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Discussione: Proposte per una nuova riforma dell'Ordo Missæ e del Calendario Romano

  1. #321
    Card. Richelieu
    visitatore
    Citazione Originariamente Scritto da fabivs Visualizza Messaggio
    si ma se mai nessuno avesse fatto queste leggi...il messale non ci sarebbe proprio

    Guarda nella mia biblioteca ho interi volumi con tantissime proposte e discussioni circa tutti i Libri Liturgici e non mi è nuova l'idea di Anacleto. Meglio lasciare a chi ha il compito di proporre tale discussioni e al Papa (unico legislatore) il compito di emanare.

  2. #322
    Partecipante a CR
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    Citazione Originariamente Scritto da Card. Richelieu Visualizza Messaggio
    Guarda nella mia biblioteca ho interi volumi con tantissime proposte e discussioni circa tutti i Libri Liturgici e non mi è nuova l'idea di Anacleto. Meglio lasciare a chi ha il compito di proporre tale discussioni e al Papa (unico legislatore) il compito di emanare.
    ma noi non siamo i consultori del papa! discutiamo insieme per condividere i nostri pensieri, e cercare di comprendere meglio la liturgia attuale...aiutati da chi è un poco più esperto....


  3. #323
    CierRino L'avatar di anacleto
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    Citazione Originariamente Scritto da Card. Richelieu Visualizza Messaggio
    Non condivido e se quando fu redatto il Messale (fonte di tantissime discussioni tra esperti in campo liturgico - dottrinale a livello internazionale) non fu presa in considerazione tale proposta un motivo ci sarà. [...]
    Senz'altro un motivo ci sarà -- se fosse il contrario sarebbe davvero grave. Non è detto, comunque, che sia stato del tutto valido, né che lo sia ancora -- Semper reformanda la liturgia. Il caso in questione, poi, non compromette certo la solidità della fede, per cui...

    Citazione Originariamente Scritto da Card. Richelieu Visualizza Messaggio
    Spesso pensiamo a innovazioni che in passato sono già state discusse ma scartate.
    La questione di cui trattiamo non può certo vantare un dibattito secolare: la memoria del Battesimo del Signore in una celebrazione distinta da quella dell'Epifania, a quanto mi risulta, è del tutto recente (se non erro introdotta nel messale del '62).
    A ciò si aggiunga che sino all'introduzione della Commemoratio Baptismatis Domini, il giorno 13 gennaio si celebrava l'Octava Epiphaniae Domini e ogni giorno, dal 6 al 13 gennaio compresi, si dicevano prefazio e communicantes dell'Epifania. In questo senso è ovvio che la mia proposta sia "già sentita".
    Ultima modifica di anacleto; 15-01-2009 alle 11:48
    CANTABO DOMINO IN VITA MEA

  4. #324
    Vecchia guardia di CR L'avatar di Pax et bonum
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    Scusa Card. Richelieu, ma ti ha obbligato qualcunoa leggere la discussione e intervenire?

  5. #325
    Partecipante a CR
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    Citazione Originariamente Scritto da Pax et bonum Visualizza Messaggio
    Scusa Card. Richelieu, ma ti ha obbligato qualcunoa leggere la discussione e intervenire?
    non cominciamo con l'acidità

    comunque ciò che voleva dire l'ha chiarito in privato...e non c'è alcun problema

  6. #326
    CierRino L'avatar di anacleto
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    Questa è una discussione cui i Signori () Moderatori tengono molto, in ispecie laddove ha fatto emergere tante buone cose da molti forumisti.

    Preferirei che si evitassero polemiche e acidità varie e messaggi di una riga.
    Mi sembra, comunque, opportuno, visto che la discussione è pubblica, che ciascuno sia sempre il più chiaro possibile e che eventuali necessitati chiarimenti siano fatti pubblicamente. Grazie a tutti.
    CANTABO DOMINO IN VITA MEA

  7. #327
    utente cancellato
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    La riforma liturgica del Concilio Vaticano II non è conclusa

    Intervista a un Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice


    La liturgia è chiaramente uno degli ambiti che sta più a cuore a Papa Benedetto XVI il quale, oltre a celebrare esemplarmente la liturgia, ha emanato il Motu Proprio Summorum Pontificum, che ha reinserito a pieno titolo la liturgia tradizionale nell'uso della Chiesa.
    Il tema liturgico suscita anche un vivo dibattito tra gli studiosi, come testimoniano le diverse prese di posizione su un recente volume di Nicola Bux.

