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Discussione: CEI: attività, documenti e interventi della Presidenza e dei vari organismi

  1. #1
    Gilbert
    visitatore

    Arrow CEI: attività, documenti e interventi della Presidenza e dei vari organismi

    Se i moderatori ritengono inopportuno un 3d specifico per
    gli interventi pubblici del nuovo presidente della Cei, lo accorpino
    pure agli altri.


    L’INTERVISTA/Il presidente della Cei traccia le linee del programma: il relativismo minaccia l’uomo, ma rinasce il senso religioso

    Il Messaggero, 10 marzo 2007

    Bagnasco: niente ingerenze, difendiamo i valori

    «Con l’Islam dialogo nell’identità». Il Papa: messaggi distruttivi da web e tv

    di CARLO FUSI

    ROMA Quando Benedetto XVI fu eletto, la prima cosa che disse fu che «i signori cardinali» avevano scelto di fare Papa «un umile lavoratore della vigna del Signore». Angelo Bagnasco, 64 anni, neo successore di Camillo Ruini alla presidenza della Cei, la prima cosa di sè che dice è: «Mi sento un servitore dei miei confratelli vescovi. Lo spirito con cui mi accingo a svolgere il mio incarico è di favorire in tutti i modi la comunione e l’operato comunitario dei vescovi italiani».

    Monsignore, quando il cardinal Ruini ha lasciato ed è arrivato lei, in tanti hanno tirato un sospiro di sollievo sicuri che nulla sarebbe cambiato. Tanti altri invece hanno storto la bocca, e per lo stesso motivo. Ecco: se dovesse indicare le linee guida del suo mandato, su cosa punterebbe?

    «In nessun campo la storia comincia con noi. Grazie a Dio, ognuno di noi quando assume una responsabilità si inserisce sempre in un solco. Che viene portato avanti nei valori, nella ricchezza, nella bellezza di ciò che è stato fatto prima di noi».
    Ma nel guidare la Cei lei ci metterà pur qualcosa di suo...
    «Ci metterò qualcosa di mio strada facendo: del carattere, della storia, della sensibilità personale. Senza dimenticare un altro elemento, che poi è il primo: la parola del Papa. Le sue direttive sono illuminanti e rappresentano il criterio da seguire innanzi tutto e prima di tutto».

    Monsignore, il nemico principale della Chiesa è il relativismo?

    «Non solo della Chiesa, ma dell’uomo. Perchè all’interno di una posizione relativistica intesa come sistema, la persona si perde, e non è in grado di costruire una società veramente umana. Pensi al partito dei pedofili in Olanda, oppure al fratello e sorella che hanno figli e vogliono continuare a farli. All’interno di una cultura relativistica non si può far altro che dire: perché no? Al contrario, serve un criterio oggettivo per affermare: questo no, questo non va bene».

    Anche i Dico fanno parte del sistema relativistico? Lei ha sostenuto che ci sono valori non valicabili. Ma questo ”non possumus” fino a dove arriva?

    «La Chiesa serve l’uomo in nome del Signore e dunque tutte le volte che interviene su alcuni valori fondamentali svolge un servizio verso la persona umana e la società nel suo insieme».

    Vede monsignore, alcuni settori laici hanno un nome per questo: ingerenza.

    «Nient’affatto. Non abbiamo alcuna volontà di ingerenza, di interesse o di egemonia. Parliamo del valore della persona umana in quanto tale e su questo terreno la Chiesa ha molto da dire. Quando è in gioco il concetto di vita, la sua difesa dalla nascita alla morte; il concetto di famiglia fondata sul matrimonio; la libertà educativa; la giustizia; la pace: sono cose che toccano la persona, non sono accessori. E perciò non sono, dal nostro punto di vista, opinabili proprio perchè è il gioco la dignità, il valore della persona che è il fondamento della società».

    Il cardinal Ruini ha annunciato sui temi etici, Dico compresi, una nota vincolante per i cattolici, parlamentari compresi. Se votano sì si pongono fuori dalla Chiesa?

    «Il cardinal Ruini ha annunciato una parola ponderata, meditata. Ne parleremo nelle sedi opportune, alla luce sempre del magistero del Santo Padre. Certamente, e insisto, su alcuni valori fondamentali la Chiesa ha il dovere di ricordare la verità in difesa dell’uomo. Senza altra mira. Vede, se volesse rincorre il consenso, alla Chiesa basterebbe dire dei grandi sì. Ma qui il punto è un altro: se si toccano alcuni nuclei portanti cade la persona, il suo bene integrale e la società nel suo insieme».

    Oggi è in programma a Roma una manifestazione a favore delle coppie di fatto. E altre si preparano in contrapposizione a quella. Siamo alla vigilia di uno scontro tra laici e cattolici in Italia?

    «La Chiesa non vuole nessuno scontro, non l’ha mai ricercato. Ma su alcuni punti non può venir meno: tradirebbe l’uomo».

    Scusi la brutalità, monsignore, ma il punto è che in tanti giudicano l’intransigenza sui Dico votata ad un unico obiettivo: impedire i matrimoni omosessuali. E’ così?

    «La famiglia - lo ricorda anche la Costituzione italiana - è fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Questo è un valore che attraversa i millenni e le culture in tutte le parti del mondo. Tanto più per noi cristiani e cattolici è un valore fermissimo, ma che non è avulso dal contesto e l’esperienza universale». Lei ha detto: «I cattolici non possono solo affermare che ci sono. Devono dimostrare la forza della loro identità».

    Un richiamo all’integralismo?

    «Tutt’altro. La fede deve essere testimoniata nell’annuncio del Vangelo a tutti. Deve avere anche una valenza di tipo culturale, nel senso che la fede deve essere pensata. Pensata nelle sue ragioni e nelle sue conseguenze, che hanno una valenza anche sociale ed antropologica».

    Ancora. «Noi cattolici fatichiamo a definire la nostra identità». Perché la fede per molti non è più un richiamo adeguato?

    «Laddove impera il consumismo e l’individualismo certamente la voce dello spirito tende ad affievolirsi, anche se non a spegnersi perché il senso di Dio è connaturato all’uomo. La prima sfida per la fede sta qui. Anche se, per certi versi, questo è anche un momento favorevole come ha ricordato il Papa a Verona. Favorevole perchè il senso religioso sta rinascendo. Secondo alcune ideologie degli anni ’70 e ’80 sembrava che la religione fosse morta. Al contrario, nonostante il secolarismo diffuso - e forse proprio a causa di esso - assistiamo ad una reazione. Ricordiamo Sant’Agostino: ad un certo punto l’uomo si accorge che certe vie sono senza sbocco, sono vie cieche. E allora si rende conto che esiste una dimensione che è dentro di noi e che dobbiamo recuperare. Il senso religioso è oggi in una fase di risveglio. Un po’ in tutto l’Occidente si sta recuperando la valenza della religione nella dimensione pubblica».

    E lei dove avverte questi segnali?

    «Nel contatto con la gente. I sacerdoti colgono nel profondo delle coscienze il bisogno di Dio, di valori spirituali e morali. Per questo è fondamentale il rapporto diretto con le persone che i sacerdoti hanno e devono avere. La Chiesa italiana da questo punto di vista è un esempio particolarissimo. Basta pensare alle 26 mila parrocchie seminate nel Paese, alla capillarità della presenza ecclesiale. Non c’è confronto con altri Paesi. E la vita della Chiesa è stare accanto alla gente».

    Lei è stato Ordinario militare. Come giudica il ruolo dell’Italia in Afghanistan e in Libano?

    «Non entro nel merito. Posso solo testimoniare che nelle missioni estere che ho visitato ho potuto ovunque constatare la grande umanità dei militari italiani. Svolgono il loro servizio d’ordine e di sicurezza. In più, però, si adoperano con un approccio dal punto di vista umano, tanto che le popolazioni locali hanno sempre avuto nei loro confronti atteggiamenti di simpatia».

    Nei rapporti con l’Islam basta il dialogo o serve qualche altra cosa?

    «Il dialogo è certamente la via maestra. Ma - e questo lo dico a prescindere dall’Islam - perchè il dialogo possa esistere, possa essere costruttivo e non limitarsi ad un ascolto passivo, è necessario si fondi su una identità personale. Presuppone la riscoperta e la chiarificazione di ciò siamo, di ciò che abbiamo da dire. Perchè se non abbiamo niente da dire che dialogo è?».
    Ultima modifica di Gilbert; 10-03-2007 alle 14:58

  2. #2
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    Secondo me potremmo usare questo thread non solo per i discorsi e gli interventi di Mons. Bagnasco, ma anche per documenti e interventi vari della CEI (anche quelli a firma del Segretario Mons. Betori o pubblicati dalle varie Commissioni Episcopali della Conferenza Episcopale).

