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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco - ANNO 2015

  1. #11
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    IN OCCASIONE DEGLI AUGURI DEL CORPO DIPLOMATICO
    ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE


    Sala Regia
    Lunedì, 12 gennaio 2015

    Eccellenze, Signore e Signori,


    Vi ringrazio per la Vostra presenza a questo tradizionale incontro che all’inizio di ogni nuovo anno mi consente di rivolgere a Voi, alle Vostre famiglie e ai popoli che rappresentate un cordiale saluto e l’augurio di ogni bene. Particolare riconoscenza desidero esprimere al Decano, Sua Eccellenza il Signor Jean-Claude Michel, per le gentili parole che mi ha indirizzato a nome di tutti, come pure a ciascuno di Voi per il costante impegno che profondete nel lavoro e nel favorire e incrementare, in spirito di reciproca collaborazione, le relazioni fra i Vostri Paesi e le Organizzazioni internazionali che rappresentate e la Santa Sede. Anche nel corso dell’ultimo anno, tali rapporti hanno potuto consolidarsi, sia per l’accresciuta presenza di Ambasciatori residenti a Roma, sia attraverso la firma di nuovi Accordi bilaterali di carattere generale, quale quello siglato nel gennaio scorso con il Camerun, e di intese specifiche, come quelle sottoscritte con Malta e con la Serbia.

    Quest’oggi desidero far risuonare con forza una parola a noi molto cara: pace! Essa ci giunge dalla voce delle schiere angeliche, che la annunciano nella notte di Natale (cfr Lc 2,14) quale prezioso dono di Dio e, nello stesso tempo, ce la indicano come responsabilità personale e sociale che ci deve trovare solleciti e operosi. Ma, accanto alla pace, il presepe racconta anche un’altra drammatica realtà: quella del rifiuto. In alcune raffigurazioni iconografiche, tanto dell’Occidente quanto dell’Oriente – penso ad esempio alla splendida icona della Natività di Andrej Rublëv – il Bambino Gesù non appare adagiato in una culla, bensì deposto in un sepolcro. L’immagine, che intende collegare le due principali feste cristiane – il Natale e la Pasqua –, mostra che accanto all’accoglienza gioiosa per la nuova nascita, vi è tutto il dramma di cui Gesù è oggetto, disprezzato e reietto fino alla morte in Croce.

    Gli stessi racconti della Natività ci mostrano il cuore indurito dell’umanità, che fatica ad accogliere il Bambino. Fin da subito anche Lui viene scartato, lasciato fuori al freddo, costretto a nascere in una stalla poiché non c’era posto nell’alloggio (cfr Lc 2,7). E se così è stato trattato il Figlio di Dio, quanto più lo sono tanti nostri fratelli e sorelle! C’è un’indole del rifiuto che ci accomuna, che induce a non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere, ma a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare. Si tratta di una mentalità che genera quella cultura dello scarto che non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso. Da essa nasce un’umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta.

    Nei racconti evangelici dell’infanzia ne è emblema il re Erode, che sentendo minacciata la propria autorità dal Bambino Gesù fa uccidere tutti gli infanti di Betlemme. Il pensiero corre subito al Pakistan, dove un mese fa oltre cento bambini sono stati trucidati con inaudita ferocia. Alle loro famiglie desidero rinnovare il mio personale cordoglio e l’assicurazione della mia preghiera per i tanti innocenti che hanno perso la vita.

    A una dimensione personale del rifiuto, si associa così inevitabilmente una dimensione sociale, una cultura che rigetta l’altro, recide i legami più intimi e veri, finendo per sciogliere e disgregare tutta quanta la società e per generare violenza e morte. Ne abbiamo una triste eco in numerosi fatti della cronaca quotidiana, non ultima la tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa. Gli altri «non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti» (Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2014, 4). E l’essere umano da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro, talvolta perfino di forme fuorviate di religione. Sono i pericoli che ho inteso richiamare nel Messaggio per la recente Giornata Mondiale della Pace, dedicato al problema delle molteplici schiavitù moderne. Esse nascono da un cuore corrotto, incapace di vedere e operare il bene, di perseguire la pace.

    Constatiamo con dolore le conseguenze drammatiche di questa mentalità del rifiuto e della «cultura dell’asservimento» (ibid., 2) nel continuo dilagare dei conflitti. Come una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi, essi toccano, seppure con forme e intensità diverse, varie zone del pianeta, a partire dalla vicina Ucraina, divenuta drammatico teatro di scontro e per la quale auspico che, attraverso il dialogo, si consolidino gli sforzi in atto per fare cessare le ostilità, e le parti coinvolte intraprendano quanto prima, in un rinnovato spirito di rispetto della legalità internazionale, un sincero cammino di fiducia reciproca e di riconciliazione fraterna che permetta di superare l’attuale crisi.

    Il mio pensiero va soprattutto al Medio Oriente, a partire dall’amata terra di Gesù, che ho avuto la gioia di visitare nel maggio scorso e per la quale non ci stancheremo mai di invocare la pace. Lo abbiamo fatto, con straordinaria intensità, insieme all’allora Presidente israeliano, Shimon Peres, e al Presidente palestinese, Mahmud Abbas, animati dalla fiduciosa speranza che possa riprendere il negoziato fra le due Parti, inteso a far cessare le violenze e a giungere ad una soluzione che permetta tanto al popolo palestinese che a quello israeliano di vivere finalmente in pace, entro confini chiaramente stabiliti e riconosciuti internazionalmente, così che “la soluzione di due Stati” diventi effettiva.

    Il Medio Oriente è purtroppo attraversato anche da altri conflitti, che si protraggono ormai da troppo tempo e i cui risvolti sono agghiaccianti anche per il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq. Tale fenomeno è conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio. Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico. Di fronte a tale ingiusta aggressione, che colpisce anche i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi della Regione - gli yazidi, per esempio - occorre una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite che il succedersi dei conflitti ha provocato. In questa sede faccio perciò appello all’intera comunità internazionale, così come ai singoli Governi interessati, perché assumano iniziative concrete per la pace e in difesa di quanti soffrono le conseguenze della guerra e della persecuzione e sono costretti a lasciare le proprie case e la loro patria. Con una lettera inviata poco prima di Natale, ho personalmente inteso manifestare la mia vicinanza e assicurare la mia preghiera a tutte le comunità cristiane del Medio Oriente, che offrono una preziosa testimonianza di fede e di coraggio, svolgendo un ruolo fondamentale come artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo nelle rispettive società civili di appartenenza. Un Medio Oriente senza cristiani sarebbe un Medio Oriente sfigurato e mutilato! Nel sollecitare la comunità internazionale a non essere indifferente davanti a tale situazione, auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza.

    Simili forme di brutalità, che non di rado mietono vittime fra i più piccoli e gli indifesi, non mancano purtroppo neanche in altre parti del mondo. Penso in modo particolare alla Nigeria, dove non cessano le violenze che colpiscono indiscriminatamente la popolazione, ed è in continua crescita il tragico fenomeno dei sequestri di persone, sovente di giovani ragazze rapite per essere fatte oggetto di mercimonio. È un esecrabile commercio che non può continuare! Una piaga che occorre sradicare poiché colpisce tutti noi dalle singole famiglie all’intera comunità mondiale (cfr Discorso ai nuovi Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, 12 dicembre 2013).

    Guardo poi con apprensione ai non pochi conflitti di carattere civile che interessano altre parti dell’Africa, a partire dalla Libia, lacerata da una lunga guerra intestina che causa indicibili sofferenze tra la popolazione e ha gravi ripercussioni sui delicati equilibri della Regione. Penso alla drammatica situazione nella Repubblica Centroafricana, nella quale duole constatare come la buona volontà che ha animato gli sforzi di coloro che vogliono costruire un futuro di pace, sicurezza e prosperità, incontri forme di resistenza ed egoistici interessi di parte che rischiano di vanificare le attese di un popolo tanto provato che anela a costruire liberamente il proprio futuro. Particolare preoccupazione desta anche la situazione in Sud Sudan e in alcune regioni del Sudan, del Corno d’Africa e della Repubblica Democratica del Congo, dove non cessa di crescere il numero di vittime tra la popolazione civile e migliaia di persone, tra cui molte donne e bambini, sono costrette a fuggire e a vivere in condizioni di estremo disagio. Auspico pertanto un impegno comune dei singoli governi e della comunità internazionale affinché si ponga fine ad ogni sorta di lotta, di odio e di violenza e ci si impegni in favore della riconciliazione, della pace e della difesa della dignità trascendente della persona.

    Non bisogna poi dimenticare che le guerre portano con sé un altro orrendo crimine che è lo stupro. È una gravissima offesa alla dignità della donna, che non solo viene violata nell’intimità del suo corpo, ma pure nella sua anima, con un trauma che difficilmente potrà essere cancellato e le cui conseguenze sono anche di carattere sociale. Purtroppo, si verifica che anche laddove non c’è guerra troppe donne ancor oggi soffrono violenza nei loro confronti.

    Tutti i conflitti bellici rivelano il volto più emblematico della cultura dello scarto, a causa delle vite che deliberatamente vengono calpestate da parte di chi detiene la forza. Vi sono però forme più sottili e subdole di rifiuto, che egualmente alimentano tale cultura. Penso anzitutto al modo con cui vengono spesso trattati i malati, isolati ed emarginati come i lebbrosi di cui parla il Vangelo. Tra i lebbrosi del nostro tempo vi sono le vittime di questa nuova e tremenda epidemia di Ebola, che, specialmente in Liberia, Sierra Leone e Guinea, ha già falcidiato oltre seimila vite. Desidero oggi pubblicamente elogiare e ringraziare quegli operatori sanitari che, insieme a religiosi e volontari, prestano ogni possibile cura ai malati e ai loro familiari, soprattutto ai bambini rimasti orfani. In pari tempo, rinnovo il mio appello a tutta la comunità internazionale perché venga assicurata un’adeguata assistenza umanitaria ai pazienti e vi sia un impegno comune per debellare il morbo.