    ZENIT ha parlato con don Mauro Gagliardi, Ordinario di Teologia presso l'Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma e Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

    L'ultimo volume di don Nicola Bux sulla riforma liturgica di Benedetto XVI sta conoscendo un buon successo presso i lettori, ma sta anche suscitando un certo dibattito tra gli specialisti. Prof. Gagliardi, potrebbe darci qualche linea di interpretazione di questo volume?

    Gagliardi: In una mia breve presentazione dell'ultimo libro di Nicola Bux, La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione, Piemme, Casale Monferrato 2008 (cf. Sacrum Ministerium 14 [2008/2], pp. 144-145), esordivo scrivendo: «Il Concilio Vaticano II ha dato l'avvio ad una riforma della liturgia che ha conosciuto diverse fasi e che è ancora in corso. Va interpretato in quest'ottica il bel titolo dell'ultimo libro di don Nicola Bux». Con queste parole notavo implicitamente la sintonia da me avvertita tra lo spirito espresso dal volume del noto studioso pugliese e quanto io stesso avevo sostenuto un anno prima nel mio libro dal titolo Introduzione al Mistero eucaristico. Dottrina – liturgia – devozione, San Clemente, Roma 2007, in cui avevo affermato che la riforma liturgica, avviata con il Concilio Vaticano II (ma in realtà già prima), non sia affatto conclusa, bensì ancora «in fieri». Perciò, in modi e misure diverse, tutti i papi postconciliari vi hanno apportato il proprio contributo: da Paolo VI a Benedetto XVI.

    Naturalmente simile riforma, essendo un lavoro lungo e laborioso – non si dimentichi che essa è cominciata da soli quarant'anni! – comporta un'enorme fatica e soprattutto un'enorme pazienza, come pure la consapevolezza di dover essere sempre vigilanti sulla sua corretta applicazione, ma anche l'umiltà di saper rivedere degli aspetti – persino se universalmente autorizzati, o addirittura promossi dalla vigente normativa – se questi aspetti dovessero essere problematici, o anche solo migliorabili. D'altro canto, chi oggi ritiene che il rito di Paolo VI abbia migliorato quello di San Pio V non afferma anche, più o meno direttamente, che la normativa precedentemente stabilita e vigente doveva essere migliorata? E perché, allora, la normativa che riguarda il Novus Ordo dovrebbe ritenersi perfetta ed intoccabile? In una riforma liturgica ciò che conta non è affermare le proprie idee a tutti i costi, anche contro l'evidenza, bensì aiutare la Chiesa ad adorare sempre meglio la Santissima Trinità. Tutti, infatti, o quasi, convengono nel riconoscere che l'adorazione del Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo è l'essenza e al tempo stesso il fine della sacra liturgia, o culto divino. Essendo questo punto comune pressoché a tutti gli studiosi seri, si vede che bisogna costruire a partire da qui.

    Lei ritiene, dunque, che il recente libro del suo collega don Nicola Bux sia di aiuto a comprendere l'indole teologica della liturgia?

    Gagliardi: Nicola Bux dedica a questo punto basilare, ossia alla comprensione teologica della sacra liturgia, i primi due capitoli del suo libro. Gli altri capitoli si rivolgono, invece, ad analizzare lo stato attuale della riforma liturgica ancora in atto: la situazione concreta, ma anche la storia recente che ha condotto ad essa. Egli riconosce che «è in atto una battaglia sulla liturgia» (p. 45; cf. p. 50). La liturgia è attualmente oggetto conteso tra innovatori e tradizionalisti – anche il sottotitolo del libro fa riferimento a ciò – ed ognuno cerca di tirare l'acqua al suo mulino, sottolineando gli aspetti teologici e giuridici che fanno al caso proprio e insabbiando o "reinterpretando" i dati sfavorevoli alla propria tesi preconcetta. Simile atteggiamento si trova sia nella cosiddetta "destra" che nella cosiddetta "sinistra". Invece, Don Bux avvisa: «Non ha senso essere a oltranza innovatori o tradizionalisti» (p. 46) e mi pare che tutto il suo libro vada inteso in quest'ottica. Innanzitutto va ricordato che si tratta di un libro volutamente sintetico, che getta sul tappeto i temi da discutere, più che fornire lunghi approfondimenti su ciascuno di essi. È un invito alla riflessione, al dialogo, allo studio, anche – se si vuole – al confronto serrato tra le diverse posizioni, ma curando che il confronto sia fondato su argomentazioni e non su pregiudizi di parte. È un libro che si propone di essere equilibrato e di invitare all'equilibrio. «Si tratta di un ammonimento agli uni e agli altri – scrive l'Autore, a proposito di un tema particolare, riferendosi agli innovatori ed ai tradizionalisti – perché ritrovino l'equilibrio» (p. 63). Questo è il tentativo e la proposta che don Bux vuol fare con il suo volume.