  3. #3
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    Mons. Bagnasco: ‘’I rapporti fra Chiesa e società sono dinamici e devono essere appunto dinamici’‘

    di Alessandro Renzo/ 11/03/2007

    Il programma religioso di Rai Uno "A Sua Immagine" ha trasmesso un’intervista esclusiva a mons. Angelo Bagnasco, nuovo presidente della Cei. Tra i temi trattati, i rapporti tra Chiesa e politica, fede e cultura, cattolici e società.


    Andrea Sarubbi ha intervistato in esclusiva mons. Angelo Bagnasco, nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana succeduto al card. Camillo Ruini. Tra i temi trattati, i rapporti tra Chiesa e politica, fede e cultura, cattolici e società. Nell’ultima risposta, a proposito dei rapporti fra Chiesa e società, mons. Bagnasco ha detto che "sono dinamici e devono essere appunto dinamici. L’importante è - ha sottolineato il nuovo presidente della Cei - che tutto questo dinamismo si svolga all’interno di un reciproco riconoscimento, di un reciproco rispetto, senza pregiudizi da nessuna parte e senza caccia alle streghe, in modo che ognuno possa veramente offrire a tutti, nell’assoluta benevolenza e, nel contempo, nell’assoluta chiarezza, con serenità, la ricchezza del proprio cuore e della propria intelligenza, del proprio vissuto".

    Di seguito il testo dell’intervista trasmessa - in forma ridotta - nella seconda parte della puntata di A Sua Immagine di domenica 11 marzo 2007, alle 10.30 su Rai Uno. Lunedì riporteremo il testo integrale dell’intervista.

    Mons. Bagnasco ora è al vertice della Chiesa italiana, però per tanti anni è stato viceparroco a Genova … che cosa si porta e che cosa le ha insegnato quell’esperienza nella base della Chiesa?
    Mons. Angelo Bagnasco: "Sì, sono stato 15 anni viceparroco in una grande parrocchia di città a Genova e poi per altri 15 anni aiuto pastorale, sempre nella medesima parrocchia. Ho ricevuto e mi porto dietro una splendida esperienza di pastorale diretta accanto alla gente della nostra parrocchia e in modo particolare al mondo giovanile, di cui mi dovevo occupare in modo specifico. Quindi questa sensibilità alla gente ai suoi problemi spiccioli, concreti, quotidiani, che è tipica del mondo della parrocchia, è qualcosa che mi trovo dentro come un grande tesoro, un punto di riferimento anche per il mio ministero di Vescovo che poi la Provvidenza mi ha assegnato".

    In molti la ricordano come Ordinario militare, anche perché il suo ministero lo ha svolto in anni delicati… questo che cosa le ha insegnato?
    Mons. Angelo Bagnasco: "Sì, sono stati 3 anni molto intensi, brevi, ma molto intensi, come purtroppo è noto a tutti, con vicende anche molto tristi e luttuose. Tre anni, però, che mi hanno messo a contatto con un mondo – quello, appunto, dei militari – che assolutamente non conoscevo e che ho scoperto nella sua grande ricchezza di bontà, di capacità di sacrificio, di dedizione. Questo avviene sia in Italia che all’estero, nelle missioni di pace dove sono stato molte volte, anche nei luoghi più martoriati – dall’Iraq ai Balcani all’Afghanistan – e dove sempre ho toccato con mano questa grande disponibilità e bontà dei nostri militari all’estero e la simpatia, la benevolenza che la gente semplice di queste popolazioni martoriate ha verso i nostri militari".

    Vescovo prima a Pesaro, poi a Genova. Questo che cosa le ha dato?
    Mons. Angelo Bagnasco: "L’esperienza di Pesaro, dove sono stato quasi sei anni, è stata quella in cui ho mosso i primi passi del mio servizio di Vescovo. Ho scoperto la dimensione del piccolo, con i vantaggi dei rapporti immediati dove ci si conosce tutti: sacerdoti, fedeli, vescovo, Istituzioni, e quindi ho conosciuto bene le vicende delle persone delle parrocchie una per una. Genova è un'altra dimensione, naturalmente, essendo una diocesi molto più grande; consente degli stimoli più pressanti, ma anche una mole di problemi decisamente maggiore, ma questo fa parte di un arricchimento sempre vicendevole tra il vescovo da una parte e la sua popolazione, il suo popolo, dall’altra, in un interscambio dove sia il popolo di Dio sia il pastore di quella diocesi si comunicano e si educano vicendevolmente".

    Ora è arrivata questa nomina. Lei ha detto – o almeno, i giornali hanno così riportato – "al papa non si può dire di no!". Come l’ha accolta?
    Mons. Angelo Bagnasco: "Con un grande atto di fiducia e di pronta obbedienza ho detto di sì al papa, alla sua esplicita e personale richiesta, anche con grande gratitudine per la fiducia che Egli ha espresso con questa scelta nella mia persona – nella mia modesta persona – e che ho accolto con fiducia, ripeto, nella Provvidenza, con gratitudine verso il Santo Padre, e anche con la certezza della collaborazione e della fraternità che c’è tra noi sacerdoti, tra noi vescovi, e che già molti dei miei confratelli mi hanno immediatamente espresso e confermato".

    Per 16 anni l’ha preceduta alla guida della Conferenza episcopale italiana il cardinale Ruini. Secondo lei, quale traccia ha lasciato non solo nella Chiesa italiana, ma nel nostro Paese?
    Mons. Angelo Bagnasco: "Innanzitutto, desidero ringraziare a nome mio e a nome di tutto l’episcopato il card. Camillo Ruini per il lungo servizio di presidenza in Italia. Lungo, ma soprattutto efficace. È noto come le rare doti di intelligenza, di cuore, di lettura puntuale della realtà, della situazione storica e culturale, siano doti singolari proprio del cardinale Ruini. Doti che tutti gli riconoscono e che tutti apprezzano. Questa capacità di anticipare di interpretare e di leggere i segni dei tempi, i grandi movimenti culturali del nostro tempo, è stata una grande caratteristica e prerogativa del cardinale, che ha aiutato l’intero corpo ecclesiale italiano a crescere nel senso di una consapevolezza maggiore della propria identità di fede, della necessità dell’evangelizzazione. Per cui, essere cristiani e cattolici anche in Italia non è così scontato, nonostante l’80 per cento si dichiari appartenente alla fede e alla Chiesa cattolica, o comunque alla cultura cattolica, e questa crescita nella consapevolezza della fede e dell’impegno dell’evangelizzazione è certamente un frutto di questi decenni guidati dal card. Ruini".

    Negli ultimi anni si è parlato di un avvicinamento tra la Chiesa italiana e la politica. Anche lei la vede così?
    Mons. Angelo Bagnasco: "La Chiesa in Italia si pone e si è posta gradualmente in maniera sempre più propositiva anche rispetto alla società italiana. In tutte le sue valenze, in tutte le sue componenti, quindi anche quella che si definisce più strettamente in senso politico, ma non restringerei questo dialogo in modo cosi univoco. Preferirei parlare di una Chiesa in Italia che, a seguito di molte circostanze, è cresciuta come interlocutore propositivo nell’ambito e nel contesto culturale sociale italiano a tutti i livelli".

    A proposito dei rapporti fra Chiesa e società: secondo lei, in questo momento in Italia sono buoni? È un momento facile o difficile? Un momento teso o invece un momento propizio a dei cambiamenti in meglio?
    Mons. Angelo Bagnasco: "Sono rapporti dinamici e devono essere appunto dinamici. L’importante è che tutto questo dinamismo si svolga all’interno di un reciproco riconoscimento, di un reciproco rispetto, senza pregiudizi da nessuna parte e senza caccia alle streghe, in modo che ognuno possa veramente offrire a tutti, nell’assoluta benevolenza e, nel contempo, nell’assoluta chiarezza, con serenità, la ricchezza del proprio cuore e della propria intelligenza, del proprio vissuto. Offrirlo a tutti serenamente, e senza aggredire o essere aggrediti. Soltanto in questo contesto direi che l’incontro tra il Vangelo e la storia, tra la Chiesa la società, possa diventare un motivo di costruzione e di arricchimento per tutti".


    fonte: korazym.org

  4. #4
    Gilbert
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    Citazione Originariamente Scritto da Vox Populi Visualizza Messaggio
    Secondo me potremmo usare questo thread non solo per i discorsi e gli interventi di Mons. Bagnasco, ma anche per documenti e interventi vari della CEI (anche quelli a firma del Segretario Mons. Betori o pubblicati dalle varie Commissioni Episcopali della Conferenza Episcopale).
    Ottima idea

  5. #5
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    I CATTOLICI E IL PAESE
    Bagnasco: con tanta serenità e chiarezza

    Il nuovo presidente della Cei: «Al servizio della collegialità, per il discernimento comune»

    Dal Nostro Inviato A Genova
    Francesco Ognibene


    Non è difficile immaginare che l'agenda dell'arcivescovo di una diocesi metropolitana come Genova trabocchi di appuntamenti. Tanto più se appartiene a un pastore che non si risparmia come monsignor Angelo Bagnasco: le visite pastorali e la Messa nelle acciaierie, il ritiro per i docenti universitari e un incontro all'ospedale pediatrico Gaslini, feste patronali, la via crucis cittadina, e poi intere mattinate di udienze in Curia. E da mercoledì 7 la presidenza della Cei, non certo un impegno lieve.
    Al termine di una sequenza di incontri nel suo studio, come tirando il fiato, risponde per un'ora e mezza alle nostre domande, col tono pacato, netto e la sobrietà dei gesti che gli sono caratteristiche, senza esitazioni ma come prendendo le misure di ogni concetto per trovargli il nome esatto. Tra tanti temi aperti, viene spontaneo iniziare proprio da quell'agenda.