    Accanto alle vite scartate a causa delle guerre o delle malattie, vi sono quelle di numerosi profughi e rifugiati. Ancora una volta i risvolti si comprendono attingendo all’infanzia di Gesù, che testimonia un’altra forma della cultura dello scarto che danneggia i rapporti e “scioglie” la società. Infatti, di fronte alla brutalità di Erode, la Santa Famiglia è costretta a fuggire in Egitto, da dove potrà ritornare solo alcuni anni dopo (cfr Mt 2,13-15). La conseguenza delle situazioni di conflitto poc’anzi descritte è spesso la fuga di migliaia di persone dalla propria terra d’origine. A volte non si va tanto in cerca di un futuro migliore, ma semplicemente di un futuro, poiché rimanere nella propria patria può significare una morte certa. Quante persone perdono la vita in viaggi disumani, sottoposte alle angherie di veri e propri aguzzini avidi di denaro? Ne ho fatto cenno nel corso della mia recente visita al Parlamento Europeo, ricordando che «non si può tollerare che il Mare Mediterraneo divenga un grande cimitero» (Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).Vi è poi un altro dato allarmante: molti migranti, soprattutto nelle Americhe, sono bambini soli, più facile preda dei pericoli, necessitando di maggiore cura, attenzione e protezione.

    Giunti spesso senza documenti in terre sconosciute di cui non parlano la lingua, è difficile per i migranti venire accolti e trovare lavoro. Oltre alle incertezze della fuga, essi sono costretti ad affrontare anche il dramma del rifiuto. È dunque necessario un cambio di atteggiamento nei loro confronti, per passare dal disinteresse e dalla paura ad una sincera accettazione dell’altro. Ciò naturalmente richiede di «mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini (…) e garantire l’accoglienza dei migranti» (ibid.). Nel ringraziare quanti, anche al costo della vita, si adoperano per portare soccorso ai rifugiati e ai migranti, esorto tanto gli Stati quanto le Organizzazioni internazionali ad agire con impegno per risolvere tali gravi situazioni umanitarie e a fornire ai Paesi di origine dei migranti aiuti per favorirne lo sviluppo socio-politico e il superamento dei conflitti interni, che sono la causa principale di tale fenomeno. «È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti» (ibid.). Peraltro, ciò consentirà ai migranti di tornare un giorno nella propria patria e contribuire alla sua crescita e al suo sviluppo.

    Ma accanto ai migranti, ai profughi e ai rifugiati, vi sono tanti altri «esiliati nascosti» (Angelus, 29 dicembre 2013), che vivono all’interno delle nostre case e delle nostre famiglie. Penso soprattutto agli anziani e ai diversamente abili, come pure ai giovani. I primi sono oggetto di rifiuto quando vengono ritenuti un peso e «presenze ingombranti» (ibid.), mentre gli ultimi sono scartati negando loro concrete prospettive lavorative per costruirsi il proprio avvenire. D’altra parte non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro(cfr Discorso ai partecipanti all’incontro mondiale dei Movimenti Popolari, 28 ottobre 2014), e che rende il lavoro una forma di schiavitù. È quanto ho inteso richiamare nel corso di un recente incontro con i movimenti popolari, che si adoperano con dedizione per ricercare soluzioni adeguate ad alcuni problemi del nostro tempo, quali la piaga sempre più estesa della disoccupazione giovanile e del lavoro nero, e il dramma di tanti lavoratori, specialmente bambini, sfruttati per avidità. Tutto ciò è contrario alla dignità umana e deriva da una mentalità che pone al centro il denaro, i benefici e i profitti economici a scapito dell’uomo stesso.

    La famiglia stessa è poi non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società.

    Tra le cause di tali fenomeni vi è una globalizzazione uniformante che scarta le culture stesse, recidendo così i fattori propri dell’identità di ciascun popolo che costituiscono l’imprescindibile eredità alla base di un sano sviluppo sociale. In un mondo uniformato e privo d’identità è facile cogliere il dramma e lo scoraggiamento di molte persone, che hanno letteralmente perso il senso del vivere. Tale dramma è aggravato dalla perdurante crisi economica, che genera sfiducia e favorisce la conflittualità sociale. Ne ho potuto notare i risvolti anche qui a Roma, incontrando tante persone che vivono situazioni di disagio, come pure nel corso dei diversi viaggi che ho compiuto in Italia.

    Proprio alla cara Nazione italiana desidero rivolgere un pensiero carico di speranza perché nel perdurante clima di incertezza sociale, politica ed economica il popolo italiano non ceda al disimpegno e alla tentazione dello scontro, ma riscopra quei valori di attenzione reciproca e solidarietà che sono alla base della sua cultura e della convivenza civile, e sono sorgenti di fiducia tanto nel prossimo quanto nel futuro, specie per i giovani.

    Pensando alla gioventù, desidero menzionare il mio viaggio in Corea, dove nell’agosto scorso ho potuto incontrare migliaia di giovani convenuti per la VI Giornata della Gioventù Asiatica e dove ho ricordato che occorre valorizzare i giovani, «cercando di trasmettere loro l’eredità del passato e di applicarla alle sfide del tempo presente» (Incontro con le Autorità, Seoul, 14 agosto 2014). È necessario perciò riflettere «sull’adeguatezza del modo di trasmettere i nostri valori alle future generazioni e su quale tipo di società ci stiamo preparando a consegnare loro» (ibid.).

    Questa sera stessa avrò la gioia di ripartire per l’Asia, per visitare lo Sri Lanka e le Filippine e così testimoniare l’attenzione e la sollecitudine pastorale con cui seguo le vicende dei popoli di quel vasto continente. A loro e ai loro Governi desidero manifestare, ancora una volta, l’anelito della Santa Sede ad offrire il proprio contributo di servizio al bene comune, all’armonia e alla concordia sociale. In particolare, auspico una ripresa del dialogo fra le due Coree, che sono Paesi fratelli che parlano la stessa lingua.

    Eccellenze, Signore e Signori,

    All’inizio di un nuovo anno non vogliamo però che il nostro sguardo sia dominato dal pessimismo, dai difetti e dalle mancanze di questo nostro tempo. Vogliamo anche ringraziare Dio per ciò che ci ha donato, per i benefici che ci ha elargito, per i dialoghi e gli incontri che ci ha concesso e per alcuni frutti di pace che ci ha dato la gioia di assaporare.

    Una eloquente testimonianza che la cultura dell’incontro è possibile, l’ho sperimentata nel corso della mia visita in Albania, una Nazione piena di giovani, che sono speranza per il futuro. Nonostante le ferite sofferte nella storia recente, il Paese è caratterizzato dalla «pacifica convivenza e collaborazione tra gli appartenenti a diverse religioni» (Discorso alle Autorità, Tirana, 21 settembre 2014) in un clima di rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani. È un segno importante che una fede in Dio sincera apre all’altro, genera dialogo e opera per il bene, mentre la violenza nasce sempre da una mistificazione della religione stessa, assunta a pretesto di progetti ideologici che hanno come unico scopo il dominio dell’uomo sull’uomo. Parimenti, nel recente viaggio in Turchia, storico ponte fra Oriente e Occidente, ho potuto constatare i frutti del dialogo ecumenico e interreligioso, nonché l’impegno verso i profughi provenienti dagli altri Paesi del Medio Oriente. Ho ritrovato tale spirito di accoglienza anche in Giordania, che ho visitato all’inizio del mio pellegrinaggio in Terra Santa, come pure attraverso le testimonianze giunte dal Libano, al quale auspico di superare le attuali difficoltà politiche.

    Un esempio a me molto caro di come il dialogo possa davvero edificare e costruire ponti viene dalla recente decisione degli Stati Uniti d’America e di Cuba di porre fine ad un silenzio reciproco durato oltre mezzo secolo e di riavvicinarsi per il bene dei rispettivi cittadini. In tale prospettiva rivolgo un pensiero anche al popolo del Burkina Faso, impegnato in un periodo di importanti trasformazioni politiche ed istituzionali, affinché un rinnovato spirito di collaborazione possa contribuire allo sviluppo di una società più giusta e fraterna. Rilevo, inoltre, con compiacimento la firma nel marzo scorso dell’Accordo che pone fine a lunghi anni di tensioni nelle Filippine. Parimenti incoraggio l’impegno in favore di una pace stabile in Colombia, come pure le iniziative volte a ristabilire la concordia nella vita politica e sociale in Venezuela. Auspico anche che si possa presto pervenire ad un’intesa definitiva tra l’Iran e il cosiddetto Gruppo 5+1 circa l’utilizzo dell’energia nucleare per scopi pacifici, apprezzando gli sforzi finora compiuti. Accolgo, poi, con soddisfazione la volontà degli Stati Uniti di chiudere definitivamente il carcere di Guantánamo, rilevando la generosa disponibilità di alcuni Paesi ad accogliere i detenuti. E questi Paesi ringrazio di cuore. Infine, desidero esprimere il mio apprezzamento ed incoraggiamento per quei Paesi che si stanno attivamente impegnando per favorire lo sviluppo umano, la stabilità politica e la convivenza civile tra i loro cittadini.

