Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco - ANNO 2018

  1. #1
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    Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco - ANNO 2018

    OMELIE, DISCORSI, MESSAGGI
    DI SUA SANTITA’ PAPA FRANCESCO

    Anno 2018


    Verranno pubblicati in questa discussione i principali interventi del Santo Padre nell'anno in corso.

    Ai seguenti link è possibile visualizzare omelie, discorsi e messaggi degli anni passati:

    Anno 2013

    Anno 2014

    Anno 2015

    Anno 2016

    Anno 2017

  2. #2
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    SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
    LI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

    CAPPELLA PAPALE

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica Vaticana
    Lunedì, 1° gennaio 2018


    L’anno si apre nel nome della Madre di Dio. Madre di Dio è il titolo più importante della Madonna. Ma una domanda potrebbe sorgere: perché diciamo Madre di Dio e non Madre di Gesù? Alcuni, in passato, chiesero di limitarsi a questo, ma la Chiesa ha affermato: Maria è Madre di Dio. Dobbiamo essere grati perché in queste parole è racchiusa una verità splendida su Dio e su di noi. E cioè che, da quando il Signore si è incarnato in Maria, da allora e per sempre, porta la nostra umanità attaccata addosso. Non c’è più Dio senza uomo: la carne che Gesù ha preso dalla Madre è sua anche ora e lo sarà per sempre. Dire Madre di Dio ci ricorda questo: Dio è vicino all’umanità come un bimbo alla madre che lo porta in grembo.

    La parola madre (mater), rimanda anche alla parola materia. Nella sua Madre, il Dio del cielo, il Dio infinito si è fatto piccolo, si è fatto materia, per essere non solo con noi, ma anche come noi. Ecco il miracolo, ecco la novità: l’uomo non è più solo; mai più orfano, è per sempre figlio. L’anno si apre con questa novità. E noi la proclamiamo così, dicendo: Madre di Dio! È la gioia di sapere che la nostra solitudine è vinta. È la bellezza di saperci figli amati, di sapere che questa nostra infanzia non ci potrà mai essere tolta. È specchiarci nel Dio fragile e bambino in braccio alla Madre e vedere che l’umanità è cara e sacra al Signore. Perciò, servire la vita umana è servire Dio e ogni vita, da quella nel grembo della madre a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, va accolta, amata e aiutata.

    Lasciamoci ora guidare dal Vangelo di oggi. Della Madre di Dio si dice una sola frase: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Custodiva. Semplicemente custodiva. Maria non parla: il Vangelo non riporta neanche una sua parola in tutto il racconto del Natale. Anche in questo la Madre è unita al Figlio: Gesù è infante, cioè “senza parola”. Lui, il Verbo, la Parola di Dio che «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato» (Eb 1,1), ora, nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), è muto. Il Dio davanti a cui si tace è un bimbo che non parla. La sua maestà è senza parole, il suo mistero di amore si svela nella piccolezza. Questa piccolezza silenziosa è il linguaggio della sua regalità. La Madre si associa al Figlio e custodisce nel silenzio.

    E il silenzio ci dice che anche noi, se vogliamo custodirci, abbiamo bisogno di silenzio. Abbiamo bisogno di rimanere in silenzio guardando il presepe. Perché davanti al presepe ci riscopriamo amati, assaporiamo il senso genuino della vita. E guardando in silenzio, lasciamo che Gesù parli al nostro cuore: che la sua piccolezza smonti la nostra superbia, che la sua povertà disturbi le nostre fastosità, che la sua tenerezza smuova il nostro cuore insensibile. Ritagliare ogni giorno un momento di silenzio con Dio è custodire la nostra anima; è custodire la nostra libertà dalle banalità corrosive del consumo e dagli stordimenti della pubblicità, dal dilagare di parole vuote e dalle onde travolgenti delle chiacchiere e del clamore.

    Maria custodiva, prosegue il Vangelo, tutte queste cose, meditandole. Quali erano queste cose? Erano gioie e dolori: da una parte la nascita di Gesù, l’amore di Giuseppe, la visita dei pastori, quella notte di luce. Ma dall’altra: un futuro incerto, la mancanza di una casa, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7); la desolazione del rifiuto; la delusione di aver dovuto far nascere Gesù in una stalla. Speranze e angosce, luce e tenebra: tutte queste cose popolavano il cuore di Maria. E lei, che cosa ha fatto? Le ha meditate, cioè le ha passate in rassegna con Dio nel suo cuore. Niente ha tenuto per sé, niente ha rinchiuso nella solitudine o affogato nell’amarezza, tutto ha portato a Dio. Così ha custodito. Affidando si custodisce: non lasciando la vita in preda alla paura, allo sconforto o alla superstizione, non chiudendosi o cercando di dimenticare, ma facendo di tutto un dialogo con Dio. E Dio che ci ha a cuore, viene ad abitare le nostre vite.

    Ecco i segreti della Madre di Dio: custodire nel silenzio e portare a Dio. Ciò avveniva, conclude il Vangelo, nel suo cuore. Il cuore invita a guardare al centro della persona, degli affetti, della vita. Anche noi, cristiani in cammino, all’inizio dell’anno sentiamo il bisogno di ripartire dal centro, di lasciare alle spalle i fardelli del passato e di ricominciare da ciò che conta. Ecco oggi davanti a noi il punto di partenza: la Madre di Dio. Perché Maria è come Dio ci vuole, come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita. Per ripartire, guardiamo alla Madre. Nel suo cuore batte il cuore della Chiesa. Per andare avanti, ci dice la festa di oggi, occorre tornare indietro: ricominciare dal presepe, dalla Madre che tiene in braccio Dio.

    La devozione a Maria non è galateo spirituale, è un’esigenza della vita cristiana. Guardando alla Madre siamo incoraggiati a lasciare tante zavorre inutili e a ritrovare ciò che conta. Il dono della Madre, il dono di ogni madre e di ogni donna è tanto prezioso per la Chiesa, che è madre e donna. E mentre l’uomo spesso astrae, afferma e impone idee, la donna, la madre, sa custodire, collegare nel cuore, vivificare. Perché la fede non si riduca solo a idea o a dottrina, abbiamo bisogno, tutti, di un cuore di madre, che sappia custodire la tenerezza di Dio e ascoltare i palpiti dell’uomo. La Madre, firma d’autore di Dio sull’umanità, custodisca quest’anno e porti la pace di suo Figlio nei cuori, nei nostri cuori, e nel mondo. E come figli, semplicemente, vi invito a salutarla oggi con il saluto dei cristiani di Efeso, davanti ai loro vescovi: “Santa Madre di Dio!”. Diciamo, tre volte, dal cuore, tutti insieme, guardandola [rivolto alla statua esposta accanto all’altare]: “Santa Madre di Dio!”.


    fonte: sito ufficiale della Santa Sede

  3. #3
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    Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 01.01.2018


    Al termine della Celebrazione Eucaristica nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella ricorrenza della 51.ma Giornata Mondiale della Pace, il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano e, prima di recitare l’Angelus, ha rivolto ai fedeli e ai pellegrini presenti in Piazza San Pietro le seguenti parole:

    Prima dell’Angelus

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sulla prima pagina del calendario del nuovo anno che il Signore ci dona, la Chiesa pone, come una stupenda miniatura, la solennità liturgica di Maria Santissima Madre di Dio. In questo primo giorno dell’anno solare, fissiamo lo sguardo su di lei, per riprendere, sotto la sua materna protezione, il cammino lungo i sentieri del tempo.

    Il Vangelo di oggi (cfr Lc 2,16-21) ci riconduce alla stalla di Betlemme. I pastori arrivano in fretta e trovano Maria, Giuseppe e il Bambino; e riferiscono l’annuncio dato loro dagli angeli, cioè che quel Neonato è il Salvatore. Tutti si stupiscono, mentre «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (v. 19). La Vergine ci fa capire come va accolto l’evento del Natale: non superficialmente ma nel cuore. Ci indica il vero modo di ricevere il dono di Dio: conservarlo nel cuore e meditarlo. È un invito rivolto a ciascuno di noi a pregare contemplando e gustando questo dono che è Gesù stesso.

    È mediante Maria che il Figlio di Dio assume la corporeità. Ma la maternità di Maria non si riduce a questo: grazie alla sua fede, Lei è anche la prima discepola di Gesù e questo “dilata” la sua maternità. Sarà la fede di Maria a provocare a Cana il primo “segno” miracoloso, che contribuisce a suscitare la fede dei discepoli. Con la stessa fede, Maria è presente ai piedi della croce e riceve come figlio l’apostolo Giovanni; e infine, dopo la Risurrezione, diventa madre orante della Chiesa su cui scende con potenza lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.

    Come madre, Maria svolge una funzione molto speciale: si pone tra suo Figlio Gesù e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, nella realtà delle loro indigenze e sofferenze. Maria intercede, come a Cana, consapevole che in quanto madre può, anzi, deve far presente al Figlio i bisogni degli uomini, specialmente i più deboli e disagiati. E proprio a queste persone è dedicato il tema della Giornata Mondiale della Pace che oggi celebriamo: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”, così è il motto di questa Giornata. Desidero, ancora una volta, farmi voce di questi nostri fratelli e sorelle che invocano per il loro futuro un orizzonte di pace. Per questa pace, che è diritto di tutti, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso; sono disposti ad affrontare fatiche e sofferenze (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2018, 1).

    Per favore, non spegniamo la speranza nel loro cuore; non soffochiamo le loro aspettative di pace! È importante che da parte di tutti, istituzioni civili, realtà educative, assistenziali ed ecclesiali, ci sia l’impegno per assicurare ai rifugiati, ai migranti, a tutti un avvenire di pace. Ci conceda il Signore di operare in questo nuovo anno con generosità, con generosità, per realizzare un mondo più solidale e accogliente. Vi invito a pregare per questo, mentre insieme con voi affido a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, il 2018 appena iniziato. I vecchi monaci russi, mistici, dicevano che in tempo di turbolenze spirituali era necessario raccogliersi sotto il manto della Santa Madre di Dio. Pensando a tante turbolenze di oggi, e soprattutto ai migranti e ai rifugiati, preghiamo come loro ci hanno insegnato a pregare: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta».

    [00002-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    Dopo l’Angelus

    Cari fratelli e sorelle,

    sulla soglia del 2018, rivolgo a tutti il mio cordiale augurio di ogni bene per il nuovo anno, a tutti voi! Desidero ringraziare il Presidente della Repubblica Italiana per gli auguri che mi ha rivolto ieri sera nel suo Messaggio di fine anno e che ricambio di cuore, auspicando per il popolo italiano un anno di serenità e di pace, illuminato dalla costante benedizione di Dio.