    Monsignor Bagnasco, oltre a Genova ora anche la guida della Cei. Come farà?
    Quando l'ho incontrato nella visita ad limina dei vescovi liguri, il Papa mi ha chiesto del mio ministero a Genova. «Santità - gli ho risposto - faccio la bella esperienza della manna quotidiana». E lui ha replicato con un sorriso d'intesa. La manna è l'affidarsi a Dio giorno per giorno con tutta la fiducia di cui si è capaci, sapendo che Lui è fedele: dà l'aiuto per un passo alla volta, non di più. Perché a ogni nuova giornata vuole che rinnoviamo la coscienza di non poter fare nulla senza di Lui. Questo è per me un criterio ormai abituale.

    In questi giorni lei ha "fatto notizia": come si è sentito accolto dall'opinione pubblica?
    Nella sostanza molto bene, e devo dire che la cosa mi ha anche sorpreso. Posso immaginare che non sarà sempre così, ma fa parte del servizio che mi è stato affidato. Ha pesato nei giudizi certo anche la successione a una personalità così capace e autorevole come il cardinale Ruini, che ha segnato la Chiesa in Italia per vent'anni. Raccogliere il testimone da una figura sim ile è una responsabilità grandissima, davanti alla quale mi sento umanamente inadeguato. È Dio però che conduce la Chiesa, ogni uomo porta ciò che ha e che è. Per questo mi sento sereno e fiducioso. Come dissi mesi fa entrando a Genova, desidero essere me stesso, senza impegnarmi a "copiare" i miei predecessori.

    Il giorno dopo la nomina lei ha fatto per la prima volta il suo ingresso nella sede della Cei a Roma come presidente. Che cos'ha pensato?
    Ho notato anzitutto la grande simpatia con la quale sono stato accolto da tutti. Penso al segretario generale monsignor Betori, al quale mi legano un'amicizia e una stima consolidate. Betori costituisce per me uno straordinario punto di forza. Poi ho incontrato i direttori e collaboratori, sentendo tra tutti un grande calore, espresso con semplicità e senza l'ombra di un pregiudizio. E in un istante ho compreso il loro amore per la Chiesa.

    Quali pensieri la stanno accompagnando in questi giorni?
    La notizia della nomina me l'ha data lo stesso Santo Padre. La mia prima reazione è stata di grande sorpresa e insieme di gratitudine, mi sentivo come confuso davanti al compito che mi veniva prospettato. Ho però avvertito con forza tutta la sua fiducia. Ho coscienza della grande responsabilità verso i miei confratelli: devo servire la comunione e la fraternità episcopale. Vedo la gravosità del compito anche nell'importanza di questo momento storico, con i tanti e delicati appuntamenti che attendono sia la Chiesa sia l'Italia.

    Qual è il volto della Chiesa italiana oggi?
    È una Chiesa sempre più consapevole della propria fede, della necessità di annunciare il Vangelo e di essere presente come lievito nella storia del nostro Paese, rispettosa ma incisiva, per il suo bene, com'è dovere di ogni singolo cristiano. La dimensione pubblica della fede cristiana, in termini di servizio e di chiarezza, è coessenziale sia alla sua natura ecclesiale sia al suo rilievo nella vita di ciascuno. È in questo se nso che la Chiesa italiana sta molto crescendo. Certo, questa fede va ancora molto consolidata per renderla più pensata, più fondata sulle sue ragioni profonde. Ma la Chiesa italiana sa che è suo compito proporre oggi quella stessa fede a tutti, propagando ancora la gioia che essa reca con sé.

    È prematura qualsiasi considerazione programmatica. Può però abbozzare un'idea che ritiene più necessaria ora?
    La storia non nasce con noi, per fortuna. Sono consapevole di dover raccogliere come meglio posso la ricchezza di chi mi ha preceduto, con alcuni criteri. Anzitutto penso alla fisionomia intrinseca della Cei, che è una struttura di comunione, di fraternità episcopale e di servizio ai vescovi nelle loro diocesi. Qui ci sono criteri da confermare con molta determinazione, in collaborazione con tutti i vescovi, per servire le Chiese locali. La Cei è un luogo di elaborazione comunitaria delle grandi linee pastorali, secondo la prassi ormai consolidata e fruttuosa degli orientamenti decennali. Naturalmente queste coordinate pastorali sono poi assunte dai singoli vescovi nelle rispettive diocesi, con una responsabilità che è loro propria e non delegabile. La Cei non si sovrappone ai vescovi, è al loro servizio. Infine, fa parte della tradizione della Conferenza episcopale essere luogo per il discernimento della storia.

    Che parola dice oggi la Chiesa italiana alla società?
    Entro alla Cei in un momento, come questo che segue il Convegno ecclesiale nazionale di Verona dell'ottobre scorso, nel quale a guidarci è il mandato della speranza cristiana. Ci sono poi le urgenze che la storia di oggi propone alla Chiesa italiana e che ben conosciamo, con la doverosa promozione e difesa dei valori della vita, della famiglia, della libertà educativa, della giustizia e della pace. È in tutto questo che occorre riportare la speranza cristiana.

    Lei raccoglie il testimone dal cardinale Ruini. Quali elementi della sua eredità vuole fare suoi?
    Due su tutti. Anzitutto il suo approccio a qualunque tipo di problema, che è sempre stato sostanzialmente pastorale. C'è poi la grande intuizione del Progetto culturale che al cuore ha la questione antropologica. Ruini c'è arrivato prima di tutti, nel '94: già allora aveva capito che la cultura italiana sarebbe andata a misurarsi sull'identità della persona umana. Tutte le questioni eticamente sensibili hanno alla loro radice la visione dell'uomo.

    Quale sarà il suo stile nella conduzione della Cei?
    Tra le molte cose lette in questi giorni, c'è una parola nella quale mi riconosco: "serenità". Mai lo scontro, ma fermezza sui princìpi. Il Papa ci dà l'esempio: garbato nel linguaggio, ma senza cedere su quello che conta. È lo stile di chi vuole rendere il servizio della chiarezza.

    C'è un legame speciale tra la Chiesa italiana e il Papa. Che valore assume oggi?
    La sua presenza in Roma e il peculiare rapporto con la nostra Conferenza episcopale è una grazia singolare. Il Papa è vescovo di Roma, e guarda all'Italia con un occhio e un cuore tutti particolari. Quindi il nostro riferimento a lui e alla sua parola per noi vescovi italiani è un dono straordinario di cui far tesoro.

    Sempre più in Italia si guarda alla Chiesa come a un punto di riferimento. Come avverte questa attesa?
    La sento nel contatto con la gente semplice, negli incontri, in lettere o e-mail. Anche non credenti ci incoraggiano a non recedere sui valori fondativi della società. La gente che ha buon senso - ed è la grande maggioranza - attende dalla Chiesa quella fermezza che a una parte dei media pare sconveniente, con un clamore su alcuni temi che a chi ha dimestichezza con la realtà pare del tutto sproporzionato.

    Eppure c'è chi legge questo atteggiamento in senso opposto, come una minaccia...
    Va sfatato il pregiudizio delle presunte "mire egemoniche", come se la Chiesa volesse mettersi alla guida del Paese. Proprio perché non ha di mira se stessa è ancora più lib era per parlare del bene della persona e dunque della stessa società. Facendolo ad alta voce sui valori portanti, sempre nel rispetto di tutti, la Chiesa intende rendere un servizio alla verità della persona umana, che è il fondamento dello Stato e il cuore della redenzione. Il suo è un atto d'amore al Paese. Se cercasse la propria gloria asseconderebbe la corrente, non la risalirebbe.

