Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
Pagina 13 di 19 PrimaPrima ... 31112131415 ... UltimaUltima
Risultati da 121 a 130 di 190

Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #121
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE DELLE
    PICCOLE SUORE MISSIONARIE DELLA CARITÀ
    (OPERA DON ORIONE)


    Sala Clementina
    Giovedì, 25 maggio 2023


    Care sorelle, buongiorno e benvenute!

    Vi incontro in questo momento significativo per la vostra Congregazione che è il Capitolo Generale, un tempo forte di dialogo tra voi e con lo Spirito Santo, da cui uscire rinnovati, nel cuore prima che nelle iniziative e nelle strutture.

    Quando San Luigi Orione fondava la vostra prima comunità vi dava come missione quella di «far sperimentare [alle persone] la Provvidenza di Dio e la maternità della Chiesa». Vi chiamava cioè a incarnare l’agire misericordioso di Dio e della Chiesa con spirito materno. Per farlo poi vi indicava tre vie fondamentali: essere unite a Gesù, vicine ai fratelli e attive nel servizio. Vediamole insieme.

    Essere unite a Gesù. San Luigi Orione ha fondato la vostra Congregazione – assieme ai Figli della Divina Provvidenza, alle Suore Sacramentine Adoratrici non vedenti e alle Suore Contemplative di Gesù Crocifisso – sotto l’insegna del motto paolino Instaurare omnia in Christo: «Ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose» (Ef 1,10). È chiaro allora che l’unione a Cristo per voi dev’essere la radice di ogni attività. Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato questo come un valore basilare per tutti i religiosi, dicendo che essi tanto più arricchiscono l’apostolato e la vitalità della Chiesa quanto più fervorosamente vivono uniti a Cristo (cfr Perfectae caritatis, 1), come i primi discepoli. Non si tratta dunque né di coltivare, nella vita spirituale e apostolica, intimismi fumosi e sterili, né di trasformarsi in “efficienti quadri aziendali” nella gestione delle opere. Si tratta invece di fare proprio il modo di vivere di Gesù, lasciando sempre più che sia Lui ad agire in noi, abbandonandoci a Lui, fino a poter dire come San Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20); e ancora: «Caritas Christi urget nos», «L’amore del Cristo ci possiede» (cfr 2 Cor 5,14). Don Orione aveva presente questa realtà quando affermava che «per conquistare Dio e afferrare gli altri occorre prima vivere una vita intensa di Dio in noi stessi», [1] una fede che bruci dentro e risplenda attorno a noi. E allora lasciatevi sempre prima di tutto conquistare dal Signore, dalla sua presenza viva nell’Eucaristia, nella sua Parola, in voi stesse grazie allo Spirito Santo. Ricordatevi che, come madri, il dono più grande che potete fare ai figli che Dio vi affida è quello di trasmettere loro il vostro amore tenero e appassionato per Gesù, di insegnare loro ad amarlo e conoscerlo come voi lo conoscete e lo amate, e di renderli partecipi della vostra fede in Lui.

    La seconda indicazione lasciatavi da don Orione è quella di essere vicine ai fratelli. Gesù stesso infatti ci ha detto: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» ( Mt 25,40). Allora anche il vostro servizio potete viverlo come incontro con Lui, animate dallo stesso amore. È Lui che si fa povero e piccolo nei poveri e nei piccoli; è Lui che in loro vi chiede calore e protezione. Abbiate dunque sempre, tra voi e verso gli altri, un senso di tenerezza materna, mai di freddezza. E se qualche volta questo malanno del cuore si fa sentire, cacciatelo subito via, con pensieri, parole e gesti di accoglienza e di gentilezza! Sappiamo bene che è meglio un pezzo di pane condiviso con un sorriso che una pietanza magari raffinata, ma condita di gelo e insipida di amore. Le vostre case e i luoghi del vostro servizio siano pieni di calore materno! Come diceva don Orione: tutti possano scaldarsi e illuminarsi attraverso «la fiamma che arde nel vostro cuore e la luce del vostro incendio interiore». [2]