    Esprimo il mio apprezzamento per le molteplici iniziative di preghiera e di azione per la pace, organizzate in ogni parte del mondo in occasione dell’odierna Giornata Mondiale della Pace. Penso, in particolare, alla Marcia nazionale che si è svolta ieri sera a Sotto il Monte, promossa da CEI, Caritas Italiana, Pax Christi e Azione Cattolica. E saluto i partecipanti alla manifestazione “Pace in tutte le terre”, promossa a Roma e in molti Paesi dalla Comunità di Sant’Egidio. Cari amici, vi incoraggio a portare avanti con gioia il vostro impegno di solidarietà, specialmente nelle periferie delle città, per favorire la convivenza pacifica.

    Rivolgo il mio saluto a voi, cari pellegrini qui presenti, in particolare a quelli di New York, alla banda musicale proveniente dalla California e al gruppo della “Pro Loco” di Massalengo.

    A tutti rinnovo l’augurio di un anno di pace nella grazia del Signore e con la protezione materna di Maria, la Santa Madre di Dio. Buon anno, buon pranzo, e non dimenticatevi di pregare per me. Arrivederci!

    [00003-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    [B0002-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  4. #4
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    L’Udienza Generale, 03.01.2018


    L’Udienza Generale di questa mattina, la prima dell’anno 2018, si è svolta alle ore 9.25 nell’Aula Paolo VI, dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

    Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla Santa Messa, ha incentrato la sua meditazione sull’atto penitenziale.

    Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

    L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

    Catechesi del Santo Padre in lingua italiana

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Riprendendo le catechesi sulla celebrazione eucaristica, consideriamo oggi, nel contesto dei riti di introduzione, l’atto penitenziale. Nella sua sobrietà, esso favorisce l’atteggiamento con cui disporsi a celebrare degnamente i santi misteri, ossia riconoscendo davanti a Dio e ai fratelli i nostri peccati, riconoscendo che siamo peccatori. L’invito del sacerdote infatti è rivolto a tutta la comunità in preghiera, perché tutti siamo peccatori. Che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua presunta giustizia. Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano, dove soltanto il secondo – il pubblicano – torna a casa giustificato, cioè perdonato (cfr Lc 18,9-14). Chi è consapevole delle proprie miserie e abbassa gli occhi con umiltà, sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso di Dio. Sappiamo per esperienza che solo chi sa riconoscere gli sbagli e chiedere scusa riceve la comprensione e il perdono degli altri.

    Ascoltare in silenzio la voce della coscienza permette di riconoscere che i nostri pensieri sono distanti dai pensieri divini, che le nostre parole e le nostre azioni sono spesso mondane, guidate cioè da scelte contrarie al Vangelo. Perciò, all’inizio della Messa, compiamo comunitariamente l’atto penitenziale mediante una formula di confessione generale, pronunciata alla prima persona singolare. Ciascuno confessa a Dio e ai fratelli “di avere molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni”. Sì, anche in omissioni, ossia di aver tralasciato di fare il bene che avrei potuto fare. Spesso ci sentiamo bravi perché – diciamo – “non ho fatto male a nessuno”. In realtà, non basta non fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene cogliendo le occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù. E’ bene sottolineare che confessiamo sia a Dio che ai fratelli di essere peccatori: questo ci aiuta a comprendere la dimensione del peccato che, mentre ci separa da Dio, ci divide anche dai nostri fratelli, e viceversa. Il peccato taglia: taglia il rapporto con Dio e taglia il rapporto con i fratelli, il rapporto nella famiglia, nella società, nella comunità: Il peccato taglia sempre, separa, divide.

    Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri. Capita spesso infatti che, per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare altri. Costa ammettere di essere colpevoli, ma ci fa bene confessarlo con sincerità. Confessare i propri peccati. Io ricordo un aneddoto, che raccontava un vecchio missionario, di una donna che è andata a confessarsi e incominciò a dire gli sbagli del marito; poi è passata a raccontare gli sbagli della suocera e poi i peccati dei vicini. A un certo punto, il confessore le ha detto: “Ma, signora, mi dica: ha finito? – Benissimo: lei ha finito con i peccati degli altri. Adesso incominci a dire i suoi”. Dire i propri peccati!

    Dopo la confessione del peccato, supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi di pregare il Signore per noi. Anche in questo è preziosa la comunione dei Santi: cioè, l’intercessione di questi «amici e modelli di vita» (Prefazio del 1° novembre) ci sostiene nel cammino verso la piena comunione con Dio, quando il peccato sarà definitivamente annientato.

    Oltre al “Confesso”, si può fare l’atto penitenziale con altre formule, ad esempio: «Pietà di noi, Signore / Contro di te abbiamo peccato. / Mostraci, Signore, la tua misericordia. / E donaci la tua salvezza» (cfr Sal 123,3; 85,8; Ger 14,20). Specialmente la domenica si può compiere la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo (cfr OGMR, 51), che cancella tutti i peccati. E’ anche possibile, come parte dell’atto penitenziale, cantare il Kyrie eléison: con antica espressione greca, acclamiamo il Signore – Kyrios – e imploriamo la sua misericordia (ibid., 52).

    La Sacra Scrittura ci offre luminosi esempi di figure “penitenti” che, rientrando in sé stessi dopo aver commesso il peccato, trovano il coraggio di togliere la maschera e aprirsi alla grazia che rinnova il cuore. Pensiamo al re Davide e alle parole a lui attribuite nel Salmo: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità» (51,3). Pensiamo al figlio prodigo che ritorna dal padre; o all’invocazione del pubblicano: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore» (Lc 18,13). Pensiamo anche a San Pietro, a Zaccheo, alla donna samaritana. Misurarsi con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a invocare la misericordia divina che trasforma e converte. E questo è quello che facciamo nell’atto penitenziale all’inizio della Messa.

    [00003-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    Sintesi della catechesi e saluti nelle diverse lingue

    In lingua francese

    Speaker:

    Frères et sœurs, les rites d’introduction de la Messe comprennent un acte pénitentiel. Que Dieu pourrait-il donner, en effet, à celui qui a déjà le cœur rempli de lui-même? Seul celui qui prend conscience de ses misères et baisse les yeux avec humilité sent se poser sur lui le regard miséricordieux de Dieu. Il est donc important que chacun reconnaisse, en se frappant la poitrine, que lui-même a péché; également par omission. Car il ne suffit pas de dire «je n’ai fait de mal à personne» pour être sans péché; il faut encore choisir d’accomplir le bien qu’il est possible de faire. Cette confession générale des péchés se fait en présence des frères, car le péché nous sépare de Dieu, mais aussi de nos frères. Nous implorons ensuite l’intercession de la Vierge Marie et des Saints qui nous soutiennent sur notre chemin de communion avec Dieu. Enfin, l’absolution du prêtre nous pardonne nos péchés. N’oublions pas, cependant, que cette absolution n’a pas la valeur du Sacrement de pénitence qui reste indispensable pour le pardon de péchés graves – dits mortels – qui ont fait mourir la vie divine en nous.

    Santo Padre:
    Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare gli scout di Mesnil-le-Roi. In questo inizio d’anno, auspico per ciascuno di voi e per i vostri cari che possiate incontrare sempre di più il Signore, specialmente nella celebrazione eucaristica domenicale. Egli viene per risollevarci dai nostri sbagli, per illuminare le nostre vite e donarci la sua gioia. Il Signore vi benedica!

    Speaker:
    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les Scouts de Mesnil-le-Roi.

    En ce début d’année, je forme le vœu pour chacun de vous, et pour vos proches, de rencontrer toujours davantage le Seigneur – y compris dans la célébration dominicale - qui vient nous relever de nos fautes, éclairer nos vies et nous donner sa joie.

    Que Dieu vous bénisse.

    [00004-FR.01] [Texte original: Français]

    In lingua inglese

    Speaker:

    Dear brothers and sisters: In our catechesis on the Holy Eucharist, today we consider the penitential rite. To prepare ourselves to celebrate worthily the sacred mysteries, we acknowledge, before God and our brothers and sisters, that we have sinned. Significantly, we make this confession as a community, yet in the Confiteor each of us speaks personally: “I confess… that I have sinned.” Like the humble publican in Jesus’ parable, we strike our breast and recognize that we are unworthy of the gift of God’s mercy and forgiveness. We then beg the intercession of Our Lady and all the angels and saints to sustain us on the path of holiness and conversion. The priest then pronounces the absolution – “May almighty God have mercy on us, forgive us our sins, and bring us to everlasting life”. Unlike the absolution granted in confession, this does not remit mortal sin, yet it expresses our trust in God’s promise of forgiveness and reconciliation. We thus join the great line of biblical figures – like David, the Prodigal Son and Saint Peter – who, conscious of their sin, acknowledged it before God with confidence in the transforming power of his grace.

    Santo Padre:
    Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’Udienza odierna, specialmente quelli da Corea, Canada e Stati Uniti d’America. A voi e alle vostre famiglie auguro di custodire la gioia di questo tempo di Natale, incontrando nella preghiera il Principe della Pace, che desidera farsi vicino a tutti. Dio vi benedica!

    Speaker:
    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, particularly those from Korea, Canada and the United States of America. May each of you, and your families, cherish the joy of this Christmas season, and draw near in prayer to the Prince of Peace who has come to dwell among us. God bless you all!

    [00005-EN.01] [Original text: English]

    In lingua tedesca

    Speaker:

    Liebe Brüder und Schwestern,

    in der Katechesenreihe über die heilige Messe wollen wir heute den Bußakt betrachten. Im Bewusstsein, dass wir alle Sünder sind, bekennen wir vor Gott und vor der Gemeinde unsere Schuld, um mit reinem Herzen und würdig die heiligen Geheimnisse zu feiern. In der Stille hören wir auf die Stimme unseres Gewissens und erkennen, dass unsere Gedanken, Worte und Werke wie auch unsere Unterlassungen oft nicht dem Geist des Evangeliums entsprechen. Gerade das Bekenntnis unserer Unterlassungssünden weist darauf hin, dass es nicht nur darum geht, nichts Böses zu tun, sondern Zeugnis zu geben durch unsere guten Werke. Das Schuldbekenntnis macht zudem deutlich, dass die Sünde nicht nur von Gott trennt, sondern auch die Gemeinschaft der Glaubenden entzweit. Die Anrufung der Engel und der Heiligen zeigt uns, dass wir in unserem Mühen auf ihre Fürbitte und Hilfe vertrauen dürfen. Der Bußakt schließt mit der Vergebungsbitte des Priesters, die jedoch nicht die Wirkung des Bußsakraments besitzt und nicht damit verwechselt werden darf. Denn zur Vergebung der schweren Sünden ist immer die sakramentale Beichte und Lossprechung nötig.

    Santo Padre:
    Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua tedesca. Tante figure della Sacra Scrittura e i Santi ci sono esempi nel riconoscere la nostra debolezza, avere il coraggio di confessare i peccati e di aprirci al perdono e alla misericordia di Dio. In quest’Anno Nuovo, il Signore ci accompagni con la sua grazia e benedizione e ci doni la sua pace. Buon Anno!

