Santa Messa nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 50.ma Giornata Mondiale della Pace, 01.01.2017
Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione della Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 50.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema: La non violenza: stile di una politica per la pace.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo:
Omelia del Santo Padre
«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Così Luca descrive l’atteggiamento con cui Maria accoglie tutto quello che stavano vivendo in quei giorni. Lungi dal voler capire o dominare la situazione, Maria è la donna che sa conservare, cioè proteggere, custodire nel suo cuore il passaggio di Dio nella vita del suo popolo. Dal suo grembo imparò ad ascoltare il battito del cuore del suo Figlio e questo le insegnò, per tutta la sua vita, a scoprire il palpitare di Dio nella storia. Imparò ad essere madre e, in quell’apprendistato, donò a Gesù la bella esperienza di sapersi Figlio. In Maria, il Verbo eterno non soltanto si fece carne ma imparò a riconoscere la tenerezza materna di Dio. Con Maria, il Dio-Bambino imparò ad ascoltare gli aneliti, le angosce, le gioie e le speranze del popolo della promessa. Con Lei scoprì sé stesso come Figlio del santo popolo fedele di Dio.
Nei Vangeli Maria appare come donna di poche parole, senza grandi discorsi né protagonismi ma con uno sguardo attento che sa custodire la vita e la missione del suo Figlio e, perciò, di tutto quello che Lui ama. Ha saputo custodire gli albori della prima comunità cristiana, e così ha imparato ad essere madre di una moltitudine. Si è avvicinata alle situazioni più diverse per seminare speranza. Ha accompagnato le croci caricate nel silenzio del cuore dei suoi figli. Tante devozioni, tanti santuari e cappelle nei luoghi più reconditi, tante immagini sparse per le case ci ricordano questa grande verità. Maria ci ha dato il calore materno, quello che ci avvolge in mezzo alle difficoltà; il calore materno che permette che niente e nessuno spenga in seno alla Chiesa la rivoluzione della tenerezza inaugurata dal suo Figlio. Dove c’è una madre, c’è tenerezza. E Maria con la sua maternità ci mostra che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ci insegna che non c’è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 288). E da sempre il santo popolo fedele di Dio l’ha riconosciuta e salutata come la Santa Madre di Dio.
Celebrare la maternità di Maria come Madre di Dio e madre nostra all’inizio di un nuovo anno significa ricordare una certezza che accompagnerà i nostri giorni: siamo un popolo con una Madre, non siamo orfani.
Le madri sono l’antidoto più forte contro le nostre tendenze individualistiche ed egoistiche, contro le nostre chiusure e apatie. Una società senza madri sarebbe non soltanto una società fredda, ma una società che ha perduto il cuore, che ha perduto il “sapore di famiglia”. Una società senza madri sarebbe una società senza pietà, che ha lasciato il posto soltanto al calcolo e alla speculazione. Perché le madri, perfino nei momenti peggiori, sanno testimoniare la tenerezza, la dedizione incondizionata, la forza della speranza. Ho imparato molto da quelle madri che, avendo i figli in carcere o prostrati in un letto di ospedale o soggiogati dalla schiavitù della droga, col freddo e il caldo, con la pioggia e la siccità, non si arrendono e continuano a lottare per dare loro il meglio. O quelle madri che, nei campi-profughi, o addirittura in mezzo alla guerra, riescono ad abbracciare e a sostenere senza vacillare la sofferenza dei loro figli. Madri che danno letteralmente la vita perché nessuno dei figli si perda. Dove c’è la madre c’è unità, c’è appartenenza, appartenenza di figli.
Iniziare l’anno facendo memoria della bontà di Dio nel volto materno di Maria, nel volto materno della Chiesa, nei volti delle nostre madri, ci protegge della corrosiva malattia della “orfanezza spirituale”, quella orfanezza che l’anima vive quando si sente senza madre e le manca la tenerezza di Dio. Quella orfanezza che viviamo quando si spegne in noi il senso di appartenenza a una famiglia, a un popolo, a una terra, al nostro Dio. Quella orfanezza che trova spazio nel cuore narcisista che sa guardare solo a sé stesso e ai propri interessi e che cresce quando dimentichiamo che la vita è stata un dono, che l’abbiamo ricevuta da altri, e che siamo invitati a condividerla in questa casa comune.
Questa orfanezza autoreferenziale è quella che portò Caino a dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9), come a dichiarare: lui non mi appartiene, non lo riconosco. Un tale atteggiamento di orfanezza spirituale è un cancro che silenziosamente logora e degrada l’anima. E così ci degradiamo a poco a poco, dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno: degrado la terra perché non mi appartiene, degrado gli altri perché non mi appartengono, degrado Dio perché non gli appartengo… E da ultimo finisce per degradare noi stessi perché dimentichiamo chi siamo, quale “nome” divino abbiamo. La perdita dei legami che ci uniscono, tipica della nostra cultura frammentata e divisa, fa sì che cresca questo senso di orfanezza e perciò di grande vuoto e solitudine. La mancanza di contatto fisico (e non virtuale) va cauterizzando i nostri cuori (cfr Lett. enc. Laudato si’, 49) facendo perdere ad essi la capacità della tenerezza e dello stupore, della pietà e della compassione. L’orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del riposo, della gratuità.
Celebrare la festa della Santa Madre di Dio ci fa spuntare di nuovo sul viso il sorriso di sentirci popolo, di sentire che ci apparteniamo; di sapere che soltanto dentro una comunità, una famiglia le persone possono trovare il “clima”, il “calore” che permette di imparare a crescere umanamente e non come meri oggetti invitati a “consumare ed essere consumati”. Celebrare la festa della Santa Madre di Dio ci ricorda che non siamo merce di scambio o terminali recettori di informazione. Siamo figli, siamo famiglia, siamo popolo di Dio.
Celebrare la Santa Madre di Dio ci spinge a creare e curare spazi comuni che ci diano senso di appartenenza, di radicamento, di farci sentire a casa dentro le nostre città, in comunità che ci uniscano e ci sostengano (cfr ibid., 151).
Gesù Cristo, nel momento del più grande dono della sua vita, sulla croce, non ha voluto tenere niente per sé e consegnando la sua vita ci ha consegnato anche sua Madre. Disse a Maria: ecco il tuo figlio, ecco i tuoi figli. E noi vogliamo accoglierla nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nei nostri paesi. Vogliamo incontrare il suo sguardo materno. Quello sguardo che ci libera dall’orfanezza; quello sguardo che ci ricorda che siamo fratelli: che io ti appartengo, che tu mi appartieni, che siamo della stessa carne. Quello sguardo che ci insegna che dobbiamo imparare a prenderci cura della vita nello stesso modo e con la stessa tenerezza con cui lei se n’è presa cura: seminando speranza, seminando appartenenza, seminando fraternità.
Celebrare la Santa Madre di Dio ci ricorda che abbiamo la Madre; non siamo orfani, abbiamo una madre. Professiamo insieme questa verità! E vi invito ad acclamarla in piedi [tutti si alzano] tre volte come fecero i fedeli di Efeso: Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!
[00001-IT.02] [Testo originale: Italiano]
(...)
fonte: Sala Stampa della Santa Sede
Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 01.01.2017
Al termine della Santa Messa celebrata nella Basilica Vaticana per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella ricorrenza della 50.ma Giornata Mondiale della Pace, Papa Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana:
Prima dell’Angelus
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nei giorni scorsi abbiamo posato il nostro sguardo adorante sul Figlio di Dio, nato a Betlemme; oggi, solennità di Maria Santissima Madre di Dio, rivolgiamo gli occhi alla Madre, ma cogliendo l’una e l’altro nel loro stretto legame. Questo legame non si esaurisce nel fatto di aver generato e nell’essere stato generato; Gesù è «nato da donna» (Gal 4,4) per una missione di salvezza e sua madre non è esclusa da tale missione, anzi, vi è associata intimamente. Maria è consapevole di questo, pertanto non si chiude a considerare solo il suo rapporto materno con Gesù, ma rimane aperta e premurosa verso tutti gli avvenimenti che accadono attorno a Lui: conserva e medita, scruta e approfondisce, come ci ricorda il Vangelo di oggi (cfr Lc 2,19). Ha già detto il suo “sì” e dato la sua disponibilità ad essere coinvolta nell’attuazione del piano di salvezza di Dio, che «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53). Ora, silenziosa e attenta, cerca di comprendere che cosa Dio vuole da lei giorno per giorno.
La visita dei pastori le offre l’occasione per cogliere qualche elemento della volontà di Dio che si manifesta nella presenza di queste persone umili e povere. L’evangelista Luca ci racconta la visita dei pastori alla grotta con un susseguirsi incalzante di verbi che esprimono movimento. Dice così: essi vanno senza indugio, trovano il Bambino con Maria e Giuseppe, lo vedono, riferiscono ciò che di Lui era stato detto loro, e infine glorificano Dio (cfr Lc 2,16-20). Maria segue attentamente questo passaggio, cosa dicono i pastori, cosa è successo loro, perché già scorge in esso il movimento di salvezza che scaturirà dall’opera di Gesù, e si adegua, pronta ad ogni richiesta del Signore. Dio chiede a Maria non solo di essere la madre del suo Figlio unigenito, ma anche di cooperare con il Figlio e per il Figlio al piano di salvezza, affinché in lei, umile serva, si compiano le grandi opere della misericordia divina.
