Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Cronache dall'Arcidiocesi di Bologna - Anno 2022

  1. #61
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    Cattedrale di San Pietro, giovedì 14 aprile 2022

    OMELIA DELL'ARCIVESCOVO CARD. ZUPPI
    NELLA MESSA IN CENA DOMINI


    «Prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto». È l’ultima sera della vita di Gesù. Il corpo donato e il servizio, sempre dono di sé totale, sacramento dell’eucarestia e sacramento del servizio.
    Ecco la pace che Gesù ci dona a Pasqua. Non è facoltativa per i cristiani, ma nutrimento dei figli e dei fratelli. Non è certo la pace del mondo, che crede di ottenerla attraverso la forza, irridendo un amore così. Ma solo l’amore porta la pace. Gesù spezzava se stesso nel pane e nel servizio per una comunità di traditori, presuntuosi, vigliacchi, che rivelano nelle difficoltà di pensare piuttosto a salvare se stessi che a salvare gli altri. Eppure proprio per loro, per noi, per un mondo così, Gesù dona tutto se stesso. Non li allontana, non li denunzia, non si lamenta, non li manda dallo psicologo, non cerca una comunità di puri. Li ama e così li e ci cambia. Pietro si stupisce di un amore così, che proprio il maestro lavi i piedi a lui. Non riesce ad accettare che il Cristo, che lui ha confessato come il solo che aveva parole di vita eterna, sia umiliato e ucciso, anche se dopo, solo dopo, sarebbe risorto. Come può il Cristo perdere e morire? Come può il maestro lavare i piedi al discepolo? È proprio questo lo scandalo che deve imparare, che capirà dolorosamente dopo il tradimento: la vittoria è solo l’amore.
    Non ci vergogniamo della nostra debolezza, dello sporco della vita, quella che il giustizialismo sa condannare ma non salvare. Gesù non giudica: ama. Tutti abbiamo bisogno del cibo dei figli, del nutrimento dei fratelli, di essere amati da Gesù, e tutti possiamo spezzare il pane di amore amando. A tutti è chiesto di lavare i piedi al fratello e di prendersi cura di lui.
    Gesù compie questi segni consapevole di quello che sarebbe accaduto. Sono il suo testamento. Li amò davvero sino alla fine, non perché ignorava la fine, faceva finta non esistesse, la rimuoveva, ma perché la vita non ha fine se donata. Gesù ha davanti a sé la pandemia del “potere delle tenebre”, quando la sua vita, fragile come quella di tutti gli uomini, viene travolta dalla forza del male, dalla violenza degli uomini, schernita, torturata, umiliata, uccisa. Gli uomini follemente continuano a costruire la loro stessa condanna a morte. Le armi sono sempre quelle croci che inchiodano la vita degli uomini. Siamo travolti dal potere delle tenebre di un mondo violento, che pensa di vincere la violenza con l’indifferenza o con altra violenza.
    Le pandemie sono la manifestazione del nemico della vita, il male, il grande ingannatore. Possono isolare, incattivire, rendere più paurosi e aggressivi, far credere che le mura di casa o le frontiere siano protezioni che difendano dal male. Le pandemie possono farci cambiare, renderci consapevoli, farci scegliere quello che risparmia la vita nostra e del prossimo. Ecco la scelta. Gesù ci aiuta a scegliere amandoci e nutrendoci. Ecco la grazia di oggi, di questa Eucarestia, di ogni Eucarestia, salvezza nella notte del mondo perché nutrimento di amore, cibo di vita eterna, presenza che non finisce, senza la quale non possiamo vivere.
    L’Eucarestia è tra pochi ma sempre per molti, per tutti. È intorno a Gesù ma ci spinge ad andare vicino ai suoi fratelli più piccoli e al fratello che aspetta il pane dell’amore. Gesù non lascia ai suoi delle indicazioni perché poi se la vedano da soli. Gesù lascia il suo corpo, sicurezza nelle sere della vita che non andrà più via, che resta con noi, che ci prende con sé. Ci chiede, però, di fare come Lui! Per questo è così diverso da un prodotto uso e consumo per individui in cerca di benessere senza mettersi in gioco, che esigono amore ma non amano. Stiamo bene quando siamo amati e quando amiamo. Chi si umilia e innalza il prossimo sarà innalzato assieme al suo prossimo. Iniziamo da coloro che hanno camminato di più e hanno i piedi feriti dalle strade della vita che sono diventate improvvisamente impossibili, pericolose, drammatiche.
    Questa sera laverò i piedi a chi è stato colpito dalle due pandemie: i parenti di alcune persone che sono morte a causa del Covid e altri nostri fratelli arrivati a Bologna dall’Ucraina, segnati dalla pandemia della guerra, che ha travolto il loro Paese e le loro famiglie. Lavare i piedi significa un amore concreto, non una dichiarazione ma attenzione, gesto, tenerezza, disponibilità, cura. Possiamo comportarci da sconosciuti con i nostri fratelli, facendo come se non li conoscessimo e non sapessimo che sono i fratelli più piccoli di Gesù? Il pane degli angeli, Corpo di Cristo, nutre la nostra fraternità, ci spinge a donarci e a servire il prossimo. Non è un simbolo, ma una presenza che chiede anche di non ridurre la nostra fraternità e il prossimo ad un simbolo vago e poco esigente, ad una categoria astratta, ma un legame vero, affettivo, umano, presente, di vera comunione.
    In un mondo di guerra l’Eucarestia sembra fuori dal mondo. Invece in essa si rivela l’amore di Dio nel presente e nel futuro, che ci apre gli occhi, ci dona la forza per cambiarlo, anticipa il banchetto del cielo. È debole, come Gesù, ma illumina e dona vita. Che i grandi del mondo lo ascoltino e ascoltino il successore di Pietro che ha invocato la tregua per la Santa Pasqua e fermino la mano omicida. In un mondo così, nelle tenebre terribili delle pandemie e nella lotta tra vita e morte, lasciamoci conquistare da un amore così grande e diventiamo uomini e donne di pace. Sì, sorelle e fratelli, commensali di Gesù ci facciamo uomini della pace, che deve iniziare facendoci come Lui servi dei fratelli, chinandoci sulle loro domande, avendo compassione di tutti.
    Il mondo ha bisogno di amici di Gesù e di tutti, di commensali che apparecchiano la mensa dell’amore gratuito, di cuori e menti miti e intelligenti, semplici e astute, povere e ricche, deboli e fortissime, libere e serve, amabili e esigenti. Solo così si vince il male e si cambia il mondo. Sacro e umano, l’altezza del cielo e l’abbassamento alla polvere della terra, il Corpo di Cristo e il corpo dei poveri. Contempliamo e adoriamo per aprire gli occhi e andare incontro al prossimo. “Ecco il mistero del Corpo glorioso e del Sangue prezioso che il Re delle nazioni sparse per il riscatto del mondo, sparse il seme della sua parola, pane vero nella sua carne, vino nel suo sangue, e se i sensi vengono meno, la fede basta per rassicurare un cuore sincero e la fede supplisca al difetto dei nostri sensi. Amen”.