    In questo modo entriamo nel vivo dibattito tra gli studiosi, che attualmente assumono posizioni diverse non solo sulla teologia liturgica ma anche sulle concrete disposizioni disciplinari che la Chiesa stabilisce in materia.

    È chiaro che la posizione moderata è sempre la più difficile, sia da esporre che da difendere. Non mancheranno, infatti, attacchi sia da "destra" che da "sinistra". Simile reazione sembra esserci anche nei confronti dell'opera di cui stiamo parlando. Vorrei illustrare questo stato di fatto, chiamando in causa due imminenti recensioni al libro di don Bux. Da una parte, quella di Bernard Dumont, che apparirà a breve nel numero invernale della rivista francese Catholica; dall'altra, quella di Matias Augé, che circola in internet da qualche tempo e, si prevede, verrà prossimamente pubblicata su una rivista italiana. Dumont dà una valutazione tutto sommato favorevole del libro di Bux, ma gli rimprovera di non essere andato fino in fondo con la sua critica alla liturgia attuale (ossia, alla forma ordinaria). Secondo Dumont, infatti, Bux avrebbe fatto dei lievi cenni di critica alla riforma liturgica in sé, ma si sarebbe soffermato soprattutto sulla critica agli abusi, che ovviamente sono deformazioni della riforma e non parte di essa. Egli scrive (la traduzione dal francese è mia): «Nicola Bux [...] ritiene che la prima causa [dell'attuale situazione] è l'applicazione all'ambito liturgico della "svolta antropologica" formulata da Karl Rahner. [...] Questa famosa "svolta" (che – aggiunge Dumont – è piuttosto un capovolgimento, tra l'altro manifestato molto bene dal capovolgimento degli altari, non previsto esplicitamente in origine) ha tuttavia dei forti appoggi giuridici, sui quali converrebbe essere chiari. Perché ci sono degli atti giuridici che hanno permesso o istituito questo capovolgimento, e non solo le pressioni di attivisti o il mimetismo delle équipes di animazione: ma le decisioni di vescovi, le decisioni di dicasteri e consigli della Curia debitamente comandate, e i discorsi stessi di Paolo VI che esprimono il suo assenso».

    Egli continua in seguito: «L'Autore menziona tuttavia le critiche del rito riformato (e non della sua sola pratica) fatte da mons. Klaus Gamber, Lorenzo Bianchi e Martin Mosebach, ma egli non vi insiste. Tatticamente, egli rigetta mano a mano, in una simmetria retorica perfetta, tradizionalisti e progressisti. Avendo fatto ciò, egli può ripartire con nuovo slancio in una critica molto ampia degli abusi liturgici». Tuttavia, avvisa Dumont, «gli abusi così stigmatizzati non sono altro che la pratica più o meno universalmente diffusa del nuovo Ordo dopo il 1969». In sintesi, la critica di Dumont consiste nel riconoscere il seguente difetto nell'opera di don Bux: stigmatizzerebbe gli abusi, ma farebbe solo brevi cenni al fatto che è il Novus Ordo in sé il problema, nonché tutta la conseguente normativa, sia dei dicasteri vaticani che delle conferenze episcopali; normativa che avrebbe per lui incoraggiato, o almeno permesso, uno stile celebrativo come quello che oggi conosciamo. Allora, non si tratterebbe più di abusi, ma della norma. Pertanto, l'attuale ordinamento liturgico, siccome non tradurrebbe più il senso divino della liturgia, andrebbe rigettato in toto.