Ed ecco che, mentre, come i pastori, contempliamo l’icona del Bambino in braccio a sua Madre, sentiamo crescere nel nostro cuore un senso di immensa riconoscenza verso Colei che ha dato al mondo il Salvatore. Per questo, nel primo giorno di un nuovo anno, le diciamo:
Grazie, o Santa Madre del Figlio di Dio Gesù, Santa Madre di Dio!
Grazie per la tua umiltà che ha attirato lo sguardo di Dio;
grazie per la fede con cui hai accolto la sua Parola;
grazie per il coraggio con cui hai detto “eccomi”,
dimentica di te, affascinata dall’Amore Santo,
fatta un tutt’uno con la sua speranza.
Grazie, o Santa Madre di Dio!
Prega per noi, pellegrini nel tempo;
aiutaci a camminare sulla via della pace.
Amen.
[00002-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Dopo l’Angelus
Cari fratelli e sorelle, buon anno!
E l’anno sarà buono nella misura in cui ognuno di noi, con l’aiuto di Dio, cercherà di fare il bene giorno per giorno. Così si costruisce la pace, dicendo “no” – con i fatti – all’odio e alla violenza e “sì” alla fraternità e alla riconciliazione. 50 anni or sono, il beato Papa Paolo VI iniziò a celebrare in questa data la Giornata Mondiale della Pace, per rafforzare l’impegno comune di costruire un mondo pacifico e fraterno. Nel Messaggio di quest’anno ho proposto di assumere la nonviolenza come stile per una politica di pace.
Purtroppo, la violenza ha colpito anche in questa notte di auguri e di speranza. Addolorato, esprimo la mia vicinanza al popolo turco, prego per le numerose vittime e per i feriti e per tutta la Nazione in lutto, e chiedo al Signore di sostenere tutti gli uomini di buona volontà che si rimboccano coraggiosamente le maniche per affrontare la piaga del terrorismo e questa macchia di sangue che avvolge il mondo con un’ombra di paura e di smarrimento.
Desidero ringraziare il Presidente della Repubblica Italiana per le espressioni augurali che mi ha rivolto ieri sera, durante il suo Messaggio alla Nazione. Ricambio di cuore, invocando la benedizione del Signore sul popolo italiano affinché, con il contributo responsabile e solidale di tutti, possa guardare il futuro con fiducia e speranza.
Saluto tutti voi qui presenti, le famiglie, le associazioni, i gruppi di giovani, augurando un felice e sereno anno nuovo. Esprimo la mia riconoscenza per tante iniziative di preghiera e di impegno per la pace che si svolgono in ogni parte del mondo. Ricordo in particolare la marcia nazionale di ieri sera a Bologna, promossa da CEI, Caritas, Azione Cattolica e Pax Christi, con il sostegno della Diocesi e del Comune di Bologna.
Saluto i partecipanti alla manifestazione “Pace in tutte le terre”, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Grazie per la vostra presenza e la vostra testimonianza!
E a tutti auguro un anno di pace nella grazia del Signore e con la protezione materna di Maria, Madre di Dio.
Buona festa e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
[00003-IT.02] [Testo originale: Italiano]
[B0002-XX.02]
fonte: Sala Stampa della Santa Sede
L’Udienza Generale, 04.01.2017
L’Udienza Generale di questa mattina, la prima dell’anno 2017, si è svolta alle ore 9.45 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il nuovo ciclo di catechesi sul tema della speranza cristiana, ha incentrato la sua meditazione su “Rachele piange per i suoi figli”(…) ma “c’è una speranza per la tua discendenza” (cfr Ger 31,15-17).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un invito alla preghiera per il massacro avvenuto nel carcere di Manaus in Brasile.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Catechesi del Santo Padre in lingua italiana
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nella catechesi di oggi vorrei contemplare con voi una figura di donna che ci parla della speranza vissuta nel pianto. La speranza vissuta nel pianto. Si tratta di Rachele, la sposa di Giacobbe e la madre di Giuseppe e Beniamino, colei che, come ci racconta il Libro della Genesi, muore nel dare alla luce il suo secondogenito, cioè Beniamino.
Il profeta Geremia fa riferimento a Rachele rivolgendosi agli Israeliti in esilio per consolarli, con parole piene di emozione e di poesia; cioè prende il pianto di Rachele ma dà speranza:
Così dice il Signore:
«Una voce si ode a Rama,
un lamento e un pianto amaro:
Rachele piange i suoi figli,
e non vuole essere consolata per i suoi figli,
perché non sono più» (Ger 31,15).
In questi versetti, Geremia presenta questa donna del suo popolo, la grande matriarca della sua tribù, in una realtà di dolore e pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata. Rachele, che nel racconto di Genesi era morta partorendo e aveva assunto quella morte perché il figlio potesse vivere, ora invece, rappresentata dal profeta come viva a Rama, lì dove si radunavano i deportati, piange per i figli che in un certo senso sono morti andando in esilio; figli che, come lei stessa dice, “non sono più”, sono scomparsi per sempre.
E per questo Rachele non vuole essere consolata. Questo rifiuto esprime la profondità del suo dolore e l’amarezza del suo pianto. Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore.
Ogni madre sa tutto questo; e sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio, inconsolabili davanti a una morte impossibile da accettare. Rachele racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili.
Questo rifiuto di Rachele che non vuole essere consolata ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio; la carezza, il gesto e niente parole.
E Dio, con la sua delicatezza e il suo amore, risponde al pianto di Rachele con parole vere, non finte; così prosegue infatti il testo di Geremia:
Dice il Signore – risponde a quel pianto:
«Trattieni il tuo pianto,
i tuoi occhi dalle lacrime,
perché c’è un compenso alle tue fatiche
– oracolo del Signore –:
essi torneranno dal paese nemico.
C’è una speranza per la tua discendenza
– oracolo del Signore –: i tuoi figli ritorneranno nella loro terra» (Ger 31,16-17).
Proprio per il pianto della madre, c’è ancora speranza per i figli, che torneranno a vivere. Questa donna, che aveva accettato di morire, al momento del parto, perché il figlio potesse vivere, con il suo pianto è ora principio di vita nuova per i figli esiliati, prigionieri, lontani dalla patria. Al dolore e al pianto amaro di Rachele, il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. E questo non è facile da capire, ma è vero. Tante volte, nella nostra vita, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza.
Come sappiamo, questo testo di Geremia è poi ripreso dall’evangelista Matteo e applicato alla strage degli innocenti (cfr 2,16-18). Un testo che ci mette di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti noi. Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini. Non bisogna dimenticare questo. Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: “Mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?”, davvero, io non so cosa rispondere. Soltanto dico: “Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta”. Ma risposte di qua [indica la testa] non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto.
E sulla croce sarà Lui, il Figlio morente, a donare una nuova fecondità a sua madre, affidandole il discepolo Giovanni e rendendola madre del popolo dei credenti. La morte è vinta, e giunge così a compimento la profezia di Geremia. Anche le lacrime di Maria, come quelle di Rachele, hanno generato speranza e nuova vita. Grazie.
[00009-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Sintesi della catechesi e saluti nelle diverse lingue
In lingua francese
Speaker:
Frères et sœurs, le prophète Jérémie nous présente Rachel, l’ancêtre du peuple de Dieu, comme un modèle d’espérance dans les larmes. Rachel a perdu pour toujours ses enfants, ils «ne sont plus». Elle représente la souffrance de toutes les mères du monde et de tous les temps, les larmes de tous ceux qui vivent une perte irréparable. Rachel refuse d’être consolée, refus qui exprime l’amertume de ses larmes et la profondeur de sa souffrance. De fait, pour parler d’espérance à une personne désespérée il faut d’abord partager sa souffrance et s’unir à ses larmes. Le Seigneur répond à celles de Rachel par une promesse qui, maintenant, peut être la cause d’une vraie consolation: le peuple reviendra d’exil et vivra, libre dans la foi. Saint Matthieu applique ce texte de Jérémie à la persécution des Innocents, tués à cause de Jésus. Le Fils de Dieu est entré dans la douleur des hommes, il l’a portée jusqu’au bout. Née dans les larmes, sa parole est pour toujours parole de consolation. Les pleurs de Marie également, comme ceux de Rachel, ont suscité l’espérance et la vie nouvelle.
Santo-Padre:
Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese.
La luce di Natale rischiara ormai tutta la nostra esistenza. Anche se la vita è talvolta difficile e le difficoltà e le inquietudini non mancano, formulo l’augurio che il Signore Gesù vi custodisca lungo tutto il corso di quest’anno nella speranza della fede e che vi conceda la vera gioia dei bambini di Dio.
Dio vi benedica.
Speaker:
Je salue cordialement les pèlerins de langue française.
La lumière de Noël éclaire désormais toute notre existence. Même si la vie est parfois difficile et les difficultés et les inquiétudes ne manquent pas, je forme le vœu que le Seigneur Jésus vous garde tout au long de cette année dans l’espérance de la foi et qu’il vous accorde la vraie joie des enfants de Dieu.