    Speaker:
    Herzlich heiße ich die Pilger deutscher Sprache willkommen. Viele Gestalten der Heiligen Schrift und die Heiligen sind uns darin ein Vorbild, unsere Schwächen zu erkennen sowie den Mut zu haben, unsere Sünden zu bekennen und uns der Vergebung und der Barmherzigkeit Gottes zu öffnen. Der Herr begleite uns in diesem neuen Jahr mit seiner Gnade und seinem Segen und schenke uns seinen Frieden. Ein gutes neues Jahr!

    [00006-DE.01] [Originalsprache: Deutsch]

    In lingua spagnola

    Queridos hermanos y hermanas:

    Continuamos hoy la catequesis sobre la celebración de la Eucaristía y nos centramos en el acto penitencial, el cual nos dispone a celebrar dignamente la Santa Misa, reconociéndonos pecadores delante de Dios y de los hermanos.

    En ese acto introductorio, el sacerdote invita a reconocer nuestros pecados guardando un momento de silencio. Cada uno entra en su interior para tomar conciencia de todo lo que no corresponde con el plan de Dios. Por eso, confesamos en primera persona del singular diciendo: «He pecado mucho de pensamiento, palabras, obras y omisión». Esta fórmula está acompañada con el gesto de golpearse el pecho para indicar que el pecado es propio y no de otro. Después de esta confesión, suplicamos a la Virgen María, a los ángeles y a los santos que intercedan ante el Señor por nosotros. Su intercesión nos sostiene en nuestro camino hacia la plena comunión con Dios.

    El acto penitencial concluye con la absolución del sacerdote, en la que se pide a Dios que derrame su misericordia sobre nosotros. Esta absolución no tiene el mismo valor que la del sacramento de la penitencia, pues hay pecados graves, que llamamos mortales, que sólo pueden ser perdonados con la confesión sacramental.

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los venidos de España y Latinoamérica. Al inicio de este nuevo año, les deseo que sea para ustedes un tiempo de paz y que puedan contemplar el abrazo de amor y ternura del Señor en sus vidas. Los invito a que se renueven interiormente siguiendo el ejemplo de tantos personajes de la Sagrada Escritura, como el Rey David, San Pedro, la samaritana; ellos, a pesar de haber ofendido a Dios, fueron capaces de pedirle perdón con humildad y sinceridad, y pudieron experimentar su misericordia que transforma y da la alegría verdadera.

    Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

    [00007-ES.02] [Texto original: Español]

    In lingua portoghese

    Speaker:

    Nos Ritos de Introdução à Missa, que nos dispõem para a celebrar dignamente, aparece o Ato Penitencial. É uma fórmula de confissão geral pronunciada na primeira pessoa do singular: «Confesso a Deus Todo-Poderoso e a vós, irmãos, que pequei muitas vezes por pensamentos, palavras, atos e omissões…». Sim! Também pequei por omissões, quando deixei de fazer o bem que poderia ter feito. Tantas vezes acontece sentirmo-nos bons, porque não fizemos mal a ninguém. Mas não basta não fazer mal ao próximo; temos de optar por fazer bem, dando sempre testemunho de que somos discípulos de Cristo. Escutar em silêncio a voz da consciência, permite-nos reconhecer como os nossos pensamentos estão longe do pensar de Deus, como as nossas ações estão em contradição com o Evangelho. E, acompanhamos as palavras da «Confissão», com o gesto de bater a mão no meu peito, reconhecendo que pequei por culpa minha, e não dos outros. O ato penitencial termina com a absolvição do sacerdote que invoca a Deus – para ele próprio e toda a assembleia – pedindo que Ele «tenha compaixão de nós, perdoe os nossos pecados e nos conduza à vida eterna». Esta absolvição, porém, não tem o mesmo valor do sacramento da Penitência. De facto, há pecados graves – ditos também mortais, porque fazem morrer em nós a vida divina – os quais, para serem perdoados, precisam da Confissão e absolvição sacramental. Quem reconhece as suas próprias misérias – como o publicano, no templo – e abaixa os olhos com humildade, sente pousar sobre si o olhar misericordioso de Deus. Sabemos por experiência que só a pessoa que sabe reconhecer os seus erros e pedir desculpa é que recebe a compreensão e o perdão dos outros.

    Santo Padre:
    Carissimi pellegrini di lingua portoghese, di cuore vi saluto tutti, in particolare i fedeli della «Comunidade Católica Palavra Viva», augurando a ciascuno che sempre rifulga, nei vostri cuori e sulle vostre famiglie e comunità, la luce del Salvatore, che ci rivela il volto tenero e misericordioso del Padre celeste. Stringiamo tra le braccia il Bambino Gesù e mettiamoci al suo servizio: Lui è fonte di amore e serenità. Egli vi benedica per un sereno e felice Anno Nuovo!

    Speaker:
    Amados peregrinos de língua portuguesa, a minha cordial saudação para vós todos, em particular para os fiéis da «Comunidade Católica Palavra Viva», desejando a cada um que sempre resplandeça, nos vossos corações, famílias e comunidades, a luz do Salvador, que nos revela o rosto terno e misericordioso do Pai do Céu. Abracemos o Deus Menino, colocando-nos ao seu serviço: Ele é fonte de amor e serenidade. Ele vos abençoe com um Ano Novo sereno e feliz!

    [00008-PO.01] [Texto original: Português]

    In lingua araba

    Speaker:

    إن فعلَ التوبةِ الذي نقومُ به في بدايةِ القدّاسِ الإلهي، أي الاعترافَ بخطايانا أمامَ الله والإخوة، هو في غايةِ الأهميّة إذ إنّه يساعدُنا على الاستعدادِ الداخليّ لنكونَ أهلًا للاحتفال بهذا السرّ المقدّس. كُلّنا خَطأة وغالبًا ما نُخالِفُ الإنجيلَ بأفكارِنا وأقوالِنا وأفعالِنا البعيدةِ عن الله. نخطئُ أيضًا حين نُهمِلُ أعمالِ الخيرِ التي نقدرُ أن نقومَ بها. والخطيئةُ تَفصِلُنا عن الإخوةِ، وعن الشركة مع الله، لذا نطلبُ تَضَرُّعات العذراءِ مريم والقدّيسينَ، لأنّها تسانِدُنا في مسيرتِنا نحوَ الشركةِ التامّةِ مع الله حينَ تُمحَقُ الخطيئةُ نهائيًّا. في ختامِ فعلِ التوبةِ هذا ننالُ الغفرانَ عن خطايانا غير المميتة، فالمميتةُ مِنها تتطلّبُ التقرّبَ من سرَّ الاعتراف // نحنُ مدعوّون بالتالي، إلى عيشِ هذا الفعلِ المتواضعِ بكلّ جدّيةٍ، كيما نرجعَ إلى أنفُسِنا ونتوبَ فننفَتِحَ على النعمةِ التي تُجدِّدُ القلبَ وتُغيِّرُ الحياة.

    Santo Padre:
    Saluto cordialmente i pellegrini di lingua ‎araba, ‎in ‎‎‎particolare quelli ‎provenienti ‎dall’Egitto, dal Libano e dal Medio Oriente. Cari fratelli e sorelle, l’atto penitenziale che compiamo comunitariamente all’inizio della Messa, ossia riconoscere davanti a Dio e ai fratelli i nostri peccati, ci permette di preparaci interiormente per essere degni di celebrare questo Santo Mistero. Chi confessa i suoi peccati con umiltà e sincerità, riceve il perdono e ritrova di nuovo l’unione con Dio e con i fratelli. Il ‎Signore vi ‎benedica ‎‎tutti e vi accompagni nel cammino del nuovo anno!

    Speaker:
    أ
    رحبُّ بمودّةٍ بالحاضرينَ الناطقينَ باللغةِ العربيّة، وخاصةً بالقادمينَ من مِصرَ ومن لبنان ومن الشرقِ الأوسط. أيّها الإخوةُ والأخواتُ الأعزّاء، إن فعلَ التوبةِ الذي نقوم به جَماعيًّا في بدايةِ القدّاسِ الإلهيّ، أي الاعتراف بخطايانا أمام الله والإخوة، يجعلُنا نَستعِدُّ داخليًّا كيما نكونَ أهلًا للاحتفالِ بهذا السرِّ المُقدَّس. ومَن يعترفُ بخطاياه بكلّ تواضعٍ وجدّية، ينالُ الغفرانَ، ويعودُ فيتّحد بالله وبالإخوة. ليبارِكَكُم الربُّ جميعًا ويرافِقَكُم في مسيرةِ السنةِ الجديدة!‏ ‏

    [0009-AR.01] [Testo originale: Arabo]

    In lingua polacca

    Speaker:

    Drodzy bracia i siostry, mówiąc o celebracji eucharystycznej, kontynuujemy dzisiaj rozważanie na temat aktu pokutnego. Mając świadomość własnej słabości, na początku Mszy św., w formule spowiedzi powszechnej, wobec całej wspólnoty, każdy osobiście wyznaje przed Bogiem i braćmi: bardzo zgrzeszyłem myślą, mową, uczynkiem, i zaniedbaniem. Tak, także zaniedbaniem czynienia dobra. Nie wystarcza nie czynić nic złego, trzeba czynić dobro, by dać świadectwo, że jesteśmy uczniami Jezusa. Akt pokutny kończy się absolucją kapłana, który wzywa Boga, by zmiłował się nad nami i odpuściwszy nam grzechy doprowadził nas do życia wiecznego. Absolucja ta nie posiada jednak skuteczności sakramentu pokuty. Dla odpuszczenia grzechów ciężkich, nazywanych również śmiertelnymi, konieczna jest spowiedź i rozgrzeszenie sakramentalne. Oprócz spowiedzi powszechnej znane są także inne formuły aktu pokutnego, np. pokropienie wodą święconą na pamiątkę chrztu, czy śpiew: Kyrie eléison, kiedy wzywamy Boga, jako Pana, błagając Go o miłosierdzie. Pismo Święte ukazuje nam szereg postaci czyniących pokutę: króla Dawida, syna marnotrawnego, celnika bijącego się w piersi w świątyni, św. Piotra, Zacheusza, Samarytankę. Uświadomienie sobie w akcie pokutnym własnej grzeszności pomaga nam otworzyć serca, by błagać Boga o miłosierdzie. Tylko ci, którzy potrafią uznać własne grzechy, mogą liczyć na przebaczenie, przemianę i nawrócenie.

    Santo Padre:
    Saluto cordialmente i Polacchi venuti all’Udienza odierna. Auguro a tutti voi un felice Anno Nuovo. Esso sia per voi, per le vostre famiglie, per le persone care, per coloro che vivono in Polonia e all’estero, per tutta la vostra Patria, un tempo di pace, di speranze compiute, carico dei doni divini e della protezione di Maria Santissima Madre di Dio. Cristo, Dio Forte, Principe della Pace, nato a Betlemme, colmi i vostri cuori con la sua presenza e vi benedica. Sia lodato Gesù Cristo.