    Eccellenze, Signore e Signori,

    Il 6 agosto 1945, l’umanità assisteva ad una delle più tremende catastrofi della propria storia. Per la prima volta, in un modo nuovo e senza precedenti, il mondo sperimentava fino a che punto poteva giungere il potere distruttivo dell’uomo. Dalle ceneri di quell’immane tragedia che è stata la seconda guerra mondiale è sorta tra le Nazioni una volontà nuova di dialogo e di incontro che ha dato vita all’Organizzazione delle Nazioni Unite, di cui quest’anno celebreremo il 70° anniversario. Nella visita compiuta al Palazzo di Vetro cinquant’anni fa, il mio Beato Predecessore, Papa Paolo VI, ricordava che «il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità» (Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite, New York, 4 ottobre 1965).

    È anche la mia fiduciosa invocazione per questo nuovo anno, che peraltro vedrà il prosieguo di due importanti processi: la redazione dell’Agenda di Sviluppo post-2015, con l’adozione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, e l’elaborazione di un nuovo Accordo sul clima. E’ urgente, questo. Il loro presupposto indispensabile è la pace, la quale, prima ancora che dalla fine di ogni guerra, sgorga dalla conversione del cuore.

    Con questi sentimenti, rinnovo a ciascuno di Voi, alle Vostre famiglie e ai Vostri popoli, l’augurio di un 2015 di speranza e di pace.


    fonte: Sito ufficiale della Santa Sede

  2. #12
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    Messaggio del Santo Padre ai partecipanti all’incontro dei Presidenti delle Commissioni Dottrinali delle Conferenze Episcopali Europee (Esztergom, Ungheria, 13-15 gennaio 2015), 13.01.2015

    Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato ai partecipanti all’incontro dei Presidenti delle Commissioni Dottrinali delle Conferenze Episcopali Europee (Esztergom, Ungheria, 13-15 gennaio 2015) e di cui è stata data lettura questa mattina all’apertura dei lavori:

    Messaggio del Santo Padre

    Cari Fratelli nell’Episcopato,

    in occasione dell’incontro dei Presidenti delle Commissioni Dottrinali delle Conferenze Episcopali europee con la Congregazione per la Dottrina della Fede a Esztergom, nel cuore religioso dell’Ungheria, tra il 13 e il 15 gennaio 2015, vorrei trasmettervi un mio cordiale saluto.

    Ringrazio il Cardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per questa opportuna iniziativa, che mira a valorizzare gli Episcopati locali, e in particolare le Commissioni Dottrinali, nella loro responsabilità per l’unità e l’integrità della fede nonché per la sua trasmissione alle giovani generazioni. Come ho scritto nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, riprendendo l’insegnamento della Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II, "le Conferenze Episcopali possono portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente" (n. 33). Auspico che il vostro incontro contribuisca ad affrontare collegialmente alcune difficoltà dottrinali e pastorali che si pongono oggi nel continente europeo, con lo scopo di suscitare nei fedeli un nuovo slancio missionario e una maggiore apertura alla dimensione trascendente della vita, senza la quale l’Europa rischia di perdere quello "spirito umanistico" che pure ama e difende (cfr. Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014).

    Nell’affidare i vostri lavori all’intercessione materna della Vergine Maria, modello di ogni credente, vi benedico di cuore.

    Dal Vaticano, 9 gennaio 2015.

    Francesco

    [00077-01.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0028-XX.01]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  3. #13
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    VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO
    IN SRI LANKA E NELLE FILIPPINE
    (12 - 19 gennaio 2015)



    Lunedì 12 gennaio




    Martedì 13 gennaio

    • Discorso del Santo Padre durante la cerimonia di benvenuto presso l'aeroporto internazionale Bandaranaike di Colombo, Sri Lanka.

    • Discorso del Santo Padre durante l'incontro interreligioso presso il Bandaranaike Memorial International Conference Hall di Colombo.



    Mercoledì 14 gennaio

    • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa per la Canonizzazione del Beato Giuseppe Vaz nel Parco urbano Galle Face Green di Colombo.

    • Discorso del Santo Padre durante la Preghiera mariana nel Santuario di Nostra Signora del Rosario a Madhu.



    Giovedì 15 gennaio




    Venerdì 16 gennaio

    • Discorso del Santo Padre durante l'Incontro con Autorità e Corpo Diplomatico presso la Rizal Cerimonial Hall del Palazzo Presidenziale di Manila, Filippine.

    • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa con Vescovi, sacerdoti, religiose, religiosi e seminaristi nella Cattedrale di Manila.

    • Discorso del Santo Padre durante l'incontro con le famiglie presso il Palazzo dello Sport Mall of Asia Arena di Manila.



    Sabato 17 gennaio




    Domenica 18 gennaio




    Lunedì 19 gennaio

    • Telegrammi del Santo Padre inviati ai Capi di Stato di Filippine, Cina, Mongolia, Russia, Bielorussia, Polonia, Slovacchia, Austria, Slovenia e al Presidente Supplente della Repubblica Italiana durante il viaggio aereo di ritorno a Roma.

    • Conferenza Stampa del Santo Padre durante il viaggio aereo di ritorno a Roma.

  4. #14
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    L’Udienza Generale, 21.01.2015

    L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.00 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
    Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul suo Viaggio Apostolico in Sri Lanka e Filippine, appena conclusosi.
    Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un invito alla preghiera per le vittime delle manifestazioni nel Niger e un appello in favore della pace e della riconciliazione.
    L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

    Catechesi del Santo Padre in lingua italiana

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

    Oggi mi soffermerò sul viaggio apostolico in Sri Lanka e nelle Filippine, che ho compiuto la scorsa settimana. Dopo la visita in Corea di qualche mese fa, mi sono recato nuovamente in Asia, continente di ricche tradizioni culturali e spirituali. Il viaggio è stato soprattutto un gioioso incontro con le comunità ecclesiali che, in quei Paesi, danno testimonianza a Cristo: le ho confermate nella fede e nella missionarietà. Conserverò sempre nel cuore il ricordo della festosa accoglienza da parte delle folle – in alcuni casi addirittura oceaniche –, che ha accompagnato i momenti salienti del viaggio. Inoltre ho incoraggiato il dialogo interreligioso al servizio della pace, come pure il cammino di quei popoli verso l’unità e lo sviluppo sociale, specialmente con il protagonismo delle famiglie e dei giovani.

    Il momento culminante del mio soggiorno in Sri Lanka è stata la canonizzazione del grande missionario Giuseppe Vaz. Questo santo sacerdote amministrava i Sacramenti, spesso in segreto, ai fedeli, ma aiutava indistintamente tutti i bisognosi, di ogni religione e condizione sociale. Il suo esempio di santità e amore al prossimo continua a ispirare la Chiesa in Sri Lanka nel suo apostolato di carità e di educazione. Ho indicato san Giuseppe Vaz come modello per tutti i cristiani, chiamati oggi a proporre la verità salvifica del Vangelo in un contesto multireligioso, con rispetto verso gli altri, con perseveranza e con umiltà.

    Lo Sri Lanka è un paese di grande bellezza naturale, il cui popolo sta cercando di ricostruire l’unità dopo un lungo e drammatico conflitto civile. Nel mio incontro con le Autorità governative ho sottolineato l’importanza del dialogo, del rispetto per la dignità umana, dello sforzo di coinvolgere tutti per trovare soluzioni adeguate in ordine alla riconciliazione e al bene comune.

    Le diverse religioni hanno un ruolo significativo da svolgere al riguardo. Il mio incontro con gli esponenti religiosi è stato una conferma dei buoni rapporti che già esistono tra le varie comunità. In tale contesto ho voluto incoraggiare la cooperazione già intrapresa tra i seguaci delle differenti tradizioni religiose, anche al fine di poter risanare col balsamo del perdono quanti ancora sono afflitti dalle sofferenze degli ultimi anni. Il tema della riconciliazione ha caratterizzato anche la mia visita al santuario di Nostra Signora di Madhu, molto venerata dalle popolazioni Tamil e Cingalesi e meta di pellegrinaggio di membri di altre religioni. In quel luogo santo abbiamo chiesto a Maria nostra Madre di ottenere per tutto il popolo srilankese il dono dell’unità e della pace.

    Dallo Sri Lanka sono partito alla volta delle Filippine, dove la Chiesa si prepara a celebrare il quinto centenario dell’arrivo del Vangelo. È il principale Paese cattolico dell’Asia, e il popolo filippino è ben noto per la sua profonda fede, la sua religiosità e il suo entusiasmo, anche nella diaspora. Nel mio incontro con le Autorità nazionali, come pure nei momenti di preghiera e durante l’affollata Messa conclusiva, ho sottolineato la costante fecondità del Vangelo e la sua capacità di ispirare una società degna dell’uomo, in cui c’è posto per la dignità di ciascuno e le aspirazioni del popolo filippino.

    Scopo principale della visita, e motivo per cui ho deciso di andare nelle Filippine - questo è stato il motivo principale -, era poter esprimere la mia vicinanza ai nostri fratelli e sorelle che hanno subito la devastazione del tifone Yolanda. Mi sono recato a Tacloban, nella regione più gravemente colpita, dove ho reso omaggio alla fede e alla capacità di ripresa della popolazione locale. A Tacloban, purtroppo, le avverse condizioni climatiche hanno causato un’altra vittima innocente: la giovane volontaria Kristel, travolta e uccisa da una struttura spazzata dal vento. Ho poi ringraziato quanti, da ogni parte del mondo, hanno risposto al loro bisogno con una generosa profusione di aiuti. La potenza dell’amore di Dio, rivelato nel mistero della Croce, è stata resa evidente nello spirito di solidarietà dimostrata dai molteplici atti di carità e di sacrificio che hanno segnato quei giorni bui.