    Anche tra i credenti fa breccia l'idea che non si può impedire ad altri quello che contrasta con i propri valori. Come giudica questo atteggiamento?
    È un criterio sbagliato, sul quale però ho l'impressione che ci sia un po' di ripensamento. Si comincia a comprendere che l'applicazione dell'individualismo alla fine va contro il bene di tutti. Anche nella storia recente la Chiesa ha sempre proclamato e difeso la libertà responsabile dell'individuo, facendo scudo a ideologie totalitarie di qualsiasi matrice. Nel clima di iperliberismo individualista di oggi la Chiesa si trova invece a ricordare che quella libertà non è un assoluto: l'individuo non vive da solo ma è continuamente in relazione. Questo rovesciamento in realtà porta da un'ideologia a un'altra di segno opposto: non più l'individuo come ingranaggio di un meccanismo ma entità autosufficiente, sciolta da ogni legame.

    La Chiesa richiama lo Stato ai suoi doveri, ma non tutti gradiscono...
    Va ricordato con chiarezza che le scelte individuali hanno sempre riscontri di carattere comunitario. Uno Stato deve difendere la libertà individuale insieme al bene comune, che non è la somma di tanti singoli vantaggi ma un organismo armonico retto sui valori capaci di creare il bene di tutti: la famiglia e il rispetto per la vita, la libertà di educare i figli e la libertà religiosa... Uno Stato che sta a guardare, per il quale tutto dipende esclusivamente dalle scelte dell'individuo, non ha in mente una categoria di bene comune.

    Vale anche per la famiglia?
    Certo. Legittimare qualsiasi istanza vuol dire andare contro un'esperienza millenaria, una tradizione universale: nella famiglia formata da uomo e donna e aperta a generare la vita l'umanità da sempre riconosce il luogo imprescindibile per la propria perpetuazione e per l'educazione alla vita stessa. La storia ci consegna questo patrimonio naturale, un dato oggettivo. La comunità sociale riconosce ogni nuova famiglia come soggetto importante, nucleo fondante della sua stessa sussistenza, e la tutela individuando in essa il requisito della stabilità e dell'impegno pubblico. I diritti derivano da questa funzione sociale. È interesse della società tutelare la famiglia, perché così facendo tutela anche se stessa. Ecco perché occorre insistere in tutte le sedi perché siano attivate efficaci politiche per un vero rafforzamento della famiglia come bene prezioso di un Paese.

    Si fa un gran parlare della necessità di "nuovi diritti"...
    Nessuna condanna per le convivenze, è inaccettabile invece creare un nuovo soggetto di diritto pubblico che si veda assegnati diritti e tutele in analogia alla famiglia. La legge ha anche una funzione pedagogica, crea costume e mentalità. I giovani già oggi disorientati si vedono proporre dallo Stato diversi modelli di famiglia e certo non vengono aiutati a diventare cittadini adulti. Molto di ciò che viene chiesto è già oggi garantito dal diritto privato, una via però rifiutata per creare un nuovo soggetto alternativo in nome di una pretesa ideologica.

    Un altro nodo è quello relativo alla fine della vita. Su quale frontiera dovrà attestarsi la Chiesa?
    Una società che codifica l'assoluta libertà di ciascuno su se stesso, ad esempio con l'autodeterminazione senza alcun limite rispetto alla morte, si pone sulla via dell'implosione: l'assoluta libertà sciolta da ogni vincolo è la premessa per qualsiasi forma di violenza, di sopraffazione, di conflitto. È necessario che la cultura di oggi - come le grandi culture del passato - torni a riconoscere il senso del limite. Noi cristiani la chiamiamo «creaturalità della persona», un non credente può trovare il limite nella coscienza di non poter essere padroni assoluti né degli altri né di se stessi. In nome di cosa si potrà dire che non possono essere concessi alcuni "diritti" reclamati da singoli o gruppi ma che la collettività riconosce come aberrazioni? Sciolta da valori oggettivi, che è compito di una società riconoscere, la libertà si rivolta contro se stessa.

    In un Paese lacerato su tutto è ancora possibile trovare un accordo non al ribasso su questi princìpi?
    Quando il Papa insiste sulla necessità di allargare gli spazi della razionalità intende dire che la ragione non va mortificata riducendola a strumento che tutt'al più indaga sul funzionamento delle cose. Sono anche altri gli spazi che la ragione può esplorare, come il senso della vita e del mondo, della gioia e del lavoro, del dolore e della morte. Dove poi la ragione trova un orizzonte decisivo è sul terreno della questione etica, la capacità cioè di riconoscere il bene e il male indagando razionalmente sui valori. Va recuperata la dimensione della natura umana oggettiva, contro la quale si vede all'opera un accanimento culturale da parte di un'ideologia che descrive l'uomo come costruzione culturale variabile. La conseguenza è la sostituzione di qualsiasi valore assoluto con interessi e desideri transitori, sui quali si consuma una divisione senza fine. Il diritto positivo, privato del suo fondamento nel diritto naturale, diventa terreno di affermazione della prepotenza.

    Che cosa direbbe agli uomini che oggi reggono le sorti della nostra vita pubblica?
    I politici che cercano il consenso rincorrendo alcuni aspetti parziali della società si allontanano dalla gente e dalla stessa idea del bene di tutti, oggi centrata sui grandi temi etici. La politica ha come scopo il bene comune, non l'inseguimento dei desideri.

    Monsignor Bagnasco, come immagina la Chiesa italiana dei prossimi anni?
    Una Chiesa ricca di speranza, entusiasta di annunciare Cristo all'uomo affaticato che attende proprio quel messaggio di speranza. La gente chiede ai cristiani e ai loro pastori un incoraggiamento per vivere la vita e affrontare la morte. La Chiesa di domani, impegnata per essere questo segno visibile di speranza, deve sempre più farsi madre e maestra. Oggi più che mai questi due volti sono inseparabili, perché la Chiesa sia davvero speranza per il mondo.


    fonte: Avvenire, 11 marzo 2007

  6. #6
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    a Roma dal 26 al 29 marzo 2007



    Il Consiglio Episcopale Permanente si riunirà a Roma dal 26 al 29 marzo 2007. Si aprirà nel pomeriggio di lunedì 26, alle ore 17.00, con la Prolusione di S.E. Mons. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI. Seguiranno l’approvazione dei verbali precedenti e l’approvazione dell’ordine del giorno della 57ª Assemblea Generale della CEI. I Vescovi membri del Consiglio Permanente forniranno un parere circa la presentazione all’approvazione della 57ª Assemblea Generale del testo della “nota pastorale” dopo il 4° Convegno Ecclesiale nazionale, un parere per la presentazione all’approvazione dell’Assemblea Generale del Repertorio nazionale di canti per la liturgia, una informazione sul progetto di pubblicazione dei lezionari liturgici. I lavori proseguiranno con la riflessione sui cambiamenti in atto nell’ambito dei pellegrinaggi e del turismo religioso e sul ruolo dei santuari, sull’insegnamento della religione cattolica. Nel corso dei lavori si discuterà di una nota pastorale a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e delle unioni di fatto. Dopo la determinazione del contributo da assegnare ai Tribunali ecclesiastici regionali per l’anno in corso, i lavori del Consiglio Permanente si concluderanno con l’approvazione di statuti e regolamenti di associazioni ecclesiali e la loro ammissione nella CNAL.

    fonte: CEI

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    Data pubblicazione: 2007-03-23


    Presidente della CEI: Riconoscere le radici cristiane, ma senza negare una sana laicità

    Intervenendo al Congresso in occasione dei 50 anni dei Trattati di Roma


    ROMA, venerdì, 23 marzo 2007 (ZENIT.org).- Ciò che può veramente unificare l'Europa è la consapevolezza delle proprie radici cristiane, ma senza negare una sana laicità, ha detto questo venerdì monsignor Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI):

    Intervenendo al Congresso europeo della Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea (COMECE) sul tema “Valori e prospettive per l’Europa di domani. I 50 anni dei Trattati di Roma”, il presule ha osservato che “il processo di unificazione (...) sollecita oggi una nuova assunzione di responsabilità e un rinnovato impegno comune”.

    “L’Europa è chiamata a superare l’originaria vocazione economica per aprirsi a una più ampia dimensione anche politica e istituzionale”, ha continuato.

    In questa prospettiva, assumono sicuramente rilievo “i problemi relativi al governo istituzionale dell’allargamento e alla conservazione dello stato sociale, appare egualmente necessaria la ricerca di valori condivisi, sul piano di una unità culturale e spirituale alimentata dal dialogo e del rispetto delle identità”, ha sottolineato il Presidente della CEI.