    Speaker:
    Witam serdecznie przybyłych na dzisiejszą audiencję Polaków. Życzę wam wszystkim szczęśliwego i pomyślnego Nowego Roku. Niech będzie on dla was, dla waszych rodzin, bliskich, dla wszystkich żyjących w kraju i za granicą, dla całej waszej Ojczyzny, czasem pokoju, spełnionych nadziei, obfitującym w Boże dary i opiekę Świętej Bożej Rodzicielki Maryi. Niech Chrystus, Bóg Mocny, Książę Pokoju narodzony w Betlejem, przenika wasze serca swą obecnością i wam błogosławi. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.]

    [00010-PL.01] [Testo originale: Polacco]

    In lingua italiana

    A tutti i pellegrini di lingua italiana presenti a questa prima Udienza Generale del 2018 porgo un cordiale augurio di speranza e di pace per il nuovo anno.

    Sono lieto di accogliere le partecipanti al Capitolo generale delle Figlie della Misericordia e della Croce, vi incoraggio a promuovere il vostro carisma con spirito di servizio e di fedeltà alla Chiesa.

    Saluto i seminaristi dell’Istituto Missioni Consolata; la Famiglia associativa preghiera e carità di Agropoli e i gruppi parrocchiali, in particolare quelli provenienti da Mozzo, da Belvedere di Tezze sul Brenta e da Sant’Arsenio.

    Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. In questo Anno Nuovo vi invito ad accogliere e a condividere ogni giorno la tenerezza di Dio. Cari giovani, siate messaggeri dell’amore di Cristo tra i vostri coetanei; cari ammalati, trovate nella carezza di Dio il sostegno nella sofferenza; e voi, cari sposi novelli, siate testimoni della gioia del Sacramento del Matrimonio attraverso il vostro amore fedele e scambievole.

    [00011-IT.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0003-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  5. #5
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    Udienza all’Associazione Italiana Maestri Cattolici, 05.01.2018


    Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza l’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC), a conclusione del XXI Congresso nazionale AIMC dal titolo “Memoria e futuro. Periferie e frontiere dei saperi professionali” (Roma, 3 – 5 gennaio 2018).

    Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’incontro:

    Discorso del Santo Padre

    Cari fratelli e sorelle,

    do il benvenuto a voi, rappresentanti dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, in occasione del vostro Congresso nazionale, e ringrazio il Presidente per le sue parole.

    Vorrei proporvi tre punti di riflessione e di impegno: la cultura dell’incontro, l’alleanza tra scuola e famiglia e l’educazione ecologica. E anche un incoraggiamento al fare associazione.

    Per prima cosa, vi ringrazio per il contributo che date all’impegno della Chiesa per promuovere la cultura dell’incontro. E vi incoraggio a farlo, se possibile, in maniera ancora più capillare e incisiva. In effetti, in questa sfida culturale sono decisive le basi che vengono poste negli anni dell’educazione primaria dei bambini. Gli insegnanti cristiani, sia che operino in scuole cattoliche sia in scuole statali, sono chiamati a stimolare negli alunni l’apertura all’altro come volto, come persona, come fratello e sorella da conoscere e rispettare, con la sua storia, i suoi pregi e difetti, ricchezze e limiti. La scommessa è quella di cooperare a formare ragazzi aperti e interessati alla realtà che li circonda, capaci di cura e di tenerezza – penso ai bulli –, che siano liberi dal pregiudizio diffuso secondo il quale per valere bisogna essere competitivi, aggressivi, duri verso gli altri, specialmente verso chi è diverso, straniero o chi in qualsiasi modo è visto come ostacolo alla propria affermazione. Questa purtroppo è un’“aria” che spesso i nostri bambini respirano, e il rimedio è fare in modo che possano respirare un’aria diversa, più sana, più umana. E per questo scopo è molto importante l’alleanza con i genitori.

    E qui veniamo al secondo punto, cioè all’alleanza educativa tra la scuola e la famiglia. Tutti sappiamo che questa alleanza è da tempo in crisi, e in certi casi del tutto rotta. Una volta c’era molto rinforzo reciproco tra gli stimoli dati dagli insegnanti e quelli dai genitori. Oggi la situazione è cambiata, ma non possiamo essere nostalgici del passato. Bisogna prendere atto dei mutamenti che hanno riguardato sia la famiglia sia la scuola, e rinnovare l’impegno per una costruttiva collaborazione – ossia, ricostruire l’alleanza e il patto educativo –per il bene dei bambini e dei ragazzi. E dal momento che questa sinergia non avviene più in modo “naturale”, bisogna favorirla in modo progettuale, anche con l’apporto di esperti in campo pedagogico. Ma prima ancora bisogna favorire una nuova “complicità” – sono cosciente dell’uso di questa parola –, una nuova complicità tra insegnanti e genitori. Anzitutto rinunciando a pensarsi come fronti contrapposti, colpevolizzandosi a vicenda, ma al contrario mettendosi nei panni gli uni degli altri, comprendendo le oggettive difficoltà che gli uni e gli altri oggi incontrano nell’educazione, e così creando una maggiore solidarietà: complicità solidale.

    Il terzo aspetto che voglio sottolineare è l’educazione ecologica (cfr Enc. Laudato si’, 209-2015). Naturalmente non si tratta solo di dare alcune nozioni, che pure vanno insegnate. Si tratta di educare a uno stile di vita basato sull’atteggiamento della cura per la nostra casa comune che è il creato. Uno stile di vita che non sia schizofrenico, che cioè, ad esempio, si prenda cura degli animali in estinzione ma ignori i problemi degli anziani; o che difenda la foresta amazzonica ma trascuri i diritti dei lavoratori ad un giusto salario, e così via. Questa è schizofrenia. L’ecologia a cui educare dev’essere integrale. E soprattutto l’educazione deve puntare al senso di responsabilità: non a trasmettere slogan che altri dovrebbero attuare, ma a suscitare il gusto di sperimentare un’etica ecologica partendo da scelte e gesti di vita quotidiana. Uno stile di comportamento che nella prospettiva cristiana trova senso e motivazione nel rapporto con Dio creatore e redentore, con Gesù Cristo centro del cosmo e della storia, con lo Spirito Santo fonte di armonia nella sinfonia del creato.

    Infine, cari fratelli e sorelle, voglio aggiungere una parola sul valore di essere e fare associazione. E’ un valore da non dare per scontato, ma da coltivare sempre, e i momenti istituzionali come il Congresso servono a questo. Vi esorto a rinnovare la volontà di essere e fare associazione nella memoria dei principi ispiratori, nella lettura dei segni dei tempi e con lo sguardo aperto all’orizzonte sociale e culturale. Non abbiate paura delle differenze e anche dei conflitti che normalmente ci sono nelle associazioni laicali; è normale che ci siano, è normale. Non nascondeteli, ma affrontateli con stile evangelico, nella ricerca del vero bene dell’associazione, valutato sulla base dei principi statutari. L’essere associazione è un valore ed è una responsabilità, che in questo momento è affidata a voi. Con l’aiuto di Dio e dei pastori della Chiesa, siete chiamati a far fruttare questo talento posto nelle vostre mani.

    Grazie. Vi ringrazio per questo incontro e benedico di cuore voi, tutta l’associazione e il vostro lavoro. Anche voi, per favore, pregate per me.

    [00019-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    [B0007-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  6. #6
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    Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, 06.01.2018


    Alle ore 10 di oggi, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana.

    Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annunzio del giorno di Pasqua che quest’anno si celebra il 1° aprile:

    Omelia del Santo Padre

    Tre gesti dei Magi orientano il nostro percorso incontro al Signore, che oggi si manifesta come luce e salvezza per tutte le genti. I Magi vedono la stella, camminano e offrono doni.

    Vedere la stella. È il punto di partenza. Ma perché, potremmo chiederci, solo i Magi hanno visto la stella? Forse perché in pochi avevano alzato lo sguardo al cielo. Spesso, infatti, nella vita ci si accontenta di guardare per terra: bastano la salute, qualche soldo e un po’ di divertimento. E mi domando: noi, sappiamo ancora alzare lo sguardo al cielo? Sappiamo sognare, desiderare Dio, attendere la sua novità, o ci lasciamo trasportare dalla vita come un ramo secco dal vento? I Magi non si sono accontentati di vivacchiare, di galleggiare. Hanno intuito che, per vivere davvero, serve una meta alta e perciò bisogna tenere alto lo sguardo.

    Ma, potremmo chiederci ancora, perché, tra quanti alzavano lo sguardo al cielo, tanti altri non hanno seguito quella stella, «la sua stella» (Mt 2,2)? Forse perché non era una stella appariscente, che splendeva più di altre. Era una stella – dice il Vangelo – che i Magi videro appena «spuntare» (vv. 2.9). La stella di Gesù non acceca, non stordisce, ma invita gentilmente. Possiamo chiederci quale stella scegliamo nella vita. Ci sono stelle abbaglianti, che suscitano emozioni forti, ma che non orientano il cammino. Così è per il successo, il denaro, la carriera, gli onori, i piaceri ricercati come scopo dell’esistenza. Sono meteore: brillano per un po’, ma si schiantano presto e il loro bagliore svanisce. Sono stelle cadenti, che depistano anziché orientare. La stella del Signore, invece, non è sempre folgorante, ma sempre presente; è mite; ti prende per mano nella vita, ti accompagna. Non promette ricompense materiali, ma garantisce la pace e dona, come ai Magi, «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Chiede, però, di camminare.

    Camminare, la seconda azione dei Magi, è essenziale per trovare Gesù. La sua stella, infatti, domanda la decisione del cammino, la fatica quotidiana della marcia; chiede di liberarsi da pesi inutili e da fastosità ingombranti, che intralciano, e di accettare gli imprevisti che non compaiono sulla mappa del quieto vivere. Gesù si lascia trovare da chi lo cerca, ma per cercarlo bisogna muoversi, uscire. Non aspettare; rischiare. Non stare fermi; avanzare. È esigente Gesù: a chi lo cerca propone di lasciare le poltrone delle comodità mondane e i tepori rassicuranti dei propri caminetti. Seguire Gesù non è un educato protocollo da rispettare, ma un esodo da vivere. Dio, che liberò il suo popolo attraverso il tragitto dell’esodo e chiamò nuovi popoli a seguire la sua stella, dona la libertà e distribuisce la gioia sempre e solo in cammino. In altre parole, per trovare Gesù bisogna lasciare la paura di mettersi in gioco, l’appagamento di sentirsi arrivati, la pigrizia di non chiedere più nulla alla vita. Occorre rischiare, semplicemente per incontrare un Bambino. Ma ne vale immensamente la pena, perché trovando quel Bambino, scoprendo la sua tenerezza e il suo amore, ritroviamo noi stessi.