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  2. #62
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    Cattedrale di San Pietro, venerdì 15 aprile 2022

    OMELIA DELL'ARCIVESCOVO CARD. ZUPPI
    NELLA CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE


    “Stabat mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat filius”. Ecco cosa è la Chiesa: una Madre che resta sotto la croce di suo figlio. Spesso la interpretiamo secondo le nostre ideologie e la riduciamo a ideologia, quando è solo una madre. Lo fa chi non ha interesse verso di lei, chi vuole usarla o solamente distruggerla. Lo fanno a volte anche i suoi stessi figli, dimenticando di esserlo e assecondando la mentalità comune. Restiamo con Maria. Altrimenti non capiamo. Restiamo con lei per imparare l’amore, per avere pietà, per piangere e comprendere la grandezza della sofferenza dei suoi figli, di tutti coloro che sono crocifissi dalla violenza del male e degli uomini.
    Restiamo sotto la croce. Non a distanza, magari sentenziando su di essa, valutando e interpretando. Restiamo sotto la croce, vicini. Non scappiamo come tutti i discepoli. Uno è rimasto: non è il più coraggioso o quello che aveva capito tutto, ma quello che amava e sapeva di essere amato. L’amore resta: il coraggio finisce subito o non c’è proprio. Da lontano si resta quando la croce non è “l’uomo”, ma una categoria per esercitare la nostra ideologia o per uno spettacolo da osservare. L’uomo digitale scappa, rincorrendo tante immagini per non fermarsi: vede tutto ma solo e sempre in superficie perché ha paura di legami. E così non trova più neanche se stesso, ridotto a tanti frammenti, perché solo chi resta sotto le croci della vita resta anche con se stesso, perché l’amore di Gesù mi aiuta a capire che sono, a chi o cosa è legato il mio cuore.
    Restiamo davanti al suo amore illimitato e anche davanti ai frutti di una cattiveria illimitata del male che lo uccide e che ci fa capire l’amore che ci dona e le complicità che lo uccidono. L’amore, solo l’amore, riconosce in ogni persona Gesù. Restiamo, non cambiamo canale, non cerchiamo altre immagini che poi alla fine diventano tutte uguali e ci fanno abituare a tutto, emozionandoci ma sempre in superficie e alla fine solo per noi stessi. Quando è così finiamo per essere talmente senza pietà da gridare a Gesù con le nostre scelte, oltre che con le parole, ”salva te stesso”, sbeffeggiando le sue illusioni, inchiodando alla croce anche la sua speranza, giustificando il banale pensare a sé. Lo vedi come finiscono i sogni! L’ultima tentazione a Gesù è di dimostrare di essere veramente Lui il re, ostentando la forza dei re di questo mondo, comandando sugli altri, umiliando e non facendosi umiliare.
    È la forza che costruisce le croci, quella che gli uomini cercano, nella quale confidano tanto che costruiscono armi sapendo che faranno a loro male. La croce non si vince costruendo altre croci che saranno per altri fratelli crocifissi, moltiplicando il dolore, seminando altro odio che produrrà altre sofferenze. Pietro, quello che si scandalizza di Gesù debole, portava con sé la spada e la usa! Restiamo per imparare da Lui e diventare uomini e non lupi, bruti, senza anima. Solo la forza dell’amore – resistente, mite, possibile, umile – salva la vita! Tutto il resto finisce perché alleato con la morte.
    Il male confonde tanto che le persone non sanno più capire, giudicano tutto uguale, tutto diventa possibile, non distinguiamo il falso e il vero. Solo chi resta sotto la croce capisce quello che è vero, l’inganno del male. Solo mettendoci dalla parte di Gesù, che è quella delle vittime, capiamo la vita e la Chiesa che fa suo fisicamente il dolore dei suoi figli crocifissi. E anche solo chi resta cercherà per davvero la giustizia, perché altrimenti ci accontenteremo di quello che conviene a noi, saremo condizionati dal pensiero comune o dal giustizialismo facile.
    Restiamo sotto la croce, pandemia di morte che ha travolto Gesù e rappresentazione di tutte le pandemie ordite dal potere delle tenebre. Sempre sotto la croce non ci chiediamo dove è finito Dio, ma l’uomo. Dio lo sappiamo dove è! È lì Dio, a compiere la volontà del Padre per uomini che lo crocifiggono. Vuole che nessuno sia perduto, questa è la volontà del Padre. La sua volontà è un amore illimitato, sino alla fine, più forte dell’angoscia e della paura. Solo per amore Gesù accetta la croce e solo per amore restiamo lì sotto, per non smettere di amare.
