Il card. Sgreccia e mons. Carrasco de Paula sui 20 anni della Pontificia Accademia per la Vita
Sono passati vent’anni da quando Papa Giovanni Paolo II istituì con il suo Motu Proprio Vitae Mysterium la Pontificia Accademia per la Vita, con l’obiettivo di studiare, informare e formare sui principali problemi della Biomedicina e del Diritto, relativi alla promozione e alla difesa della vita, soprattutto nel rapporto che questi hanno con la morale e gli orientamenti del Magistero della Chiesa. E’un cammino che, come spiegano i protagonisti, nonostante le difficoltà, continua a contrastare la “cultura della morte” in nome della dignità dell’essere umano. Il servizio di Gabriella Ceraso:
“Nel servizio alla vita, la Chiesa non può non incontrarsi con la scienza”, così si legge nel documento che fondò la Pontificia Accademia per la Vita l’11 febbraio del 1994. Per questo, Giovanni Paolo II volle allora un approccio multidisciplinare a questioni nuove e delicate, da cui scaturisse una sola voce competente e formativa per la Chiesa. Per 13 anni, questo compito è stato in mano, alla guida dell’Accademia, al cardinale Elio Sgreccia:
“E’ stato un periodo per me significativo e ho imparato molto stando a contatto con tanti studiosi su questioni salienti: la clonazione, le cellule staminali, l’esame delle situazioni e dei malati in stato vegetativo persistente. Prima di tutto, bisognava riflettere per capire quale fosse la posizione giusta, confrontarla con i fatti nuovi per giornate intere, valutare, riflettere. Poi, informare perché su quella base le diocesi, i vescovi, creavano la formazione degli organismi diocesani”.
Ma su che cosa basare il lavoro alla Pontificia Accademia, davanti alle sfide continue che la realtà pone? Ancora il cardinale Sgreccia:
“Quello che va sempre tenuto fermo è la centralità della persona umana, corpo e spirito, che ha una dimensione che trascende il cosmo – è persona – e che ha la sua libertà e dignità da rispettare in se stessa e negli altri”.
Un’Accademia che in vent’anni è sempre andata “controcorrente”, spiega l’attuale presidente, mons. Ignacio Carrasco de Paula, rispetto alla “cultura della morte” che Giovanni Paolo II citava nel '94 e che tuttora tende a pervadere, seppur con nuovi volti, la società:
“Per esempio, la clonazione ormai è una questione che è sparita, ma non è sparita per motivi di natura morale, ma perché era una via impraticabile. Invece, disgraziatamente, sia l’aborto sia l’eutanasia continuano con una piena attività, con queste manifestazioni ad esempio dell’estensione dell’eutanasia ai bambini”.
Ma la vera novità, continua il presidente dell’Accademia, è che non c’è solo questo:
“Venti anni fa, non esisteva una medicina palliativa, che effettivamente agisse in modo estremamente efficace nel combattere la sofferenza, il dolore. Poi, abbiamo avuto, e continua ancora, questa prospettiva aperta delle cellule staminali, della possibilità di avere una medicina rigenerativa. Sapere cioè riconoscere che non cresce solo una cultura della morte, ma anche una civiltà della vita, a condizione che effettivamente ognuno si impegni seriamente in questo campo”.
A oggi, a cosa sta lavorando l’Accademia?. Ancora mons Carrasco de Paula:
“Per esempio, stiamo lavorando sui trattamenti dell’infertilità: che cosa si può fare senza la necessità di dover ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. Di questo, c’è una mancanza di conoscenza. Un altro argomento su cui abbiamo pubblicato un testo è relativo alle conseguenze dell’aborto per le donne che si trovano in questa dolorosa situazione. Adesso, invece, nella prossima Assemblea tratteremo la questione della disabilità negli anziani, ovvero che cosa si può fare sia come prevenzione che come assistenza”.
Ad accompagnare il cammino della Pontificia Accademia per la Vita in vent’anni c’è sempre stata la presenza dei Pontefici. Oggi, l’insegnamento specifico è quello di Papa Francesco:
“Il Papa è molto cosciente di questa realtà e cioè che purtroppo viviamo in un’epoca in cui alcuni valori sono stati quasi messi da parte, ma nello stesso tempo ritiene che la questione più importante sia non ripetere all’infinito le parole di condanna, ma incoraggiare in cosa possiamo e dobbiamo fare per ribaltare questa situazione”.
fonte: Radio Vaticana