    Se ci spostiamo ora alla seconda recensione, la critica fatta da Matias Augé è di tutt'altro ordine. Lungi dal criticare la riforma liturgica postconciliare, il noto liturgista attribuisce a don Bux la responsabilità di tale critica. Egli scrive che, a partire dal III capitolo, nel libro «il tono del discorso è fortemente polemico diventando una serrata critica dell'applicazione della riforma liturgica postconciliare nonché della riforma stessa» (corsivo mio) e che l'Autore fa una descrizione della «battaglia sulla riforma liturgica [...] in cui lo sconfitto è la cosiddetta "forma ordinaria" del rito romano, e cioè la riforma della liturgia attuata dopo il Vaticano II». Uno dei rilievi che Augé ripete più di una volta nella sua recensione consiste nell'individuare nel testo un «intreccio» e una «confusione» di «valutazioni negative sulla liturgia riformata [...] con le valutazioni pure esse negative sulla sua celebrazione».

    Che impressioni ha di queste opposte critiche?



    Gagliardi: Mi pare di poter dire che i due Recensori concordino su un solo punto: il volume in analisi non offrirebbe secondo loro una valutazione corretta del rapporto tra la riforma in sé e gli abusi che si verificano nella celebrazione svolta secondo il Novus Ordo. Tuttavia, mentre Dumont afferma ciò dicendo che gli abusi coincidono con la riforma stessa e quindi essa va invalidata, Augé separa nettamente le due cose, dicendo che la riforma in sé è più che valida e ha migliorato la celebrazione rispetto al rito cosiddetto "di San Pio V", mentre per quanto riguarda gli abusi, anch'egli stigmatizza «la stupida faciloneria con cui alcuni presbiteri presiedono le celebrazioni liturgiche» (corsivo mio); e conclude: «Vorrei però che tutto questo proliferare di abusi non sia un alibi per smontare pezzo a pezzo la riforma liturgica» (di nuovo, corsivo mio: mi pare che tra le due espressioni evidenziate ci sia contraddizione). Di fronte alla possibilità di rivedere la riforma operata sotto Paolo VI, Augé conclude chiedendosi: «Tale eventuale riforma della riforma dove dovrebbe prendere ispirazione, dal Messale del 1962 o dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium? Invece di spendere tante energie in questa operazione, non sarebbe meglio spenderle per approfondire sempre più intensamente la liturgia della Chiesa "celebrata secondo i libri attuali e vissuta prima di tutto come un fatto di ordine spirituale"?». Alla base di queste due domande di Augé sembrano esserci due presupposti: primo, che la «riforma della riforma» possa consistere o nel tornare al rito di San Pio V, o nel seguire il dettato conciliare. Ma questo presupposto non si basa sull'idea che tra l'insegnamento liturgico del Vaticano II e quello precedente vi è un'insanabile discontinuità? Non vi sono spazi per un «et-et»? Il secondo presupposto si nota nell'espressione «liturgia della Chiesa», applicata per indicare la normativa postconciliare. Esprimendosi come fa Augé, non si afferma indirettamente che il Messale promulgato nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII non è «liturgia della Chiesa»? O, se l'espressione «liturgia della Chiesa» va caratterizzata in base al testo da lui citato (ripreso dalla Vicesimus quintus annus), non c'è il rischio di lasciar intendere che la liturgia preconciliare non era «un fatto di ordine spirituale»?

    In conclusione, come ci si deve orientare per comprendere il senso dell'attuale dibattito e delle decisioni del Santo Padre in materia liturgica?