    “Perché il processo di integrazione avviato sia veramente fecondo occorre che l’Europa riconosca le proprie radici cristiane, dando spazio ai principi etici che costituiscono parte integrante e fondamentale del suo patrimonio spirituale, dal quale la modernità europea stessa attinge i propri valori”, ha continuato.

    La consapevolezza delle proprie radici cristiane non significa, tuttavia, “negare le esigenze di una giusta e sana laicità - da non confondere con il laicismo ideologico - delle istituzioni europee, ma significa affermare prima di tutto un fatto storico che nessuno può seriamente contestare, perché il cristianesimo appartiene in modo radicale e determinante ai fondamenti dell’identità europea”.

    “Significa richiamare l’attenzione e la ragione sul fatto che il rifiuto del riferimento alle radici religiose dell’Europa, lungi dall’essere espressione di tolleranza - perché la vera tolleranza si fonda sulla libertà religiosa e non sul rifiuto delle religioni - è piuttosto espressione di una tendenza che vuole relegare la religione a fatto esclusivamente privato e soggettivo, elevando il relativismo etico a dogmatismo etico”, ha detto.

    Nel processo di sviluppo dell’Unione europea, l'Arcivescovo ha quindi indicato come essenziale la necessità di “applicare con sempre maggiore coerenza il principio di sussidiarietà” e di “riconoscere il contributo peculiare delle Chiese e comunità religiose allo sviluppo della casa comune europea”.

    Il principio di sussidiarietà è entrato a far parte dell'ordinamento giuridico italiano attraverso il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, che lo ha qualificato come principio cardine dell'Unione Europea, tanto da essere richiamato nel Preambolo del Trattato.

    Inoltre viene esplicitamente sancito dall'Articolo 5 di tale Trattato (come modificato a seguito dell'introduzione, il 1° febbraio 2003 del Trattato di Nizza) che richiama la sussidiarietà come principio regolatore dei rapporti tra Unione e Stati membri.

    “In particolare le Chiese, nel condividere l’impegno comune per valori essenziali quali la giustizia, la pace, la libertà, la solidarietà, la tutela dell’ambiente, riaffermano che questi valori non possono realizzarsi in modo autentico prescindendo dalla dimensione trascendente della persona e dal rispetto di norme che sono iscritte nella natura umana”, ha detto monsignor Bagnasco.

    Interesse principale della Chiesa cattolica, ha poi continuato, è “la promozione e la tutela della dignità della persona e della sua centralità etica”, da cui discendono tre corollari:

    1) “La tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, resistendo a forme di aggressione e di minaccia talvolta mascherate sotto l’apparenza di un malinteso progresso scientifico e sociale: si pensi alla clonazione umana, alla manipolazione genetica, all’aborto, all’eutanasia”;

    2) “Il riconoscimento e la promozione della famiglia, come relazione fondamentale e naturale tra un uomo e una donna che si apre ai figli, e la sua difesa dai frequenti tentativi di relativizzarla, rendendola giuridicamente uguale o equivalente ad altre forme di unione”;

    3) “Il fondamentale diritto alla libertà religiosa, nella sua dimensione non solo individuale ma anche propriamente istituzionale”.

    Il presule ha infine richiamato le parole pronunciate il 30 marzo dello scorso anno da Benedetto XVI nel ricevere i partecipanti al Convegno promosso dal Partito Popolare Europeo: “L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa”.

    “Al contrario, tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa”, aveva sottolineato il Papa.

    fonte: ZENIT

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    Conferenza Episcopale Italiana
    CONSIGLIO PERMANENTE
    Roma, 26-29 marzo 2007


    PROLUSIONE
    DEL PRESIDENTE


    Venerati e cari Confratelli!

    1. Muovo oggi, insieme a Voi, i primi passi nel nuovo incarico che il Santo Padre ha voluto inaspettatamente affidarmi: una responsabilità grande che condivido con questo Consiglio Permanente, nel quale faccio oggi – per così dire − il mio secondo ingresso, chiedendo a Voi la benevolenza di accogliermi con la preghiera e l’amicizia. Come ho già avuto modo di dire il 7 marzo, «quando il Papa chiama, si risponde», anche se il carico che viene affidato appare, ad uno sguardo umano, sproporzionato rispetto alle personali risorse. Il di più che manca so di doverlo chiedere al Signore, e di poterlo chiedere anche a voi, per un’opera che è effettivamente comune. Mi sento interpellato, per questo servizio che oggi inizia, ad una fraternità episcopale che non avrà riserve, e sarà totalmente volta a facilitare la comunione tra noi e l’intesa indispensabile al lavoro che attende questo Consiglio. In questo contesto, rinnovo la mia profonda riconoscenza per gli innumerevoli segni di vicinanza e d’augurio che i Confratelli mi hanno inviato, commosso e grato anche a tantissimi sacerdoti e laici che da ogni parte mi hanno espresso fraternità e assicurato preghiera.

    2. Il tempo liturgico che stiamo vivendo mirabilmente ci aiuta a sintonizzarci sulle esigenze di quella perenne conversione che a noi Vescovi è richiesta più e prima ancora che agli altri nostri fratelli. “Con più partecipazione – è l’invito del Pontefice, nel suo messaggio per la Quaresima – volgiamo pertanto il nostro sguardo, in questo tempo di penitenza e di preghiera, a Cristo crocifisso che, morendo sul Calvario, ci ha rivelato pienamente l’amore di Dio”. Qui è l’esperienza fontale della nostra fede, questo è ciò che anzitutto noi vogliamo annunciare ai fratelli.

    3. Il Papa e la CEI. La mia nomina da parte del Santo Padre, se per un verso sollecita il sentimento della mia vivissima, intima gratitudine per il gesto di totale benevolenza che egli ha avuto per me, per l’altro verso non può non segnalare il particolare legame che unisce la nostra Conferenza con il Successore di Pietro, Vescovo di Roma e Primate d’Italia. Lo Statuto della CEI registra in termini giuridici – parlando di “speciale sintonia” (Preambolo, n. 3) − una realtà che è assai profonda, e sentita anche dal nostro popolo: quella appunto di un attaccamento singolare che unisce le nostre Chiese al Papa. La Provvidenza ha disposto che fossimo i testimoni ravvicinati, e dunque in qualche modo privilegiati, della missione pontificale; che avessimo da godere di una premura assidua e di un magistero particolarmente sollecito proprio nei nostri confronti. È questo forse che spiega l’accorrere inesausto della nostra gente alla sede di Pietro, un affetto così esplicito che non mancò a suo tempo di colpire Giovanni Paolo II (cfr. per tutti gli altri, Discorso all’episcopato italiano del 13 maggio 1993) come oggi colpisce Benedetto XVI. Ed egli non manca di annotarlo (cfr. le parole pronunciate durante l’Udienza generale del 1 giugno 2005). Mentre eleviamo a Dio il ringraziamento più fervido per la genuinità che resiste nel nostro popolo, ci sentiamo impegnati a mantenere vivo e a sviluppare sempre di più il senso della fede che, nonostante difficoltà e fatiche, porta a quel Gesù storico che chiamò a sé gli apostoli per inviarli poi a tutte le genti (cfr. Mt 28,19; Mc 16,15-16; Gv 20,21). E chiamò Pietro per farlo pescatore di uomini (cfr. Lc 5,10; Mc 1,16-17).

    Sappiamo peraltro che non c’è dono ricevuto che non obblighi ad un impegno commisurato. Questa caratteristica “petrina”, che sempre connota la fede cattolica e che dà una vivacità speciale alla fede della nostra gente, ci impegna ad una testimonianza missionaria davvero plenaria, a cominciare dalla vita quotidiana delle nostre parrocchie.

    4. Sono in pieno svolgimento le visite ad limina dei Vescovi italiani. Noi stessi e le nostre Conferenze episcopali regionali o siamo già venuti a Roma o stiamo per recarci. Alla conclusione, com’è noto, e proprio in occasione dell’Assemblea generale di maggio, il Santo Padre suggellerà il nostro pellegrinaggio con un discorso che abbraccerà l’insieme delle situazioni da noi Vescovi presentate e ci donerà gli indirizzi attesi. Intanto, possiamo confidarci la consolazione che sono gli incontri personali col Santo Padre, il suo ascolto e la sua premura per ciascun Vescovo e ciascuna Chiesa. La delicatezza che egli offre ai suoi interlocutori è per noi una vera scuola. Le parole che egli pronuncia ai gruppi regionali di Vescovi presenti alle udienze del mercoledì sono un condensato di sapienza che illumina i nostri passi. Il Papa ci è particolarmente vicino, e noi siamo con lui una sola voce e un solo cuore.