    Infine, San Luigi Orione vi ha insegnato a “lavorare sodo”, a non risparmiarvi nel servizio a favore dei più bisognosi. Servire «i poveri, i piccoli, gli afflitti da ogni male e dolore», con le «maniche rimboccate», da buone mamme, con compassione, creatività e fantasia, nella carità. [3] Una mamma non si arrende mai di fronte ai bisogni dei suoi figli: non fa mai mancare loro le attenzioni, le sorprese, le tenerezze e anche i rimproveri necessari; riesce a inventarsi soluzioni e rimedi impensati, anche di fronte a situazioni difficili o nell’incomprensione degli altri: è perché una mamma ama, e l’amore rende liberi e creativi! Del resto, è soprattutto questo che fa sentire i figli “a casa”, al sicuro, accettati al di là delle loro capacità, dei successi, delle condizioni sociali, della provenienza e dell’appartenenza religiosa, perché una madre vuole bene a tutti, non fa differenze. Così ama Cristo, così ama la Madre Chiesa, e così auguro anche a voi di saper amare, con questa maternità domestica, con cuore generoso e con “olio di gomito”! In questo modo darete gioia e speranza a molti, e un esempio concreto di vita sana, prezioso specialmente per i giovani, spesso disorientati da modelli esistenziali fragili e vuoti.

    Voi vi definite per vocazione una “congregazione samaritana”: e chi più di una mamma è “samaritano” per i suoi figli? Vede, anzi intuisce le loro ferite, si ferma, li cura e alla fine li lascia partire per la loro strada. Vi esorto ad amare così, come ha fatto San Luigi Orione, come madri nella carità. Vi benedico di cuore. E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me.

    _____________________________

    [1] Lo spirito di Don Orione, vol. VI, X Speranza, 10, “Silenzio e unione con Dio”).

    [2] Ibid.

    [3] Cfr Piano e programma della Piccola Opera, n. 3.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  2. #122
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO NAZIONALE DEI REFERENTI DIOCESANI
    DEL CAMMINO SINODALE ITALIANO


    Aula Paolo VI
    Giovedì, 25 maggio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Saluto tutti voi, Vescovi, insieme ai referenti diocesani, al Comitato e alla Presidenza: grazie di essere qui.

    Questo incontro si colloca nel vivo di un processo di Sinodo che sta interessando tutta la Chiesa e, in essa, le Chiese locali, nelle quali i Cantieri sinodali si sono costituiti come una bella esperienza di ascolto dello Spirito e di confronto tra le diverse voci delle comunità cristiane. Ciò ha generato un coinvolgimento di tanti, specialmente su alcuni temi che riconoscete come cruciali e prioritari per il presente e per il futuro. Si tratta di un’esperienza spirituale unica, di conversione e di rinnovamento, che potrà rendere le vostre comunità ecclesiali più missionarie e più preparate all’evangelizzazione nel mondo attuale. Questo cammino è cominciato 60 anni fa, quando San Paolo VI, alla fine del Concilio, si è accorto che la Chiesa in occidente aveva perso la sinodalità. Lui creò la Segreteria per il Sinodo dei Vescovi. In questi anni è stato fatto ogni quattro anni un Sinodo; nel 50° anni è stato fatto un documento sulla sinodalità - è importante quel documento -; e poi in questi ultimi dieci anni si è andati avanti e adesso si fa un Sinodo per dire cosa sia la sinodalità, che come sappiamo non è cercare le opinioni della gente e neppure un mettersi d’accordo, è un’altra cosa.

    Vorrei perciò esortarvi a proseguire con coraggio e determinazione su questa strada, anzitutto valorizzando il potenziale presente nelle parrocchie e nelle varie comunità cristiane. Per favore questo è importante. Nello stesso tempo, poiché, dopo il biennio dedicato all’ascolto, state per affacciarvi a quella che chiamate “fase sapienziale”, con l’intento di non disperdere quanto è stato raccolto e di avviare un discernimento ecclesiale, vorrei affidarvi alcune consegne. Con esse cerco di rispondere, almeno in parte, alle domande che il Comitato mi ha fatto pervenire sulle priorità per la Chiesa in relazione alla società, su come superare resistenze e preoccupazioni, sul coinvolgimento dei sacerdoti e dei laici e sulle esperienze di emarginazione.

    Ecco, dunque, la prima consegna: continuate a camminare. Si deve fare. Mentre cogliete i primi frutti nel rispetto delle domande e delle questioni emerse, siete invitati a non fermarvi. La vita cristiana è un cammino. Continuate a camminare, lasciandovi guidare dallo Spirito. Al Convegno ecclesiale di Firenze indicavo nell’umiltà, nel disinteresse e nella beatitudine tre tratti che devono caratterizzare il volto della Chiesa, il volto delle vostre comunità. Umiltà, disinteresse e beatitudine. Una Chiesa sinodale è tale perché ha viva consapevolezza di camminare nella storia in compagnia del Risorto, preoccupata non di salvaguardare sé stessa e i propri interessi, ma di servire il Vangelo in stile di gratuità e di cura, coltivando la libertà e la creatività proprie di chi testimonia la lieta notizia dell’amore di Dio rimanendo radicato in ciò che è essenziale. Una Chiesa appesantita dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo faticherà a camminare nella storia, al passo dello Spirito, rimarrà lì e non potrà camminare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo.