    Gagliardi: Le domande ed osservazioni sopra esposte ci permettono di affacciarci su quello che, in fondo, è il punto di appoggio del volume di Don Bux e quindi anche delle critiche ad esso: il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Don Bux ritiene che esso rappresenti un segno evidente di un progetto di rinnovamento liturgico e di incremento della sacra liturgia, che senza alcun ragionevole dubbio sta certamente a cuore al Papa. La decisione pontificia – da molti ridotta ad una prospettiva strettamente ecumenica, come "concessione" ai lefebvriani (che tuttavia, questo lo si dimentica, non avevano bisogno del Motu proprio, perché da sempre celebrano con il rito antico) – ha per l'Autore un significato molto più ampio e che va nella direzione di un «superamento della cesura operata nel processo di riforma della liturgia contrapponendo il nuovo rito all'antico» (p. 45). A me pare che don Bux veda giusto: il Santo Padre stesso ha dichiarato, nella Lettera apostolica che accompagna il Summorum pontificum, che l'obiettivo della sua decisione è quello di «giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Non si tratta solo di una riconciliazione con chi è "fuori" della Chiesa, come formalmente sono (per ora) i lefebvriani; si tratta di una riconciliazione «interna»: quindi tra i cattolici. Perciò il punto debole della riforma postconciliare va individuato, come fa Don Bux, non tanto nella riforma in sé (che pure presenta, come ogni cosa umana, aspetti migliorabili e altri persino da rivedere), quanto nel fatto di aver voluto presentare il Novus Ordo non solo come nuovo, ma come opposto all'Antiquior. È questo strappo alla continuità della tradizione che ha causato e causa incomprensioni, polemiche e sofferenze. La riforma postconciliare deve essere compresa come novità nella continuità: solo questo permetterà di condurla in porto. Sì, perché – lo ripeto – essa non è affatto conclusa. Non ho qui, purtroppo, la possibilità di analizzare punto per punto le altre critiche mosse al volume in questione – si può discutere su ognuna e valutare quanto colga nel segno, o quanto fraintenda, per aver operato una lettura selettiva e parziale di esso. Ma resta certo che un volume come questo è destinato, nell'attuale momento, ad essere segno di contraddizione proprio perché cerca di favorire – in modo particolare tra gli studiosi del settore, ma anche tra le contrapposte "fazioni" di sostenitori di una sola delle due forme del rito romano – l'umiltà, la comprensione, la tolleranza e l'apertura mentale (cf. p. 87), obiettivo che coincide con quello di Benedetto XVI.

    Su un punto almeno, però, voglio prendere posizione chiara a fianco dell'Autore: anch'io sono convinto che la formazione liturgica del popolo di Dio – pur doverosa e raccomandata come minimo dal Concilio di Trento in poi – non sia da sola sufficiente per favorire il vero spirito liturgico e il corretto stile adorante del culto cristiano. Il Concilio di Trento insegnò che «la natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti [...] per rendere più evidente la maestà di un sacrificio così grande e introdurre le menti dei fedeli, con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà» (DS 1746). Ciò vuol dire che le menti si elevano a Dio non solo attraverso la formazione, ma anche e soprattutto attraverso i segni visibili e sacri del culto divino, che proprio per questo vengono fissati dalla Chiesa. Perciò don Bux può rallegrarsi del fatto che «sta nascendo un nuovo movimento liturgico che guarda alle liturgie di Benedetto XVI; non bastano le istruzioni preparate da esperti, ci vogliono liturgie esemplari che facciano incontrare Dio» (p. 123).

    Il pieno recupero dell'Usus Antiquior per la celebrazione della Messa non va forse in questa direzione, sottolineando, come ha scritto il Papa, che «le due forme del rito possono arricchirsi a vicenda»? È in questa direzione, tracciata da Benedetto XVI, che si incammina la proposta di Nicola Bux e credo che tutti coloro che hanno a cuore il bene della Chiesa – il che io do per presupposto, sia da parte dei tradizionalisti che degli innovatori, al di là delle concrete vedute parziali – dovrebbero accogliere l'invito a confrontarsi, camminando sul sentiero della riforma ancora «in fieri».


    fonte: zenit.org

  8. #328
    Moderatore Globale L'avatar di Ambrosiano
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    Citazione Originariamente Scritto da Vox Populi Visualizza Messaggio
    mi sembra un'ottima proposta. Non va dimenticato che, come afferma l'antifona al Magnificat dei II Vespri dell'Epifania, tale solennità con ricorda solamente l'adorazione da parte dei Magi, ma anche il Battesimo di Gesù e il prodigio compiuto alle nozze di Cana.
    A proposito di nozze di Cana, nell'attuale ordinamento delle letture questo passo del Vangelo viene proclamato solo nella II domenica per annum del ciclo C: secondo me, proprio perché tale episodio fa parte a pieno titolo dell'Epifania, lo collocherei, nella medesima domenica, anche negli anni A e B, come accade per il passo evangelico di Tommaso che viene sempre proclamato nella II domenica di Pasqua, indipendentemente dal ciclo liturgico annuale.