    Gli incontri con le famiglie e con i giovani, a Manila, sono stati momenti salienti della visita nelle Filippine. Le famiglie sane sono essenziali alla vita della società. Dà consolazione e speranza vedere tante famiglie numerose che accolgono i figli come un vero dono di Dio. Loro sanno che ogni figlio è una benedizione. Ho sentito dire da alcuni che le famiglie con molti figli e la nascita di tanti bambini sono tra le cause della povertà. Mi pare un’opinione semplicistica. Posso dire, possiamo dire tutti, che la causa principale della povertà è un sistema economico che ha tolto la persona dal centro e vi ha posto il dio denaro; un sistema economico che esclude, esclude sempre: esclude i bambini, gli anziani, i giovani, senza lavoro … - e che crea la cultura dello scarto che viviamo. Ci siamo abituati a vedere persone scartate. Questo è il motivo principale della povertà, non le famiglie numerose. Rievocando la figura di san Giuseppe, che ha protetto la vita del "Santo Niño", tanto venerato in quel Paese, ho ricordato che occorre proteggere le famiglie, che affrontano diverse minacce, affinché possano testimoniare la bellezza della famiglia nel progetto di Dio. Occorre anche difendere le famiglie dalle nuove colonizzazioni ideologiche, che attentano alla sua identità e alla sua missione.

    Ed è stata una gioia per me stare con i giovani delle Filippine, per ascoltare le loro speranze e le loro preoccupazioni. Ho voluto offrire ad essi il mio incoraggiamento per i loro sforzi nel contribuire al rinnovamento della società, specialmente attraverso il servizio ai poveri e la tutela dell’ambiente naturale.

    La cura dei poveri è un elemento essenziale della nostra vita e testimonianza cristiana – ho accennato a questo anche nella visita; comporta il rifiuto di ogni forma di corruzione, perché la corruzione ruba ai poveri e richiede una cultura di onestà.

    Ringrazio il Signore per questa visita pastorale in Sri Lanka e nelle Filippine. Gli chiedo di benedire sempre questi due Paesi e di confermare la fedeltà dei cristiani al messaggio evangelico della nostra redenzione, riconciliazione e comunione con Cristo.

    [00107-01.01] [Testo originale: Italiano]

    Sintesi della catechesi e saluti nelle diverse lingue

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua francese


    Speaker :


    Frères et sœurs, je voudrais aujourd’hui revenir sur mon voyage de la semaine dernière en Asie. Le moment culminant de ma visite au Sri Lanka a été la canonisation de saint Joseph Vaz, grand missionnaire qui exerça son ministère à un moment de violente persécution. J’ai souvent abordé le thème de la réconciliation, auprès des autorités civiles, comme devant les chefs des différentes religions, mais surtout au sanctuaire marial de Madhu, demandant à Notre Dame l’unité et la paix pour le peuple sri-lankais. Je suis allé aussi au Philippines, qui fête les cinq cents ans de son évangélisation. Après avoir exprimé ma proximité au victimes du Typhon Yolanda ainsi que mes remerciements à tous ceux qui avaient porté secours, j’ai rencontré les familles, qui sont aujourd’hui menacées et ont besoin d’être protégées. J’ai voulu enfin offrir une parole d’encouragement aux jeunes dans leurs efforts pour renouveler la société, avec une attention spéciale aux pauvres.

    Santo Padre :

    Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i sacerdoti della Diocesi d’Aix et Arles, accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Christophe Dufour. Che il Signore vi doni la grazia di seguirlo e di mantenere sempre la stessa speranza nelle prove e nei momenti difficili, sull’esempio delle comunità cristiane dell’Asia che ho incontrato. Buon pellegrinaggio!

    Speaker :

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les prêtres du diocèse d’Aix et Arles, avec leur Évêque, Monseigneur Christophe Dufour. Que le Seigneur vous donne la grâce de le suivre et de toujours garder l’espérance même dans les épreuves et les moments difficiles, à l’exemple des communautés chrétiennes d’Asie que j’ai rencontrées. Bon pèlerinage !

    [00108-03.01] [Texte original: Français]

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua inglese

    Speaker:


    Dear Brothers and Sisters: My recent Apostolic Journey to Sri Lanka and the Philippines was a joy-filled encounter with their Catholic communities. In Sri Lanka I canonized Saint Joseph Vaz, a great missionary whose example of charity continues to inspire the faithful in their service to the poor and in respectful relations with the followers of other religions. Sri Lanka still suffers the effects of a prolonged civil conflict. In my meeting with religious leaders I asked that we work together as agents of healing, peace and reconciliation. My visit to the Philippines was a sign of solidarity with all those affected by Typhoon Yolanda. In Tacloban we celebrated our hope in the mercy of God, who does not disappoint. In Manila I asked families to cherish and protect the family in its fundamental role in society and in God’s plan. At my meeting with young people, I challenged them to build a society of integrity and compassion for the poor. At the conclusion of my visit, I commended the Filipino people to their patron and protector, the Christ Child, and urged them to persevere in their precious witness to the Gospel on the great continent of Asia.

    Santo Padre:


    Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Regno Unito, Svizzera, Nuova Zelanda, Giappone e Stati Uniti d’America. Invoco su voi e sulle vostre famiglie la grazia e la pace nel Signore Gesù. Dio vi benedica!

    Speaker:

    I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including the various groups from the United Kingdom, Switzerland, New Zealand, Japan and the United States of America. Upon you and your families I invoke grace and peace in the Lord Jesus. God bless you all!

    [00109-02.01] [Original text: English]

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua tedesca

    Speaker:


    Liebe Brüder und Schwestern, meine Apostolische Reise nach Sri Lanka und auf die Philippinen vergangene Woche gab mir die Möglichkeit, den Katholiken dieser Länder zu begegnen und sie im Glauben und im missionarischen Eifer zu bestärken. Der Höhepunkt meines Besuches in Sri Lanka war die Heiligsprechung von Joseph Vaz, eines großen Missionars und Vorbilds der Nächstenliebe. Lange Zeit wurde das Land von inneren Unruhen zerrissen. Daher waren bei meinen Treffen mit den politischen und religiösen Verantwortungsträgern der Dialog, der gegenseitige Respekt und die Zusammenarbeit zentrale Themen. Im Marienheiligtum von Madhu habe ich in besonderer Weise um Versöhnung, Einheit und Frieden für alle Bewohner Sri Lankas gebetet. Auf den Philippinen bereitet sich die Kirche auf das 500-Jahr-Jubiläum der Ankunft des Evangeliums vor. Die Philippiner sind für ihre tiefe Religiosität bekannt. Bei meinem Besuch habe ich an die stete Neuheit und Fruchtbarkeit des Evangeliums für eine echte menschenwürdige Gesellschaft erinnert. Ein besonders Anliegen war es mir, den vom Taifun Yolanda heimgesuchten Menschen in der Region Tacloban meine Nähe zu zeigen. Bedeutend waren auch die Treffen mit den Familien und den Jugendlichen. Gesunde Familien sind wesentlich für das Leben der Gesellschaft, und darum müssen wir die Familien vor den Bedrohungen verschiedenster Art schützen und die jungen Menschen im Einsatz für die Erneuerung der Gesellschaft unterstützen.

    Santo Padre:


    Saluto con gioia i pellegrini e visitatori di lingua tedesca. Ringrazio Dio per la mia visita in Sri Lanka e nelle Filippine e per l’opera della Chiesa in quei due Paesi. In questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani chiediamo al Signore di confermare tutti i battezzati nella fedeltà al messaggio evangelico e nell’impegno comune per la riconciliazione e la pace. Di cuore vi benedico tutti.

    Speaker:

    Mit Freude grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache. Ich danke Gott für meinen Besuch in Sri Lanka und auf den Philippinen und für das Wirken der Kirche in diesen beiden Ländern. In dieser Gebetswoche für die Einheit der Christen bitten wir den Herrn, alle Getauften in der Treue zur Botschaft des Evangeliums und im gemeinsamen Einsatz für die Versöhnung und den Frieden zu bestärken. Von Herzen segne ich euch alle.

    [00110-05.01] [Originalsprache: Deutsch]

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua spagnola

    Queridos hermanos y hermanas:

    Hoy me gustaría hablarles de mi reciente viaje apostólico a Sri Lanka y Filipinas, donde he podido encontrarme con las comunidades católicas para confirmarlas en la fe y en la misión, para animarlas a buscar cada vez más el bien común de la sociedad y para favorecer el diálogo interreligioso en el servicio de la paz.

    En Sri Lanka, he canonizado al gran evangelizador San José Vaz, modelo para los cristianos de hoy, llamados a presentar cada día la verdad salvífica del Evangelio en un contexto multirreligioso. En las diversas reuniones con las autoridades civiles y los líderes religiosos, he tenido ocasión de subrayar la importancia del diálogo y del respeto a la dignidad de la persona, en la búsqueda paciente de la reconciliación y la concordia. En el Santuario de Nuestra Señora de Madhu, pedí a la Virgen María, nuestra Madre, el don de la unidad y de la paz para todo el pueblo de Sri Lanka.