    La seconda consegna è questa: fare Chiesa insieme. È un’esigenza che sentiamo di urgente, oggi, sessant’anni dopo la conclusione del Vaticano II. Infatti, è sempre in agguato la tentazione di separare alcuni “attori qualificati” che portano avanti l’azione pastorale, mentre il resto del popolo fedele rimane «solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, 120). Ci sono i “capi” di una parrocchia, portano avanti le cose e la gente riceve soltanto quello. La Chiesa è il santo Popolo fedele di Dio e in esso, «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro […] è diventato discepolo missionario» (ibid.). Questa consapevolezza deve far crescere sempre più uno stile di corresponsabilità ecclesiale: ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa, a partire dallo specifico della propria vocazione, in relazione con le altre e con gli altri carismi, donati dallo Spirito per il bene di tutti. Abbiamo bisogno di comunità cristiane nelle quali si allarghi lo spazio, dove tutti possano sentirsi a casa, dove le strutture e i mezzi pastorali favoriscano non la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di sentirsi corresponsabili.

    In tal senso, dobbiamo chiedere allo Spirito Santo di farci comprendere e sperimentare come essere ministri ordinati e come esercitare il ministero in questo tempo e in questa Chiesa: mai senza l’Altro con la “A” maiuscola, mai senza gli altri con cui condividere il cammino. Questo vale per i Vescovi, il cui ministero non può fare a meno di quello dei presbiteri e dei diaconi; e vale anche per gli stessi presbiteri e diaconi, chiamati a esprimere il loro servizio all’interno di un noi più ampio, che è il presbiterio. Ma questo vale anche per l’intera comunità dei battezzati, nella quale ciascuno cammina con altri fratelli e altre sorelle alla scuola dell’unico Vangelo e nella luce dello Spirito.

    La terza consegna: essere una Chiesa aperta. Riscoprirsi corresponsabili nella Chiesa non equivale a mettere in atto logiche mondane di distribuzione dei poteri, ma significa coltivare il desiderio di riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua singolarità. Così, possono trovare posto quanti ancora faticano a vedere riconosciuta la loro presenza nella Chiesa, quanti non hanno voce, coloro le cui voci sono coperte se non zittite o ignorate, coloro che si sentono inadeguati, magari perché hanno percorsi di vita difficili o complessi. A volte sono “scomunicati” a priori. Ma ricordiamocelo: la Chiesa deve lasciar trasparire il cuore di Dio: un cuore aperto a tutti e per tutti. Non dimentichiamo per favore la parabola di Gesù della festa di nozze fallita, quando quel signore, non essendo venuti gli invitati, cosa dice? “Andate agli incroci delle strade e chiamate tutti” (cfr Mt 22,9). Tutti: malati, non malati, giusti, peccatori, tutti, tutti dentro.

    Dovremmo domandarci quanto facciamo spazio e quanto ascoltiamo realmente nelle nostre comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono delusi, di chi nella vita è stato ferito ed è arrabbiato con la Chiesa. Fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi. Ricordate questo, chiamate tutti: giusti, peccatori, sani, malati, tutti, tutti, tutti.

    A volte si ha l’impressione che le comunità religiose, le curie, le parrocchie siano ancora un po’ troppo autoreferenziali. E l’autoreferenzialità è un po’ la teologia dello specchio: guardarsi allo specchio, maquillage, mi pettino bene… È una bella malattia questa, una bella malattia che ha la Chiesa: autoreferenziale, la mia parrocchia, la mia classe, il mio gruppo, la mia associazione… Sembra che si insinui, un po’ nascostamente, una sorta di “neoclericalismo di difesa” – il clericalismo è una perversione, e il vescovo, il prete clericale è perverso, ma il laico e la laica clericale lo è ancora di più: quando il clericalismo entra nei laici è terribile! –: il neoclericalismo di difesa generato da un atteggiamento timoroso, dalla lamentela per un mondo che “non ci capisce più”, dove “i giovani sono perduti”, dal bisogno di ribadire e far sentire la propria influenza – “ma io farò questo…”. Il Sinodo ci chiama a diventare una Chiesa che cammina con gioia, con umiltà e con creatività dentro questo nostro tempo, nella consapevolezza che siamo tutti vulnerabili e abbiamo bisogno gli uni degli altri. E a me piacerebbe che in un percorso sinodale si prendesse sul serio questa parola “vulnerabilità” e si parlasse di questo, con senso di comunità, sulla vulnerabilità della Chiesa. E aggiungo: camminare cercando di generare vita, di moltiplicare la gioia, di non spegnere i fuochi che lo Spirito accende nei cuori. Don Primo Mazzolari scriveva: «Che contrasto quando la nostra vita spegne la vita delle anime! Preti che sono soffocatori di vita. Invece di accendere l’eternità, spegniamo la vita». Siamo inviati non per spegnere, ma per accendere i cuori dei nostri fratelli e sorelle, e per lasciarci rischiarare a nostra volta dai bagliori delle loro coscienze che cercano la verità.

