della produzione.
    Le forme della festa ‘popolare’ e della ritualità ciclica e iniziatica (alla
    vita e alla morte) restano ancora quelle che sono più soggette alla tensione
    tra fede e rito cristiano. Ma si può notare anche che il tema della
    festa resta uno dei luoghi più interessanti per educare la devozione. In
    particolare il tempo della festa è il tempo in cui il sentimento religioso
    parla i linguaggi del racconto, dell’arte, della musica, del folklore, ecc.
    capaci di evocare la memoria, il sogno, la creatività, la multiforme presenza
    di differenti fi gure e personaggi che normalmente non popolano
    il rito cristiano. Non per nulla la religiosità popolare crea una larga partecipazione
    del popolo, che sente così ‘suoi’ quello spazio, quel tempo e
    quelle forme, i quali diventano persino il luogo di schermaglie preparatorie,
    di diffi cilissime trattative e mediazioni, di inutili battaglie e di rotture
    laceranti.
    Possono, però, diventare anche lo spazio che prepara il senso della
    festa
    cristiana, in particolare della domenica, senza della quale il dominicum

    (giorno del Signore ed Eucaristia domenicale) fi niscono per diventare
    ‘uno’ dei tanti impegni del weekend. Senza ricuperare il senso della
    festa, e senza educare il bisogno della festa come spazio della libertà,
    anche l’insistenza attuale sulla domenica sarà come privata dell’alfabeto
    con cui esprimersi.

    5.
    La devozione, la fede e identità della persona

    Infi ne, l’ultimo transito ci consente di ritornare alla vita, illuminata
    dall’incontro che trasfi gura la devozione nella fede. Se il sentimento del
    sacro e le forme della devozione hanno bisogno de l rito per
    strutturarsi,
    la forma
    cristiana del rito (parola e gesto) consentirà di riconquistare la

    coscienza che nel gesto ci si rivolge a Dio o, meglio, Dio ci viene incontro.
    Perciò il
    rito cristiano (Parola e Sacramento) educa le forme della devozione:

    in esso l’uomo riconosce la promessa iscritta nella vita. Nel Parola
    pregata e nel Sacramento celebrato, la libertà con un gesto ‘simbolico’
    rac-coglie le molte azioni e i molti frammenti della propria esistenza,
    consegnandoli (il rito) e consegnandosi (la fede) all’origine del proprio
    vivere e del proprio sperare. Per questo la devozione è come l’atmosfera
    del rito e le devozioni danno voce e linguaggio al sentimento del
    sacro proprio alimentandosi alla ritualità dell’uomo. Si tratta di una ritualità
    sempre in cerca di volto e di autenticità. Una giusta fi siologia della
    celebrazione liturgica dà volto autentico alla ritualità con cui l’uomo
    non manipola il mistero di Dio, ma si avventura nello spazio del sacro riconoscendovi
    il Santo. La libertà si lascia abitare dal Santo («Egli [Gesù]
    entrò per rimanere con loro»,
    Lc 24,29), dedicandosi e consegnandosi

    a Lui, spendendo tempo, risorse, energie (la ‘gratuità’ e la ‘ripetitività’
    del rito), anzi sacrifi candole, cioè ‘rendendole sacre’, sottraendole
    all’uso semplicemente produttivo e fabbrile (la ‘sacralità’ del rito, che
    separa luoghi e tempi, che ‘offre’ materiali e gesti preziosi), per renderle
    disponibili ad esprimere la gratuità della promessa che abita le cose e
    il mondo, il tempo e lo spazio.
    La ritualità umana si suggella nella celebrazione cristiana e, così, siamo
    ammaestrati sul carattere buono dell’esistenza che ci sor-prende e
    ci tocca, ci viene incontro e ci affascina, ci emoziona e fa della fede una
    consegna della propria libertà. Perciò l’
    affectus fi dei, una fede ‘sentita’ e

    ‘senziente’, è capace di integrare il vissuto, di dare volto alla libertà, di
    unifi care i frammenti diversi e dispersi dell’esistenza. Mentre la ritualità
    dell’uomo trasfi gurata nel sacramento cristiano custodisce la promessa
    buona dell’esistenza, trascendendo se stessa e invocando la presenza di
    Dio, fa anche trovare l’identità alla libertà, le dà un volto, dà senso allo
    scambio simbolico con gli altri.
    Si comprende allora perché la Parola della predicazione e il Sacramento
    cristiano presuppongono la ritualità umana e, anzi, perché il rapporto
    del sacramento alla fede non può passare che attraverso la ritualità
    e la devozione che ne è come l’atmosfera. Il sacramento è il rito cristiano
    che assume la ritualità umana, perché sia possibile
    l’atto della fede