    En Filipinas, que está a punto de celebrar el quinto centenario de la llegada de los primeros misioneros, insistí en la constante fecundidad del Evangelio y su capacidad de generar una sociedad digna del hombre. Las celebraciones con las familias y los jóvenes han sido momentos destacados del viaje. Además, he querido expresar mi cercanía a cuantos sufren a causa de la devastación del tifón Yolanda. Invito a rezar constantemente por todo el continente asiático.

    Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los formadores de Seminarios reunidos en el Pontificio Colegio Español de San José, de Roma, para un curso de actualización; también saludo a los grupos venidos de España, de México - veo que hay muchos mexicanos por allá -, Argentina y otros países latinoamericanos. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

    [00111-04.01] [Texto original: Español]

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua portoghese

    Speaker:


    Na semana passada, pude visitar o Sri Lanka e as Filipinas, que, em tempos recentes, viveram grandes tribulações e necessitam da força e solidariedade de todos nós no seu caminho de reconstrução social e material. O Sri Lanka rejubilou com o seu primeiro santo – São José Vaz –, cujo exemplo de santidade e amor ao próximo continua a inspirar a Igreja no seu serviço de caridade e promoção humana aberto a todos os necessitados sem distinção de religião ou grupo social. O meu encontro com os vários líderes religiosos permitiu-me verificar as boas relações que existem entre as diferentes tradições religiosas, pedindo-lhes a cooperação de todos para curar, com o bálsamo do perdão, as feridas do longo e dramático conflito civil. Nossa Senhora de Madhu obtenha, para todo o povo do Sri Lanka, o dom da unidade e da paz. Objectivo particular da minha visita às Filipinas era levar conforto e encorajamento às populações que foram atingidas pelo tufão Yolanda com toda a sua força devastadora; com maior força, porém, se manifestou lá o amor de Deus no espírito de solidariedade demonstrada em inúmeros gestos sacrificados e iniciativas de caridade, que marcaram aqueles trágicos dias e têm ajudado aquela gente a erguer-se de novo. Coragem e fé não lhe falta! Isto mesmo pedi às famílias e aos jovens das Filipinas, onde a Igreja se prepara para celebrar o quinto centenário da chegada do Evangelho. São hoje o maior país católico da Ásia.

    Santo Padre:

    Con sentimenti di grata stima vi saluto, carissimi pellegrini di lingua portoghese, chiedendo la vostra solidarietà spirituale e materiale in favore delle popolazioni duramente provate dello Sri Lanka e delle Filippine. Ciò fa parte di quel «dialogo della carità» che punta alla piena comunione di tutti i figli di Dio, come ci ricorda in questi giorni l’Ottavario di Preghiera per l’unità dei cristiani. Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione del Signore.

    Speaker:

    Com sentimentos de grata estima, vos saúdo, caríssimos peregrinos de língua portuguesa, pedindo a vossa solidariedade espiritual e material em favor das populações duramente provadas do Sri Lanka e das Filipinas. Isto faz parte daquele «diálogo da caridade» que visa a plena comunhão de todos os filhos de Deus, como nos recorda nestes dias o Oitavário de Oração pela unidade dos cristãos. Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção do Senhor.

    [00112-06.01] [Texto original: Português]

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua polacca

    Speaker:


    Ojciec Święty przypomniał nam dzisiaj przebieg pielgrzymki do Siri Lanki i na Filipiny. Podziękował wiernym tamtejszego Kościoła za świadectwo wiary i entuzjastyczne przyjęcie. Wspomniał, że celem jego pielgrzymki było umocnienie ich w wierności Chrystusowi, w misyjnej posłudze, budowaniu pokoju, w trosce o dobro wspólne i dążeniu do dialogu międzyreligijnego. Przypomniał szczególne wydarzenie, jakim była na Siri Lance kanonizacja wielkiego misjonarza św. Józefa Vaza, którego świętość i miłość bliźniego inspirują tamtejszy Kościół w jego apostolstwie miłosierdzia i wychowania. Wspomniał o spotkaniu ze zwierzchnikami religii i wizytę w sanktuarium Matki Bożej w Madhu, w którym modlono się o pokój i dar jedności. Na Filipinach Ojciec Święty wyraził swą bliskość z tymi, którzy doświadczyli spustoszenia spowodowanego tajfunem Yolanda. Spotkał się z młodzieżą i rodzinami, którym przypomniał o potrzebie obrony wartości, zachowania dobrych tradycji i odnowy społeczeństwa. Podczas Mszy Świętej w Rizal Park, w której uczestniczyła wielomilionowa rzesza wiernych, zachęcał Filipińczyków, by stawali się dla całego świata świadkami ewangelicznej radości. Dzisiaj, Ojciec Święty raz jeszcze prosił Boga, by błogosławił tym krajom i ich mieszkańcom.

    Santo Padre:

    Cari polacchi, vi ringrazio molto per il sostegno spirituale durante il mio pellegrinaggio in Sri Lanka e nelle Filippine. Oggi desidero anche affidare alle vostre orazioni la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che ha come motto la richiesta che Gesù fece alla Samaritana: "Dammi da bere" (Gv 4, 7). La contemplazione di questa scena evangelica sia per voi un’occasione per poter conoscere ancora meglio la tradizione delle chiese sorelle, per approfondire il dialogo, la preghiera comune e la piena unità dei testimoni di Cristo. Vi benedico di cuore.

    Speaker:

    Drodzy Polacy, bardzo dziękuję wam za duchowe wsparcie mojej podróży na Siri Lankę i na Filipiny. Dzisiaj pragnę polecić też waszym modlitwom trwający Tydzień Modlitw o Jedność Chrześcijan. Jego mottem jest prośba Jezusa skierowana do Samarytanki: „Daj mi pić!" (J 4, 7). Niech rozważanie tej ewangelicznej sceny będzie dla was okazją do jeszcze głębszego poznania tradycji bratnich Kościołów, do dialogu i wspólnej modlitwy o pełną jedność wyznawców Chrystusa. Z serca wam błogosławię.

    [00113-09.01] [Testo originale: Polacco]

    Sintesi della catechesi e saluto in lingua araba

    Speaker:


    أيها الإخوة والأخوات الأعزاء، نتابع اليوم تعاليمنا حول العائلة. في العائلة نجد الأم وكل شخص بشري يدين بالحياة لأم، وغالبًا ما يدين لها بالكثير من حياته اللاحقة ومن تنشئته الإنسانية والروحية. فالأم وبالرغم من أنها مبجّلة جدًّا من وجهة النظر الرمزيّة، لكنها لا تحظى بالإصغاء والمساعدة في الحياة اليوميّة، وهي لا تُقدّر كثيرًا في دورها الجوهري في المجتمع. حتى في الجماعات المسيحيّة قليلاً ما يتم الإصغاء إلى الأم. وبالتالي ينبغي أن تحظى الأمهات المستعدات على تضحية الكثير في سبيل أبنائهنّ على المزيد من الإصغاء. كما ومن الأهميّة بمكان أن يُفهم جهادهنَّ اليومي ليكنَّ أكثر فعاليّة في العمل وتنبُّهًا وحنانًا في العائلة. إن الأمهات هنَّ الترياق الأقوى ضد انتشار الفردانيّة الأنانيّة. أيها الأعزاء، إن مجتمعًا بدون أمهات هو مجتمع لاإنساني، لأن الأمهات تعرفن على الدوام كيف يشهدن للحنان والتكرس والقوة المعنويّة حتى في أسوء الأوقات. إن الأمهات ينقلن غالبًا أيضًا معنى الممارسة الدينية الأكثر عمقًا، وبدون الأمهات لا يُفقد فقط المؤمنون الجدد لا بل يفقد الإيمان أيضًا جزءًا كبيرًا من حرارته البسيطة والعميقة. أيتها الأمهات العزيزات، شكرًا على ما أنتنّ عليه وعلى ما تعطينه للكنيسة والعالم.

    Santo Padre:

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, durante il mio viaggio apostolico in Sri Lanka e nelle Filippine, il mio pensiero è andato anche a voi e a tutti i cristiani perseguitati nel mondo. Vi assicuro della mia vicinanza paterna e invoco su di voi la Benedizione divina.

    Speaker:

    أُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربية، وخاصةً بالقادمينَ من الشرق الأوسط. أيّها الإخوةُ والأخواتُ الأعزّاء، لنُصغِ إلى أمّهاتنا! فالأم تعرف على الدوام ما هو الضروري والمهم لكي يسير ابنها في الدرب الصحيح وهي مستعدّة دائمًا لتبذل حياتها في سبيل أبنائها! ليبارككُم الرب ويحفظ أمهاتكم!

    [00114-08.01] [Testo originale: Arabo]

    Saluto in lingua italiana

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto gli insegnanti dei Seminari ed Istituti Superiori affiliati alla Pontificia Università Urbaniana; i membri della Fondazione Italiana Sommelier e gli studenti, in particolare quelli dell’Istituto Ecumenico Universitario di Bossey presenti per la visita di studio a Roma. Un caloroso saluto ai gruppi parrocchiali, in particolare ai fedeli di Capurso, proclamata "Civitas Mariae", bravi!, e alle famiglie dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano. A tutti formulo l’auspicio che la visita alla Città Eterna stimoli ciascuno ad approfondire la Parola di Dio per poter annunciare che Gesù è il Salvatore.

    Un pensiero speciale ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che stiamo celebrando, ci offre l’opportunità di riflettere sulla nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Cari giovani, pregate affinché tutti i cristiani siano un’unica famiglia; cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa; e voi, cari sposi novelli, fate esperienza dell’amore gratuito come è quello di Dio per l’umanità.