    5. La CEI, struttura di servizio. Mi pare importante soffermarmi, anche solo brevemente, sulla Conferenza episcopale italiana quale essa è, “segno autentico e autorevole di comunione delle Chiese particolari che sono in Italia” (Statuto, Preambolo, n. 3). Noi non ci discosteremo da ciò che lo Statuto dice e richiede. Per quanto mi riguarda sono (anch’io, come il cardinale Ruini) intimamente convinto che il Presidente, il Segretario generale e l’organizzazione centrale della CEI operano tanto più utilmente ed efficacemente quanto più si attengono alla definizione che di questi ruoli è stata data nello Statuto stesso, senza mai eccedere o abbondare rispetto a quella “struttura di servizio” che è stata preziosamente delineata. Il tutto nella logica e nello spirito della comunione e nella precisa consapevolezza della responsabilità inalienabile e dell’autorità propria di ciascun Vescovo per la Chiesa che gli è affidata.

    6. Per quanto riguarda l’articolata struttura dei nostri organismi centrali – ai quali esprimo la mia personale gratitudine e stima - oggi possiamo dire che la fase dello sviluppo può ritenersi sostanzialmente compiuta: quella organizzativa, incentrata sulle esigenze eminentemente pastorali oltre che sugli adempimenti previsti dagli Accordi di revisione del Concordato, e l’altra più connessa alla necessità di una presenza pubblica della Chiesa, la quale non può non avere una sua adeguata dimensione nazionale, ruolo che in via principale, anche se certamente non esclusiva, può essere esercitato più efficacemente dal Corpo episcopale. Ebbene, il rispetto rigoroso della funzione dei Vescovi nelle proprie Diocesi, l’esercizio effettivo della responsabilità collegiale nelle scelte che afferiscono al cammino della Conferenza nazionale, la sua articolazione interna e la valorizzazione delle nostre Conferenze episcopali regionali, sono principi e orientamenti che richiedono anche in questa stagione una costante attenzione e una concreta volontà.

    7. Desidero annotare come tra i temi più insistentemente raccomandati dalla Santa Sede alle Conferenze episcopali ci sia quello dei rapporti con l’autorità civile. Non è un caso che il motu proprio di Giovanni Paolo II Apostolos suos (21 maggio 1998), nel rilevare che se “è difficile circoscrivere entro un elenco esauriente” i temi che richiedono la cooperazione attraverso le Conferenze episcopali, non si esime tuttavia dal menzionare una serie precisa di questi temi: “la promozione e la tutela della fede e dei costumi, la traduzione dei libri liturgici, la promozione e la formazione delle vocazioni sacerdotali, la messa a punto dei sussidi per la catechesi, la promozione e la tutela delle università cattoliche e di altre istituzioni educative, l’impegno ecumenico, i rapporti con le autorità civili, la difesa della vita umana, della pace, dei diritti umani, anche perché vengano tutelati dalla legislazione civile, la promozione della giustizia sociale, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale” (n. 15).

    È interessante osservare che, suggerendo anche “di evitare la burocratizzazione degli uffici e delle commissioni” (n. 18), il documento pontificio raccomanda alle Conferenze episcopali non piccole attenzioni pastorali. Tutte indicazioni preziose, che sono criteri per continuare con fiducia e decisione a camminare nel segno della pastoralità, della flessibilità e dell’essenzialità.

    8. In questo contesto desidero doverosamente considerare − insieme a Voi − il lavoro compiuto dai singoli Presidenti che si sono succeduti nell’ancor breve arco di vita della nostra Conferenza: dal cardinale Giuseppe Siri, al cardinale Giovanni Urbani, al cardinale Antonio Poma, al cardinale Anastasio Alberto Ballestrero, al cardinale Ugo Poletti, fino all’ultimo e qui presente cardinale Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma. Se da una parte possiamo scorgere il filo di una consolante continuità che lega dall’interno l’opera di questi benemeriti Pastori, dall’altra non possiamo non rilevare il balzo che, anche per oggettive condizioni storiche, la nostra Conferenza ha compiuto durante la presidenza del cardinale Ruini. A lui va il grazie forte, caloroso e convinto di tutti noi. In particolare, so di dovergli una gratitudine speciale per quanto ha dato a me come ad ogni altro confratello Vescovo durante i sedici anni della sua presidenza, per il l’attenzione che da lui abbiamo sempre ricevuto, insieme alla sollecitudine a darci con intelligenza d’amore al nostro popolo. Impossibile contenere in poche parole il carico di lavoro e di iniziative che la CEI ha sviluppato negli ultimi tre lustri; non ci mancheranno le occasioni in cui dovremo farlo proprio per dare continuità all’opera svolta. Fin d’ora però chiediamo all’amato cardinale Ruini di non farci mancare tutto il suo aiuto e tutto il suo consiglio, e di voler tra l’altro continuare a svolgere − con la competenza che gli è propria − quell’opera di animazione culturale che è stato un capitolo non irrilevante di tutta la sua vita sacerdotale e di cui il “Progetto culturale” della CEI è una espressione profetica quanto mai qualificata.
    Ci è di conferma e di stimolo quanto il Santo Padre ha dichiarato ai partecipanti al Congresso promosso dalla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea lo scorso 24 marzo: “Siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso ormai fa parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale”.

    All’inizio del mio servizio, conto sull’apporto di tutti e di ciascuno, consapevole dei miei limiti, ma certo della fraterna e responsabile collaborazione di questo autorevole e rappresentativo Consiglio Permanente, e serenamente conscio che tutto è e resta continuamente perfettibile.
    A S.E. Mons. Giuseppe Betori rivolgo il ringraziamento di tutti e mio personale: ben conosciamo la sua competente e generosa dedizione a servizio della nostra Conferenza in qualità di Segretario Generale.

    9. Un’intenzione profonda ci guida. Nel recente Convegno ecclesiale di Verona, rispetto al quale noi sentiamo di avere una responsabilità fondamentale nel farne conoscere lo spirito e i contenuti, è stato evidenziato con forza il valore della speranza cristiana e della dimensione spirituale. Benedetto XVI ha parlato della speranza cristiana con grande speranza! Cioè con quel senso di fiducia profonda e d’amore, di simpatia e di cordialità che le folle sentono fluire dalla sua persona e dalle sue parole, anche quando queste ricordano la misura alta e impegnativa del Vangelo. In lui vi è lo sguardo della Chiesa verso il mondo, si riflette lo stesso sguardo di Gesù Salvatore. In Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per amore dell’umanità, rinnoviamo la nostra fede di Vescovi, Successori degli Apostoli. In Cristo è il senso della nostra vita, il centro della storia e del cosmo. È questa la lieta notizia, la speranza che sentiamo ardere in noi e che vogliamo annunciare agli uomini d’oggi; è questo il messaggio che da duemila anni attraversa i secoli e risuona per tutta la terra per offrirsi, rispettoso e appassionato, ad ogni cuore. Il Santo Padre ci invita a tenere fermo lo sguardo sul volto di Gesù, ricordando che “la sua risurrezione è stata come un’esplosione di luce, un’esplosione d’amore che scioglie le catene del peccato e della morte”. Sta qui la nostra gioia e la nostra speranza. Al di fuori di questo tutto si scolora, perde di significato, diventa senza prospettiva: come per Pietro sulle acque tempestose del mare nel cuore della notte, tutto diventa solo difficoltà e tenebra.

    Il forte discorso del Papa riprende e rilancia il cuore della sua prima Enciclica: infatti “la cifra di questo mistero (la Pasqua di morte e risurrezione) è l’amore e soltanto la logica dell’amore”. Anche l’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, che Benedetto XVI ha appena donato alla Chiesa universale, riprende e sviluppa il tema dell’Amore che è Dio, che si è rivelato e offerto in Gesù di Nazaret, e che permane nel sacramento dell’altare. Come afferma il Concilio Vaticano II “nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo nostra pasqua e Pane vivo” (Presbiterorum Ordinis, n. 5). E il Papa ricorda non solo che “grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo” (Sacramentum Caritatis, n. 6), ma anche che “ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo” (ibid.).
    La ricchezza dottrinale, spirituale e pastorale dell’Esortazione ci indica la strada di una spiritualità e di una pastorale eucaristiche, cioè fortemente centrate sulla divina Eucaristia che ne è fonte e culmine, nonché sostegno sempre vivo: “prima di ogni attività e di ogni nostro programma – diceva ancora il Papa a Verona − deve esserci l’adorazione che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire”.