    e la fede
    negli atti. Se il sacramento non vuole, da un lato, risospingere

    la ritualità umana nelle braccia della forma ‘sentimentale’ della devozione
    e, dall’altro, sequestrare la celebrazione cristiana nella sfera delle
    forme ‘legalistiche’ e remote dalla coscienza, dovrà pensarsi in rapporto
    alla vicenda della libertà. Personale e sociale.
    La libertà ha la forma della fede
    in atto e che si costruisce negli atti.
    È una coscienza credente che dà forma alla libertà (mettendola in gra
    do di consegnare la propria vita dispersa e di dedicarsi a Dio) e che si
    forma mediante gli atti della libertà (con cui essa si affi da alla promessa
    presente nel mondo e nella propria vita). Dare
    forma alla libertà (l’atto

    della fede) attraverso i
    gesti pratici della libertà (gli atti della fede) esige

    di assumere, purifi care e trasfi gurare i
    modi della religione (i riti e le devozioni).

    Queste sono le forme con cui l’uomo non solo riconosce in Dio
    l’origine buona della vita, del tempo, delle stagioni dell’esistenza, ma si
    lascia plasmare dal suo venire benevolo che dà senso e sostanza all’agire
    e al soffrire dell’uomo.
    Questo lasciar essere, essere sor-preso, essere toccato dal venire di
    Dio (anzi dal suo comunicarsi benevolo, misericordioso, redentore nella
    pasqua di Cristo) confi gura l’atto della fede e la fede negli atti come
    un
    affectus, come un riceversi affi dabile, come un’attrazione persuasiva

    e come un’emozione con-fi dente. Perciò è da condividere con altri e da
    dire con gesti che toccano la vita, che coinvolgono la mente e il cuore, il
    corpo e l’anima, l’agire e il patire, l’amare e lo sperare. E, alla fi ne, fanno
    entrare l’uomo e la donna nella terra promessa della propria vocazione
    e consentono di ritrovare l’identità della persona.
    La fede così diventa un
    affectus attraverso la devozione e la devozione

    invoca la fede per entrare nel mistero del Santo. La devozione preserva
    il rito (cristiano) dalla sua sclerosi. La celebrazione cristiana custodisce
    la devozione (e le devozioni) dal loro ripiegamento intimistico
    e sognante. Il Cristo risorto è il polo d’attrazione dei diversi transiti
    che abbiamo delineato sopra. L’
    affectus fi dei, con le mille forme che la

    storia della devozione ci consegna nell’arte, nella musica, nella pittura,
    nella scultura, nella preghiera, nella ritualità, è l’organo della percezione
    e il sentimento della confi denza che sperimenta la presenza di Cristo
    come il volto affi dabile di Dio, la sua Pasqua come la sorgente della
    vita in pienezza.
    La rifl essione fi losofi ca deve poter pensare non solo le condizioni
    trascendentali di possibilità dell’esperienza religiosa, ma anche proporre
    la rifl essione critica su una pragmatica della religiosità dell’esperienza
    come tale. A non meno di questo è convocato il pensiero. E questa è
    la sfi da che il presente Convegno si propone e a cui auguro un fecondo
    cammino.
    Fonte:
    http://www.diocesinovara.it/pls/novara/bd_edit_doc_dioc_css.edit_documento?p_id =940867&p_pagina=11&rifi=&rifp=&vis=4


  7. #17
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    Novara, la Giornata per la Pace
    02/01/2013


    Primo gennaio, solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e la XLVI Giornata mondiale della pace, che quest’anno ha per tema “Beati gli operatori di pace”, celebrata da monsignor Franco Giulio Brambilla nella messa solenne serale in Cattedrale, il 1° gennaio. All'omelia il vescovo ha sottolineato alcuni passaggi del messaggio di papa Benedetto XVI.
    Nel pomeriggio, sempre a Novara, oltre duecento persone hanno partecipato alla marcia di pace promossa dalla Comunità di Sant'Egidio e snodatosi per il centro cittadino, dopo l'avvio con l'intervento della responsabile della Comunità, Daniela Sironi, che ha invitato ad alzare lo sguardo per vedere come contribuire alla pace. Lungo il percorso fino in piazza Duomo, accompagnato dalla Banda di Castelletto Ticino, tre testimoniaze di persone di diverse confessioni religiose, provenienti da Paesi in cui la guerra e il terrorismo sanno mietendo vittime: il Pakistan, il Senegal e la Nigeria dove si stanno acuendo gli attentati contro le comunità cristiane.