Que Dieu vous bénisse.
[00010-FR.01] [Texte original: Français]
In lingua inglese
Speaker:
Dear Brothers and Sisters: In our continuing catechesis on Christian hope, we now turn to the figure of Rachel, the wife of Jacob, who died giving birth to her second child. The prophet Jeremiah evokes Rachel’s tears – the tears of a mother who weeps for her children and would not be consoled – to describe the sorrow of the Chosen People at the time of the Exile. Anyone familiar with the grief of a mother who has lost a child knows the power of this image. In response to Rachel’s tears, God offers a word of consolation by promising new life in the return of the exiles (cf. Jer 31:15-17). In this Christmas season, we read Jeremiah’s prophecy on the feast of the Holy Innocents. In the Gospel for that day, Saint Matthew also evokes Rachel’s tears to describe the grief of those mothers who saw their children killed before their eyes, victims of a tyranny that despises and destroys life. Yet it is in Mary, standing at the foot of the cross, that the prophecy is truly fulfilled. Our Lady’s tears for the death of her Son bear fruit in new hope and new life for all those who, through faith, become her children in the body of the Risen Christ, which is the Church.
Santo Padre:
Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Australia, Canada e Stati Uniti d’America. A ciascuno di voi e alle vostre famiglie auguro di custodire la gioia di questo tempo di Natale, incontrando nella preghiera il Salvatore che desidera farsi vicino a tutti. Dio vi benedica!
Speaker:
I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, particularly those from Australia, Canada and the United States of America. May each of you, and your families, cherish the joy of this Christmas season, and draw near in prayer to the Saviour who has come to dwell among us. God bless you!
[00011-EN.01] [Original text: English]
In lingua tedesca
Speaker:
Liebe Brüder und Schwestern, im Alten Testament finden wir die Figur der Rahel, die uns von der Hoffnung selbst in Zeiten der Tränen spricht. Rahel starb bei der Geburt ihres zweiten Sohnes Benjamin. Der Prophet Jeremia bezieht sich auf diese Mutter, um das Volk der Israeliten im Exil zu trösten, und versetzt sie nach Rama, wo sie um die Verbannten weint. Angesichts des Verlusts eines Kindes sind Worte oder Gesten des Trostes nie in der Lage, den Schmerz einer Mutter zu lindern. Rahel schließt den Schmerz aller Mütter zu allen Zeiten, die Tränen jedes Menschen ein. Um Tränen zu trocknen und von Hoffnung zu sprechen, muss man sich mit dem anderen im Weinen vereinen, sein Leid teilen. Gott antwortet auf das Weinen der Rahel mit der Verheißung der Rückkehr des Volkes. Ihre Tränen haben Hoffnung hervorgebracht. Das Wort des Jeremia begegnet uns auch beim Kindermord von Betlehem. Die Unschuldigen Kinder starben für Jesus. Der Sohn Gottes wiederum starb für alle Menschen. Er hat das Leid der Menschen geteilt und den Tod auf sich genommen. Sein Wort wurde endgültig zum Wort des Trostes. Und am Kreuz schenkte er seiner Mutter eine neue Fruchtbarkeit, als er Maria dem Jünger anvertraute und sie zur Mutter der Glaubenden machte. Der Tod ist besiegt, und auch Marias Tränen haben Hoffnung und neues Leben hervorgebracht.
Santo Padre:
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua tedesca presenti a quest’Udienza. Nel suo Figlio nato a Betlemme Dio si è fatto vicino a noi, condividendo la nostra fragilità umana fino alla morte. Cristo ci sta sempre accanto, nella gioia e nel dolore. È lui la nostra speranza. Il Signore vi accompagni con la sua benedizione durante quest’anno nuovo.
Speaker:
Sehr herzlich heiße ich die Pilger deutscher Sprache bei dieser Audienz willkommen. In seinem Sohn, der zu Betlehem geboren wurde, ist Gott uns ganz nahe und hat unsere menschliche Schwachheit geteilt bis hin zum Tod. Christus ist immer an unserer Seite, in Freud und Leid. Er ist unsere Hoffnung. Der Herr begleite euch in diesem neuen Jahr mit seinem Segen.
[00012-DE.01] [Originalsprache: Deutsch]
In lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
Hoy nos fijamos en Raquel, una figura que nos habla de la esperanza en medio del llanto. El profeta Jeremías habla de Raquel que llora en Ramá porque sus hijos, que han salido para el destierro, ya no están. Raquel representa el dolor de tantas madres que también hoy lloran la pérdida de un hijo o de un ser querido y no encuentran consuelo. Ante el dolor de los demás debemos mostrar una gran delicadeza, y compartir su sufrimiento y su llanto si queremos que nuestras palabras puedan dar un poco de esperanza. Dios responde al llanto de Raquel con una promesa: el pueblo volverá del exilio y vivirá libre en la fe. Las lágrimas de Raquel han engendrado la esperanza. El evangelio de Mateo retoma este texto de Jeremías y lo aplica a la matanza de los niños en Belén, por parte de Herodes. El Hijo de Dios ha entrado en el dolor de los hombres y lo ha compartido hasta el final. En la cruz, Jesús nos entrega a su madre, convirtiéndola en madre del pueblo creyente. Allí, la muerte es vencida y se cumple de modo pleno la profecía de Jeremías. Las lágrimas de María, como las de Raquel, han engendrado la esperanza y una nueva vida.
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos a la Virgen María que nos ayude a tener siempre viva nuestra esperanza en medio del dolor, y que con nuestra delicadeza y ternura sepamos ser instrumentos de la presencia y cercanía de Dios para el que sufre. Les deseo un feliz año. Muchas gracias.
[00013-ES.02] [Texto original: Español]
In lingua portoghese
Speaker:
Para falar de esperança a quem está desesperado, é preciso compartilhar o seu desespero; para enxugar as lágrimas do rosto de quem sofre, é preciso unir o nosso pranto ao seu. Só assim podem as nossas palavras ser realmente capazes de dar um pouco de esperança. Vemos acontecer isto na profecia de Jeremias que se dirige ao povo exilado em Babilónia e personificado na sua matriarca Raquel, esposa do patriarca Jacob e mãe dos seus filhos José e Benjamim. Ela morreu precisamente ao dar à luz este segundo filho: morreu para que Benjamim vivesse. O profeta imagina Raquel, ou seja, um povo deportado em lágrimas pelos filhos que já não existem, desapareceram para sempre. Mas Deus, na sua delicadeza e no seu amor, responde ao pranto de Raquel: «Haverá recompensa para as tuas penas. Eles voltarão do país inimigo». Precisamente pelo pranto da mãe, há ainda uma esperança para os filhos; estes voltarão a viver. As lágrimas geraram esperança: o povo regressará do exílio e poderá livremente viver, na fé, a sua relação com Deus. Como sabemos, o evangelista Mateus vê estas lágrimas de Raquel nas faces das mães de Belém que choram os filhos mortos pelos sicários de Herodes, quando este se propôs matar Jesus. As crianças de Belém morreram por causa de Jesus. Mas Ele haveria, por sua vez, de morrer por todos. O Filho de Deus entrou na dor dos homens, compartilhou e aceitou a morte; a sua palavra é definitivamente palavra de consolação, porque nasce do pranto. E, na cruz, será Ele, o Filho moribundo, a dar uma nova fecundidade à sua Mãe, confiando-Lhe o discípulo João e tornando-A mãe do povo dos crentes. A morte está vencida e chega assim ao seu pleno cumprimento a profecia de Jeremias. Também as lágrimas de Maria, como as de Raquel, geram esperança e nova vida
Santo Padre:
Con grande affetto saluto i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i sacerdoti della diocesi di Angra, augurando a ciascuno di rendersi sempre conto di quanto l’appartenenza alla santa Madre Chiesa sia davvero un dono meraviglioso. Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere segno di fiducia e di speranza in mezzo ai vostri fratelli. Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.
Speaker:
Com grande afeto, saúdo os peregrinos de língua portuguesa, e de modo particular os sacerdotes da diocese de Angra, desejando a cada um que sempre possa dar-se conta do dom maravilhoso que é pertencer à santa Mãe Igreja. Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser sinal de confiança e esperança no meio dos vossos irmãos. Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.
