Se i moderatori ritengono inopportuno un 3d specifico per
gli interventi pubblici del nuovo presidente della Cei, lo accorpino
pure agli altri.
L’INTERVISTA/Il presidente della Cei traccia le linee del programma: il relativismo minaccia l’uomo, ma rinasce il senso religioso
Il Messaggero, 10 marzo 2007
Bagnasco: niente ingerenze, difendiamo i valori
«Con l’Islam dialogo nell’identità». Il Papa: messaggi distruttivi da web e tv
di CARLO FUSI
ROMA Quando Benedetto XVI fu eletto, la prima cosa che disse fu che «i signori cardinali» avevano scelto di fare Papa «un umile lavoratore della vigna del Signore». Angelo Bagnasco, 64 anni, neo successore di Camillo Ruini alla presidenza della Cei, la prima cosa di sè che dice è: «Mi sento un servitore dei miei confratelli vescovi. Lo spirito con cui mi accingo a svolgere il mio incarico è di favorire in tutti i modi la comunione e l’operato comunitario dei vescovi italiani».
Monsignore, quando il cardinal Ruini ha lasciato ed è arrivato lei, in tanti hanno tirato un sospiro di sollievo sicuri che nulla sarebbe cambiato. Tanti altri invece hanno storto la bocca, e per lo stesso motivo. Ecco: se dovesse indicare le linee guida del suo mandato, su cosa punterebbe?
«In nessun campo la storia comincia con noi. Grazie a Dio, ognuno di noi quando assume una responsabilità si inserisce sempre in un solco. Che viene portato avanti nei valori, nella ricchezza, nella bellezza di ciò che è stato fatto prima di noi».
Ma nel guidare la Cei lei ci metterà pur qualcosa di suo...
«Ci metterò qualcosa di mio strada facendo: del carattere, della storia, della sensibilità personale. Senza dimenticare un altro elemento, che poi è il primo: la parola del Papa. Le sue direttive sono illuminanti e rappresentano il criterio da seguire innanzi tutto e prima di tutto».
Monsignore, il nemico principale della Chiesa è il relativismo?
«Non solo della Chiesa, ma dell’uomo. Perchè all’interno di una posizione relativistica intesa come sistema, la persona si perde, e non è in grado di costruire una società veramente umana. Pensi al partito dei pedofili in Olanda, oppure al fratello e sorella che hanno figli e vogliono continuare a farli. All’interno di una cultura relativistica non si può far altro che dire: perché no? Al contrario, serve un criterio oggettivo per affermare: questo no, questo non va bene».
Anche i Dico fanno parte del sistema relativistico? Lei ha sostenuto che ci sono valori non valicabili. Ma questo ”non possumus” fino a dove arriva?
«La Chiesa serve l’uomo in nome del Signore e dunque tutte le volte che interviene su alcuni valori fondamentali svolge un servizio verso la persona umana e la società nel suo insieme».
Vede monsignore, alcuni settori laici hanno un nome per questo: ingerenza.
«Nient’affatto. Non abbiamo alcuna volontà di ingerenza, di interesse o di egemonia. Parliamo del valore della persona umana in quanto tale e su questo terreno la Chiesa ha molto da dire. Quando è in gioco il concetto di vita, la sua difesa dalla nascita alla morte; il concetto di famiglia fondata sul matrimonio; la libertà educativa; la giustizia; la pace: sono cose che toccano la persona, non sono accessori. E perciò non sono, dal nostro punto di vista, opinabili proprio perchè è il gioco la dignità, il valore della persona che è il fondamento della società».
Il cardinal Ruini ha annunciato sui temi etici, Dico compresi, una nota vincolante per i cattolici, parlamentari compresi. Se votano sì si pongono fuori dalla Chiesa?
«Il cardinal Ruini ha annunciato una parola ponderata, meditata. Ne parleremo nelle sedi opportune, alla luce sempre del magistero del Santo Padre. Certamente, e insisto, su alcuni valori fondamentali la Chiesa ha il dovere di ricordare la verità in difesa dell’uomo. Senza altra mira. Vede, se volesse rincorre il consenso, alla Chiesa basterebbe dire dei grandi sì. Ma qui il punto è un altro: se si toccano alcuni nuclei portanti cade la persona, il suo bene integrale e la società nel suo insieme».