    Mi ha colpito, a questo proposito, la domanda del cappellano di un carcere italiano, che mi chiedeva come far sì che l’esperienza sinodale vissuta in una casa circondariale possa poi trovare un seguito di accoglienza nelle comunità. Su questa domanda inserirei un’ultima consegna: essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo. Siamo chiamati a raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarcene interrogare, a portarle davanti a Dio, a immergerle nella Pasqua di Cristo. Il grande nemico di questo cammino è la paura: “Ho paura, stai attento…”.

    Formare dei gruppi sinodali nelle carceri vuol dire mettersi in ascolto di un’umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione. C’è in Spagna un carcere, con un bravo cappellano, che mi invia messaggi perché io veda sempre le loro riunioni… Ma sono in sinodo permanente questi carcerati! È interessante vedere come questo cappellano fa uscire da dentro il meglio di loro stessi, per proiettarlo al futuro. Per un detenuto, scontare la pena può diventare occasione per fare esperienza del volto misericordioso di Dio, e così cominciare una vita nuova. E la comunità cristiana è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza, e spezzare con loro il pane della Parola di Dio. Questo è un esempio di inquietudine buona, che voi mi avete dato; e potrei citarne tanti altri: esperienze di una Chiesa che accoglie le sfide del nostro tempo, che sa uscire verso tutti per annunciare la gioia del Vangelo.

    Cari fratelli e sorelle, proseguiamo insieme questo percorso, con grande fiducia nell’opera che lo Spirito Santo va realizzando. È Lui il protagonista del processo sinodale, Lui, non noi! È Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa. Mi piace come lo definisce San Basilio: Lui è l’armonia. Non ci facciamo l’illusione che il Sinodo lo facciamo noi, no. Il Sinodo andrà avanti se noi saremo aperti a Lui che è il protagonista. Afferma la Lumen gentium: «Egli – lo Spirito – introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22)» (n. 4).

    Grazie del lavoro che state facendo. Quando sono entrato uno di voi mi ha detto un’espressione molto argentina, che non ripeto, ma ha una bella traduzione in italiano, che forse lui dirà… Una cosa che sembra disordinata… Pensate al processo degli Apostoli la mattina di Pentecoste: quella mattina era peggio! Disordine totale! E chi ha provocato quel “peggio” è lo Spirito: Lui è bravo a fare queste cose, il disordine, per smuovere… Ma lo stesso Spirito che ha provocato questo ha provocato l’armonia. Entrambe le cose sono fatte dallo Spirito, Lui è il protagonista, è Lui che fa queste cose. Non bisogna avere paura quando ci sono disordini provocati dallo Spirito; ma averne paura quando sono provocati dai nostri egoismi o dallo Spirito del male. Affidiamoci allo Spirito Santo. Lui è l’armonia. Lui fa tutto questo, il disordine, ma Lui è capace di fare l’armonia, che è una cosa totalmente diversa dall’ordine che noi potremmo fare da noi stessi.

    Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  3. #123
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DA "LA CIVILTÀ CATTOLICA"
    E DALLA GEORGETOWN UNIVERSITY


    Sala Clementina
    Sabato, 27 maggio 2023


    Cari fratelli e care sorelle, benvenuti!

    Saluto e ringrazio P. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, e il Prof. John DeGioia, presidente della Georgetown University. Sono lieto di incontrarvi mentre si svolge il Convegno che riunisce poeti, scrittori, sceneggiatori e registi di varie parti del mondo attorno al tema dell’immaginazione poetica e dell’ispirazione cattolica. So che in questi giorni avete riflettuto su quali siano i modi attraverso i quali la fede interroga la vita contemporanea, cercando così di rispondere alla fame di significato. Questo “significato” non è riducibile a un concetto, no. È un significato totale che prende poesia, simbolo, sentimenti. Il vero significato non è quello del dizionario: quello è il significato della parola, e la parola è uno strumento di tutto quello che è dentro di noi.