    [00115-01.01] [Testo originale: Italiano]

    Appello del Santo Padre


    Cari fratelli e sorelle,

    vorrei ora invitarvi a pregare insieme per le vittime delle manifestazioni di questi ultimi giorni nell’amato Niger. Sono state fatte brutalità verso i cristiani, i bambini e le chiese. Invochiamo dal Signore il dono della riconciliazione e della pace, perché mai il sentimento religioso diventi occasione di violenza, di sopraffazione e di distruzione. Non si può fare la guerra in nome di Dio! Auspico che quanto prima si possa ristabilire un clima di rispetto reciproco e di pacifica convivenza per il bene di tutti. Preghiamo la Madonna per la gente del Niger (Ave Maria...).

    [00116-01.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0053-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  5. #15
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    Udienza alla Delegazione Ecumenica dalla Finlandia in occasione della Festa di Sant’Enrico, 22.01.2015

    Alle ore 11.30 di questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza una Delegazione Ecumenica della Chiesa Luterana di Finlandia in occasione dell’annuale Pellegrinaggio ecumenico a Roma, per celebrare la Festa di Sant’Enrico, patrono del Paese.

    Pubblichiamo di seguito le parole di saluto che il Papa ha rivolto ai presenti:

    Testo in lingua italiana

    Cari Vescovi,

    Cari amici,

    Con gioia vi do il benvenuto in occasione del vostro pellegrinaggio ecumenico annuale a Roma per celebrare la festa di sant’Enrico, patrono del vostro Paese. L’evento di quest’anno si è rivelato un vero incontro spirituale ed ecumenico tra cattolici e luterani, iscrivendosi in una tradizione che va avanti ormai da trent’anni.

    Il santo Papa Giovanni Paolo II si rivolse ai membri della prima delegazione ecumenica finlandese, venuti a Roma trent’anni fa, con queste parole: «Il fatto che voi siate venuti qui insieme è già una testimonianza dell’importanza degli sforzi per l’unità. Il fatto che voi preghiate insieme è una testimonianza della vostra fede che soltanto per grazia di Dio si potrà raggiungere l’unità. Il fatto che voi recitiate insieme il Credo è una testimonianza all’unica fede comune di tutto il cristianesimo». In quel momento, erano stati già compiuti i primi importanti passi di un cammino ecumenico comune verso la piena e visibile unità dei cristiani. Nel frattempo, molto è stato fatto e –ne sono certo – molto ancora verrà fatto in Finlandia per «far crescere la comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità» (Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 14).

    La vostra visita avviene in concomitanza con la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani. Quest’anno, la nostra riflessione si incentra sulle parole rivolte da Gesù alla samaritana al pozzo: «Dammi da bere» (Gv 4,7). Ci viene ricordato che la fonte di ogni grazia è il Signore stesso e che i suoi doni trasformano coloro che li ricevono, rendendoli testimoni della vera vita che proviene solo da Cristo. Come ci narra il Vangelo, molti samaritani credettero in Gesù per la testimonianza della donna (Cfr Gv 4,39). Come ha osservato Lei, Vescovo Vikstrom, cattolici e luterani possono fare molto insieme per rendere testimonianza della misericordia divina nelle nostre società. Una testimonianza cristiana condivisa è particolarmente necessaria davanti alla diffidenza, all’insicurezza, alle persecuzioni e alle sofferenze sperimentate da tante persone nel mondo di oggi.

    Questa testimonianza comune può essere sostenuta e incoraggiata dal progresso nel dialogo teologico tra le Chiese. La Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione, firmata ufficialmente poco più di quindici anni fa tra la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica, può continuare a produrre tra noi frutti di riconciliazione e di collaborazione. Il Dialogo nordico luterano-cattolico in Finlandia ed in Svezia, sul tema Giustificazione nella vita della Chiesa, sta riflettendo su importanti questioni derivate dalla Dichiarazione comune. Ci auguriamo che un’ulteriore convergenza possa emergere da questo dialogo sul concetto di Chiesa, segno e strumento della salvezza donataci in Gesù Cristo.

    Prego affinché la vostra visita a Roma contribuisca a rafforzare le relazioni ecumeniche tra i luterani e i cattolici in Finlandia, già molto positive da anni. Il Signore mandi su di noi lo Spirito di verità e ci guidi a una sempre maggiore carità ed unità.

    [00124-01.01] [Testo originale: Italiano]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  6. #16
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    Udienza ai Dirigenti e agli Agenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, 22.01.2015

    Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Dirigenti, i Funzionari e gli Agenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

    Nel corso dell’incontro il Papa ha rivolto ai presenti le parole di saluto che pubblichiamo di seguito:

    Parole del Santo Padre

    Signor Capo della Polizia,

    Signor Prefetto,

    Signor Questore,

    cari Funzionari e Agenti,

    sono lieto di accogliervi in occasione dello scambio di auguri per il nuovo anno, che segna il 70° anniversario della vostra attività. Questo tradizionale incontro mi offre l’opportunità di rivolgervi un saluto personale e di esprimervi il mio grato apprezzamento per il lavoro che quotidianamente svolgete con professionalità e dedizione.

    Il mio saluto e i miei auguri vanno anzitutto alla Dottoressa Maria Rosaria Maiorino, che ringrazio per le cortesi espressioni rivoltemi a nome di tutti. Saluto cordialmente i componenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, come pure gli altri Dirigenti e Funzionari della Polizia di Stato e i Cappellani guidati dal Coordinatore nazionale. Assicuro un particolare ricordo nella preghiera per il vostro collega Alessandro, recentemente scomparso, abbracciando con affetto la moglie e il figlio qui presenti.

    Abbiamo iniziato da poco un nuovo anno, e tante sono le nostre attese e le nostre speranze. All’orizzonte vediamo anche ombre e pericoli che preoccupano l’umanità. Come cristiani siamo chiamati a non perderci d’animo e a non scoraggiarci. La nostra speranza poggia su una roccia incrollabile: l’amore di Dio, rivelato e donato in Cristo Gesù, nostro Signore. Ricordiamo le parole consolanti dell’apostolo Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? ... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35.37).

    Cari funzionari e agenti, alla luce di questa salda speranza, il vostro lavoro assume un significato diverso, che chiama in causa valori umani e cristiani. Voi infatti avete il compito di custodire e sorvegliare luoghi che hanno grandissima importanza per la fede e per la vita di milioni di pellegrini. Tante persone che vengono per visitare il cuore della Roma cristiana non di rado si rivolgono a voi. Che ciascuno possa sentirsi aiutato e custodito dalla vostra presenza e dalla vostra premura. Sì, cari fratelli e sorelle, siamo tutti chiamati ad essere custodi del nostro prossimo. Il Signore ci chiederà conto della responsabilità a noi affidata, del bene o del male che avremo compiuto nei confronti del nostro prossimo.

    Domandiamo la materna protezione della Vergine Madre all’inizio di questo nuovo anno. Affidiamo a lei ogni preoccupazione e speranza, perché in tutte le circostanze della vita possiamo amare, gioire e vivere nella fede del Figlio di Dio che per noi si è fatto uomo.

    Vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi benedico. Grazie.

    [00125-01.01]

    [B0056-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  7. #17
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    Messaggio del Santo Padre per la 49ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 23.01.2015

    "Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore" è il tema scelto dal Santo Padre Francesco per la 49ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
    Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Papa per la Giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 17 maggio:

    Messaggio del Santo Padre

    Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore


    Il tema della famiglia è al centro di un’approfondita riflessione ecclesiale e di un processo sinodale che prevede due Sinodi, uno straordinario – appena celebrato – ed uno ordinario, convocato per il prossimo ottobre. In tale contesto, ho ritenuto opportuno che il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali avesse come punto di riferimento la famiglia. La famiglia è del resto il primo luogo dove impariamo a comunicare. Tornare a questo momento originario ci può aiutare sia a rendere la comunicazione più autentica e umana, sia a guardare la famiglia da un nuovo punto di vista.

    Possiamo lasciarci ispirare dall’icona evangelica della visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39-56). «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!"» (vv. 41-42).

    Anzitutto, questo episodio ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la gioia dell’incontro è in un certo senso l’archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. Il grembo che ci ospita è la prima "scuola" di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma. Questo incontro tra due esseri insieme così intimi e ancora così estranei l’uno all’altra, un incontro pieno di promesse, è la nostra prima esperienza di comunicazione. Ed è un'esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi è nato da una madre.

    Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un "grembo", che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella "lingua materna", cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione.

    L’esperienza del legame che ci "precede" fa sì che la famiglia sia anche il contesto in cui si trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. Quando la mamma e il papà fanno addormentare i loro bambini appena nati, molto spesso li affidano a Dio, perché vegli su di essi; e quando sono un po’ più grandi recitano insieme con loro semplici preghiere, ricordando con affetto anche altre persone, i nonni, altri parenti, i malati e i sofferenti, tutti coloro che hanno più bisogno dell’aiuto di Dio. Così, in famiglia, la maggior parte di noi ha imparato la dimensione religiosa della comunicazione, che nel cristianesimo è tutta impregnata di amore, l’amore di Dio che si dona a noi e che noi offriamo agli altri.

    Nella famiglia è soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e tuttavia sono così importanti l’una per l’altra, a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità. Ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia: dal saluto di Maria e dal sussulto del bambino scaturisce la benedizione di Elisabetta, a cui segue il bellissimo cantico del Magnificat, nel quale Maria loda il disegno d’amore di Dio su di lei e sul suo popolo. Da un "sì" pronunciato con fede scaturiscono conseguenze che vanno ben oltre noi stessi e si espandono nel mondo. "Visitare" comporta aprire le porte, non rinchiudersi nei propri appartamenti, uscire, andare verso l’altro. Anche la famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa, e le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie.