    Le due pandemie che portiamo nel cuore e negli occhi sono oggi fisicamente la via dolorosa di Gesù. Le stazioni sono state quelle improvvise che hanno spento la vita di tanti nella solitudine più grande e, proprio come sulla croce, togliendo il respiro. Sono le stazioni di questa terribile via crucis che è la guerra, madre di morte, che genera infinite vie dolorose. Gesù chiede di prendere con sé sua madre. Vuole che lei non resti sola e che Giovanni non resti solo. Il male isola, contrappone, distrugge le relazioni. L’amore fino alla fine di Gesù unisce, genera una famiglia dalla sofferenza, affidandoci a sua madre e noi custodendola. Nessuna madre resti sola. Prendiamola nella nostra casa: non è un’estranea, un’assistita cui fare un po’ di bene, ma è nostra madre da amare. Chi prende con sé questa Madre Chiesa accoglie le tante madri che le croci della guerra le portano nel cuore e nel corpo, che perdono i loro figli e muoiono con loro. Le immagini di questa guerra, di questa sofferenza terribile, disumana, inaccettabile che abbiamo visto in queste settimane travolgere l’Ucraina, sono tutte tappe di questa terribile, umanissima, dolorosissima via crucis, follia che gli uomini preparano per loro stessi.
    Rimaniamo con questa madre, spesso lasciata sola, desolata, accompagnata da pregiudizi, interpretata da letture ideologiche. Il suo dolore susciti pietà che non deve mai morire e liberi da convenienze, furbizie, interessi, banale pensare a sé. Nel duello tra vita e morte da che parte stiamo? Chiediamo anche noi che le piaghe del crocifisso siano impresse profondamente nel cuore. Non amiamo la sofferenza ma amiamo Gesù e i suoi fratelli più piccoli crocifissi con Lui. Soffriamo perché amiamo e perché la sofferenza fa stare male l’amato. Certo, non esiste la sofferenza in quella pornografia di vita da prestazione e da benessere, caricatura di vita che poi la vita vera travolge e scarta. Non esiste la sofferenza in quella pornografia banale di chi pensa di stare bene da solo, in pace. Certo, dà fastidio, la sofferenza, perché sconvolge tutto questo. Chi ama non ama la sofferenza, ma l’amato che soffre e vuole che lui trovi pace, non il proprio ego! Solo restando, facendola nostra la combattiamo. Già restare è una vittoria sul male, che isola e ci farà cercare i modi e l’intelligenza per spezzare le croci perché non uccidano più la fragilissima vita di ogni persona.
    Ecco dove troviamo la vita nuova, anche quando siamo vecchi. Come Nicodemo. Anche lui resta sotto la croce in quella notte dell’umanità, nelle tenebre della morte, e troverà la speranza che non pensava più possibile. Nicodemo capisce che solo morendo per amore, solo cadendo a terra, il seme darà frutto e solo così nasce qualcosa di nuovo, più forte della caducità. Ha capito quello che gli aveva detto Gesù: che bisognava fosse innalzato il Figlio dell’Uomo per essere protetti dai serpenti del male, della rassegnazione, dell’orgoglio di sé, dei tanti sentimenti di morte che mordono e uccidono il cuore e l’amore, che spengono la vita.
    Portiamo anche noi come Nicodemo l’aroma del nostro amore, della tenerezza verso i fragili, dell’accoglienza verso chi scappa, della cura per chi si sente privo di significato e di senso perché non richiama più attenzione e nessuno sa capire il mondo che ha nel cuore. Se stiamo con Gesù nostra pace troviamo la vera pace e saremo artigiani di pace come ci è chiesto, luce nelle tenebre, consolazione nel pianto. Gesù non ci fa “stare in pace” ma trovare la pace.
    Sulla croce stasera vediamo il vero arcobaleno di Dio, quello “che congiunge il cielo e la terra e getta un ponte sugli abissi e tra i continenti”, la realizzazione dell’alleanza di Noè, di Fratelli tutti! Per questo “ogni volta che ci facciamo il segno della Croce dobbiamo ricordarci di non opporre all’ingiustizia un’altra ingiustizia, alla violenza un’altra violenza; ricordarci che possiamo vincere il male soltanto con il bene e mai rendendo male per male”, disse Papa Benedetto. Questo è un cristiano. E quando non facciamo così semplicemente non siamo cristiani.
    Nicodemo e Giuseppe di Arimatea portarono il corpo in un giardino. Adamo ritrova la vita che il male aveva tolto. Il mondo, ridotto a deserto e a sepolcro di vita, torni ad essere il giardino che Dio ha creato. Venga la Pasqua della pace. Siamo artigiani di pace! Costruiamo alleanza con tutti, relazioni per conoscere, incontrare, aiutare, amarci perché siamo riflesso della pace voluta da Cristo, spiraglio di luce che faccia sentire infinitamente amato da Dio chi è nel buio. È lui la vera ed eterna alleanza, che realizza per sempre e per tutti quella di Noè, quella di fratelli tutti nell’arca che protegge dal diluvio delle pandemie.Dolce Cristo, o Dio buono, mio amore, mia vita, mia salvezza, mia gloria. Tu sei il Creatore, tu sei il Salvatore del mondo. Te io desidero, te cerco, te adoro, o dolce Amore, te io adoro, o caro Gesù”.