    10. Nell’intervento conclusivo del Convegno di Verona, il cardinale Camillo Ruini ha ripreso l’esortazione del Santo Padre a proposito dell’adorazione: “Abbiamo a che fare qui con quello che è il vero ‘fondamentale’ del nostro essere cristiani. (…) Il mistero cristiano, vissuto nella pienezza delle sue dimensioni di amore gratuito e sovrabbondante, (…) è infatti l’unica realtà che possiamo davvero proporre come quel grande ‘sì’ a cui si è riferito anche ieri Benedetto XVI, che salva e che apre al futuro, anche all’interno della storia. (…) Da questa assemblea sale dunque un’umile preghiera, che implica anche un sincero proposito, affinché il primato di Dio sia il più possibile ‘visibile’ e ‘palpabile’ nell’esistenza concreta e quotidiana delle nostre persone e delle nostre comunità”. Cari Confratelli, è questa la missione della Chiesa, lo scopo del suo esserci e il suo unico desiderio: l’annuncio della speranza che è Cristo. Egli, infatti, “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, n. 22). Per questo la fede è gioia e la vita cristiana, proprio perché alta ed esigente, è gioia. Generare le persone alla vera gioia, esprime in modo eminente la maternità della Chiesa.

    11. La Chiesa è “madre” perché genera gli uomini alla vita della grazia, all’amicizia con Dio attraverso la Parola e i Sacramenti, segni efficaci dell’amore e della misericordia salvifica di Cristo: è madre perché vive accanto alla gente grazie alla dedizione ammirevole dei Sacerdoti, nostri primi e carissimi collaboratori. Essi conoscono e condividono la vita quotidiana e concreta del popolo: gioie e dolori, successi e sconfitte, esperienze di letizia e situazioni di dramma. Per la loro capacità di ascolto e di comprensione, di illuminazione delle coscienze nella fedeltà al Vangelo e al Magistero della Chiesa, di vicinanza e di sostegno diretto, noi Vescovi rinnoviamo la nostra ammirata gratitudine e la stima più affettuosa, insieme al nostro più cordiale incoraggiamento.

    Proprio perché “madre”, la Chiesa è anche “maestra”, cioè offre la verità su Dio e sull’uomo. Dice cose che hanno a che fare con la vita. Non si generano gli spiriti se non nell’amore e nella verità; non si formano le coscienze se non nella luce del Vangelo e della Tradizione viva della Chiesa. Solo la luce risplende e illumina. La Chiesa non ha come fine se stessa, ma il bene della persona nell’orizzonte dell’eternità e del tempo. Nel segno del Crocifisso Risorto, essa è alleata dell’uomo.
    Il Magistero della Chiesa, pertanto, è servizio all’uomo che vive i vari e complessi ambiti dell’esistenza. Questo irrinunciabile servizio viene offerto a tutti i cattolici con grande fiducia nella forza della grazia. Ma poiché ha a cuore l’umanità intera, la Chiesa a tutti si rivolge cosciente del dono ricevuto per il bene di tutti, riconoscendo cioè di essere “esperta in umanità”, come disse Paolo VI davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite (il 4 ottobre 1965). Tale esperienza non è presunzione, ma deriva – oltre che dalla rivelazione del suo Signore e Maestro – anche dal credere alla forza della ragione come capacità del vero, da duemila anni di storia, nonché dall’incontro con la ricchezza di innumerevoli culture. È questo crogiuolo che ha dato origine a quella civiltà umanistica che, nonostante incoerenze ed errori, l’Italia e l’Europa conoscono, e che costituisce il fondo dell’ethos del nostro popolo.
    Vogliamo unirci alla voce del Santo Padre e di molti altri, che in occasione del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma si è levata a ricordare le “radici cristiane” dell’Europa e ad auspicarne fermamente il pubblico riconoscimento.

    Nella affascinante e non facile missione di annunciare la gioia cristiana con il contagio della testimonianza, con l’ascolto, in comunione con la Chiesa, con la rispettosa chiarezza dell’annuncio di Cristo e del suo pensiero (cfr. Gaudium et Spes, n. 43) nei vari ambiti di vita e della società, grande e indispensabile è il compito dei laici. Sempre maggiore e formata dovrà essere la loro presenza, secondo quell’indole propria che l’ultimo Concilio ha bene espresso (cfr. Lumen Gentium, n. 31).

    Come possiamo, venerati Confratelli, proseguire in questa straordinaria avventura di comunicare la gioia del Vangelo e la piena dignità di ogni uomo, i valori che lo costituiscono, il mistero della vita umana, la bellezza dell’amore e della famiglia, la dura ma decisiva scuola della libertà, la responsabilità educativa, fino all’urgenza della giustizia sociale, della pace, di un ambiente più rispettato e accogliente?

    12. Emergente il tema della famiglia. È proprio l’intenzione spirituale e pastorale che ci porta ad evidenziare oggi il tema della famiglia. E a farlo con la serenità e la chiarezza che sono indispensabili. Ci preme segnalare anzitutto che la nostra attenzione verso questo fronte decisivo dell’esperienza umana non è in alcun modo sbilanciata né tanto meno unilaterale. Il mio arrivare ora alla guida della CEI mi induce a testimoniare la preoccupazione per nulla politica, ma eminentemente pastorale che ha mosso ieri e muove oggi i Vescovi su questo tema fondamentale per l’individuo, per la società e il suo futuro.

    La famiglia ha bisogno oggi di tutta la premura che la Chiesa − con la sua esperienza e la sua libertà − vi può riversare. Diremo anche noi con Benedetto XVI: “Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non c’interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo? Non è piuttosto il loro – il nostro – dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?” (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2006).

    13. Noi da sempre annunciamo e serviamo il disegno che il Redentore ha sulla famiglia cristiana e la dinamica sacramentale che vi è connessa, e dunque anzitutto il matrimonio elevato alla dignità di sacramento. È una sensibilità, questa, che il Concilio Vaticano II ha reso particolarmente acuta, tanto da stimolare il nostro episcopato a operare a più riprese delle messe a punto dottrinali e pastorali sul tema dell’evangelizzazione del matrimonio. Nelle settimane scorse, S.E. Mons. Giuseppe Anfossi ha scritto su “Avvenire” (4 marzo 2007) un articolo dalla tesi eloquente: forse che davvero – si chiedeva − abbiamo bisogno di dimostrare quanto si è fatto, e si sta facendo, nelle nostre Diocesi, a favore della famiglia cristianamente intesa? Quante energie sono state impiegate, e quante persone, tra le migliori, si sono mosse nello sforzo di rinnovare l’impegno cristiano in ambito familiare, puntando a rinnovare la cultura stessa della famiglia in Italia? Sappiamo bene che, anche per effetto di una qualificazione della proposta cristiana, il numero dei matrimoni celebrati con rito religioso va contraendosi. I nostri parroci concordano con noi nel voler fare le cose in modo sensato, ma questo rileva la serietà complessiva con cui la comunità cristiana si approccia alla famiglia, riconoscendo anzitutto al matrimonio cristiano il suo primato di grazia e di responsabilità.

    14. Sappiamo tuttavia che il matrimonio sacramentale si iscrive nel disegno primigenio del Creatore: “maschio e femmina li creò” (Gn 1,27), disegno che noi siamo parimenti impegnati ad annunciare e servire. È come la scoperta di una spinta vivificante che l’umanità già dall’origine porta dentro la struttura dell’essere e che la anima nella realizzazione fondamentale dell’esistenza umana e nella sua proiezione verso il futuro. “La legge iscritta nella nostra natura – ha detto il Papa ad un recente congresso internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense (il 12 febbraio 2007) – è la vera garanzia offerta a ciascuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità”. Il che – continuava − “ha applicazioni molto concrete se si fa riferimento a quell’«intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie» (Gaudium et Spes, n. 48). Il Concilio Vaticano II ha, al riguardo, opportunamente ribadito che l’istituto del matrimonio «ha stabilità per ordinamento divino», e perciò «questo vincolo sacro, in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio umano» (ibid.). Nessuna legge fatta dagli uomini – concludeva il Papa – può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare”.

    15. C’è, venerati Confratelli, una prova più convincente circa il nostro dovere di parlare del matrimonio come invalicabile bene dato agli uomini per la loro felicità e per il loro futuro? Come può l’insistente parlare del Papa e dei Vescovi a questo riguardo essere interpretato come un sopruso, o come un’invadenza di campo, o come un gesto indelicato se non spropositato? O addirittura come una ricerca di potere temporale? Se la Chiesa cercasse il potere, basterebbe imboccare la via facile dell’accondiscendenza. È del tutto evidente che quando Benedetto XVI ricorda l’”unicità irripetibile” della famiglia (cfr. Angelus del 4 febbraio 2007), lo fa perché, nonostante la crisi profonda che essa attraversa e le molteplici sfide che essa deve affrontare, tutti si sappia adeguatamente “difenderla”, “aiutarla”, “tutelarla” e “valorizzarla” per il bene concreto, attuale e futuro, dell’umanità. È come se il Papa si facesse vicino a ciascuno, e quasi in un colloquio di amicizia, gli dicesse un segreto prezioso, o la cosa più importante di tutte. Per cui merita essere solleciti affinché le famiglie più esposte non cedano “sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi”, come lo stesso Pontefice ha segnalato, ricevendo in udienza i Rappresentanti Pontifici in America Latina (il 17 febbraio 2007).