    Nel nostro nuovo lezionario la cosa è stata fatta. Nei tre cicli se legge sempre il vangelo
    delle nozze di Cana.

    E poi, visto che il nostro rito ricorda anche la moltiplicazione dei pani come segno epifanico, la III domenica (quando si celebra) si legge il vangelo della moltiplicazione (varie versioni nei tre cicli). Ho detto quando si celebra perchè spesso essa coincide con l'ultima domenica di gennaio in cui ha prevalenza le Festa della Sacra Famiglia.

  9. #329
    Veterano di CR L'avatar di Symbolon
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    Citazione Originariamente Scritto da Vox Populi Visualizza Messaggio
    A mio modesto parere, per l'amministrazione del Battesimo ai bambini da parte del Papa (non discuto sull'indubbia opportunità pastorale dell'evento, è senz'altro una più che lodevole iniziativa in sè) sarebbe più adatta una delle domeniche del tempo pasquale, periodo consigliato da vari documenti per l'amministrazione dei sacramenti dell'Iniziazione Cristiana.
    Secondo me la tua proposta, Vox Populi, varrebbe una proposta scritta rivolta espressamente al Maestro delle Celebrazioni Liturgiche pontificie, che già si è mostrato attento ad una riorganizzazione e razionalizzazione delle celebrazioni presiedute dal Pontefice.

  10. #330
    Saggio del Forum L'avatar di lucpip
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    La riforma liturgica del Concilio Vaticano II non è conclusa

    Intervista a un Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice

    Pubblico l'intervista a Matias Augè cmf rilasciata al sito www.rinascimentosacro.com in risposta all'articolo postato da Sion che ho quotato.

    Chiedo anche ai moderatori di valutate se lasciare qui i due articoli oppure spostarli in un'altra discussione di liturgia, che mi sembra la sezione più appropriata per continuare il dibattito.

    Veramente la riforma liturgica è ancora in corso? Il liturgista Augè interviene su RS.


    Dopo la nostra pubblicazione dell'intervista di don Mauro Gagliardi concessa a Zenit ci scrive padre Augè, liturgista clarettiano e consultore per il Culto Divino, chiedendo di fare alcuni rilievi in merito. Prosegue così su Rinascimento Sacro il dibattito intorno alla riforma post-conciliare e a quella benedettiana aperto dal libro di mons. Bux.





    "Ho letto con attenzione i rilievi che il Prof. Mauro Gagliardi fa alla mia nota bibliografica sul libro di N. Bux (La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione, Piemme 2008) in una intervista concessa alla Prof.sa Miriam Díez Bosch. La mia nota è stata pubblicata in Rivista Liturgica 95 (2008) 1120-1127. Non mi consta che prima abbia circolato in internet. Ma dato che è in internet che ho trovato l’intervista di cui sopra, vorrei rispondere ad alcune affermazioni in essa contenute servendomi dello stesso mezzo di comunicazione.


    Il Concilio Vaticano II ha dato l’avvio ad una riforma della liturgia che ha conosciuto diverse fasi e che è ancora in corso”.
    Se le parole hanno un senso, quando oggi parliamo della riforma liturgica abbiamo presente quanto dispone la Costituzione liturgica, in particolare al n. 21 quando dice che “la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia”. Questa riforma generale è stata attuata in quanto ormai tutti i libri liturgici sono stati riveduti e pubblicati nel corso degli ultimi due pontificati. Quindi la riforma liturgica non è più in atto; ci potranno essere e ci sono interventi puntuali sulla liturgia, ma non è esatto dire che la riforma liturgica è ancora in corso. Perciò non considero pertinente il titolo del libro del Bux (“La riforma di Benedetto XVI…”).


    “… perché, allora, la normativa che riguarda il Novus Ordo dovrebbe ritenersi perfetta e intoccabile?”

    Basta dare uno sguardo alle pubblicazioni degli studiosi della liturgia per capire che nessuno parla di una riforma perfetta e intoccabile. Il problema è un altro, è di metodo, e cioè del modo con cui si cerca di intervenire sul Novus Ordo. Lo posso illustrare rispondendo ad un rilievo critico fattomi dal Prof. Gagliardi: quando alla fine della mia nota bibliografica mi domando da dove dovrebbe prendere ispirazione una eventuale riforma della riforma “dal Messale del 1962 o dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium?”