    Ho amato molti poeti e scrittori nella mia vita, tra i quali ricordo soprattutto Dante, Dostoevskij e altri ancora. Devo anche ringraziare i miei studenti del Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, con i quali ho condiviso le mie letture quando ero giovane e insegnavo letteratura. Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede, e perfino il mio compito pastorale, anche ora in questo ministero. Dunque, la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino. La poesia è aperta, ti butta da un’altra parte. A partire da questa esperienza personale, oggi vorrei condividere con voi alcune considerazioni sull’importanza del vostro servizio.

    La prima vorrei esprimerla così: voi siete occhi che guardano e che sognano. Non soltanto guardare, ma anche sognare. Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che probabilmente non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo. Uno scrittore latinoamericano diceva che abbiamo due occhi: uno di carne e l’altro di vetro. Con quello di carne guardiamo ciò che vediamo, con quello di vetro guardiamo ciò che sogniamo. Poveri noi se smettiamo di sognare, poveri noi!

    L’artista è l’uomo che con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi. Infatti, la poesia non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa: il lavoro, l’amore, la morte e tutte le piccole grandi cose che riempiono la vita. E, in questo senso, ci aiuta a «carpire la voce di Dio anche dalla voce del tempo». [1] Il vostro è – per citare Paul Claudel – un “occhio che ascolta”. L’arte è un antidoto contro la mentalità del calcolo e dell’uniformità; è una sfida al nostro immaginario, al nostro modo di vedere e capire le cose. E in questo senso lo stesso Vangelo è una sfida artistica, con una carica “rivoluzionaria” che voi siete chiamati a esprimere grazie al vostro genio con una parola che protesta, chiama, grida. Oggi la Chiesa ha bisogno della vostra genialità, perché ha bisogno di protestare, chiamare e gridare.

    Vorrei dire però una seconda cosa: voi siete anche la voce delle inquietudini umane. Tante volte le inquietudini sono sepolte nel fondo del cuore. Voi sapete bene che l’ispirazione artistica non è solo confortante, ma anche inquietante, perché presenta sia le realtà belle della vita sia quelle tragiche. L’arte è il terreno fertile nel quale si esprimono le «opposizioni polari» della realtà, [2] le quali richiedono sempre un linguaggio creativo e non rigido, capace di veicolare messaggi e visioni potenti. Per esempio, pensiamo a quando Dostoevskij nei Fratelli Karamazov racconta di un bambino, piccolo, ?glio di una serva, che lancia una pietra e colpisce la zampa di uno dei cani del padrone. Allora il padrone aizza tutti i cani contro il bambino. Lui scappa e prova a salvarsi dalla furia del branco, ma ?nisce per essere sbranato sotto gli occhi soddisfatti del generale e quelli disperati della madre. Questa scena ha una potenza artistica e politica tremenda: parla della realtà di ieri e di oggi, delle guerre, dei conflitti sociali, dei nostri egoismi personali. Per citare soltanto un brano poetico che ci interpella.

    E non mi riferisco solamente alla critica sociale che c’è in quel brano. Parlo delle tensioni dell’anima, della complessità delle decisioni, della contraddittorietà dell’esistenza. Ci sono cose nella vita che, a volte, non riusciamo neanche a comprendere o per le quali non troviamo le parole adeguate: questo è il vostro terreno fertile, il vostro campo di azione. E questo è anche il luogo dove spesso si fa esperienza di Dio. Un’esperienza che è sempre “debordante”: tu non puoi prenderla, la senti e va oltre; è sempre debordante, l’esperienza di Dio, come una vasca dove cade l’acqua di continuo e, dopo un po’, si riempie e l’acqua straripa, deborda. È quello che vorrei chiedere oggi anche a voi: andare oltre i bordi chiusi e definiti, essere creativi, senza addomesticare le vostre inquietudini e quelle dell’umanità. Ho paura di questo processo di addomesticamento, perché toglie la creatività, toglie la poesia. Con la parola della poesia, raccogliere gli inquieti desideri che abitano il cuore dell’uomo, perché non si raffreddino e non si spengano. Questa opera permette allo Spirito di agire, di creare armonia dentro le tensioni e le contraddizioni della vita umana, di tenere acceso il fuoco delle passioni buone e di contribuire alla crescita della bellezza in tutte le sue forme, quella bellezza che si esprime proprio attraverso la ricchezza delle arti.

    Questo è il vostro lavoro di poeti, narratori, registi, artisti: dare vita, dare corpo, dare parola a tutto ciò che l’essere umano vive, sente, sogna, soffre, creando armonia e bellezza. È un lavoro evangelico che ci aiuta a comprendere meglio anche Dio, come grande poeta dell’umanità. Vi criticheranno? Va bene, portate il peso della critica, cercando anche di imparare dalla critica. Ma comunque non smettete di essere originali, creativi. Non perdete lo stupore di essere vivi.