    La famiglia è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell’andare d’accordo. Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono. Il perdono è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di riconciliazione.

    A proposito di limiti e comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno.

    In un mondo, poi, dove così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le chiacchiere il nostro ambiente umano, la famiglia può essere una scuola di comunicazione come benedizione. E questo anche là dove sembra prevalere l’inevitabilità dell’odio e della violenza, quando le famiglie sono separate tra loro da muri di pietra o dai muri non meno impenetrabili del pregiudizio e del risentimento, quando sembrano esserci buone ragioni per dire "adesso basta"; in realtà, benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l’unico modo per spezzare la spirale del male, per testimoniare che il bene è sempre possibile, per educare i figli alla fratellanza.

    Oggi i media più moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46ª G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2012). La possono favorire se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro. Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l’incontro, questo "inizio vivo", noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. Ma non vanno lasciati soli; la comunità cristiana è chiamata ad affiancarli perché sappiano insegnare ai figli a vivere nell’ambiente comunicativo secondo i criteri della dignità della persona umana e del bene comune.

    La sfida che oggi ci si presenta è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione. E’ questa la direzione verso cui ci spingono i potenti e preziosi mezzi della comunicazione contemporanea. L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme.

    Anche la famiglia, in conclusione, non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche, ma un ambiente in cui si impara a comunicare nella prossimità e un soggetto che comunica, una "comunità comunicante". Una comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare. In questo senso è possibile ripristinare uno sguardo capace di riconoscere che la famiglia continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi. I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile.

    La famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro.


    Dal Vaticano, 23 gennaio 2015
    Vigilia della festa di san Francesco di Sales

    FRANCISCUS PP.

    [00128-01.01] [Testo originale: Italiano]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  8. #18
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    Udienza al Tribunale della Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, 23.01.2015

    Alle ore 12.15 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Prelati Uditori, gli Officiali e gli Avvocati del Tribunale della Rota Romana in occasione della solenne inaugurazione dell’Anno Giudiziario.

    Dopo il saluto del Decano, S.E. Mons. Pio Vito Pinto, il Papa ha rivolto ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

    Discorso del Santo Padre

    Cari Giudici, Officiali, Avvocati

    e Collaboratori del Tribunale Apostolico della Rota Romana,

    vi saluto cordialmente, ad iniziare dal Collegio dei Prelati Uditori con il Decano, Mons. Pio Vito Pinto, che ringrazio per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro. Auguro a tutti voi ogni bene per l’Anno giudiziario che oggi inauguriamo.

    In questa occasione vorrei riflettere sul contesto umano e culturale in cui si forma l’intenzione matrimoniale.

    La crisi dei valori nella società non è certo un fenomeno recente. Il beato Paolo VI, già quaranta anni fa, proprio rivolgendosi alla Rota Romana, stigmatizzava le malattie dell’uomo moderno «talora vulnerato da un relativismo sistematico, che lo piega alle scelte più facili della situazione, della demagogia, della moda, della passione, dell’edonismo, dell’egoismo, così che esteriormente tenta di impugnare la "maestà della legge", e interiormente, quasi senza avvedersi, sostituisce all’impero della coscienza morale il capriccio della coscienza psicologica» (Allocuzione del 31 gennaio 1974: AAS 66 [1974], p. 87).In effetti, l’abbandono di una prospettiva di fede sfocia inesorabilmente in una falsa conoscenza del matrimonio, che non rimane priva di conseguenze nella maturazione della volontà nuziale.

    Certamente il Signore, nella sua bontà, concede alla Chiesa di gioire per le tante e tante famiglie che, sostenute e alimentate da una fede sincera, realizzano nella fatica e nella gioia del quotidiano i beni del matrimonio, assunti con sincerità al momento delle nozze e perseguiti con fedeltà e tenacia. La Chiesa conosce però anche la sofferenza di molti nuclei familiari che si disgregano, lasciando dietro di sé le macerie di relazioni affettive, di progetti, di aspettative comuni. Il giudice è chiamato ad operare la sua analisi giudiziale quando c’è il dubbio sulla validità del matrimonio, per accertare se ci sia un vizio d’origine del consenso, sia direttamente per difetto di valida intenzione, sia per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà (cfr can. 1099). La crisi del matrimonio, infatti, è non di rado nella sua radice crisi di conoscenza illuminata dalla fede, cioè dall’adesione a Dio e al suo disegno d’amore realizzato in Gesù Cristo.

    L’esperienza pastorale ci insegna che vi è oggi un gran numero di fedeli in situazione irregolare, sulla cui storia ha avuto un forte influsso la diffusa mentalità mondana. Esiste infatti una sorta di mondanità spirituale, «che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 93), e che conduce a perseguire, invece della gloria del Signore, il benessere personale. Uno dei frutti di tale atteggiamento è «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell'immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (ibid., 94). E’ evidente che, per chi si piega a questo atteggiamento, la fede rimane priva del suo valore orientativo e normativo, lasciando campo aperto ai compromessi con il proprio egoismo e con le pressioni della mentalità corrente, diventata dominante attraverso i mass media.

    Per questo il giudice, nel ponderare la validità del consenso espresso, deve tener conto del contesto di valori e di fede – o della loro carenza o assenza – in cui l’intenzione matrimoniale si è formata. Infatti, la non conoscenza dei contenuti della fede potrebbe portare a quello che il Codice chiama errore determinante la volontà (cfr can. 1099). Questa eventualità non va più ritenuta eccezionale come in passato, data appunto la frequente prevalenza del pensiero mondano sul magistero della Chiesa. Tale errore non minaccia solo la stabilità del matrimonio, la sua esclusività e fecondità, ma anche l’ordinazione del matrimonio al bene dell’altro, l’amore coniugale come «principio vitale» del consenso, la reciproca donazione per costituire il consorzio di tutta la vita. «Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66), spingendo i nubenti alla riserva mentale circa la stessa permanenza dell’unione, o la sua esclusività, che verrebbero meno qualora la persona amata non realizzasse più le proprie aspettative di benessere affettivo.

    Vorrei dunque esortarvi ad un accresciuto e appassionato impegno nel vostro ministero, posto a tutela dell’unità della giurisprudenza nella Chiesa. Quanto lavoro pastorale per il bene di tante coppie, e di tanti figli, spesso vittime di queste vicende! Anche qui, c’è bisogno di una conversione pastorale delle strutture ecclesiastiche (cfr ibid., 27), per offrire l’opus iustitiae a quanti si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale.

    Ecco la difficile missione vostra, come di tutti i Giudici nelle diocesi: non chiudere la salvezza delle persone dentro le strettoie del giuridicismo. La funzione del diritto è orientata alla salus animarum a condizione che, evitando sofismi lontani dalla carne viva delle persone in difficoltà, aiuti a stabilire la verità nel momento consensuale: se cioè fu fedele a Cristo o alla mendace mentalità mondana. A questo proposito il beato Paolo VI affermava: «Se la Chiesa è un disegno divino – Ecclesia de Trinitate– le sue istituzioni, pur perfettibili, devono essere stabilite al fine di comunicare la grazia divina e favorire, secondo i doni e la missione di ciascuno, il bene dei fedeli, scopo essenziale della Chiesa. Tale scopo sociale, la salvezza delle anime, la salus animarum, resta lo scopo supremo delle istituzioni, del diritto, delle leggi» (Discorso ai partecipanti al II Congresso Internazionale di Diritto Canonico, 17 settembre 1973: Communicationes 5 [1973], p. 126).

    Torna utile ricordare quanto prescrive l’Istruzione Dignitas connubii al n. 113, coerentemente con il can. 1490 del Codice di Diritto Canonico, circa la necessaria presenza presso ogni Tribunale ecclesiastico di persone competenti a prestare sollecito consiglio sulla possibilità di introdurre una causa di nullità matrimoniale; mentre altresì viene richiesta la presenza di patroni stabili, retribuiti dallo stesso tribunale, che esercitino l’ufficio di avvocati.

    Nell’auspicare che in ogni Tribunale siano presenti queste figure, per favorire un reale accesso di tutti i fedeli alla giustizia della Chiesa, mi piace sottolineare che un rilevante numero di cause presso la Rota Romana sono di gratuito patrocinio a favore di parti che, per le disagiate condizioni economiche in cui versano, non sono in grado di procurarsi un avvocato. E questo è un punto che voglio sottolineare: i Sacramenti sono gratuiti. I Sacramenti ci danno la grazia. E un processo matrimoniale tocca il Sacramento del matrimonio. Quanto vorrei che tutti i processi fossero gratuiti!

    Cari fratelli, rinnovo a ciascuno la mia gratitudine per il bene che fate al popolo di Dio, servendo la giustizia. Invoco la divina assistenza sul vostro lavoro e di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

    [00130-01.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0060-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  9. #19
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    Udienza ai partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, 24.01.2015

    Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica in occasione del 50mo anniversario dell’apertura dell’Istituto sul tema: Studiare e comprendere la religione dell’altro (Pontificia Università Urbaniana, 22-24 gennaio 2015).

    Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

    Discorso del Santo Padre

    Signori Cardinali,

    fratelli e sorelle,

    vi accolgo con piacere al termine del convegno organizzato per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’apertura a Roma del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. Ringrazio il Cardinale Grocholewski per le parole rivoltemi a nome di tutti, e il Cardinale Tauran per la sua presenza.