    Le mie parole non sono ispirate, come mi si rinfaccia, dall’idea che tra “l’insegnamento liturgico del Vaticano II e quello precedente vi è un’insanabile discontinuità”, ma dalla convinzione che tra i libri liturgici del 1962 e quanto prescrive la Costituzione liturgica, c’è in quest’ultima una ricchezza in più nella continuità. La “continuità” non consiste nel “continuare” a celebrare la liturgia come prima del Concilio (rispolverando magari paramenti e utensili di cinquant’anni fa), ma nel cogliere e accogliere il valore aggiunto che la riforma, attuando la volontà del Concilio, ha proposto nei nuovi libri liturgici.

    Quello che invece a molti liturgisti e cristiani di buon senso sembra un gesto di discontinuità è proprio il contrario: tornare indietro e fermarsi alle forme rituali anteriori al Concilio quasi affermando di fatto (non giudico le intenzioni di nessuno) che la riforma postconciliare non è in continuità con la tradizione anteriore e che il Concilio ha parlato invano. La continuità è fedeltà dinamica alla tradizione. Dice bene il Gagliardi quando afferma che “la riforma postconciliare deve essere compresa come novità nella continuità”. Mi domando: dov’è la “novità” se si riprendono i libri liturgici del 1962?


    Tutti, o quasi, convengono nel riconoscere che l’adorazione del Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo è l’essenza e al tempo stesso il fine della sacra liturgia”.
    E’ vero che anch’io nella recensione fatta al libro del Prof. Bux ho accettato questa concezione della liturgia. Vorrei però notare che la liturgia non è solo “adorazione” del Padre, ma in essa è realizzata anche “la santificazione dell’uomo” (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 7). Forse il problema di fondo dell’attuale dibattito liturgico si trova qui, nel capire il rapporto che intercorre tra adorazione e santificazione, o, in altre parole, tra “sacro” e “santo”. Il termine ebraico kaddosh è ambivalente potendosi tradurre con “sacro” o “santo”. Il sacro biblico è legato piuttosto alle cose (luoghi, oggetti, funzioni). La santità coinvolge invece il soggetto umano nel suo rapporto con Dio. La Costituzione liturgica già dalle sue prime battute (“Il sacrosanto concilio, proponendosi di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli..”) sottolinea la dimensione della santificazione senza negare quella dell’adorazione (vedi, ad esempio il citato n. 7 della stessa Costituzione). Il “sacro” ha come sua finalità ciò che è “santo”, e perde la sua autenticità se non suscita nei credenti una crescita nella perfezione cristiana. D’altra parte, il “santo” rischia di essere privato del suo orientamento verso Dio se il “sacro” non riesce ad essere simbolo della presenza di questo Dio.

    Ciò premesso, non ho difficoltà nell’affermare che un certo “modo” di celebrare il Novus Ordo può oscurare la dimensione verticale (il “sacro”), cioè quella della presenza e del rapporto con Dio riducendo la celebrazione ad una festa familiare. Va detto però anche che l’Ordo del 1962 rischia di favorire il contrario: in un mondo indifferente a Dio, non è il sacro che testimonia in primo luogo la presenza di Dio, ma è la santità a farlo. Questi sono i concetti che dobbiamo approfondire se vogliamo uscire da una polemica che degenera talvolta nel pettegolezzo. Non è questa la sede per dilungarsi in questo discorso.



    Una ultima osservazione finale.
    Mi si critica di parlare della “liturgia della Chiesa” applicando l’espressione alla normativa postconciliare, come se il Messale del 1962 non fosse “liturgia della Chiesa”. Mi pare assurdo polemizzare su questa mia espressione, che evidentemente non è interpretabile in questo senso. Se prima ho parlato della forma ordinaria, e implicitamente di quella straordinaria della liturgia romana, significa che l’espressione in questione non è esclusiva ma inclusiva.


    Matias Augé cmf
    Consultore della Congregazione per il Culto Divino"
    Copyrights Rinascimento Sacro 2009 - all rights reserved. Photo matiasauge.org
    Ultima modifica di lucpip; 13-01-2009 alle 13:24

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