[00014-PO.01] [Texto original: Português]
In lingua araba
Speaker:
[تأمل البابا اليوم في شخصية راحيل، زوجة يعقوب وأم يوسف وبنيامين، والتي يشير إليها النبي أرميا في حديثة للمنفيين كي يواسيهم ويخبرهم عن الرجاء المعاش في الدموع. راحيل تأبى أن تتعزى مما يعكس عمق آلامها ومرارة بكائها. وهنا أكد البابا أنه أمام مأساة فقدان الأبناء، تبقى جميع الكلمات غير قادرة على تهدئة الجرح التي لا يمكن أن تلتئم. فألم راحيل يجسد وجع جميع الأمهات اللواتي تبكين فقدان ما لا يعوض. ورفض راحيل للمواساة يعلمنا ضرورة التحلي بالكثير من الكياسة أمام آلام الآخرين. فأفضل طريقة لمسح دموع من يبكي هي مشاركته البكاء. ثم أشار البابا إلى أن الله، بتفهمه ومحبته، قد استجاب للصرخة محولا هكذا بكاء الأم إلى رجاء للأبناء، الذين سيعودون للحياة. فتلك المرأة، والتي قبلت الموت كيما يتمكن الابن من الحياة، هي الآن مصدر حياة جديدة للأبناء المنفيين. واختتم قداسة البابا بتوضيح أن يسوع، من فوق الصليب، جعل من مريم، عندما أعطاها التلميذ يوحنا، أما لشعب المؤمنين. هكذا هزم الموت، وتحققت نبوءة أرميا: فدموع مريم، مثل دموع راحيل، قد انجبت رجاء وحياة جديدة].
Santo Padre:
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dalla Giordania, dall’Iraq e dal Medio Oriente. L'evangelista Matteo ha applicato il testo del Profeta Geremia alla strage degli innocenti, mettendoci di fronte alla tragedia dell'uccisione di esseri umani indifesi, all'orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti. Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini, lo ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga dal maligno!
Speaker:
أتوجه بتحية حارة للحجاج الناطقين باللغة العربية، وخاصة القادمين من الأردن، ومن العراق ومن الشرق الأوسط. قد طبق متى الإنجيلي نص النبي أرميا على مذبحة الأطفال الأبرياء ليضعنا أمام مأساة قتل البشر العزل، وأمام فظاعة السلطة التي تحتقر الحياة وتقمعها. لقد ذبح أطفال بيت لحم من أجل يسوع. وهو، الحمل البريء، الذي سيموت فيما بعد، بدوره، من أجل الجميع. لقد دخل ابن الله في آلام البشر، وتقاسمها وقبل الموت. إن كلمته هي كلمة العزاء النهائية، لأنها ولدت من البكاء. ليبارككم الرب جميعا ويحرسكم من الشرير!
[00015-AR.01] [Testo originale: Arabo]
In lingua polacca
Speaker:
Drodzy bracia i siostry, w dzisiejszej katechezie chciałbym przypomnieć postać Racheli, żony Jakuba, matki Józefa i Benjamina. Księga Rodzaju wspomina, że zmarła rodząc drugiego syna. Zaakceptowała własną śmierć, by tylko mogło żyć jej dziecko. W proroctwie Jeremiasza jej ból staje się odzwierciedleniem bólu narodu wybranego, który rozpacza nad swymi dziećmi żyjącymi na wygnaniu. Rachela uosabia także ból wszystkich matek, opłakujących utratę dziecka i łzy każdego zrozpaczonego człowieka. Jest kobietą nadziei. Nie chce być jednak pocieszana, bo w obliczu tragedii słowa i gesty pocieszenia stają się niestosowne, nie mogą ukoić bólu, zagoić ran. Skargę Racheli przypomni także św.Mateusz opisując śmierć niemowląt zamordowanych w Betlejem z rozkazu Heroda, obawiającego się narodzin Mesjasza. Trzeba wielkiej delikatności, utożsamienia się z cierpiącymi, by mówić im o nadziei, by wlewać w serca otuchę. Tak wobec człowieka postępuje Bóg. Słowami Jeremiasza pociesza udręczonych: „Powstrzymaj głos twój od lamentu, bo jest nagroda za twoje trudy, jest nadzieja dla twego potomstwa” (Jr31,16-17). Chrystus podejmując Krzyż najpełniej utożsamił się ludzkim cierpieniem, bólem, konaniem. Umierając na Krzyżu pokonał śmierć. Jego zbawcze dzieło, Ewangelia są dla nas konkretnym znakiem umocnienia i pociechy. Jego zmartwychwstanie rodzi w nas nadzieję i perspektywę nowego życia.
Santo Padre:
Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle, dopodomani celebreremo l’Epifania del Signore. Per le strade delle vostre città e di molte località sfileranno solenni cortei dei Magi. Partecipando a queste manifestazioni e rivolgendo ai presenti il saluto di San Francesco: “Pace e bene”, ricordate a tutti che Gesù, nato a Betlemme è presente nel mondo, è vicino a noi, ci porta la salvezza e vuole abitare nel cuore di ciascuno. Sia lodato Gesù Cristo.
Speaker:
Pozdrawiam serdecznie pielgrzymów polskich. Bracia i siostry, pojutrze będziemy obchodzili Uroczystość Objawienia Pańskiego. Ulicami wielu waszych miast i miejscowości przejdą uroczyste korowody Orszaku Trzech Króli. Uczestnicząc w nich i kierując do spotkanych ludzi pozdrowienie świętego Franciszka: „Pokój i dobro”, przypominajcie wszystkim, że Jezus narodzony w Betlejem jest obecny w świecie, jest blisko nas, przynosi nam zbawienie, pragnie zamieszkać w sercu każdego człowieka. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.
[00016-PL.01] [Testo originale: Polacco]
In lingua italiana
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, ed auguro a tutti serenità e pace per il nuovo anno. Sono lieto di accogliere i membri del gruppo “Famiglia Associativa preghiera e carità”, che celebrano il 45° anniversario di fondazione e i rappresentanti del Centro Apostolico Beato Vincenzo Romano, qui convenuti per i venticinque anni di servizio al carisma della formazione vocazionale, e li ringrazio per il dono dell’effigie del fondatore.
Saluto i professi temporanei dei Frati Minori della Provincia di Sant’Antonio e il Movimento giovanile della Fraternità francescana di Betania: esorto ciascuno a intensificare la preghiera per crescere in un’amicizia vera e profonda con Gesù.
Mi è gradito salutare, infine, i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. A voi, cari giovani, auguro di saper considerare ogni giorno del nuovo anno come un dono di Dio, da vivere con riconoscenza e rettitudine, e sempre andando avanti! Sempre. Il nuovo anno porti a voi, cari ammalati, consolazione nel corpo e nello spirito. Il Signore vi sia vicino e la Madonna vi consoli. E voi, cari sposi novelli, impegnatevi a realizzare una sincera comunione di vita secondo il progetto di Dio.
[00017-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Appello del Santo Padre
Ieri sono giunte dal Brasile le notizie drammatiche del massacro avvenuto nel carcere di Manaus, dove un violentissimo scontro tra bande rivali ha causato decine di morti. Esprimo dolore e preoccupazione per quanto accaduto. Invito a pregare per i defunti, per i loro familiari, per tutti i detenuti di quel carcere e per quanti vi lavorano. E rinnovo l’appello perché gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane.
Vi invito a pregare per questi detenuti morti e vivi, e anche per tutti i detenuti del mondo, perché le carceri siano per reinserire e non siano sovraffollate; siano posti di reinserimento. Preghiamo la Madonna, Madre dei detenuti: Ave o Maria,…
[00018-IT.02] [Testo originale: Italiano]
[B0005-XX.02]
fonte: Sala Stampa della Santa Sede
Udienza ai partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale italiana (Roma, 3-5 gennaio 2017), 05.01.2017
Alle ore 9.30 di stamani, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale italiana (CEI), sul tema “Alzati, va’ e non temere. Vocazioni e Santità: io sono una missione” (Roma, 3-5 gennaio 2017).
Il Papa ha rivolto ai presenti un discorso a braccio, dando per letto il testo preparato, che ha consegnato a S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della CEI.
Di seguito riportiamo la trascrizione del discorso pronunciato dal Santo Padre e il testo di quello preparato in precedenza:
Discorso pronunciato dal Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Ho preparato questo discorso [mostra quello scritto]: sono cinque pagine. È troppo presto per addormentarsi un’altra volta! Così io lo consegnerò al Segretario Generale e cercherò di dirvi quello che mi viene in mente, quello che mi viene da dire... Lei [si rivolge a Mons. Galantino] poi lo fa conoscere…
Quando Mons. Galantino ha incominciato a parlare [nel suo saluto al Santo Padre] e ha detto il motto dell’incontro, “Alzati!...”, mi è venuto in mente quando questa parola è stata detta a Pietro, in carcere, è stata detta dall’angelo: «Alzati!» (At 12,7). Lui non capiva nulla. “Prendi il mantello…”. E non sapeva se sognava, se non sognava. “Seguimi”. E le porte si aprirono, e Pietro si ritrovò sulla strada. Lì si accorse che era realtà, che non era un sogno: era l’angelo di Dio e l’aveva liberato. “Alzati!”, gli aveva detto. E lui si alzò, di fretta, e se ne andò. E dove vado? Vado dove sicuramente c’è la comunità cristiana. E davvero è andato in una casa di cristiani, dove tutti pregavano per lui. La preghiera… Bussa alla porta, esce la domestica, lo guarda… e invece di aprire la porta torna indietro. E Pietro, spaventato perché c’era la guardia lì, che girava per la città. E lei: “Va’, c’è Pietro!” – “No, Pietro è in carcere!” – “No, è il fantasma di Pietro” – “No, c’è Pietro, è Pietro!”. E Pietro bussava, bussava… Quell’“Alzati!” è stato fermato per il timore, per la sciocchezza – ma, non sappiamo – di una persona. Credo che si chiamasse… [Rode]. E’ un complesso, il complesso di quelli che per paura, per mancanza di sicurezza preferiscono chiudere le porte.