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  3. #63
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    Cattedrale di San Pietro, sabato 16 aprile 2022

    OMELIA DELL'ARCIVESCOVO CARD. ZUPPI
    NELLA VEGLIA PASQUALE


    La raffigurazione bizantina della resurrezione ci mostra Gesù che scardina le porte degli inferi e solleva Adamo ed Eva dal buio, dalla solitudine, dal non senso, dal vivere prigionieri di sé, per introdurli nel popolo dei salvati, nella casa di luce e di pace dove è andato a preparare un posto.
    Gesù scende negli inferi di questo mondo: non se ne sta in pace, non si dà pace finché non li libera. Non ci prova finché gli conviene, non fonda con i suoi un regno in disparte, non offre importanti indicazioni restando a distanza. Gesù affronta il male e ci insegna a vincerlo. Sant’Efrem descrive che la Croce fu la chiave che aprì l’inferno e apre il paradiso: amare fino alla fine con Gesù e come Gesù vince il male.
    Discende negli inferni del mondo che il male crea con la complicità e l’ignavia degli uomini. Ci ha portato in questi giorni di pianto, per un terribile e prolungato venerdì santo, nelle fosse comuni dell’Ucraina, nella disperazione di chi ha perduto tutto, nelle distruzioni delle persone e delle cose, dove la vita non vale nulla, dove comanda il potere del male che cancella i sentimenti umani, male che produce male. Il grande ingannatore riempie di modi ideologici che non guardano alla persona e di idolatrie come il nazionalismo che inquina l’amore per la patria e rende l’altro un nemico, che svuota il Vangelo per cui il prossimo non è il mio prossimo e non apparteniamo più ad un’unica nazione santa perché chiusi in un confine o divisi dal pregiudizio.
    Inferni dove si vive una sofferenza enorme. E gli inferni non sono solo quelli evidenti prodotti dalle guerre (ma quanti restano nascosti e non suscitano interesse?) ma anche quelli dell’abbandono, della fame, dei barconi in mezzo al mare, della solitudine che toglie significato alla persona perché non amata! È l’inferno di chi non ha nulla o di chi ha tanto ma non ha cuore e amore per il prossimo, l’inferno del ricco epulone attento alla mensa ma non al povero Lazzaro. Il male confonde, fa credere tutto possibile, accarezza l’orgoglio dell’io, lo gonfia, lo rende insaziabile, lo riempie di paure e di aggressività. Gesù affronta il male perché ama la folla, ne ha compassione, e chi ama non accetta il male.
    Questa santa liturgia è iniziata al buio. Come Nicodemo siamo venuti proprio di notte a cercare risposta. Ecco la Pasqua di cui abbiamo un enorme bisogno. La notte che Nicodemo sceglieva perché aveva paura della luce e dell’amore, la notte di morte che avvolge la vita delle persone, è illuminata dalla luce della resurrezione, cioè del suo amore che accende il nostro. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Questa notte ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo Creatore! Sì, rinasce l’uomo vecchio, rinasce la vita. È Pasqua, il passaggio, pagato a caro prezzo, dalla morte alla vita, non un palliativo o un surrogato!
    Le prime testimoni sono delle donne. Esse per amore vanno al sepolcro. Non possono accettare che sia finito tutto e non smettono di volere bene. L’amore vero è così. Esse vincono la paura per amore, ma sembra che conservino il passato e il loro sia un amore patetico che non ha futuro. Il male ha vinto. Aveva ragione la folla: salva te stesso! Incontrano due angeli che le invitano a ricordarsi e a non cercare tra i morti, perché Lui è vivo e rende vivo il cuore, il nostro presente, apre al futuro. Ecco la fede, che nutre l’amore e lo rende eterno. Se il Signore risorge e il duello è vinto, tutto può cambiare! Il male è sempre più convincente e definitivo dell’amore e sembra permettere solo qualche illusione, tanto che i credenti stessi riducono anche la Pasqua a benessere personale, ad un vaneggiamento da troppo affetto, un fantasma.
    La vita risorge ed è vita piena. Risorge seguendo Gesù, che ci chiede di amare il prossimo e anche i nemici! Il seme deve cadere in terra e morire per dare vita. Non è quello che vivono tanti testimoni di Gesù? Ricordiamoci che la linea tra bene e male passa nel nostro cuore. Nelle pandemie lo abbiamo capito: non è indifferente come vivo. E tutto può cambiare per chi ha fede! Tutto diventa importante quando si è pieni di amore.
    Entrando era buio e la luce quasi si perdeva. Eppure una piccola speranza ferisce l’oscurità e trasmette speranza. Come abbiamo acceso le candele di ognuno e comunicando la luce questa non solo non è diminuita ma ha reso tutta questa casa luminosa, straordinariamente bella, così è nel mondo, nelle tante notti della paura, della solitudine, del potere delle tenebre. Non nascondiamo la luce dell’amore di Gesù. Questa luce ha vinto il mondo! Non è poco: è tutto! Non rendiamola mediocre! Non rincorriamo la gloria del mondo.
    Luce di Pasqua significa preghiera che consola e vince le tenebre dello sconforto. Luce di Pasqua è gioia che penetra il buio e diventa quel raggio di luce che ci fa sentire infinitamente amati da Dio. Luce di resurrezione è essere amabili anche quando non c’è amore intorno a noi. Luce di Pasqua è un cuore semplice perché povero di spirito e astuto perché l’amore non sia ingannato dal male. Luce di Pasqua è accoglienza premurosa a chi fugge dalla guerra. È donare compagnia che libera dalla solitudine, simpatia che vince le distanze, fraternità che sconfigge i pregiudizi, intelligenza per non arrendersi e non spaventarsi dei problemi, fortezza per resistere al male che torna sempre, giustizia per non piegare tutto a sé. La resurrezione è un seme di amore, anche piccolo, che gettiamo in questo mondo amando e che lo illumina e lo cambia. Non disprezziamolo mai! Darà frutto, perché Pasqua ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo Creatore!
    In questa pandemia della guerra c’è bisogno di iniziare anche da soli a dare un po’ di luce. Vedete quanto si propaga! Possiamo essere artigiani di pace che illuminano con il loro amore le notti di disperazione e di condizioni impossibili. Con Turoldo vogliamo la Chiesa impazzita di gioia perché è veramente risorto, composta da persone che grondano luce perché vive in noi, questa sola umanità bianca a ogni festa in questo mondo del nulla e della morte.