    Mettersi in cammino non è facile. Il Vangelo ce lo mostra attraverso i vari personaggi. C’è Erode, turbato dal timore che la nascita di un re minacci il suo potere. Perciò organizza riunioni e manda altri a raccogliere informazioni; ma lui non si muove, sta chiuso nel suo palazzo. Anche «tutta Gerusalemme» (v. 3) ha paura: paura delle novità di Dio. Preferisce che tutto resti come prima – “si è sempre fatto così” – e nessuno ha il coraggio di andare. Più sottile è la tentazione dei sacerdoti e degli scribi. Essi conoscono il luogo esatto e lo segnalano a Erode, citando anche la profezia antica. Sanno, ma non fanno un passo verso Betlemme. Può essere la tentazione di chi è credente da tempo: si disquisisce di fede, come di qualcosa che si sa già, ma non ci si mette in gioco personalmente per il Signore. Si parla, ma non si prega; ci si lamenta, ma non si fa il bene. I Magi, invece, parlano poco e camminano molto. Pur ignari delle verità di fede, sono desiderosi e in cammino, come evidenziano i verbi del Vangelo: «venuti ad adorarlo» (v. 2), «partirono; entrati, si prostrarono; fecero ritorno» (vv. 9.11.12): sempre in movimento.

    Offrire. Arrivati da Gesù, dopo il lungo viaggio, i Magi fanno come Lui: donano. Gesù è lì per offrire la vita, essi offrono i loro beni preziosi: oro, incenso e mirra. Il Vangelo si realizza quando il cammino della vita giunge al dono. Donare gratuitamente, per il Signore, senza aspettarsi qualcosa in cambio: questo è segno certo di aver trovato Gesù, che dice: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Fare il bene senza calcoli, anche se nessuno ce lo chiede, anche se non ci fa guadagnare nulla, anche se non ci fa piacere. Dio questo desidera. Egli, fattosi piccolo per noi, ci chiede di offrire qualcosa per i suoi fratelli più piccoli. Chi sono? Sono proprio quelli che non hanno da ricambiare, come il bisognoso, l’affamato, il forestiero, il carcerato, il povero (cfr Mt 25,31-46). Offrire un dono gradito a Gesù è accudire un malato, dedicare tempo a una persona difficile, aiutare qualcuno che non ci suscita interesse, offrire il perdono a chi ci ha offeso. Sono doni gratuiti, non possono mancare nella vita cristiana. Altrimenti, ci ricorda Gesù, se amiamo quelli che ci amano, facciamo come i pagani (cfr Mt 5,46-47). Guardiamo le nostre mani, spesso vuote di amore, e proviamo oggi a pensare a un dono gratuito, senza contraccambio, che possiamo offrire. Sarà gradito al Signore. E chiediamo a Lui: “Signore, fammi riscoprire la gioia di donare”.

    Cari fratelli e sorelle, facciamo come i Magi: guardare in alto, camminare, e offrire doni gratuiti.

    [00022-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    [B0009-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  7. #7
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    Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 06.01.2018


    Conclusa, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, alle ore 12 il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

    Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

    Prima dell’Angelus

    Cari fratelli e sorelle, buona festa!

    Oggi, festa dell’Epifania del Signore, il Vangelo (cfr Mt 2,1-12) ci presenta tre atteggiamenti con i quali è stata accolta la venuta di Cristo Gesù e la sua manifestazione al mondo. Il primo atteggiamento: ricerca, ricerca premurosa; il secondo: indifferenza; il terzo: paura.

    Ricerca premurosa: I Magi non esitano a mettersi in cammino per cercare il Messia. Giunti a Gerusalemme chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (v. 2). Hanno fatto un lungo viaggio e adesso con grande premura cercano di individuare dove si possa trovare il Re neonato. A Gerusalemme si rivolgono al re Erode, il quale chiede ai sommi sacerdoti e agli scribi di informarsi sul luogo in cui doveva nascere il Messia.

    A questa ricerca premurosa dei Magi, si contrappone il secondo atteggiamento: l’indifferenza dei sommi sacerdoti e degli scribi. Erano molto comodi questi. Essi conoscono le Scritture e sono in grado di dare la risposta giusta sul luogo della nascita: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta» (v. 5); sanno, ma non si scomodano per andare a trovare il Messia. E Betlemme è a pochi chilometri, ma loro non si muovono.

    Ancora più negativo è il terzo atteggiamento, quello di Erode: la paura. Lui ha paura che quel Bambino gli tolga il potere. Chiama i Magi e si fa dire quando era apparsa loro la stella, e li invia a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi […] sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”» (vv. 7-8). In realtà, Erode non voleva andare ad adorare Gesù; Erode vuole sapere dove si trova il bambino non per adorarlo, ma per eliminarlo, perché lo considera un rivale. E guardate bene: la paura porta sempre all’ipocrisia. Gli ipocriti sono così perché hanno paura nel cuore.

    Questi sono i tre atteggiamenti che troviamo nel Vangelo: ricerca premurosa dei Magi, indifferenza dei sommi sacerdoti, degli scribi, di quelli che conoscevano la teologia; e paura, di Erode. E anche noi possiamo pensare e scegliere: quale dei tre assumere? Io voglio andare con premura da Gesù? “Ma a me Gesù non dice nulla… sto tranquillo…”. Oppure ho paura di Gesù e nel mio cuore vorrei farlo fuori?

    L’egoismo può indurre a considerare la venuta di Gesù nella propria vita come una minaccia. Allora si cerca di sopprimere o di far tacere il messaggio di Gesù. Quando si seguono le ambizioni umane, le prospettive più comode, le inclinazioni del male, Gesù viene avvertito come un ostacolo.

    D’altra parte, è sempre presente anche la tentazione dell’indifferenza. Pur sapendo che Gesù è il Salvatore – nostro, di noi tutti –, si preferisce vivere come se non lo fosse: invece di comportarsi in coerenza alla propria fede cristiana, si seguono i principi del mondo, che inducono a soddisfare le inclinazioni alla prepotenza, alla sete di potere, alle ricchezze.

    Siamo invece chiamati a seguire l’esempio dei Magi: essere premurosi nella ricerca, pronti a scomodarci per incontrare Gesù nella nostra vita. Ricercarlo per adorarlo, per riconoscere che Lui è il nostro Signore, Colui che indica la vera via da seguire. Se abbiamo questo atteggiamento, Gesù realmente ci salva, e noi possiamo vivere una vita bella, possiamo crescere nella fede, nella speranza, nella carità verso Dio e verso i nostri fratelli.

    Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, stella dell’umanità pellegrina nel tempo. Con il suo aiuto materno, possa ogni uomo giungere a Cristo, Luce di verità, e il mondo progredire sulla via della giustizia e della pace.

    [00024-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    Dopo Angelus


    Cari fratelli e sorelle,

    alcune Chiese orientali, cattoliche e ortodosse, celebrano in questi giorni il Natale del Signore. Ad esse rivolgo il mio augurio più cordiale: questa gioiosa celebrazione sia fonte di nuovo vigore spirituale e di comunione tra tutti noi cristiani, che lo riconosciamo come Signore e Salvatore. E vorrei esprimere, in modo speciale, la mia vicinanza ai cristiani ortodossi copti, e salutare cordialmente il mio fratello Tawadros II nella gioiosa occasione della consacrazione della nuova Cattedrale al Cairo.

    L’Epifania è anche la Giornata Missionaria dei Ragazzi, che quest’anno invita i ragazzi missionari a fare proprio lo sguardo di Gesù, perché diventi la guida preziosa del loro impegno di preghiera, di fraternità e di condivisione con i coetanei più bisognosi.

    Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti voi, singoli pellegrini, famiglie, gruppi parrocchiali e associazioni, provenienti dall’Italia e da diversi Paesi. In particolare saluto i fedeli di Lavello e quelli di San Martino in Rio, le Suore di San Giuseppe dell’apparizione, i cresimandi di Bonate Sotto e Romano di Lombardia.

    Un saluto speciale al corteo storico-folcloristico che promuove i valori dell’Epifania e che quest’anno è dedicato al territorio dei Monti Prenestini. Desidero ricordare anche il corteo dei Magi che si svolge in numerose città della Polonia con larga partecipazione di famiglie e associazioni.

    A tutti voi auguro una buona festa. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

    [00025-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    [B0010-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  8. #8
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    Santa Messa nella Cappella Sistina con il rito del Battesimo dei Bambini, 07.01.2018


    Alle ore 9.25 di questa mattina, Festa del Battesimo del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto nella Cappella Sistina la Santa Messa nel corso della quale ha amministrato il Sacramento del Battesimo a 34 neonati, 16 bambini e 18 bambine.

    Riportiamo di seguito la trascrizione dell’omelia che il Santo Padre ha pronunciato a braccio dopo la lettura del Santo Vangelo:

    Omelia del Santo Padre

    Cari genitori,

    voi portate al Battesimo i vostri figli, e questo è il primo passo per quel compito che voi avete, il compito della trasmissione della fede.

    Ma noi abbiamo bisogno dello Spirito Santo per trasmettere la fede, da soli non possiamo. Poter trasmettere la fede è una grazia dello Spirito Santo, la possibilità di trasmetterla; ed è per questo che voi portate qui i vostri figli, perché ricevano lo Spirito Santo, ricevano la Trinità – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – che abiterà nei loro cuori.

    Vorrei dirvi una cosa soltanto, che riguarda voi: la trasmissione della fede si può fare soltanto “in dialetto”, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con spiegazioni… Ma non dimenticatevi questo: si fa “in dialetto”, e se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare. Non dimenticatevi. Il vostro compito è trasmettere la fede ma farlo col dialetto dell’amore della vostra casa, della famiglia.

    Anche loro [i bambini] hanno il proprio “dialetto”, che ci fa bene sentire! Adesso tutti stanno zitti, ma è sufficiente che uno dia il tono e poi l’orchestra segue! Il dialetto dei bambini! E Gesù ci consiglia di essere come loro, di parlare come loro. Noi non dobbiamo dimenticare questa lingua dei bambini, che parlano come possono, ma è la lingua che piace tanto a Gesù. E nelle vostre preghiere siate semplici come loro, dite a Gesù quello che viene nel vostro cuore come lo dicono loro. Oggi lo diranno col pianto, sì, come fanno i bambini. Il dialetto dei genitori che è l’amore per trasmettere la fede, e il dialetto dei bambini che va accolto dai genitori per crescere nella fede.

    Continueremo adesso la cerimonia; e se loro incominciano a fare il concerto è perché non sono comodi, o hanno troppo caldo, o non si sentono a loro agio, o hanno fame… Se hanno fame, allattateli, senza paura, date loro da mangiare, perché anche questo è un linguaggio di amore.

    [00026-IT.01] [Testo originale: Italiano]

    [B0011-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

  9. #9
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    Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 07.01.2018


    Conclusa, nella Cappella Sistina, la celebrazione della Santa Messa nella Festa del Battesimo del Signore con il Rito del Battesimo dei Bambini, alle ore 12 il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

    Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

    Prima dell’Angelus

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    L’odierna festa del battesimo del Signore conclude il tempo del Natale e ci invita a pensare al nostro battesimo. Gesù ha voluto ricevere il battesimo predicato e amministrato da Giovanni Battista nel Giordano. Si trattava di un battesimo di penitenza: quanti vi si accostavano esprimevano il desiderio di essere purificati dai peccati e, con l’aiuto di Dio, si impegnavano a iniziare una nuova vita.