    Negli ultimi anni, nonostante alcune incomprensioni e difficoltà, sono stati fatti passi in avanti nel dialogo interreligioso, anche con i fedeli dell’Islam. Per questo è essenziale l’esercizio dell’ascolto. Esso non è soltanto una condizione necessaria in un processo di reciproca comprensione e di pacifica convivenza, ma è anche un dovere pedagogico al fine di essere «capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 253). Alla base di tutto ciò vi è la necessità di un’adeguata formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere nella conoscenza reciproca.

    Bisogna fare attenzione a non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante ma, alla fine, vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori (ibid., 251; 253). Un comodo approccio accomodante,«che dice sì a tutto per evitare i problemi» (ibid., 251),finisce per essere «un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente»(ibid.). Questo ci invita, in primo luogo, a tornare ai fondamenti.

    Quando ci accostiamo ad una persona che professa con convinzione la propria religione, la sua testimonianza e il suo pensiero ci interpellano e ci portano ad interrogarci sulla nostra stessa spiritualità. Al principio del dialogo c’è, dunque, l’incontro. Da esso si genera la prima conoscenza dell’altro. Se, infatti, si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare i pregiudizi e le falsità e si può iniziare a comprendere l’altro secondo una prospettiva nuova.

    La storia del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica va proprio in questa direzione. Non si limita ad accettare quanto viene detto superficialmente, dando luogo a stereotipi e preconcetti. Il lavoro accademico, frutto di quotidiana fatica, va ad indagare le fonti, a colmare le lacune, ad analizzare l’etimologia, a proporre un’ermeneutica del dialogo e, attraverso un approccio scientifico ispirato allo stupore e alla meraviglia, è capace di non perdere la bussola del mutuo rispetto e della stima reciproca. Con queste premesse, ci si avvicina all’altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista.

    I cinquant’anni del PISAI a Roma – dopo la sua nascita e i primi sviluppi in Tunisia, grazie alla grande opera dei Missionari d’Africa –dimostrano quanto la Chiesa universale, nel clima di rinnovamento post-conciliare, abbia compreso l’incombente necessità di un istituto esplicitamente dedicato alla ricerca e alla formazione di operatori del dialogo con i musulmani. Forse mai come ora si avverte tale bisogno, perché l’antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l’educazione alla scoperta e all’accettazione della differenza come ricchezza e fecondità.

    Tale compito non è semplice ma nasce e matura a partire da un forte senso di responsabilità. Il dialogo islamo-cristiano, in modo particolare, esige pazienza e umiltà che accompagnano uno studio approfondito, poiché l’approssimazione e l’improvvisazione possono essere controproducenti o, addirittura, causa di disagio e imbarazzo. C’è bisogno di un impegno duraturo e continuo al fine di non farci cogliere impreparati nelle diverse situazioni e nei differenti contesti. Per questa ragione si esige una preparazione specifica, che non si limiti all’analisi sociologica, ma abbia le caratteristiche di un cammino tra persone appartenenti alle religioni che, pur in modi diversi, si rifanno alla paternità spirituale di Abramo. La cultura e l’educazione non sono affatto secondarie in un vero processo di avvicinamento verso l’altro che rispetti in ciascuna persona «la sua vita, la sua integrità fisica, la sua dignità e i diritti che ne scaturiscono, la sua reputazione, la sua proprietà, la sua identità etnica e culturale, le sue idee e le sue scelte politiche» (Messaggio per la fine del Ramadan, 10 luglio 2013).

    Questo Istituto è molto prezioso tra le istituzioni accademiche della Santa Sede, e ha bisogno di essere ancora più conosciuto. Il mio desiderio è che diventi sempre più un punto di riferimento per la formazione dei cristiani che operano nel campo del dialogo interreligioso, sotto l’egida della Congregazione per l’Educazione Cattolica e in stretta collaborazione con il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Nel cammino di approfondimento della verità, verso il pieno rispetto della persona e della sua dignità, possa il PISAI instaurare una fruttuosa collaborazione con gli altri Atenei pontifici, con i centri di studio e ricerca, sia cristiani che musulmani, sparsi nel mondo intero.

    Nella lieta circostanza di questo giubileo auguro alla comunità del PISAI di non tradire mai il compito primario dell’ascolto e del dialogo, fondato su identità chiare, sulla ricerca appassionata, paziente e rigorosa della verità e della bellezza, sparse dal Creatore nel cuore di ogni uomo e donna e realmente visibili in ogni autentica espressione religiosa. Vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi auguro tutte le benedizioni.

    [00135-01.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0063-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  10. #20
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    Udienza ai partecipanti al Colloquio ecumenico di Religiosi e Religiose promosso dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, 24.01.2015

    Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Colloquio ecumenico di Religiosi e Religiose, promosso e organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in occasione dell’Anno della Vita Consacrata.

    Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai partecipanti all’Incontro:

    Discorso del Santo Padre

    Signori Cardinali,

    cari fratelli e sorelle,

    vi do il mio cordiale benvenuto e ringrazio il Cardinale Braz de Aviz per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Mi rallegro che questa iniziativa abbia riunito religiosi e religiose di diverse Chiese e Comunità ecclesiali, ai quali rivolgo il mio caloroso saluto. È particolarmente significativo che il vostro incontro abbia luogo durante la Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani; ogni anno essa ci ricorda che l’ecumenismo spirituale è "l’anima del movimento ecumenico", come ha sottolineato il Decreto conciliare Unitatis redintegratio (n. 8), di cui abbiamo celebrato recentemente il 50° anniversario.

    Vorrei condividere con voi alcuni pensieri sull’importanza della vita consacrata per l’unità dei cristiani.

    La volontà di ristabilire l’unità di tutti i cristiani è presente naturalmente in tutte le Chiese e riguarda sia clero che laici (cfr ibid., 5). Ma la vita religiosa, che affonda le sue radici nella volontà di Cristo e nella tradizione comune della Chiesa indivisa, ha senza dubbio una vocazione particolare nella promozione di questa unità. Non è d’altronde un caso che numerosi pionieri dell’ecumenismo siano stati uomini e donne consacrati. Tuttora, varie comunità religiose si dedicano intensamente a tale obiettivo e sono luoghi privilegiati di incontro tra cristiani di diverse tradizioni. In questo contesto, vorrei menzionare anche le comunità ecumeniche, come quella di Taizé e quella di Bose, entrambe presenti a questo Colloquio. Alla vita religiosa appartiene la ricerca dell’unione con Dio e dell’unità all’interno della comunità fraterna, realizzando così in modo esemplare la preghiera del Signore «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

    Il vostro incontro si è svolto presso l’Istituto di patristica Augustinianum. Sant’Agostino inizia la sua regola con la seguente affermazione, particolarmente eloquente: «Il motivo essenziale per cui vi siete riuniti insieme è che viviate unanimi nella casa e abbiate una sola anima e un sol cuore protesi verso Dio» (I, 3). La vita religiosa ci mostra precisamente che questa unità non è frutto dei nostri sforzi: l’unità è un dono dello Spirito Santo, il Quale realizza l’unità nella diversità. Essa ci rivela anche che questa unità può compiersi soltanto se camminiamo insieme, se percorriamo la via della fraternità nell’amore, nel servizio, nell’accoglienza reciproca.

    Non c’è unità senza conversione. La vita religiosa ci ricorda che al centro di ogni ricerca di unità, e dunque di ogni sforzo ecumenico, vi è anzitutto la conversione del cuore, che comporta la richiesta e la concessione del perdono. Essa in gran parte consiste in una conversione del nostro stesso sguardo: cercare di guardarci gli uni gli altri in Dio, e saperci mettere anche dal punto di vista dell’altro: ecco una duplice sfida legata alla ricerca dell’unità, sia all’interno delle comunità religiose, sia tra i cristiani di diverse tradizioni.

    Non c’è unità senza preghiera. La vita religiosa è una scuola di preghiera. L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera. Uno dei pionieri dell’ecumenismo e grande promotore dell’Ottavario per l’unità, P. Paul Couturier, utilizzava un’immagine che illustra bene il legame tra ecumenismo e vita religiosa: paragonava tutti coloro che pregano per l’unità, ed il movimento ecumenico in generale, ad un "monastero invisibile" che riunisce i cristiani di diverse Chiese, di diversi Paesi e Continenti. Cari fratelli e sorelle, voi siete i primi animatori di questo "monastero invisibile": vi incoraggio a pregare per l’unità dei cristiani e tradurre questa preghiera negli atteggiamenti e nei gesti quotidiani.

    Non c’è unità senza santità di vita. La vita religiosa ci aiuta a prendere coscienza della chiamata rivolta a tutti i battezzati: la chiamata alla santità di vita, che è l’unico vero cammino verso l’unità. Lo evidenzia con parole incisive il Decreto conciliare Unitatis redintegratio: «Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo. Quanto infatti più stretta sarà la loro comunione col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, tanto più intima e facile potranno rendere la fraternità reciproca» (n. 7).

    Cari fratelli e sorelle, nell’esprimervi la mia gratitudine per la testimonianza che, con la vostra vita, rendete al Vangelo e per il servizio che offrite alla causa dell’unità, prego il Signore di benedire abbondantemente il vostro ministero e di ispirarvi a lavorare instancabilmente per la pace e la riconciliazione tra tutte le Chiese e le Comunità cristiane. Vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi benedico. Chiediamo la benedizione al Signore pregando, ognuno nella propria lingua, la preghiera del Signore.

    [Recita del Padre Nostro]

    Che il Signore ci benedica tutti.

    [00136-01.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0064-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

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