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  4. #64
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    Cattedrale di San Pietro, domenica 17 aprile 2022

    OMELIA DELL'ARCIVESCOVO CARD. ZUPPI
    NELLA MESSA DEL GIORNO DI PASQUA


    “Noi speravamo che fosse Lui”. Ecco i nostri sentimenti. Proprio come i due discepoli di Emmaus. Ci troviamo senza speranza, pieni di delusione, di tristezza, anche di rivendicazione, un po’ aggressivi come chi ha il cuore ferito tanto da rispondere in maniera in fondo sgarbata ad un pellegrino che dimostra interesse per noi. Quando siamo sofferenti spesso tutto sembra inutile e fastidioso. Ricordiamocelo, per non rispondere male oppure per non metterci subito a parlare di noi! Gesù ascolta e capisce le ferite del cuore. Se abbiamo visto la morte da vicino, se siamo stati travolti dalla forza del “potere delle tenebre”, come quello delle pandemie del Covid e in questi giorni terribili della guerra, croce che ha ucciso la bellezza, la speranza, la gratuità, l’amore insomma, ecco tutto ci sembra fuori luogo, inutile.
    I due discepoli non restano a Gerusalemme. A far che? Tornano a casa! Salvano se stessi, discutendo, certo, ma come qualcosa del passato. Ne avranno fatto una posizione ideologica, come spesso avviene. La speranza è finita e resta solo da sopravvivere. Come sono diverse le donne che vanno al sepolcro perché amano, e trovano la vita! Anche i due sapevano che erano andate e quello che avevano riferito, ma appariva loro un vaneggiamento di donne, certificato dagli uomini, troppo poco per riaccendere qualcosa in chi ha il cuore ferito.
    La Chiesa è come quelle donne: non smette di amare Gesù, di cercarlo, di stare con Lui. Non ci va per dovere, ma solo per amore. Non può vivere per se stessa e ama Gesù. Gli uomini, invece, se ne stanno tra loro, chiusi, difendendosi da un mondo violento. Forse uno di loro sarà andato a prendere di nuovo la spada, che peraltro aveva sempre con sé, nonostante il maestro, e meditava di vendicarsi o di difendersi se qualcuno fosse andato a cercare un galileo. Forse un altro si esercitava con i confronti e i giudizi, perché voleva stabilire le responsabilità e chi fosse il più grande, perché la tentazione di farlo non è mai sconfitta e senza il maestro che ammoniva di essere servi la discussione diventa ancora più brutale. Forse qualcuno si era già attrezzato a cercare una soluzione individuale, pensando di avere il diritto di essere rassegnato, cinico, attento a non farsi riprendere da sogni che giudicava solo illusioni, come Tommaso.
    I nostri due discepoli stanno tornando alla vita di sempre. Cercano le occupazioni e le abitudini di prima, per verificare le capacità, per riaffermare una normalità. Si chiudono in un piccolo mondo per non pensare più a niente, fare gli spettatori, prendere tempo ed energie per il loro io. Spesso questo significa non imparare nulla da quello che è successo. Il male impone solo la rassegnazione, fa arrendere, intimidisce, fa credere tutto vano. Perché continuare a sperare quando tutto è finito?
    Incontrano un pellegrino che sorprendentemente cambia lui strada e li segue. Quasi sembra lui il discepolo! Davvero Gesù è così innamorato di noi che si mette, pur di stare con noi, a fare il nostro cammino, ad aspettarci in un punto dove sa che passiamo anche noi, e cambia strada, prende la nostra. Lui si converte alla nostra strada perché noi impariamo a cambiare la nostra. Ascolta. Chiede e ascolta. Ma poi parla. Non ci parla sopra, ma parla. Anzi. La sua domanda non è retorica: vuole che apriamo il nostro cuore, che ci misuriamo con noi stessi, altrimenti qualunque cosa avesse detto sarebbe stata sopra le nostre parole. Ascolta e poi ci dice: “Lenti di cuore!”. Noi? Lenti noi che soffriamo così tanto? Sembra che non ci capisca o non ci prende sul serio? Davvero è così diverso dai tanti consulenti compiacenti che corrono appresso alle nostre emozioni, a volte per mera convenienza, altre perché non sanno cosa fare e dire, ma sempre assecondando l’io credendo che così trova se stesso.
    Gesù ricorda che aveva parlato molto del male. Si vede che pareva loro come un’esagerazione, forse un pessimismo. Gesù non aveva mai parlato di una speranza a poco prezzo. Non aveva attratto i discepoli con un ottimismo a poco prezzo, che non deve fare pensare e non chiede amore. Non ha mai detto che ci pensava lui, avrebbe risolto tutto! Anzi: ci mette di fronte la forza del male e ci dice che dovremo affrontarla. La differenza è che non saremo soli e che possiamo seguire il suo amore.