Io mi domando quanti giovani, ragazzi e ragazze, oggi sentono nel loro cuore quell’“alzati!”, e quanti – preti, consacrati, suore – chiudono le porte. E loro finiscono in frustrazione. Avevano sentito l’“alzati!”, e bussavano alla porta. … “Sì, sì, stiamo pregando” – “Sì, adesso non si può, stiamo pregando”. Fra parentesi, qualcuno, quando ha saputo che venivo da voi a parlare sulle vocazioni, ha detto: “Dica loro che preghino per le vocazioni, invece di fare tanti convegni!”. Non so se sia vero, ma pregare ci vuole, però pregare con la porta aperta! Con la porta aperta. Perché soltanto accontentarsi di fare un convegno, senza assicurarsi che le porte siano aperte, non serve. E le porte si aprono con la preghiera, la buona volontà, il rischio. Rischiare con i giovani. Gesù ci ha detto che il primo metodo per avere vocazioni è la preghiera, e non tutti sono convinti di questo. “Io prego… sì, io prego, tutti i giorni un Padre Nostro per le vocazioni”. Cioè, pago la tassa. No, la preghiera che esce dal cuore! La preghiera che fa che il Signore dica più volte quell’“alzati!”: “Alzati! Sii libero, sii libera! Alzati, ti voglio con me. Seguimi. Vieni da me e vedrai dove abito. Alzati!”. Ma con le porte chiuse, nessuno può entrare dal Signore. E le chiavi delle porte le abbiamo noi. Non solo Pietro, no, no. Tutti.
Aprire le porte perché possano entrare nelle chiese. Ho saputo di alcune diocesi, nel mondo, che sono state benedette di vocazioni. Parlando con i vescovi [ho chiesto]: “Che cosa avete fatto?”. Prima di tutto, una lettera del vescovo, ogni mese, alle persone che volevano pregare per le vocazioni: le vecchiette, gli ammalati, gli sposi… Una lettera ogni mese, con un pensiero spirituale, con un sussidio, per accompagnare la preghiera. I vescovi devono accompagnare la preghiera, la preghiera della comunità. Bisogna cercare un modo… Questo è un modo che quei vescovi – tre o quattro che ho sentito – hanno trovato. Ma tante volte i vescovi sono impegnati, ci sono tante cose… Sì, sì, ma non bisogna dimenticare che il primo compito dei vescovi è la preghiera! Il secondo compito l’annuncio del Vangelo. E questo non lo dicono i teologi, questo è stato detto dagli Apostoli, quando ebbero quella piccola rivoluzione in cui tanti cristiani si lamentavano perché le vedove non erano ben curate, perché gli Apostoli non avevano tempo; allora hanno “inventato” i diaconi, perché si occupassero delle vedove, degli orfani, dei poveri… Noi, in questa Chiesa di Roma abbiamo un bravo diacono, abbiamo avuto Lorenzo, che ha dato la sua vita; si occupava di queste cose… E alla fine dell’annuncio, quando annuncia alla comunità cristiana, Pietro dice: “E a noi tocca la preghiera e l’annuncio del Vangelo” (cfr At 6,4). Ma qualcuno può dirmi: “Padre, lei sta parlando alla nuora perché senta la suocera?”. Sì, è vero. La prima cosa è pregare, è questo che Gesù ci ha detto: “Pregate per le vocazioni”. Io potrei fare il piano pastorale più grande, l’organizzazione più perfetta, ma senza il lievito della preghiera sarà pane azzimo. Non avrà forza. Pregare è la prima cosa. E la comunità cristiana, quella notte nella quale Pietro bussava alla porta, era in preghiera. Dice il testo: “Tutta la Chiesa pregava per lui” (cfr At 12,5). Era in preghiera. E quando si prega, il Signore ascolta, sempre, sempre! Ma pregare non come i pappagalli. Pregare con il cuore, con la vita, con tutto, con il desiderio che questo che io sto chiedendo si faccia. Pregare per le vocazioni.
Pensate se voi potete fare una cosa del genere, come hanno fatto questi vescovi, che è gente umile: “Tu prendi questo impegno, tutti i giorni fai qualche preghiera”; e alimentare questo impegno, sempre. Oggi un libretto, il mese prossimo una lettera, poi un’immaginetta…, ma che si sentano collegati in preghiera, perché la preghiera di tutti fa tanta forza. Lo dice il Signore stesso. Poi, la porta aperta. È da piangere quando tu vai in parrocchia, in alcune parrocchie… E fra parentesi voglio dire che i parroci italiani sono bravi!, sto parlando in genere, ma questa è una testimonianza che voglio dare: mai ho visto in altre diocesi, nella mia patria, in altre diocesi, organizzazioni fatte dai parroci così forti come qui. Pensate al volontariato: in Italia il volontariato è una cosa che non si vede altrove. È una cosa grande! E chi l’ha fatta? I parroci. I parroci di campagna, che servono uno, due, tre paesini, vanno, vengono, conoscono i nomi di tutti, anche dei cani… I parroci. Poi, l’oratorio nelle parrocchie italiane: è un’istituzione forte! E chi l’ha fatto, questo? I parroci! I parroci sono bravi. Ma alcune volte – e parlo di tutto il mondo – si va in parrocchia e si trova una scritta sulla porta: “Il parroco riceve lunedì, giovedì, venerdì dalle 15 alle 16”; oppure: “Si confessa da questa a questa ora”. Queste porte aperte… Quante volte – e sto parlando della mia diocesi precedente – quante volte ci sono le segretarie, donne consacrate, a ricevere la gente, a spaventare la gente! La porta è aperta ma la segretaria fa loro vedere i denti, e la gente scappa! Ci vuole accoglienza. Per avere vocazioni, è necessaria l’accoglienza. È la casa nella quale si accoglie.
E parlando dei giovani, accoglienza ai giovani. Questa è una terza cosa un po’ difficile. I giovani stancano, perché hanno sempre un’idea, fanno rumore, fanno questo, fanno quell’altro… E poi vengono: “Ma, vorrei parlare con te…” – “Sì, vieni”. E le stesse domande, gli stessi problemi: “Io te l’ho detto …”. Stancano. Se vogliamo vocazioni: porta aperta, preghiera e stare inchiodati alla sedia per ascoltare i giovani. “Ma sono fantasiosi!...”. Benedetto il Signore! A te tocca farli “atterrare”. Ascoltarli: l’apostolato dell’orecchio. “Vogliono confessarsi, ma confessano sempre le stesse cose” – “Anche tu, quando eri giovane, ti sei dimenticato? Ti sei dimenticata?”. La pazienza: ascoltare, che si sentano a casa, accolti; che si sentano ben voluti. E più di una volta fanno ragazzate: grazie a Dio, perché non sono vecchi. È importante “perdere tempo” con i giovani. Alcune volte annoiano, perché – come dicevo – vengono sempre con le stesse cose; ma il tempo è per loro. Più che parlare loro, bisogna ascoltarli, e dire soltanto una “goccina”, una parola lì, e via, possono andare. E questo sarà un seme che lavorerà da dentro. Ma potrà dire: “Sì, sono stato con il parroco, con il prete, con la suora, con il presidente dell’Azione Cattolica, e mi ha ascoltato come se non avesse niente da fare”. Questo i giovani lo capiscono bene.
Poi, un’altra cosa sui giovani: dobbiamo stare attenti a che cosa cercano, perché i giovani cambiano con i tempi. Ai miei tempi c’era la moda delle riunioni: “Oggi parleremo dell’amore”, e ognuno preparava il tema dell’amore, si parlava… Eravamo soddisfatti. Poi, uscivamo da lì, andavamo allo stadio a vedere la partita – non c’era ancora la televisione – eravamo tranquilli. Si facevano opere di carità, visite agli ospedali… tutto sistemato. Ma eravamo piuttosto “fermi”, in senso figurato. Oggi i giovani devono essere in moto, i giovani devono camminare; per lavorare per le vocazioni bisogna far camminare i giovani, e questo si fa accompagnando. L’apostolato del camminare. E come camminare, come? Fare una maratona? No! Inventare, inventare azioni pastorali che coinvolgano i giovani, in qualcosa che faccia fare loro qualcosa: nelle vacanze andiamo una settimana a fare una missione in quel paese, o a fare aiuto sociale a quell’altro, o tutte le settimane andiamo in ospedale, questo, quello…, o a dare da mangiare ai senzatetto nelle grandi città… ci sono… I giovani hanno bisogno di questo, e si sentono Chiesa quando fanno questo. Anche i giovani che non si confessano, forse, o non fanno la Comunione, ma si sentono Chiesa. Poi, si confesseranno, poi, faranno la Comunione; ma tu, mettili in cammino. E camminando, il Signore parla, il Signore chiama. E viene un’idea: dobbiamo fare questo…; io voglio fare…; e si coinvolgono nei problemi altrui. Giovani in cammino, non fermi. I giovani fermi, che hanno tutto sicuro… sono giovani in pensione! E ce ne sono tanti, oggi! Giovani che hanno tutto assicurato: sono pensionati della vita. Studiano, avranno una professione, ma il cuore è già chiuso. E sono pensionati. Dunque, camminare, camminare con loro, farli camminare, farli andare. E nel cammino trovano domande, domande a cui è difficile rispondere! Io vi confesso, quando ho fatto le visite in alcuni Paesi o anche qui in Italia, in alcune città, di solito faccio una riunione o un pranzo con un gruppo di giovani. Le domande che ti fanno, in quei momenti, ti fanno tremare, perché tu non sai come rispondere… Perché sono inquieti [in senso positivo: sono in ricerca], e questa inquietudine è una grazia di Dio, è una grazia di Dio. Tu non puoi fermare l’inquietudine. Diranno stupidaggini, a volte, ma sono inquieti, e questo è ciò che conta. E questa inquietudine è necessario farla camminare.