    Comprendiamo allora la grande umiltà di Gesù, Colui che non aveva peccato, nel mettersi in fila con i penitenti, mescolato fra loro per essere battezzato nelle acque del fiume. Quanta umiltà ha Gesù! E Così facendo, Egli ha manifestato ciò che abbiamo celebrato nel Natale: la disponibilità di Gesù a immergersi nel fiume dell’umanità, a prendere su di sé le mancanze e le debolezze degli uomini, a condividere il loro desiderio di liberazione e di superamento di tutto ciò che allontana da Dio e rende estranei ai fratelli. Come a Betlemme, anche lungo le rive del Giordano Dio mantiene la promessa di farsi carico della sorte dell’essere umano, e Gesù ne è il Segno tangibile e definitivo. Lui si è fatto carico di tutti noi, si fa carico di tutti noi, nella vita, nei giorni.

    Il Vangelo di oggi sottolinea che Gesù, «uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba» (Mc 1,10). Lo Spirito Santo, che aveva operato fin dall’inizio della creazione e aveva guidato Mosè e il popolo nel deserto, ora scende in pienezza su Gesù per dargli la forza di compiere la sua missione nel mondo. È lo Spirito l’artefice del battesimo di Gesù e anche del nostro battesimo. Lui ci apre gli occhi del cuore alla verità, a tutta la verità. Spinge la nostra vita sul sentiero della carità. Lui è il dono che il Padre ha fatto a ciascuno di noi nel giorno del nostro battesimo. Lui, lo Spirito, ci trasmette la tenerezza del perdono divino. Ed è ancora Lui, lo Spirito Santo, che fa risuonare la Parola rivelatrice del Padre: «Tu sei il mio Figlio» (v. 11).

    La festa del battesimo di Gesù invita ogni cristiano a fare memoria del proprio battesimo. Io non posso farvi la domanda se voi ricordare il giorno del vostro battesimo, perché la maggioranza di voi eravate bambini, come me; da bambini siamo stati battezzati. Ma vi faccio un’altra domanda: voi sapete la data del vostro battesimo? Conoscete in quale giorno siete stati battezzati? Ognuno ci pensi. E se non conoscete la data o l’avete dimenticata, tornando a casa, chiedete alla mamma, alla nonna, allo zio, alla zia, al nonno, al padrino, alla madrina: quale data? E quella data dobbiamo sempre averla nella memoria, perché è una data di festa, è la data della nostra santificazione iniziale, è la data nel quale il Padre ci ha dato lo Spirito Santo che ci spinge a camminare, è la data del grande perdono. Non dimenticatevi: quale è la mia data del battesimo?

    Invochiamo la materna protezione di Maria Santissima, perché tutti i cristiani possano comprendere sempre più il dono del Battesimo e si impegnino a viverlo con coerenza, testimoniando l’amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

    [00027-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    Dopo Angelus

    Cari fratelli e sorelle,

    saluto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini dall’Italia e da diversi Paesi. Saluto in particolare i fedeli provenienti dalla Corea del Sud e quelli di Biella.

    Anche quest’anno, nell’odierna festa del Battesimo di Gesù, ho avuto la gioia di battezzare alcuni bambini, 34. Su di loro, e su tutti i bambini che sono stati battezzati recentemente, invoco la materna protezione della Madre di Dio, perché, aiutati dall’esempio dei loro genitori, dei padrini e delle madrine, crescano come discepoli del Signore.

    A tutti auguro una buona domenica e un buon cammino nell’anno da poco iniziato, grazie alla luce che ci ha donato Gesù nel suo Natale.

    Non dimenticatevi il compito a casa: qual è la data del mio battesimo? In quale giorno sono stato battezzato o battezzata? Capito?

    E Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

    [00028-IT.02] [Testo originale: Italiano]

    [B0012-XX.02]


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

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    Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 08.01.2018


    Alle ore 10.30 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

    Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira, Ambasciatore in Angola, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

    Discorso del Santo Padre

    Eccellenze, Signore e Signori,

    è una bella consuetudine questo incontro che, custodendo ancora viva nel cuore la gioia che promana dal Natale, mi dà l’occasione di formularvi personalmente gli auguri per l’anno da poco iniziato e di manifestare la mia vicinanza e il mio affetto ai popoli che rappresentate. Ringrazio il Decano del Corpo Diplomatico, Sua Eccellenza il Signor Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira, Ambasciatore di Angola, per le deferenti parole che mi ha poc’anzi indirizzato a nome dell’intero Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Un particolare benvenuto rivolgo agli Ambasciatori giunti da fuori Roma per l’occasione, il cui numero si è accresciuto in seguito all’allacciamento delle relazioni diplomatiche con la Repubblica dell’Unione del Myanmar avvenuto nel maggio scorso. Parimenti saluto i sempre più numerosi Ambasciatori residenti a Roma, nel cui novero vi è ora anche l'Ambasciatore della Repubblica del Sudafrica, mentre un pensiero particolare vorrei dedicare al compianto Ambasciatore della Colombia, Guillermo León Escobar-Herrán, deceduto pochi giorni prima di Natale. Vi ringrazio per le proficue e costanti relazioni che intrattenete con la Segreteria di Stato e con gli altri Dicasteri della Curia Romana, a testimonianza dell’interesse della Comunità internazionale per la missione della Santa Sede e per l’impegno della Chiesa Cattolica nei vostri rispettivi Paesi. In tale prospettiva si colloca pure l’attività pattizia della Santa Sede, che lo scorso anno ha visto la firma, nel mese di febbraio, dell’Accordo Quadro con la Repubblica del Congo e, nel mese di agosto, dell’Accordo tra la Segreteria di Stato e il Governo della Federazione Russa sui viaggi senza visto dei titolari di passaporti diplomatici.

    Nel rapporto con le Autorità civili, la Santa Sede non mira ad altro che a favorire il benessere spirituale e materiale della persona umana e la promozione del bene comune. I viaggi apostolici che ho compiuto nel corso dell’anno passato in Egitto, Portogallo, Colombia, Myanmar e Bangladesh sono stati espressione di tale sollecitudine. In Portogallo mi sono recato pellegrino, nel centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima, per celebrare la canonizzazione dei pastorelli Giacinta e Francisco Marto. Lì ho potuto constatare la fede piena di entusiasmo e di gioia che la Vergine Maria ha suscitato nei molti pellegrini convenuti per l’occasione. Anche in Egitto, Myanmar e Bangladesh ho potuto incontrare le comunità cristiane locali che, sebbene numericamente esigue, sono apprezzate per il contributo che offrono allo sviluppo e alla convivenza civile dei rispettivi Paesi. Non sono mancati gli incontri con i rappresentanti di altre religioni, a testimonianza di come le peculiarità di ciascuna non siano un ostacolo al dialogo, bensì la linfa che lo alimenta nel comune desiderio di conoscere la verità e praticare la giustizia. Infine, in Colombia ho voluto benedire gli sforzi e il coraggio di quell’amato popolo, segnato da un vivo desiderio di pace dopo oltre mezzo secolo di conflitto interno.

    Cari Ambasciatori,

    nel corso di quest’anno ricorre il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale: un conflitto che ridisegnò il volto dell’Europa e del mondo intero, con l’emergere di nuovi Stati che presero il posto degli antichi Imperi. Dalle ceneri della Grande Guerra si possono ricavare due moniti, che purtroppo l’umanità non seppe comprendere immediatamente, giungendo nell’arco di un ventennio a combattere un nuovo conflitto ancor più devastante del precedente. Il primo monito è che vincere non significa mai umiliare l’avversario sconfitto. La pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore sul vinto. Non è la legge del timore che dissuade da future aggressioni, bensì la forza della ragionevolezza mite che sprona al dialogo e alla reciproca comprensione per sanare le differenze[1]. Da ciò deriva il secondo monito: la pace si consolida quando le Nazioni possono confrontarsi in un clima di parità. Lo intuì un secolo fa – proprio in questa data – l’allora Presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, allorché propose l’istituzione di una associazione generale delle Nazioni intesa a promuovere per tutti gli Stati, grandi e piccoli indistintamente, mutue garanzie d’indipendenza e di integrità territoriale. Si gettarono così idealmente le basi di quella diplomazia multilaterale, che è andata acquisendo nel corso degli anni un ruolo e un’influenza crescente in seno all’intera Comunità internazionale.

    Anche i rapporti fra le Nazioni, come i rapporti umani, «vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà»[2]. Ciò comporta «il principio che tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di natura»[3], come pure il riconoscimento dei vicendevoli diritti, unitamente all’adempimento dei rispettivi doveri[4]. Premessa fondamentale di tale atteggiamento è l’affermazione della dignità di ogni persona umana, il cui disprezzo e disconoscimento portano ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità[5]. D’altra parte, «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo»[6], come afferma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

    A tale importante documento, a settant’anni dalla sua adozione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, avvenuta il 10 dicembre 1948, vorrei dedicare il nostro incontro odierno. Per la Santa Sede, infatti, parlare di diritti umani significa anzitutto riproporre la centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza. Lo stesso Signore Gesù, guarendo il lebbroso, ridonando la vista al cieco, intrattenendosi con il pubblicano, risparmiando la vita dell’adultera e invitando a curare il viandante ferito, ha fatto comprendere come ciascun essere umano, indipendentemente dalla sua condizione fisica, spirituale o sociale, sia meritevole di rispetto e considerazione. Da una prospettiva cristiana vi è dunque una significativa relazione fra il messaggio evangelico e il riconoscimento dei diritti umani, nello spirito degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

    Tali diritti traggono il loro presupposto dalla natura che oggettivamente accomuna il genere umano. Essi sono stati enunciati per rimuovere i muri di separazione che dividono la famiglia umana e favorire quello che la dottrina sociale della Chiesa chiama sviluppo umano integrale, poiché riguarda la «promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo […] fino a comprendere l’umanità intera»[7]. Una visione riduttiva della persona umana apre invece la strada alla diffusione dell’ingiustizia, dell’ineguaglianza sociale e della corruzione.