    Gli uomini cercano facili rassicurazioni, si sentono forti con qualche ideologia, corrono da influencer che offrono risposte sicure e rassicuranti. Dio risolve, questo sì, ma aprendo gli occhi su dove sta il male, piangendo per le tante, enormi croci e ci aiuta a vincerlo. Poi sta a noi, liberi di amare o di fare il suo contrario, drammaticamente liberi, di costruire delle croci dove finiamo noi stessi crocifissi, come le fabbriche di armi o come i nazionalismi che le giustificano e nutrono le guerre, la violenza e distruggono la vera appartenenza comune che è l’identità umana. Sta a noi credere che il mondo può cambiare e che la forza è quella di Gesù. Ecco perché “tardi di cuore”.
    Adesso iniziava la speranza, non finiva! Per loro la vittoria era quella dei re di questo mondo, che combattono il male con il male. Per Gesù, invece, il male si combatte e si vince amando fino alla fine, morendo per risorgere, perdendosi per amore, cadendo a terra, trovando la via del cielo perché così si vive bene anche sulla terra.
    Portiamo nel cuore e negli occhi la guerra. Non la vediamo da spettatori, ma con gli occhi delle vittime e dei loro cari. Sono i nostri cari. Vediamo tantissime croci, terribili, insopportabili, che il male ha alzato. Che possiamo fare noi? Tornare ad Emmaus, starcene noi in pace, come se la speranza di Gesù fosse impossibile, ingenua? Per questo Gesù ci dice che siamo tardi di cuore! Non giustifica le nostre tristezze, non fornisce medicine per curarci senza risolvere la causa della tristezza e lasciandoci come siamo. Gesù ci aiuta a ricordare, a capire, perché è un amico vero e ci accende il cuore di amore e di speranza, non chiudendo gli occhi o scappando, ma ricordando e capendo. Non si mette a fare una predica sul peccato senza scaldare il cuore e spiegare cosa c’è di bello, come dice Mazzolari mostrando come “il bene è bello, che il volersi bene è bello, che il prodigarsi è bello. Prima di disamorare bisogna innamorare: prima di chiudere una porta sul tempo bisogna spalancare una finestra sull’eterno”.
    Le parole di Gesù accendono il cuore, svegliano perché piene di amore! Certi consulenti per le nostre tristezze e fragilità finiscono invece per infragilirci ancora di più perché il nostro problema è trovare per chi vivere, amare per affrontare le difficoltà.
    Quando loro sono arrivati Gesù fa come se dovesse proseguire. I due per la prima volta non si preoccupano solo di sé ma del pellegrino che doveva camminare ed era sera, buio, pericoloso. Gli chiedono: “Fermati con noi! Resta!”. Finalmente si preoccupano del prossimo. Resta Lui perché hanno bisogno loro o perché serve a Lui? Non ci lascia soli e non vuole restare solo! La notte del dolore e della tristezza avrà sempre Lui, nostra luce. Gesù risorto lo vediamo nello spezzare il pane. Lui lo spezza per noi e noi lo spezziamo tra noi. Lui condivide perché noi condividiamo. Questo è essere uomini di pace, che non scappano dal male pensando di salvare se stessi, ma lo affrontano con l’amore che vince. Gesù, che non è un ricordo da venerare, ma una presenza da riconoscere. La nostra speranza non è rivolta al passato, ma al futuro. Il cristiano non è uno sconfitto, ma un vittorioso, che cerca la vera vittoria, quella che dona vita e luce.
    Ecco, la Chiesa non smette di amare anche quando tutto sembra finito. Inizia di nuovo l’amore a mettere in movimento. I due finalmente si convertono al pellegrino, imparano a camminare assieme, affrontano il male che era a Gerusalemme, cambiano strada non per obbligo ma per amore, perché hanno visto, hanno il cuore pieno di amore. Il cuore ardeva nel petto. Lui scompare ma resta con loro. Davvero non va più via, la sua presenza è nel cuore, interiore. Hanno ricordato, hanno capito la via dell’amore, tutt’altro che ingenua e remissiva, l’unica che può sconfiggere il male.
    Impariamo anche noi a farci pellegrini assieme ai tanti con il cuore triste. Spezziamo il pane perché tanti sono terribilmente soli e il dolore è enorme. Essi chiedono comunione, pace, vittoria sul male. Condividiamo la sofferenza di tanti che hanno la notte nel cuore. Restiamo con loro per trovare noi con loro il senso del cammino. Così si accende la luce della pace. Così verrà la pace: affrontando il male e spezzando la catena di odio e di divisione, con un amore grande.
    “Mostrati, Signore; a tutti i pellegrini dell’assoluto, vieni incontro, Signore; con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare cammina, Signore; affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus; e non offenderti se essi non sanno che sei tu ad andare con loro, tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori; non sanno che ti portano dentro: con loro fermati poiché si fa sera e la notte è buia e lunga, Signore” (David Maria Turoldo).