Oggi è in programma a Roma una manifestazione a favore delle coppie di fatto. E altre si preparano in contrapposizione a quella. Siamo alla vigilia di uno scontro tra laici e cattolici in Italia?
«La Chiesa non vuole nessuno scontro, non l’ha mai ricercato. Ma su alcuni punti non può venir meno: tradirebbe l’uomo».
Scusi la brutalità, monsignore, ma il punto è che in tanti giudicano l’intransigenza sui Dico votata ad un unico obiettivo: impedire i matrimoni omosessuali. E’ così?
«La famiglia - lo ricorda anche la Costituzione italiana - è fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Questo è un valore che attraversa i millenni e le culture in tutte le parti del mondo. Tanto più per noi cristiani e cattolici è un valore fermissimo, ma che non è avulso dal contesto e l’esperienza universale». Lei ha detto: «I cattolici non possono solo affermare che ci sono. Devono dimostrare la forza della loro identità».
Un richiamo all’integralismo?
«Tutt’altro. La fede deve essere testimoniata nell’annuncio del Vangelo a tutti. Deve avere anche una valenza di tipo culturale, nel senso che la fede deve essere pensata. Pensata nelle sue ragioni e nelle sue conseguenze, che hanno una valenza anche sociale ed antropologica».
Ancora. «Noi cattolici fatichiamo a definire la nostra identità». Perché la fede per molti non è più un richiamo adeguato?
«Laddove impera il consumismo e l’individualismo certamente la voce dello spirito tende ad affievolirsi, anche se non a spegnersi perché il senso di Dio è connaturato all’uomo. La prima sfida per la fede sta qui. Anche se, per certi versi, questo è anche un momento favorevole come ha ricordato il Papa a Verona. Favorevole perchè il senso religioso sta rinascendo. Secondo alcune ideologie degli anni ’70 e ’80 sembrava che la religione fosse morta. Al contrario, nonostante il secolarismo diffuso - e forse proprio a causa di esso - assistiamo ad una reazione. Ricordiamo Sant’Agostino: ad un certo punto l’uomo si accorge che certe vie sono senza sbocco, sono vie cieche. E allora si rende conto che esiste una dimensione che è dentro di noi e che dobbiamo recuperare. Il senso religioso è oggi in una fase di risveglio. Un po’ in tutto l’Occidente si sta recuperando la valenza della religione nella dimensione pubblica».
E lei dove avverte questi segnali?
«Nel contatto con la gente. I sacerdoti colgono nel profondo delle coscienze il bisogno di Dio, di valori spirituali e morali. Per questo è fondamentale il rapporto diretto con le persone che i sacerdoti hanno e devono avere. La Chiesa italiana da questo punto di vista è un esempio particolarissimo. Basta pensare alle 26 mila parrocchie seminate nel Paese, alla capillarità della presenza ecclesiale. Non c’è confronto con altri Paesi. E la vita della Chiesa è stare accanto alla gente».
Lei è stato Ordinario militare. Come giudica il ruolo dell’Italia in Afghanistan e in Libano?
«Non entro nel merito. Posso solo testimoniare che nelle missioni estere che ho visitato ho potuto ovunque constatare la grande umanità dei militari italiani. Svolgono il loro servizio d’ordine e di sicurezza. In più, però, si adoperano con un approccio dal punto di vista umano, tanto che le popolazioni locali hanno sempre avuto nei loro confronti atteggiamenti di simpatia».
Nei rapporti con l’Islam basta il dialogo o serve qualche altra cosa?
«Il dialogo è certamente la via maestra. Ma - e questo lo dico a prescindere dall’Islam - perchè il dialogo possa esistere, possa essere costruttivo e non limitarsi ad un ascolto passivo, è necessario si fondi su una identità personale. Presuppone la riscoperta e la chiarificazione di ciò siamo, di ciò che abbiamo da dire. Perchè se non abbiamo niente da dire che dialogo è?».