“Alzati!”. La porta aperta. La preghiera. La vicinanza a loro, ascoltarli. “Ma sono noiosi!...”. Ascoltarli, farli camminare, farli andare, con proposte da “fare”. Loro capiscono meglio il linguaggio delle mani che quello della testa o quello del cuore; capiscono il fare: capiscono bene! Pensano così così, ma capiscono, fanno bene se tu dai loro da fare. Capiscono bene: hanno una capacità di giudicare acuta; dobbiamo sistemare un po’ la testa, ma questo viene, viene con il tempo.
E infine, l’ultima cosa che mi viene in mente per la pastorale vocazionale, è la testimonianza. Un ragazzo, una ragazza, è vero che sente la chiamata del Signore, ma la chiamata è sempre concreta, e almeno la maggioranza delle volte, la più parte delle volte è: “Io vorrei diventare come quella o come quello”. Sono le nostre testimonianze quello che attira i giovani. Testimonianze dei preti bravi, delle suore brave. Una volta è andata una suora a parlare in un collegio – era una superiora, credo una madre generale, in un altro Paese, non qui – ha riunito – questo è storico – la comunità educativa di quel collegio di suore, e questa madre generale invece di parlare della sfida dell’educazione, dei giovani che si stanno educando, di tutte queste cose, incominciò a dire: “Noi dobbiamo pregare per la canonizzazione della nostra madre fondatrice”, e ha passato più di mezz’ora parlando della madre fondatrice, che si deve fare questo, chiedere il miracolo… Ma la comunità educativa, i professori, le professoresse [pensavano]: “Ma perché ci dice queste cose, mentre noi abbiamo bisogno di altro… Sì, questo sta bene, che sia beatificata e canonizzata, ma noi abbiamo bisogno di un altro messaggio”. Alla fine, una delle professoresse – brava, era brava questa, l’ho conosciuta – disse: “Madre, posso dire una cosa?” – “Sì” – “La vostra madre non sarà mai canonizzata” – “Ma perché?” – “Eh, perché sicuramente è in purgatorio” – “Ma non dire queste cose! Perché dici questo?” – “Per avere fondato voi. Perché se tu che sei la generale sei tanto – diciamo – sciocca, per non dire di più, la tua madre generale non ha saputo formarvi”. Non è così? È la testimonianza: che vedano in voi vivere quello che predicate. Quello che vi ha portato a diventare preti, suore, anche laici che lavorano con forza nella Casa del Signore. E non gente che cerca sicurezza, che chiude le porte, che spaventa gli altri, che parla di cose che non interessano, che annoiano i giovani, che non hanno tempo… “Sì, sì, ma sono un po’ di fretta…” No. Ci vuole una testimonianza grande!
Non so, questo è quello che mi scoppiato nel cuore a partire da quell’“alzati!” che ho sentito dire da Mons. Galantino, dal motto del vostro incontro. E ho parlato di quello che sento. E vi ringrazio per quello che fate, vi ringrazio per questo convegno, vi ringrazio per le preghiere… E avanti! Che il mondo non finisce con noi, dobbiamo andare avanti…
Adesso, prima della benedizione, preghiamo la Madonna: “Ave Maria…”.
[00027-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Discorso consegnato dal Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
Al termine del vostro Convegno di pastorale vocazionale, organizzato dall’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana, sono lieto di potervi accogliere e incontrare. Ringrazio Mons. Galantino per le sue cortesi parole; e mi congratulo per l’impegno con cui portate avanti questo appuntamento annuale, nel quale si condivide la gioia della fraternità e la bellezza delle diverse vocazioni.
Davanti a noi si apre l’orizzonte e il cammino verso l’Assemblea sinodale del 2018, sul tema “Giovani, fede e discernimento vocazionale”. Il “sì” totale e generoso di una vita donata è simile ad una sorgente d’acqua, nascosta da tanto tempo nelle profondità della terra, che attende di sgorgare e scorrere all’esterno, in un rivolo di purezza e freschezza. I giovani oggi hanno bisogno di una sorgente d’acqua fresca per dissetarsi e poi proseguire il loro cammino di ricerca. «I giovani hanno il desiderio di una vita grande. L’incontro con Cristo, il lasciarsi affer*rare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza e dona una speranza solida che non delude» (Enc. Lumen fidei, 53).
In questo orizzonte si colloca anche il vostro servizio, con il suo stile di annuncio e di accompagnamento vocazionale. Tale impegno richiede passione e senso di gratuità. La passione del coinvolgimento personale, nel saper prendervi cura delle vite che vi sono consegnate come scrigni che racchiudono un tesoro prezioso da custodire. E la gratuità di un servizio e ministero nella Chiesa che richiede grande rispetto per coloro di cui vi fate compagni di cammino. È l’impegno di cercare la loro felicità, e questo va ben oltre le vostre preferenze e aspettative. Faccio mie le parole di Papa Benedetto XVI: «Siate seminatori di fiducia e di speranza. È infatti profondo il senso di smarrimento che spesso vive la gioventù di oggi. Non di rado le parole umane sono prive di futuro e di prospettiva, prive anche di senso e di sapienza. [...] Eppure, questa può essere l’ora di Dio» (Discorso ai partecipanti al Convegno europeo sulla pastorale vocazionale, 4 luglio 2009).
Per essere credibili ed entrare in sintonia con i giovani, occorre privilegiare la via dell’ascolto, il saper “perdere tempo” nell’accogliere le loro domande e i loro desideri. La vostra testimonianza sarà tanto più persuasiva se, con gioia e verità, saprete raccontare la bellezza, lo stupore e la meraviglia dell’essere innamorati di Dio, uomini e donne che vivono con gratitudine la loro scelta di vita per aiutare altri a lasciare una impronta inedita e originale nella storia. Ciò richiede di non essere disorientati dalle sollecitazioni esteriori, ma di affidarci alla misericordia e alla tenerezza del Signore ravvivando la fedeltà delle nostre scelte e la freschezza del “primo amore” (cf Ap 2,5).
La priorità dell’annuncio vocazionale non è l’efficienza di quanto facciamo, ma piuttosto l’attenzione privilegiata alla vigilanza e al discernimento. È avere uno sguardo capace di scorgere la positività negli eventi umani e spirituali che incontriamo; un cuore stupito e grato di fronte ai doni che le persone portano in sé, mettendo in luce le potenzialità più dei limiti, il presente e il futuro in continuità col passato.
C’è bisogno oggi di una pastorale vocazionale dagli orizzonti ampi e dal respiro di comunione; capace di leggere con coraggio la realtà così com’è con le fatiche e le resistenze, riconoscendo i segni di generosità e di bellezza del cuore umano. C’è l’urgenza di riportare dentro alle comunità cristiane una nuova “cultura vocazionale”. «Fa parte ancora di questa cultura vocazionale la capacità di sognare e desiderare in grande, quello stupore che consente di apprezzare la bellezza e sceglierla per il suo valore intrinseco, perché rende bella e vera la vita» (Pont. Opera per le Vocazioni, Nuove vocazioni per una nuova Europa, 8 dicembre 1997, 13b).
Cari fratelli e sorelle, non stancatevi di ripetere a voi stessi: “io sono una missione” e non semplicemente “io ho una missione”. «Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 273). Essere missione permanente richiede coraggio, audacia, fantasia e voglia di andare oltre, di andare più in là. Infatti, “Alzati, va’ e non temere” è stato il tema del vostro Convegno. Esso ci aiuta a fare memoria di molte storie di vocazione, in cui il Signore invita i chiamati ad uscire da sé per essere dono per gli altri; ad essi affida una missione e li rassicura: «Non temere, perché io sono con te» (Is 41,10). Questa sua benedizione si fa incoraggiamento costante e appassionato per poter andare oltre le paure che rinchiudono in sé stessi e paralizzano ogni desiderio di bene. È bello sapere che il Signore si fa carico delle nostre fragilità, ci rimette in piedi per ritrovare, giorno dopo giorno, l’infinita pazienza di ricominciare.