    Fonte

  5. #65
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    Torna il 24 la Festa della Famiglia

    Domenica 24 a San Giorgio di Piano si svolgerà la Festa diocesana della Famiglia, in presenza. «Quest’anno - spiega don Gabriele Davalli, direttore dell’Ufficio Famiglia diocesano - torniamo alla modalità consueta di questo appuntamento che il nostro Ufficio propone al termine del biennio nel quale ha collaborato e si è interfacciato con il vicariato di Galliera. Infatti ogni due anni, all’Ufficio Pastorale Familiare è richiesto di impegnarsi con un territorio specifico della diocesi (la Zona pastorale, i parroci, i laici impegnati nell’attività parrocchiale) per entrare sempre di più all’interno del mondo della famiglia. Questi due anni sono stati peraltro caratterizzati dalla pandemia, che ha rallentato il nostro itinerario. Abbiamo rallentato, ma forse lo abbiamo ancora di più approfondito, in quanto il maggior tempo avuto a disposizione ci ha permesso di entrare sempre di più in profondità nel vissuto delle famiglie del territorio di Galliera, riuscendone a capire le peculiarità». «In particolare prosegue - vi abbiamo colto come la presenza delle scuole paritarie è davvero importante in quasi tutte le grosse parrocchie di questo vicariato.
    Quindi, ci siamo interrogati sul modo in cui la scuola paritaria può diventare uno strumento per agganciare la Pastorale delle famiglie attraverso l’incontro coi più piccoli». La Festa della famiglia di quest’anno vuole raccogliere tutto questo cammino e ha come tema «Famiglia, mettiti in gioco». Prosegue don Davalli: «Abbiamo voluto così esprimere il desiderio che la famiglia torni ad essere protagonista della vita delle nostre comunità, attraverso un coinvolgimento sempre più pieno e consapevole nell’ascolto, nell’annuncio, nella carità, nell’accoglienza e nella festa». La mattinata della Festa inizierà con l’accoglienza dalle 10 in piazza Indipendenza a San Giorgio di Piano, accanto alla chiesa parrocchiale. Verrà proposto un grande gioco per tutta la famiglia, perché tutti, genitori e bambini e ragazzi possono giocare insieme. Poi, verrà proposta la possibilità di consumare insieme un pranzo, per il quale è necessario prenotarsi sul sito della diocesi, nel settore Ufficio Famiglia. Alle 14 incontro formativo con il pedagogista Roberto Maurizio sul tema: «Adulti e adolescenti, relazioni cercansi». E infine la Messa alle 16 presieduta dall’Arcivescovo 16, sempre in piazza Indipendenza all’aperto». (L.T.)



    Fonte: Bologna7 di domenica, p. 1

  6. #66
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    Agenda dell'Arcivescovo per la settimana

    OGGI
    Alle 16 nella Piazza centrale di San Giorgio di Piano Messa per la chiusura della Festa diocesana della Famiglia.

    GIOVEDÌ 28

    Alle 10 in Seminario presiede il Consiglio presbiterale.

    VENERDÌ 29
    Alle 18.30 in via Toscana 148 parteciperà alla cerimonia di inaugurazione ufficiale della Sede «Santa Caterina» dell’Istituto Farlottine.

    DOMENICA 1 MAGGIO

    A Siena, nel Duomo alle 11 Messa per la festa di santa Caterina, patrona della città e d ’Italia.

    Fonte: Bologna7 di oggi, p. 7

  7. #67
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    Gruppi Padre Pio
    convegno regione


    Domani il Convegno regionale dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio dell’Emilia-Romagna si riunirà nella parrocchia di Santa Maria Madre della Chiesa. Il convegno «seguite la strada sulla quale Dio vi ha posti» prevede: l’accoglienza dei Gruppi di Preghiera, la recitazione del Rosario e la preghiera di accoglienza, alla quale seguiranno gli interventi di diversi ospiti: un saluto da don Luca Marmoni, coordinatore regionale dei Gruppi di Preghiera; un momento di catechesi offerto da padre Luciano Lotti, segretario generale; la dottoressa Marianna Iafelice interverrà su «Madre Francesca Foresti, sulla strada di Padre Pio»; una testimonianza su «Padre Pio e Giuseppe Castegneti, il sindaco di Dio». La Messa, che concluderà l’evento, sarà presieduta da padre Franco Moscone, direttore generale dei Gruppi di Preghiera e presidente di «Casa sollievo della sofferenza». Il convegno si svolgerà nel rispetto delle norme anti-Covid.