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    Fonte:http://www.sdnovarese.it/azione/arti...m?id_dati=4617

  8. #18
    Cronista Onoraria di CR L'avatar di marina83
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    Ghemme, chiesa gremita per l’ultimo saluto a don Gabriele Pelosi

    GHEMME, 2 GEN – Si sono svolti oggi pomeriggio, mercoledì 2 gennaio, in una chiesa parrocchiale di Ghemme gremita, i funerali di don Gabriele Pelosi, 91 anni, morto nella mattinata dello scorso 30 dicembre.
    Don Gabriele, nato nel 1921, è stato parroco del piccolo paese della Bassa Valsesia, nel Novarese, per moltissimi anni, sino agli ultimi anni Novanta.

    A officiare i funerali è stato il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla. Presenti una ventina di sacerdoti. In apertura di funerale, don Mario Perotti, originario di Ghemme e responsabile dell’Archivio storico diocesano, ha ripercorso la vita del sacerdote, che era nato a Fontaneto d’Agogna ed era stato ordinato prete il 27 maggio 1944.

    Fonte:http://www.oknovara.it/news/?p=69524
    Ultima modifica di marina83; 03-01-2013 alle 20:29

  9. #19
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    Gozzano, tutto pronto per la festa patronale GOZZANO, 4 GEN – Grande devozione e solennità liturgica caratterizzano le annuali celebrazioni che l’Unità pastorale gozzanese dedica al santo patrono di origine greca, Giuliano, evangelizzatore con il fratello Giulio, delle terre del Cusio.
    Come da tradizione, messe e momenti di preghiera,si svolgeranno presso la Basilica e nel sottostante, prezioso, scurolo settecentesco dove sono conservate le reliquie del santo, dipanandosi lungo un’intensa settimana che si aprirà il giorno dell’Epifania e si concluderà il 15 gennaio.
    Momento centrale, la solenne liturgia presieduta dal vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla (lunedì 7 gennaio, ore 10.30), che rifletterà sul tema “Come stai con la tua fede?”. Vi prenderanno parte i sindaci della Riviera del Lago d’Orta, a testimonianza dell’ esistenza dell’antica enclave (indipendente dal 1219 al 1817) retta dai vescovi novaresi, comprendente i paesi affacciati sul bacino lacustre. La suggestiva pieve mantiene vivo quell’’antico legame con i Vescovi che, anticamente, si imbarcavano presso il lido gozzanese (dove sono conservati preziosi affreschi dei loro stemmi) per raggiungere l’Isola di San Giulio. Importanti, sul colle del “Castello” (dove si erge la Basilica di San Giuliano), altri edifici religiosi, come l’ex seminario vescovile (presso cui studiò anche il cardinale Martini) e la residenza estiva, a fianco della basilica.
    Nel pomeriggio del 7 gennaio i vespri, la benedizione eucaristica, la presentazione delle offerte pro campanile, recentemente restaurato. Seguirà una “Meditazione musicale”, interpretata dal M° Barcellini. Seguirà il Concerto di San Giuliano (sabato 12 gennaio, ore 21) con le corali “San Giuliano” di Gozzano e “Santa Cecilia” di Galliate. Domenica 13 gennaio la funzione liturgica sarà presieduta da mons. Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare di Milano che rifletterà sul tema: “Riscoprire la fede del nostro Battesimo”. Parteciperanno i Diaconi Permanenti della Diocesi. Molti i momenti di preghiera guidati, tra gli altri, dal vicario episcopale per il Clero, don Gianluigi Cerutti, dal vicario territoriale, padre Fiorenzo Fornara Erbetta, dal rettore del Seminario di Novara, don Stefano Rocchetti. Da martedì 8 sino al 15 gennaio, nell’ambito dell’Ottavario, le sante messe saranno celebrate nello scurolo (ore 9.00 e ore 18.15) con un itinerario di catechesi sul tema: “Il Credo Apostolico”. Al termine dell’Ottavario: il prevosto di Gozzano, don Enzo Sala, consegnerà la “Lampada della Fede” alle Parrocchie dell’Unità Pastorale, presente la Confraternita “San Giovanni Battista” di Bolzano Novarese. (Nelle immagini alcuni momenti delle celebrazioni svoltesi in anni passati).

    Fonte:http://www.oknovara.it/news/?p=69596

  10. #20
    Cronista Onoraria di CR L'avatar di marina83
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    Videocommento al Vangelo di domenica 6/01/2013

    di don Mauro Pozzi




    Il viaggio dei Magi è simbolo di una ricerca spirituale

    Fonte:http://www.ilvergante.it/categoria.aspx?IDCategoria=3
    Ultima modifica di marina83; 04-01-2013 alle 16:44

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