    Occorre tuttavia constatare che, nel corso degli anni, soprattutto in seguito ai sommovimenti sociali del “Sessantotto”, l’interpretazione di alcuni diritti è andata progressivamente modificandosi, così da includere una molteplicità di “nuovi diritti”, non di rado in contrapposizione tra loro. Ciò non ha sempre favorito la promozione di rapporti amichevoli tra le Nazioni[8], poiché si sono affermate nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socio-culturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare. Vi può essere quindi il rischio – per certi versi paradossale – che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli. In pari tempo, è bene tenere presente che le tradizioni dei singoli popoli non possono essere invocate come un pretesto per tralasciare il doveroso rispetto dei diritti fondamentali enunciati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

    A settant’anni di distanza, duole rilevare come molti diritti fondamentali siano ancor oggi violati. Primo fra tutti quello alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana[9]. Non sono solo la guerra o la violenza che li ledono. Nel nostro tempo ci sono forme più sottili: penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere; non voluti talvolta solo perché malati o malformati o per l’egoismo degli adulti. Penso agli anziani, anch’essi tante volte scartati, soprattutto se malati, perché ritenuti un peso. Penso alle donne, che spesso subiscono violenze e sopraffazioni anche in seno alle proprie famiglie. Penso poi a quanti sono vittime della tratta delle persone che viola la proibizione di ogni forma di schiavitù. Quante persone, specialmente in fuga dalla povertà e dalla guerra, sono fatte oggetto di tale mercimonio perpetrato da soggetti senza scrupoli?

    Difendere il diritto alla vita e all’integrità fisica, significa poi tutelare il diritto alla salute della persona e dei suoi familiari. Oggi tale diritto ha assunto implicazioni che superano gli intendimenti originari della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la quale mirava ad affermare il diritto di ciascuno ad avere le cure mediche e i servizi sociali necessari[10]. In tale prospettiva, auspico che, nei fori internazionali competenti, ci si adoperi per favorire anzitutto un facile accesso per tutti alle cure e ai trattamenti sanitari. È importante unire gli sforzi affinché si possano adottare politiche in grado di garantire, a prezzi accessibili, la fornitura di medicinali essenziali per la sopravvivenza delle persone indigenti, senza tralasciare la ricerca e lo sviluppo di trattamenti che, sebbene non siano economicamente rilevanti per il mercato, sono determinanti per salvare vite umane.

    Difendere il diritto alla vita implica pure adoperarsi attivamente per la pace, universalmente riconosciuta come uno dei valori più alti da ricercare e difendere. Eppure gravi conflitti locali continuano ad infiammare varie Regioni della terra. Gli sforzi collettivi della Comunità internazionale, l’azione umanitaria delle organizzazioni internazionali e le incessanti implorazioni di pace che si innalzano dalle terre insanguinate dai combattimenti sembrano essere sempre meno efficaci di fronte alla logica aberrante della guerra. Tale scenario non può far diminuire il nostro desiderio e il nostro impegno per la pace, consapevoli che senza di essa lo sviluppo integrale dell’uomo diventa irraggiungibile.

    Il disarmo integrale e lo sviluppo integrale sono strettamente correlati fra loro. D’altra parte, la ricerca della pace come precondizione per lo sviluppo implica combattere l’ingiustizia e sradicare, in modo non violento, le cause della discordia che portano alle guerre. La proliferazione di armi aggrava chiaramente le situazioni di conflitto e comporta enormi costi umani e materiali che minano lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura. Il risultato storico raggiunto lo scorso anno con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, al termine della Conferenza delle Nazioni Unite finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante per proibire le armi nucleari, mostra come il desiderio di pace sia sempre vivo. La promozione della cultura della pace per uno sviluppo integrale richiede sforzi perseveranti verso il disarmo e la riduzione del ricorso alla forza armata nella gestione degli affari internazionali. Desidero pertanto incoraggiare un dibattito sereno e il più ampio possibile sul tema, che eviti polarizzazioni della Comunità internazionale su una questione così delicata. Ogni sforzo in tale direzione, per quanto modesto, rappresenta un risultato importante per l’umanità.

    Da parte sua la Santa Sede ha firmato e ratificato, anche a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, il Trattato sulla proibizioni delle armi nucleari, nella prospettiva formulata da San Giovanni XXIII nella Pacem in terris, secondo la quale «giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari»[11]. Infatti, anche «se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico»[12].

    La Santa Sede ribadisce dunque la ferma «persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato»[13]. D’altra parte, proprio la continua produzione di armi sempre più avanzate e “perfezionate” e il protrarsi di numerosi focolai di conflitto – di quella che più volte ho chiamato “terza guerra mondiale a pezzi” – non può che farci ripetere con forza le parole del mio santo Predecessore: «Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia. […] È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni»[14].

    In tale prospettiva, è di primaria importanza che si possa sostenere ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana, al fine di trovare nuove strade per superare le attuali contrapposizioni, accrescere la fiducia reciproca e assicurare un futuro di pace al popolo coreano e al mondo intero.

    Parimenti è importante che possano proseguire, in un clima propositivo di accresciuta fiducia tra le parti, le varie iniziative di pace in corso in favore della Siria, perché si possa finalmente mettere fine al lungo conflitto che ha coinvolto il Paese e causato immani sofferenze. Il comune auspicio è che, dopo tanta distruzione, sia giunto il tempo di ricostruire. Ma più ancora che costruire edifici, è necessario ricostruire i cuori, ritessere la tela della fiducia reciproca, premessa imprescindibile per il fiorire di qualunque società. Occorre dunque adoperarsi per favorire le condizioni giuridiche, politiche e di sicurezza, per una ripresa della vita sociale, dove ciascun cittadino, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, possa partecipare allo sviluppo del Paese. In tal senso è vitale che siano tutelate le minoranze religiose, tra le quali vi sono i cristiani, che da secoli contribuiscono attivamente alla storia della Siria.

    È altrettanto importante che possano far ritorno in patria i numerosi profughi che hanno trovato accoglienza e rifugio nelle Nazioni limitrofe, specialmente in Giordania, in Libano e in Turchia. L’impegno e lo sforzo compiuto da questi Paesi in tale difficile circostanza merita l’apprezzamento e il sostegno di tutta la Comunità internazionale, la quale nel contempo è chiamata ad adoperarsi a creare le condizioni per il rimpatrio dei rifugiati provenienti dalla Siria. È un impegno che essa deve concretamente assumersi a cominciare dal Libano, affinché quell’amato Paese continui ad essere un “messaggio” di rispetto e convivenza e un modello da imitare per tutta la Regione e per il mondo intero.

    La volontà di dialogo è necessaria anche nell’amato Iraq, perché le varie componenti etniche e religiose possano ritrovare la strada della riconciliazione e della pacifica convivenza e collaborazione, come pure nello Yemen e in altre parti della Regione, nonché in Afghanistan.

    Un pensiero particolare rivolgo a Israeliani e Palestinesi, in seguito alle tensioni delle ultime settimane. La Santa Sede, nell’esprimere dolore per quanti hanno perso la vita nei recenti scontri, rinnova il suo pressante appello a ponderare ogni iniziativa affinché si eviti di esacerbare le contrapposizioni, e invita ad un comune impegno a rispettare, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite, lo status quo di Gerusalemme, città sacra a cristiani, ebrei e musulmani. Settant’anni di scontri rendono quanto mai urgente trovare una soluzione politica che consenta la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti. Pur tra le difficoltà, la volontà di dialogare e di riprendere i negoziati rimane la strada maestra per giungere finalmente ad una coesistenza pacifica dei due popoli.

    Anche all’interno di contesti nazionali, l’apertura e la disponibilità all’incontro sono essenziali. Penso specialmente al caro Venezuela, che sta attraversando una crisi politica ed umanitaria sempre più drammatica e senza precedenti. La Santa Sede, mentre esorta a rispondere senza indugio alle necessità primarie della popolazione, auspica che si creino le condizioni affinché le elezioni previste per l’anno in corso siano in grado di avviare a soluzione i conflitti esistenti, e si possa guardare con ritrovata serenità al futuro.

    La Comunità internazionale non dimentichi neppure le sofferenze di tante parti del Continente africano, specialmente in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Nigeria e nella Repubblica Centroafricana, dove il diritto alla vita è minacciato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse, dal terrorismo, dal proliferare di gruppi armati e da perduranti conflitti. Non basta indignarsi dinanzi a tanta violenza. Occorre piuttosto che ciascuno nel proprio ambito si adoperi attivamente per rimuovere le cause della miseria e costruire ponti di fraternità, premessa fondamentale per un autentico sviluppo umano.

    Un impegno comune a ricostruire i ponti è urgente pure in Ucraina. L’anno appena conclusosi ha mietuto nuove vittime nel conflitto che affligge il Paese, continuando a recare grandi sofferenze alla popolazione, in particolare alle famiglie che risiedono nelle zone interessate dalla guerra e che hanno perso i loro cari, non di rado anziani e bambini.

    Proprio alla famiglia vorrei dedicare un pensiero speciale. Il diritto a formare una famiglia, quale «nucleo naturale e fondamentale della società [che] ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato»[15], è infatti riconosciuto dalla stessa Dichiarazione del 1948. Purtroppo è noto come, specialmente in Occidente, la famiglia sia ritenuta un istituto superato. Alla stabilità di un progetto definitivo, si preferiscono oggi legami fugaci. Ma non sta in piedi una casa costruita sulla sabbia di rapporti fragili e volubili. Occorre piuttosto la roccia, sulla quale ancorare fondamenta solide. E la roccia è proprio quella comunione di amore, fedele e indissolubile, che unisce l’uomo e la donna, una comunione che ha una bellezza austera e semplice, un carattere sacro e inviolabile e una funzione naturale nell’ordine sociale[16]. Ritengo pertanto urgente che si intraprendano reali politiche a sostegno delle famiglia, dalla quale peraltro dipende l’avvenire e lo sviluppo degli Stati. Senza di essa non si possono infatti costruire società in grado di affrontare le sfide del futuro. Il disinteresse per le famiglie porta poi con sé un’altra conseguenza drammatica – e particolarmente attuale in alcune Regioni – che è il calo della natalità. Si vive un vero inverno demografico! Esso è il segno di società che faticano ad affrontare le sfide del presente e che divengono dunque sempre più timorose dell’avvenire, finendo per chiudersi in se stesse.

    In pari tempo, non si può dimenticare la situazione di famiglie spezzate a causa della povertà, delle guerre e delle migrazioni. Abbiamo fin troppo spesso dinanzi ai nostri occhi il dramma di bambini che da soli varcano i confini che separano il sud dal nord del mondo, sovente vittime del traffico di esseri umani.

    Oggi si parla molto di migranti e migrazioni, talvolta solo per suscitare paure ancestrali. Non bisogna dimenticare che le migrazioni sono sempre esistite. Nella tradizione giudeo-cristiana, la storia della salvezza è essenzialmente storia di migrazioni. Né bisogna dimenticare che la libertà di movimento, come quella di lasciare il proprio Paese e di farvi ritorno appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo[17]. Occorre dunque uscire da una diffusa retorica sull’argomento e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono innanzitutto persone.

    È quanto ho inteso ribadire con il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, celebratasi il 1° gennaio scorso, dedicato a “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”. Pur riconoscendo che non sempre tutti sono animati dalle migliori intenzioni, non si può dimenticare che la maggior parte dei migranti preferirebbe stare nella propria terra, mentre si trova costretta a lasciarla «a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale. […] Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate. Praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, “nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento” (Pacem in terris, 57). Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare (cfr Lc 14, 28-30)»[18].