    Fonte: Bologna7 di oggi, p. 7

  8. #68
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    Stazione, inaugurata la Cappella rinata

    Lo scorso lunedì 18 aprile, in occasione del 40° anniversario della prima visita di Papa Giovanni Paolo II a Bologna e della sua commemorazione in Stazione della strage del 2 agosto 1980, si è tenuta una solenne benedizione della Cappella situata all’interno della Stazione centrale. Questo luogo di preghiera, unico in Emilia-Romagna, è stato recentemente ristrutturato grazie ad un accordo tra la Conferenza episcopale italiana e le Ferrovie dello Stato per il restauro delle Cappelle nelle stazioni italiane. All’evento inaugurale promosso dall’Unione cattolica stampa italiana erano presenti: il vescovo emerito di Imola, monsignor Tommaso Ghirelli, il vicario episcopale e parroco di San Benedetto, don Pietro Giuseppe Scotti, il Consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Emilio Bonavita, il delegato dell’Ucsi Roberto Zalambani e Alessandra Coppa per le Ferrovie dello Stato, assieme ad una commossa assemblea composta da parenti delle vittime, giornalisti e fedeli.
    L’inizio della cerimonia ha visto i partecipanti riuniti in Cappella per condividere un ricordo nella preghiera guidato da don Scotti che, prima della benedizione, ha detto: «La Chiesa è costruita da ciascuno di noi che siamo le vere pietre di questo edificio spirituale. Quindi, benedire questo ambiente vuol dire ridare vita ad una presenza non solo dei muri ma ridare vita ad una presenza della Chiesa».
    Successivamente, all’esterno della Cappella, i presenti hanno reso un sentito omaggio al monumento dedicato a Silver Sirotti, ferroviere vittima della strage dell’Italicus. Il corteo è proseguito lungo il primo binario della stazione verso la Sala d’attesa dove, nel 1982, Giovanni Paolo II benedisse la lapide che ricorda le 85 vittime del 2 agosto 1980. Qui, i partecipanti hanno recitato la preghiera proclamata quarant’anni prima dal Papa; orazione che, per iniziativa dell’Ucsi nel 1990, divenne una targa ricordo posta accanto allo squarcio causato dalla bomba. «Quella del Papa - ha detto Zalambani - fu una visita molto importante: ci rendiamo conto di quanto quelle sue parole fossero incisive, reclamando ancora oggi pace e giustizia per la guerra in corso. Noi giornalisti vogliamo dimostrare qui, ma anche in tante altre situazioni, di essere veramente al servizio dei cittadini e della verità. Quando ci siamo ricordati che erano trascorsi quarant’anni, insieme alle Ferrovie dello Stato, abbiamo pensato che poteva essere l’occasione giusta per inaugurare il restauro della Cappella». (T.T.)



    Fonte: Bologna7 di oggi, p. 2

  9. #69
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    Lutto

    Segnalo questo decesso, per ora non riportato sul sito della Diocesi e appreso solo da una comunicazione interna inviata al clero:

    Ai presbiteri e ai diaconi dell’Arcidiocesi

    Comunichiamo la morte di Mons. Dott. Enzo LODI, Liturgista, nostro docente al Seminario Regionale e Consultore della Congregazione per il Culto Divino, di anni 96, avvenuta oggi presso la Casa del Clero.
    La S. Messa esequiale, presieduta dal Cardinale Arcivescovo, si terrà presso la Cattedrale Metropolitana di S. Pietro lunedì 2 maggio 2022, alle ore 14.00.
    La salma sarà quindi trasferita a S. Agostino Ferrarese per essere sepolta nella tomba di famiglia.

    I Vicari Generali

  10. #70
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    Vergine Soccorso, le feste cittadine

    Dal 1° all’8 maggio si susseguiranno le celebrazioni per le feste annuali cittadine del Voto nel Santuario della Beata Vergine del Soccorso, Borgo di San Pietro. L’Ottavario, con il tema «Rallegrati, piena di grazia il Signore è con te» (Lc. 1,28), avrà inizio sabato 30 con la recitazione del Rosario alle 18,00 alla quale seguirà la Messa, programma previsto anche per le giornate successive. Lunedì 2 maggio, in occasione della Solennità liturgica della Beata Vergine del Soccorso, patrona della parrocchia, la Messa sarà celebrata dall’arcivescovo Matteo Zuppi. Il portico del Santuario, inoltre, ospiterà il consueto «mercatino d’autore», che precede i festeggiamenti nelle giornate di venerdì e sabato 29-30 aprile e domenica 1° maggio dalle 9,00 alle 19,30. Offre la possibilità di acquistare articoli vintage e non solo: bigiotteria, libri, dischi, prodotti per la casa e molto altro offerto generosamente dai fedeli che appartengono alla parrocchia. Tutto il ricavato sarà utilizzato per sostenere le varie attività parrocchiane e per ripagare gli onerosi restauri degli ultimi anni.




    Fonte: Bologna7 di domenica, p. 7

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