Sentiamoci sospinti dallo Spirito Santo a individuare con coraggio strade nuove nell’annuncio del vangelo della vocazione; per essere uomini e donne che, come sentinelle (cf Sal 130,6), sanno cogliere le striature di luce di un’alba nuova, in una rinnovata esperienza di fede e di passione per la Chiesa e per il Regno di Dio. Ci spinga lo Spirito ad essere capaci di una pazienza amorevole, che non teme le inevitabili lentezze e resistenze del cuore umano.
Vi assicuro la mia preghiera; e voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.
[00020-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0007-XX.01]
fonte: Sala Stampa della Santa Sede
Ultima modifica di Vox Populi; 05-01-2017 alle 19:42
Discorso del Santo Padre durante l'Udienza ai fedeli delle zone terremotate del Centro Italia
(Aula Paolo VI, 5 gennaio 2017).
Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, 06.01.2017
Alle ore 10 di oggi, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana.
Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annunzio del giorno della Pasqua che quest’anno si celebra il 16 aprile:
Omelia del Santo Padre
«Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2).
Con queste parole i magi, venuti da terre lontane, ci fanno conoscere il motivo della loro lunga traversata: adorare il re neonato. Vedere e adorare: due azioni che risaltano nel racconto evangelico: abbiamo visto una stella e vogliamo adorare.
Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento. La scoperta di qualcosa di inconsueto che è accaduto nel cielo ha scatenato una serie innumerevole di avvenimenti. Non era una stella che brillò in modo esclusivo per loro né avevano un DNA speciale per scoprirla. Come ha ben riconosciuto un padre della Chiesa, i magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino (cfr San Giovanni Crisostomo). Avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità.
I magi, in tal modo, esprimono il ritratto dell’uomo credente, dell’uomo che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste. Riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore.
La santa nostalgia di Dio scaturisce nel cuore credente perché sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente. La santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: «Vieni, Signore Gesù!».
Fu proprio questa nostalgia a spingere l’anziano Simeone ad andare tutti i giorni al tempio, sapendo con certezza che la sua vita non sarebbe terminata senza poter tenere in braccio il Salvatore. Fu questa nostalgia a spingere il figlio prodigo a uscire da un atteggiamento distruttivo e a cercare le braccia di suo padre. Fu questa nostalgia che il pastore sentì nel suo cuore quando lasciò le novantanove pecore per cercare quella che si era smarrita, e fu anche ciò che sperimentò Maria Maddalena la mattina della domenica per andare di corsa al sepolcro e incontrare il suo Maestro risorto. La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare. La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarsi per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro. Il credente “nostalgioso”, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare.
Come atteggiamento contrapposto, nel palazzo di Erode (che distava pochissimi chilometri da Betlemme), non si erano resi conto di ciò che stava succedendo. Mentre i magi camminavano, Gerusalemme dormiva. Dormiva in combutta con un Erode che, invece di essere in ricerca, pure dormiva. Dormiva sotto l’anestesia di una coscienza cauterizzata. E rimase sconcertato. Ebbe paura. È lo sconcerto che, davanti alla novità che rivoluziona la storia, si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi. Lo sconcerto di chi sta seduto sulla ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. È lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i “vincitori” e a qualunque prezzo. Uno sconcerto che nasce dalla paura e dal timore davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze e verità, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita. E così Erode ebbe paura, e quella paura lo condusse a cercare sicurezza nel crimine: «Necas parvulos corpore, quia te necat timor in corde» (San Quodvultdeus, Sermo 2 sul simbolo: PL 40, 655). Uccidi i bambini nel corpo, perché a te la paura uccide il cuore.
Vogliamo adorare. Quegli uomini vennero dall’Oriente per adorare, e vennero a farlo nel luogo proprio di un re: il Palazzo. E questo è importante: lì essi giunsero con la loro ricerca: era il luogo idoneo, perché è proprio di un Re nascere in un palazzo, e avere la sua corte e i suoi sudditi. È segno di potere, di successo, di vita riuscita. E ci si può attendere che il re sia venerato, temuto e adulato, sì; ma non necessariamente amato. Questi sono gli schemi mondani, i piccoli idoli a cui rendiamo culto: il culto del potere, dell’apparenza e della superiorità. Idoli che promettono solo tristezza, schiavitù, paura.
E fu proprio lì dove incominciò il cammino più lungo che dovettero fare quegli uomini venuti da lontano. Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale. Lì non vedevano la stella che li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati, gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia. Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!
Erode non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo. Non ha voluto smettere di rendere culto a se stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui. Non ha potuto adorare perché il suo scopo era che adorassero lui. Nemmeno i sacerdoti hanno potuto adorare perché sapevano molto, conoscevano le profezie, ma non erano disposti né a camminare né a cambiare.
I magi sentirono nostalgia, non volevano più le solite cose. Erano abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo. Ma lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo. I magi poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare e prostrandosi davanti al piccolo, prostrandosi davanti al povero, prostrandosi davanti all’indifeso, prostrandosi davanti all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme, lì scoprirono la Gloria di Dio.
[00024-IT.02] [Testo originale: Italiano]
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fonte: Sala Stampa della Santa Sede
Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 06.01.2017
Conclusa, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, alle ore 12 il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole con cui il Papa ha introdotto la preghiera mariana:
Prima dell’Angelus
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Celebriamo oggi l’Epifania del Signore, cioè la manifestazione di Gesù che risplende come luce per tutte le genti. Simbolo di questa luce che splende nel mondo e vuole illuminare la vita di ciascuno è la stella, che guidò i Magi a Betlemme. Essi, dice il Vangelo, videro «spuntare la sua stella» (Mt 2,2) e scelsero di seguirla: scelsero di farsi guidare dalla stella di Gesù.
Anche nella nostra vita ci sono diverse stelle, luci che brillano e orientano. Sta a noi scegliere quali seguire. Per esempio, ci sono luci intermittenti, che vanno e vengono, come le piccole soddisfazioni della vita: anche se buone, non bastano, perché durano poco e non lasciano la pace che cerchiamo. Ci sono poi le luci abbaglianti della ribalta, dei soldi e del successo, che promettono tutto e subito: sono seducenti, ma con la loro forza accecano e fanno passare dai sogni di gloria al buio più fitto. I Magi, invece, invitano a seguire una luce stabile, una luce e gentile, che non tramonta, perché non è di questo mondo: viene dal cielo e splende… dove? Nel cuore.
Questa luce vera è la luce del Signore, o meglio, è il Signore stesso. Egli è la nostra luce: una luce che non abbaglia, ma accompagna e dona una gioia unica. Questa luce è per tutti e chiama ciascuno: possiamo così sentire rivolto a noi l’odierno invito del profeta Isaia: «Alzati, rivestiti di luce» (60,1). Così diceva Isaia, profetizzando questa gioia di oggi a Gerusalemme: “Alzati, rivestiti di luce”. All’inizio di ogni giorno possiamo accogliere questo invito: alzati, rivestiti di luce, segui oggi, tra le tante stelle cadenti nel mondo, la stella luminosa di Gesù! Seguendola, avremo la gioia, come accadde ai Magi, che «al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10); perché dove c’è Dio c’è gioia. Chi ha incontrato Gesù ha sperimentato il miracolo della luce che squarcia le tenebre e conosce questa luce che illumina e rischiara.
Vorrei, con tanto rispetto, invitare tutti a non avere paura di questa luce e ad aprirsi al Signore. Soprattutto vorrei dire a chi ha perso la forza di cercare, è stanco, a chi, sovrastato dalle oscurità della vita, ha spento il desiderio: alzati, coraggio, la luce di Gesù sa vincere le tenebre più oscure; alzati, coraggio!
E come trovare questa luce divina? Seguiamo l’esempio dei Magi, che il Vangelo descrive sempre in movimento. Chi vuole la luce, infatti, esce da sé e cerca: non rimane al chiuso, fermo a guardare cosa succede attorno, ma mette in gioco la propria vita; esce da sé. La vita cristiana è un cammino continuo, fatto di speranza, e fatto di ricerca; un cammino che, come quello dei Magi, prosegue anche quando la stella sparisce momentaneamente dalla vista. In questo cammino ci sono anche delle insidie che vanno evitate: le chiacchiere superficiali e mondane, che frenano il passo; i capricci paralizzanti dell’egoismo; le buche del pessimismo, che intrappola la speranza. Questi ostacoli bloccarono gli scribi, di cui parla il Vangelo di oggi. Essi sapevano dov’era la luce, ma non si mossero. Quando Erode chiede loro: “Dove dovrà nascere il Messia?” – “A Betlemme!”. Sapevano dove, ma non si mossero. La loro conoscenza è stata vana: sapevano tante cose, ma per niente, tutto vano. Non basta sapere che Dio è nato, se non si fa con Lui Natale nel cuore. Dio è nato, sì, ma è nato nel tuo cuore? È nato nel mio cuore? È nato nel nostro cuore? E così lo troveremo, come i Magi, con Maria, Giuseppe, nella stalla.