    16. In questa cornice si colloca ciò che è stato detto, dall’interno della comunità ecclesiale, nel corso delle ultime settimane, in riferimento al disegno di legge in materia di “Diritti e doveri delle persone unite in stabili convivenze”. Personalmente posso solo dire che apprezzo quanto da parte cattolica è stato fatto, impegnandomi ad assumerlo e a svilupparlo. Desidero per un verso rilevare la convergente, accorata preoccupazione espressa dai Vescovi su questo disegno legislativo inaccettabile sul piano dei principi, ma anche pericoloso sul piano sociale ed educativo. Per altro verso, registro la preoccupazione che lo stesso provvedimento ha suscitato in seno al nostro laicato, nelle parrocchie come nelle aggregazioni. Mai come su questo fronte così esposto, loro intercettano ciò che il Concilio Vaticano II dice sia a proposito del matrimonio e della famiglia (cfr. Gaudium et Spes, nn. 47-52), sia del dovere della partecipazione per una vita civile più equilibrata e saggia (cfr. Gaudium et Spes, nn. 73-76), consci che la famiglia è un bene della società nel suo insieme, non solo dei cristiani.

    17. È noto che proprio dall’interno delle aggregazioni laicali è scaturita l’idea di una manifestazione pubblica per il prossimo 12 maggio, che dia ragione della speranza che è in noi su questo nevralgico bene della vita sociale, quale è la famiglia nata dal matrimonio tra un uomo e una donna e aperta alla generazione e dunque al domani. Si tratterà, dunque, di una “festa della famiglia” come è successo anche in altri Paesi. Come Vescovi non possiamo che apprezzare e incoraggiare questo dinamismo volto al bene comune. Nello stesso tempo, è stata prospettata – com’è pure noto – l’utilità che i Vescovi dicano in questo frangente una parola meditata e impegnativa. Nell’attuale sessione del Consiglio Permanente metteremo a punto una “Nota pastorale” che, ponendosi sulla stessa linea di ciò è stato fatto in passato in altre cruciali evenienze, possa essere di serena, autorevole illuminazione sulle circostanze odierne. Torna illuminante la parola di Benedetto XVI al già citato, recente Congresso: “Appare sempre più indispensabile che l’Europa si guardi da quell’atteggiamento pragmatico, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l’inevitabile accettazione di un presunto male minore” (Roma, 24 marzo 2007).

    Cari Confratelli, anche su questo delicato compito a cui siamo tenuti come Pastori, chiedo il contributo della vostra sensibilità e saggezza.

    Agli operatori della comunicazione sociale esprimo la mia personale gratitudine e l’apprezzamento per il loro lavoro, chiedendo l’aiuto perché l’opinione pubblica possa essere sempre correttamente informata sul magistero della Chiesa nella sostanziale integralità dei suoi singoli interventi. In questa prospettiva, mi auguro che si voglia dare la giusta rilevanza al comunicato finale di questo Consiglio, in quanto resoconto di un qualificato incontro collegiale della nostra Conferenza.
    Sabato scorso, 24 marzo, abbiamo celebrato la XV Giornata di preghiera e di digiuno per i missionari martirizzati in particolare nell’ultimo anno. Sono ben 24, tre dei quali italiani: don Andrea Santoro, mons. Bruno Baldacci, sr. Leonella Sgorbati. Il Signore Gesù ci faccia degni di questi servitori, e dia a tutta la Chiesa di vivere alla loro scuola l’imprescindibile vocazione missionaria.

    Con questo spirito, venerati Confratelli, accogliete il mio grazie più fraterno anche per la vostra attenzione di oggi. Insieme a Voi, affido a Maria Santissima, Madre della Chiesa, il nostro servizio, le comunità cristiane e il nostro amato Paese.


    + Angelo Bagnasco
    Presidente


    fonte: Conferenza Episcopale Italiana

  9. #9
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    Il Comunicato finale della riunione del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana tenutasi a Roma dal 26 al 29 marzo.

  10. #10
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    Preghiamo per i vescovi italiani, costretti a soffrire per l'incomprensione (volontaria) di qualunque cosa dicano!

    Da Avvenire.it:

    Stravolte le parole di Betori alla conferenza stampa

    Il clericalismo imposto come una maschera di ferro

    Umberto Folena

    Il fatto. Lunedì, conferenza stampa di presentazione del comunicato finale della seduta del Consiglio permanente Cei della settimana scorsa. Il segretario, monsignor Giuseppe Betori, a domanda specifica sull’incontro delle famiglie del prossimo 12 maggio, precisa che si tratta di un’iniziativa dei fedeli laici, a cui i vescovi (cosa detta e ridetta) non parteciperanno, ma «nessuno può impedire ai parroci di accompagnare i loro fedeli laici».
    I titoli. Ecco come i principali quotidiani italiani riassumono il fatto. Corriere della sera (apertura di prima pagina): «Nuova offensiva sui Dico. I vescovi: family day, preti in piazza. La Cei e la manifestazione: i parroci e le parrocchie si organizzino». La Repubblica (taglio di prima): «Family-Day, parroci in piazza». La Stampa (spalla di prima): «Dico, in piazza anche i preti». Il Giornale (prima, falsa apertura): «La Cei: "Sacerdoti in piazza contro i Dico"». L’Unità (apertura di prima): «I vescovi chiamano i parroci in piazza. La Cei insiste nello scontro: le parrocchie si organizzino per fermare i Dico».
    Ognuno giudichi da sé. Aggiungiamo che clamoroso sarebbe stato se Betori avesse detto il contrario: i parroci restino a casa (titolone: «La Cei si dissocia dal family day»). Invece: parroci reclutati, incitamento allo scontro…Il clericalismo imposto alla Chiesa come una maschera di ferro. Betori non ha detto né pensato nulla di quanto ieri gli veniva attribuito, perfino tra virgolette. E questa non è un’opinione, è la realtà dei fatti che chiunque può constatare avendo la correttezza di controllare le fonti. Basterebbero pochi minuti, che tutti hanno, e un po’ d’amore per la verità, che temiamo non tutti possiedano: ad abbondare sono la pulsione ideologica e il "clericalismo laico" che spinge a far coincidere la Chiesa con i vescovi e i preti, ignorando i fedeli laici.
    Il guaio è che questo "incidente" (chiamiamolo così) è soltanto l’ultimo di una serie infinita. La scorsa settimana è toccato all’arcivescovo Bagnas co sentirsi attribuire un accostamento assurdo tra Dico, pedofilia e incesto. La smentita è arrivata; e che cosa fa il professionista serio della comunicazione di fronte a una smentita? Controlla se è giustificata. Nel caso specifico, va a leggersi, se già non l’ha fatto, che cosa ha effettivamente detto Bagnasco, a prescindere dalle sintesi disinvolte di qualche disinvolto cronista, di quotidiano o d’agenzia. Chi ha sentito il bisogno di farlo? Perfino un premio Nobel come Dario Fo, ospite domenica sera di Serena Dandini su Raitré, ha irriso Bagnasco paragonando i suoi «mi hanno frainteso» a quelli di Silvio Berlusconi. Non ha sentito l’esigenza – nemmeno lui, intellettuale tutto d’un pezzo – di verificare la fonte.
    La Chiesa non teme le prese di distanza, le contestazioni, il dibattito, l’ironia. Rivendica per sé lo stesso diritto (al dibattito, all’ironia, eccetera), proprio perché anzitutto accetta che sia esercitato nei suoi confronti. Inaccettabile è dire il falso; inaccettabile è taroccare le dichiarazioni altrui; inaccettabile è manipolare i dati. E invece questo succede. Accadde in modo clamoroso al cardinale Ruini l’ultimo giorno del convegno ecclesiale di Verona, quando gli fu attribuito l’esatto contrario di quello che aveva detto. Accade anche al Papa. E se lo denunci, come lo spirito democratico esige, ti prendi pure del piagnone. Se la Cei fosse la Nazionale, dovrebbe proclamare il silenzio stampa. La Cei non è la nazionale di calcio. Ma in certi momenti vien da pensare: ah, se lo fosse.

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