    Dunque, occhi che sognano, voce delle inquietudini umane; e perciò voi avete anche una grande responsabilità. E qual è? È la terza cosa che vorrei dirvi: siete tra coloro che plasmano la nostra immaginazione. Questo è importante. Il vostro lavoro, infatti, ha una conseguenza sull’immaginazione spirituale delle persone del nostro tempo, specialmente riguardo alla figura di Cristo. In questo nostro tempo – come ho già avuto modo di dire – «abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti, di scrittori, poeti, artisti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù» [3].

    La vostra opera ci aiuta a vedere Gesù, a guarire la nostra immaginazione da tutto ciò che ne oscura il volto o, ancor peggio, da tutto ciò che vuole addomesticarlo. Addomesticare il volto di Cristo, quasi per tentare di definirlo e di chiuderlo nei nostri schemi, significa distruggere la sua immagine. Il Signore ci sorprende sempre, Cristo è sempre più grande, è sempre un mistero che in qualche modo ci sfugge. Si fa fatica a metterlo dentro una cornice e ad appenderlo al muro. Lui sempre ci sorprende, e quando noi non sentiamo che il Signore ci sorprende, qualcosa non funziona: il nostro cuore è finito e chiuso.

    Ecco la sfida per l’immaginazione cattolica del nostro tempo, la sfida che è consegnata a voi: non “spiegare” il mistero di Cristo, che in realtà è inesauribile; ma farcelo toccare, farcelo sentire immediatamente vicino, consegnarcelo come realtà viva, e farci cogliere la bellezza della sua promessa. Perché la sua promessa aiuta la nostra immaginazione: ci aiuta a immaginare in modo nuovo la nostra vita, la nostra storia e il futuro dell’umanità! E qui torno a un altro capolavoro di Dostoevskij, piccolo ma che ha dentro tutte queste cose: le “Storie dal sottosuolo”. Lì dentro c’è tutta la grandezza dell’umanità e tutti i dolori dell’umanità, tutte le miserie, insieme. Questa è la strada.

    Cari amici, grazie per il vostro servizio. Continuate a sognare, a inquietarvi, a immaginare parole e visioni che ci aiutino a leggere il mistero della vita umana e orientino le nostre società verso la bellezza e la fraternità universale. Aiutateci ancora ad aprire la nostra immaginazione perché essa superi gli angusti confini dell’io e si apra al mistero santo di Dio. Andate avanti, senza stancarvi, con creatività e coraggio! Vi benedico e prego per voi; e anche voi, per favore, pregate per me. Grazie.

    _______________________________

    [1] K. RAHNER, La libertà di parola nella Chiesa. Le proposte del cristianesimo, Torino, Borla, 1964, 37.

    [2] Cfr R. GUARDINI, L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Brescia, Morcelliana, 1977.

    [3] «Prefazione», in A. SPADARO, Una trama divina. Gesù in controcampo, Venezia, Marsilio, 2023, p. 10.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  4. #124
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

    OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Basilica di San Pietro
    Domenica, 28 maggio 2023


    La Parola di Dio oggi ci mostra lo Spirito Santo in azione. Lo vediamo agire in tre momenti: nel mondo che ha creato, nella Chiesa e nei nostri cuori.

    1. Anzitutto nel mondo che ha creato, nella creazione. Fin dall’inizio lo Spirito Santo è all’opera: «Mandi il tuo spirito, sono creati», abbiamo pregato con il Salmo (104,30). Egli, infatti, è creator Spiritus (cfr S. Agostino, In Ps., XXXII,2,2), Spirito creatore: così la Chiesa lo invoca da secoli. Ma, possiamo chiederci, che cosa fa lo Spirito nella creazione del mondo? Se tutto ha origine dal Padre, se tutto è creato per mezzo del Figlio, qual è il ruolo specifico dello Spirito? Un grande Padre della Chiesa, San Basilio, ha scritto: «Se provi a sottrarre lo Spirito alla creazione, tutte le cose si mescolano e la loro vita appare senza legge, senza ordine» (Spir., XVI,38). Ecco il ruolo dello Spirito: è Colui che, al principio e in ogni tempo, fa passare le realtà create dal disordine all’ordine, dalla dispersione alla coesione, dalla confusione all’armonia. Questo modo di agire lo vedremo sempre, nella vita della Chiesa. Egli dà al mondo, in una parola, armonia; così «dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra» (Gaudium et spes, 26; Sal 104,30). Rinnova la terra, ma attenzione: non cambiando la realtà, bensì armonizzandola; questo è il suo stile perché Egli è in sé stesso armonia: Ipse harmonia est (cfr S. Basilio, In Ps., 29,1), dice un Padre della Chiesa.

    Oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine. Tante guerre, tanti conflitti: sembra incredibile il male che l’uomo può compiere! Ma, in realtà, ad alimentare le nostre ostilità c’è lo spirito della divisione, il diavolo, il cui nome significa proprio “divisore”. Sì, a precedere ed eccedere il nostro male, la nostra disgregazione, c’è lo spirito maligno che «seduce tutta la terra» (Ap 12,9). Egli gode degli antagonismi, delle ingiustizie, delle calunnie, è la sua gioia. E, di fronte al male della discordia, i nostri sforzi per costruire l’armonia non bastano. Ecco allora che il Signore, al culmine della sua Pasqua, al culmine della salvezza, riversa sul mondo creato il suo Spirito buono, lo Spirito Santo, che si oppone allo spirito divisore perché è armonia, Spirito di unità che porta la pace. Invochiamolo ogni giorno sul nostro mondo, sulla nostra vita e davanti ad ogni tipo di divisione!

    2. Oltre che nella creazione, lo vediamo all’opera nella Chiesa, a partire dal giorno di Pentecoste. Notiamo però che lo Spirito non dà inizio alla Chiesa impartendo istruzioni e norme alla comunità, ma scendendo su ciascun Apostolo: ognuno riceve grazie particolari e carismi differenti. Tutta questa pluralità di doni diversi potrebbe ingenerare confusione, ma lo Spirito, come nella creazione, proprio a partire dalla pluralità ama creare armonia. La sua armonia non è un ordine imposto e omologato, no; nella Chiesa c’è un ordine «organizzato secondo la diversità dei doni dello Spirito» (S. Basilio, Spir., XVI,39). A Pentecoste, infatti, lo Spirito Santo scende in tante lingue di fuoco: dà a ciascuno la capacità di parlare altre lingue (cfr At 2,4) e di sentire la propria lingua parlata dagli altri (cfr At 2,6.11). Dunque non crea una lingua uguale per tutti, non cancella le differenze, le culture, ma armonizza tutto senza omologare, senza uniformare. E ciò deve farci pensare in questo momento, nel quale la tentazione dell’“indietrismo” cerca di omologare tutto in discipline soltanto di apparenza, senza sostanza. Restiamo su questo aspetto, sullo Spirito che non comincia da un progetto strutturato, come faremmo noi, che spesso poi ci disperdiamo nei nostri programmi; no, Lui inizia elargendo doni gratuiti e sovrabbondanti. Infatti a Pentecoste, sottolinea il testo, «tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). Tutti colmati, così comincia la vita della Chiesa: non da un piano preciso e articolato, ma dallo sperimentare il medesimo amore di Dio. Lo Spirito crea armonia così, ci invita a provare stupore per il suo amore e per i suoi doni presenti negli altri. Come ci ha detto San Paolo: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito […] Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo» (1 Cor 12,4.13). Vedere ogni fratello e sorella nella fede come parte dello stesso corpo a cui appartengo: questo è lo sguardo armonioso dello Spirito, questo il cammino che ci indica!

    E il Sinodo in corso è – e dev’essere – un cammino secondo lo Spirito: non un parlamento per reclamare diritti e bisogni secondo l’agenda del mondo, non l’occasione per andare dove porta il vento, ma l’opportunità per essere docili al soffio dello Spirito. Perché, nel mare della storia, la Chiesa naviga solo con Lui, che è «l’anima della Chiesa» (S. Paolo VI, Discorso al Sacro Collegio per gli Auguri onomastici, 21 giugno 1976), il cuore della sinodalità, il motore dell’evangelizzazione. Senza di Lui la Chiesa è inerte, la fede è solo una dottrina, la morale solo un dovere, la pastorale solo un lavoro. A volte sentiamo cosiddetti pensatori, teologi, che ci danno dottrine fredde, sembrano matematiche, perché manca lo Spirito dentro. Con Lui, invece, la fede è vita, l’amore del Signore ci conquista e la speranza rinasce. Rimettiamo lo Spirito Santo al centro della Chiesa, altrimenti il nostro cuore non sarà bruciato dall’amore per Gesù, ma per noi stessi. Mettiamo lo Spirito al principio e al cuore dei lavori sinodali. Perché “di Lui, soprattutto, ha oggi bisogno la Chiesa! Diciamogli dunque ogni giorno: vieni!” (cfr Id., Udienza generale, 29 novembre 1972). E camminiamo insieme, perché lo Spirito, come a Pentecoste, ama discendere mentre “tutti si trovano insieme” (cfr At 2,1). Sì, per mostrarsi al mondo Egli ha scelto il momento e il luogo in cui tutti stavano insieme. Il Popolo di Dio, per essere ricolmo dello Spirito, deve dunque camminare insieme, fare sinodo. Così si rinnova l’armonia nella Chiesa: camminando insieme con lo Spirito al centro. Fratelli e sorelle, costruiamo armonia nella Chiesa!