I Magi lo hanno fatto: trovato il Bambino, «si prostrarono e lo adorarono» (v. 11). Non lo guardarono soltanto, non dissero solo una preghiera di circostanza e se ne sono andati, no, ma adorarono: entrarono in una comunione personale di amore con Gesù. Poi gli donarono oro, incenso e mirra, ovvero i loro beni più preziosi. Impariamo dai Magi a non dedicare a Gesù solo i ritagli di tempo e qualche pensiero ogni tanto, altrimenti non avremo la sua luce. Come i Magi, mettiamoci in cammino, rivestiamoci di luce seguendo la stella di Gesù, e adoriamo il Signore con tutto noi stessi.
[00025-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Dopo l’Angelus
Domani le comunità ecclesiali dell’Oriente che seguono il Calendario Giuliano celebreranno il Santo Natale. In spirito di gioiosa fraternità auguro che la nuova nascita del Signore Gesù le ricolmi di luce e di pace.
L’Epifania è la Giornata dell’Infanzia Missionaria. Incoraggio tutti i bambini e i ragazzi che in tante parti del mondo si impegnano a portare il Vangelo e ad aiutare il loro coetanei in difficoltà. Saluto quelli che oggi sono venuti qui da Lazio, Abbruzzo e Molise, e ringrazio la Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria per questo servizio educativo.
Saluto i partecipanti al corteo storico-folcloristico, che quest’anno è dedicato alle terre dell’Umbria meridionale e che si propone di diffondere i valori di solidarietà e fratellanza.
Saluto i gruppi venuti da Malta, dalla California e dalla Polonia; ed estendo la mia benedizione ai partecipanti al grande Corteo dei Re Magi che si svolge a Varsavia con tante famiglie e tanti bambini.
Saluto i fedeli di Ferrara, Correggio, Ruvo di Puglia, Robecco sul Naviglio e Cucciago; come pure i cresimandi di Rosolina e di Romano di Lombardia, i ministranti della diocesi di Asti, i ragazzi di Cologno al Serio, e gli amici e volontari della Fraterna Domus.
I Magi offrono a Gesù i loro doni, ma in realtà Gesù stesso è il vero dono di Dio: Lui infatti è il Dio che si dona a noi, in Lui noi vediamo il volto misericordioso del Padre che ci aspetta, ci accoglie, ci perdona sempre; il volto di Dio che non ci tratta mai secondo le nostre opere o secondo i nostri peccati, ma unicamente secondo l’immensità della sua inesauribile misericordia. E parlando di doni, anche io ho pensato di farvi un piccolo dono… mancano i cammelli, ma vi darò il dono. Il libretto “Icone di misericordia”. Il dono di Dio è Gesù, misericordia del Padre; e per questo, per ricordare questo dono di Dio, vi darò questo dono che vi verrà distribuito dai poveri, dai senzatetto e dai profughi insieme a molti volontari e religiosi che saluto cordialmente e ringrazio di vero cuore.
Vi auguro un anno di giustizia, di perdono, di serenità ma soprattutto un anno di misericordia. Vi aiuterà leggere questo libro: è tascabile, potete portarlo con voi. Per favore, non vi scordate di farmi anche voi il dono della vostra preghiera. Il Signore vi benedica. Buona festa, buon pranzo e arrivederci!
[00026-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0011-XX.02]
fonte: Sala Stampa della Santa Sede
Santa Messa nella Cappella Sistina con il rito del Battesimo dei bambini, 08.01.2017
Alle ore 9.30 di oggi, Festa del Battesimo del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto nella Cappella Sistina la Santa Messa nel corso della quale ha amministrato il Sacramento del Battesimo a 28 neonati, 15 bambini e 13 bambine.
Dopo la lettura del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato a braccio l’omelia di cui riportiamo di seguito la trascrizione:
Omelia del Santo Padre
Cari genitori,
voi avete chiesto per i vostri bambini la fede, la fede che sarà data nel Battesimo. La fede: ciò significa vita di fede, perché la fede va vissuta; camminare sulla strada della fede e dare testimonianza della fede. La fede non è recitare il “Credo” la domenica, quando andiamo a Messa: non è solo questo. La fede è credere quello che è la Verità: Dio Padre che ha inviato suo Figlio e lo Spirito che ci vivifica. Ma la fede è anche affidarsi a Dio, e questo voi dovete insegnare loro, con il vostro esempio, con la vostra vita. E la fede è luce: nella cerimonia del Battesimo vi sarà data una candela accesa, come ai primi tempi della Chiesa. E per questo il Battesimo, a quei tempi, si chiamava “illuminazione”, perché la fede illumina il cuore, fa vedere le cose con un’altra luce. Voi avete chiesto la fede: la Chiesa dà la fede ai vostri figli con il Battesimo, e voi avete il compito di farla crescere, custodirla, e che divenga testimonianza per tutti gli altri. Questo è il senso di questa cerimonia. E soltanto questo volevo dirvi: custodire la fede, farla crescere, che sia testimonianza per gli altri.
E poi… è incominciato il concerto! [i bimbi piangono]: è perché i bambini si trovano in un posto che non conoscono, si sono alzati prima del solito. Incomincia uno, dà la nota e poi gli altri “scimmiottano”… Alcuni piangono semplicemente perché ha pianto l’altro… Gesù ha fatto lo stesso, sapete? A me piace pensare che la prima predica di Gesù nella stalla è stato un pianto, la prima... E poi, siccome la cerimonia è un po’ lunga, qualcuno piange per la fame. Se è così, voi mamme allattateli pure, senza paura, con tutta normalità. Come la Madonna allattava Gesù…
Non dimenticate: avete chiesto la fede, a voi il compito di custodire la fede, farla crescere, che sia testimonianza per tutti noi, per tutti noi: anche per noi preti, sacerdoti, vescovi, tutti. Grazie.
[00029-IT.01]
[B0013-XX.02]
fonte: Sala Stampa della Santa Sede
Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 08.01.2017
Conclusa la Santa Messa con l’amministrazione del Battesimo ad un gruppo di bambini nella Cappella Sistina, alle ore 12 il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:
Prima dell’Angelus
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi, festa del Battesimo di Gesù, il Vangelo (Mt 3,13-17) ci presenta la scena avvenuta presso il fiume Giordano: in mezzo alla folla penitente che avanza verso Giovanni il Battista per ricevere il battesimo c’è anche Gesù. Faceva la coda. Giovanni vorrebbe impedirglielo dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te» (Mt 3,14). Il Battista infatti è consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù. Ma Gesù è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se Egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso. Per questo chiede a Giovanni di battezzarlo, perché si adempia ogni giustizia (cfr v. 15), cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli. Perché Dio è tanto vicino a noi, tanto!
Nel momento in cui Gesù, battezzato da Giovanni, esce dalle acque del fiume Giordano, la voce di Dio Padre si fa sentire dall’alto: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (v. 17). E nello stesso tempo lo Spirito Santo, in forma di colomba, si posa su Gesù, che dà pubblicamente avvio alla sua missione di salvezza; missione caratterizzata da uno stile, lo stile del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia: «Non griderà, né alzerà il tono, [...] non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3). Servo umile e mite.
Ecco lo stile di Gesù, e anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione. La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo. Ma come? Come si fa questa attrazione a Cristo? Con la propria testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. Ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore.
Questa festa ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori – tutti lo siamo – di peccatori salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere.
La Vergine Maria aiuti tutti noi cristiani a conservare una coscienza sempre viva e riconoscente del nostro Battesimo e a percorrere con fedeltà il cammino inaugurato da questo Sacramento della nostra rinascita. E sempre umiltà, mitezza e fermezza.
[00030-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Dopo l’Angelus
Cari fratelli e sorelle!
nel contesto della festa del Battesimo del Signore, stamattina ho battezzato un bel gruppo di neonati: ventotto. Preghiamo per loro e per le loro famiglie. Anche ieri pomeriggio ho battezzato un giovane catecumeno. E vorrei estendere la mia preghiera a tutti i genitori che in questo periodo si stanno preparando al Battesimo di un loro figlio, o lo hanno appena celebrato. Invoco lo Spirito Santo su di loro e sui bambini, perché questo Sacramento, così semplice e nello stesso tempo così importante, sia vissuto con fede e con gioia.
Vorrei inoltre invitare ad unirsi alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, che diffonde, anche attraverso le reti sociali, le intenzioni di preghiera che propongo ogni mese a tutta la Chiesa. Così si porta avanti l’apostolato della preghiera e si fa crescere la comunione.
In questi giorni di tanto freddo penso e vi invito a pensare a tutte le persone che vivono per la strada, colpite dal freddo e tante volte dall’indifferenza. Purtroppo, alcuni non ce l’hanno fatta. Preghiamo per loro e chiediamo al Signore di scaldarci il cuore per poterli aiutare.
Saluto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini italiani e di vari Paesi, in particolare il gruppo di giovani di Cagliari, che incoraggio a proseguire il cammino iniziato con il Sacramento della Confermazione. E li ringrazio perché mi offrono l’occasione di sottolineare che la Confermazione o Cresima non è solo un punto di arrivo – come alcuni dicono, il “sacramento dell’addio”, no, no! – è soprattutto un punto di partenza nella vita cristiana. Avanti, con la gioia del Vangelo!
Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
[00031-IT.02] [Testo originale: Italiano]
[B0014-XX.02]
fonte: Sala Stampa della Santa Sede