    Desidero nuovamente ringraziare le Autorità di quegli Stati che si sono prodigati in questi anni per fornire assistenza ai numerosi migranti giunti ai loro confini. Penso anzitutto all’impegno di non pochi Paesi in Asia, in Africa e nelle Americhe, che accolgono e assistono numerose persone. Conservo ancora vivo nel cuore l’incontro che ho avuto a Dacca con alcuni appartenenti al popolo Rohingya e desidero rinnovare i sentimenti di gratitudine alle autorità del Bangladesh per l’assistenza che prestano loro sul proprio territorio.

    Desidero poi esprimere particolare gratitudine all’Italia che in questi anni ha mostrato un cuore aperto e generoso e ha saputo offrire anche dei positivi esempi di integrazione. Il mio auspicio è che le difficoltà che il Paese ha attraversato in questi anni, le cui conseguenze permangono, non portino a chiusure e preclusioni, ma anzi ad una riscoperta di quelle radici e tradizioni che hanno nutrito la ricca storia della Nazione e che costituiscono un inestimabile tesoro da offrire al mondo intero. Parimenti, esprimo apprezzamento per gli sforzi compiuti da altri Stati europei, particolarmente la Grecia e la Germania. Non bisogna dimenticare che numerosi rifugiati e migranti cercano di raggiungere l’Europa perché sanno di potervi trovare pace e sicurezza, che sono peraltro il frutto di un lungo cammino nato dagli ideali dei Padri fondatori del progetto europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’Europa deve essere fiera di questo suo patrimonio, basato su certi principi e su una visione dell’uomo che affonda le basi sulla sua storia millenaria, ispirata dalla concezione cristiana della persona umana. L’arrivo dei migranti deve spronarla a riscoprire il proprio patrimonio culturale e religioso, così che, riprendendo coscienza dei valori sui quali si è edificata, possa allo stesso tempo mantenere viva la propria tradizione e continuare ad essere un luogo accogliente, foriero di pace e di sviluppo.

    Nell’anno passato i governi, le organizzazioni internazionali e la società civile si sono interpellati reciprocamente sui principi di base, sulle priorità e sulle modalità più opportune per rispondere ai movimenti migratori ed alle situazioni protratte che riguardano i rifugiati. Le Nazioni Unite, a seguito della Dichiarazione di New York per i Rifugiati e i Migranti del 2016, hanno avviato importanti processi di preparazione in vista dell’adozione di due Patti Mondiali (Global Compacts), rispettivamente, sui rifugiati e per una migrazione sicura, ordinata e regolare.

    La Santa Sede auspica che tali sforzi, con i negoziati che si apriranno a breve, portino risultati degni di una comunità mondiale sempre più interdipendente, fondata sui principi di solidarietà e di mutuo aiuto. Nell’attuale contesto internazionale non mancano le possibilità e i mezzi per assicurare ad ogni uomo e ogni donna che vive sulla Terra condizioni di vita degne della persona umana.

    Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, ho suggerito quattro “pietre miliari” per l’azione: accogliere, proteggere, promuovere e integrare[19]. Vorrei soffermarmi in particolare su quest’ultima, sulla quale si confrontano posizioni diverse alla luce di altrettante valutazioni, esperienze, preoccupazioni e convincimenti. L’integrazione è “un processo bidirezionale”, con diritti e doveri reciproci. Chi accoglie è infatti chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso. Ogni processo di integrazione deve mantenere sempre la tutela e la promozione delle persone, specialmente di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità, al centro delle norme che riguardano i vari aspetti della vita politica e sociale.

    La Santa Sede non intende interferire nelle decisioni che spettano agli Stati, i quali, alla luce delle rispettive situazioni politiche, sociali ed economiche, nonché delle proprie capacità e possibilità di ricezione e di integrazione, hanno la prima responsabilità dell’accoglienza. Tuttavia, essa ritiene di dover svolgere un ruolo di “richiamo” dei principi di umanità e di fraternità, che fondano ogni società coesa ed armonica. In tale prospettiva, è importante non dimenticare l’interazione con le comunità religiose, sia istituzionali che a livello associativo, le quali possono svolgere un ruolo prezioso di rinforzo nell’assistenza e nella protezione, di mediazione sociale e culturale, di pacificazione e di integrazione.

    Tra i diritti umani che vorrei richiamare quest’oggi vi è anche il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, che include la libertà di cambiare religione[20]. Purtroppo è noto come il diritto alla libertà di religione sia sovente disatteso e non di rado la religione divenga o l’occasione per giustificare ideologicamente nuove forme di estremismo o un pretesto per l’emarginazione sociale, se non addirittura per forme di persecuzione dei credenti. La costruzione di società inclusive esige come sua condizione una comprensione integrale della persona umana, che può sentirsi davvero accolta quando è riconosciuta e accettata in tutte le dimensioni che costituiscono la sua identità, compresa quella religiosa.

    Infine, desidero richiamare l’importanza del diritto al lavoro. Non vi è pace né sviluppo se l’uomo è privato della possibilità di contribuire personalmente tramite la propria opera all’edificazione del bene comune. Rincresce constatare invece come il lavoro sia in molte parti del mondo un bene scarsamente disponibile. Poche sono talvolta le opportunità, specialmente per i giovani, di trovare lavoro. Spesso è facile perderlo non solo a causa delle conseguenze dell’alternarsi dei cicli economici, ma anche per il progressivo ricorso a tecnologie e macchinari sempre più perfetti e precisi in grado di sostituire l’uomo. E se da un lato si constata un’iniqua distribuzione delle opportunità di lavoro, dall’altro si rileva la tendenza a pretendere da chi lavora ritmi sempre più pressanti. Le esigenze del profitto, dettate della globalizzazione, hanno portato ad una progressiva riduzione dei tempi e dei giorni di riposo, con il risultato che si è persa una dimensione fondamentale della vita – quella del riposo – che serve a rigenerare la persona non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Dio stesso si è riposato il settimo giorno: lo benedisse e lo consacrò, «perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando» (Gen 2,3). Nell’alternarsi di fatica e riposo, l’uomo partecipa alla “santificazione del tempo” operata da Dio e nobilita il proprio lavoro, sottraendolo alle ripetitive dinamiche di una quotidianità arida che non conosce sosta.

    Sono poi motivo di particolare preoccupazione i dati pubblicati recentemente dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro circa l’incremento del numero dei bambini impiegati in attività lavorative e delle vittime delle nuove forme di schiavitù. La piaga del lavoro minorile continua a compromettere seriamente lo sviluppo psico-fisico dei fanciulli, privandoli delle gioie dell’infanzia, mietendo vittime innocenti. Non si può pensare di progettare un futuro migliore, né auspicare di costruire società più inclusive, se si continuano a mantenere modelli economici orientati al mero profitto e allo sfruttamento dei più deboli, come i bambini. Eliminare le cause strutturali di tale piaga dovrebbe essere una priorità di governi e organizzazioni internazionali, chiamati ad intensificare gli sforzi per adottare strategie integrate e politiche coordinate finalizzate a far cessare il lavoro minorile in tutte le sue forme.

    Eccellenze, Signore e Signori,

    nel richiamare alcuni dei diritti contenuti nella Dichiarazione Universale del 1948, non intendo tralasciare un aspetto strettamente connesso ad essa: ogni individuo ha pure dei doveri verso la comunità, volti a «soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica»[21]. Il giusto richiamo ai diritti di ogni essere umano, deve tener conto che ciascuno è parte di un corpo più grande. Anche le nostre società, come ogni corpo umano, godono di buona salute se ciascun membro compie la propria opera, nella consapevolezza che essa è al servizio del bene comune.

    Tra i doveri particolarmente impellenti vi è oggi quello di prendersi cura della nostra Terra. Sappiamo che la natura può essere di per sé cruenta anche quando ciò non è responsabilità dell’uomo. L’abbiamo visto in quest'ultimo anno con i terremoti che hanno colpito diverse parti della terra, particolarmente negli ultimi mesi in Messico e in Iran mietendo numerose vittime, come pure con la forza degli uragani che hanno interessato diversi Paesi caraibici fino a giungere sulle coste statunitensi e che, più recentemente, hanno investito le Filippine. Tuttavia, non bisogna dimenticare che c’è anche una precipua responsabilità dell’uomo nell'interazione con la natura. I cambiamenti climatici, con l’innalzamento globale delle temperature e gli effetti devastanti che esse comportano, sono anche conseguenza dell’azione dell’uomo. Occorre dunque affrontare, in uno sforzo congiunto, la responsabilità di lasciare alle generazioni che seguiranno una Terra più bella e vivibile, adoperandosi, alla luce degli impegni concordati a Parigi nel 2015, per ridurre le emissioni di gas nocivi all’atmosfera e dannosi per la salute umana.

    Lo spirito che deve animare i singoli e le Nazioni in quest’opera è assimilabile a quello dei costruttori delle cattedrali medievali che costellano l’Europa. Tali imponenti edifici raccontano l’importanza della partecipazione di ciascuno ad un’opera capace di travalicare i confini del tempo. Il costruttore di cattedrali sapeva che non avrebbe visto il compimento del proprio lavoro. Nondimeno si è adoperato attivamente, comprendendo di essere parte di un progetto, di cui avrebbero goduto i suoi figli, i quali – a loro volta – lo avrebbero abbellito ed ampliato per i loro figli. Ciascun uomo e donna di questo mondo – e particolarmente chi ha responsabilità di governo – è chiamato a coltivare lo stesso spirito di servizio e di solidarietà intergenerazionale, ed essere così un segno di speranza per il nostro travagliato mondo.

    Con queste considerazioni rinnovo a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e ai vostri popoli l’augurio di un anno ricco di gioia, di speranza e di pace. Grazie.

    _______________

    [1] Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 67.

    [2] Ibid., 47.

    [3] Ibid., 49.

    [4] Cfr ibid., 51.

    [5] Cfr Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (10 dicembre 1948).

    [6]
    Ibid., Preambolo.

    [7] Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 14.

    [8] Cfr Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, Preambolo.

    [9] Cfr ibid, art. 3.

    [10] Cfr ibid., art. 25.

    [11] N. 60.

    [12] Ibid.

    [13] Ibid, 67.

    [14] Ibid.

    [15] Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 16.

    [16] Cfr Paolo VI, Discorso in occasione della visita alla Basilica dell’Annunciazione, Nazareth, 5 gennaio 1964.

    [17] Cfr Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 13.

    [18] Messaggio per la LI Giornata Mondiale della Pace (13 novembre 2017), 1.

    [19] Ibid., 4.

    [20] Cfr Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 18.

    [21] Art. 29.

    [00023-IT.01] [Testo originale: Italiano]

    (...)


    fonte: Sala Stampa della Santa Sede

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