    3. Infine lo Spirito fa armonia nei nostri cuori. Lo vediamo nel Vangelo, dove Gesù, la sera di Pasqua, soffia sui discepoli e dice: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). Lo dona per uno scopo preciso: per perdonare i peccati, cioè per riconciliare gli animi, per armonizzare i cuori lacerati dal male, frantumati dalle ferite, disgregati dai sensi di colpa. Solo lo Spirito rimette armonia nel cuore, perché è Colui che crea «l’intimità con Dio» (S. Basilio, Spir., XIX,49). Se vogliamo armonia cerchiamo Lui, non dei riempitivi mondani. Invochiamo lo Spirito Santo ogni giorno, iniziamo ogni giornata pregandolo, diventiamo docili a Lui!

    E oggi, nella sua festa, chiediamoci: io sono docile all’armonia dello Spirito? Oppure perseguo i miei progetti, le mie idee senza lasciarmi plasmare, senza farmi cambiare da Lui? Il mio modo di vivere la fede è docile allo Spirito o è testardo? Attaccato in modo testardo alle lettere, alle cosiddette dottrine che sono soltanto espressioni fredde della vita? Sono frettoloso nel giudicare, punto il dito e sbatto porte in faccia agli altri, ritenendomi vittima di tutti e di tutto? Oppure accolgo la sua potenza creatrice armoniosa, accolgo la “grazia dell’insieme” che Egli ispira, il suo perdono che dà pace? E a mia volta perdono? Il perdono è fare spazio perché venga lo Spirito. Promuovo riconciliazione e creo comunione, o sempre sto cercando, ficcando il naso dove ci sono difficoltà per sparlare, per dividere, per distruggere? Perdono, promuovo riconciliazione, creo comunione? Se il mondo è diviso, se la Chiesa si polarizza, se il cuore si frammenta, non perdiamo tempo a criticare gli altri e ad arrabbiarci con noi stessi, ma invochiamo lo Spirito: Lui è capace di risolvere queste cose.

    Spirito Santo, Spirito di Gesù e del Padre, sorgente inesauribile di armonia, ti affidiamo il mondo, ti consacriamo la Chiesa e i nostri cuori. Vieni Spirito creatore, armonia dell’umanità, rinnova la faccia della terra. Vieni Dono dei doni, armonia della Chiesa, rendici uniti in Te. Vieni Spirito del perdono, armonia del cuore, trasformaci come Tu sai, per mezzo di Maria.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  5. #125
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

    PAPA FRANCESCO

    REGINA CAELI

    Piazza San Pietro
    Domenica, 28 maggio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi, Solennità di Pentecoste, il Vangelo ci porta nel cenacolo, dove gli apostoli si erano rifugiati dopo la morte di Gesù (Gv 20,19-23). Il Risorto, la sera di Pasqua, si presenta proprio in quella situazione di paura e di angoscia e, soffiando su di loro, dice: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). Così, con il dono dello Spirito, Gesù desidera liberare i discepoli dalla paura, questa paura che li tiene rinchiusi in casa, e li libera perché siano capaci di uscire e diventino testimoni e annunciatori del Vangelo. Soffermiamoci un po’ su questo che fa lo Spirito: libera dalla paura.

    I discepoli avevano chiuso le porte, dice il Vangelo, «per timore» (v. 19). La morte di Gesù li aveva sconvolti, i loro sogni erano andati in frantumi, le loro speranze erano svanite. E si erano chiusi dentro. Non solo in quella stanza, ma dentro, nel cuore. Vorrei sottolineare questo: chiusi dentro. Quante volte anche noi ci chiudiamo dentro noi stessi? Quante volte, per qualche situazione difficile, per qualche problema personale o familiare, per la sofferenza che ci segna o per il male che respiriamo attorno a noi, rischiamo di scivolare lentamente nella perdita della speranza e ci manca il coraggio di andare avanti? Tante volte succede questo. E allora, come gli apostoli, ci chiudiamo dentro, barricandoci nel labirinto delle preoccupazioni.

    Fratelli e sorelle, questo “chiuderci dentro” accade quando, nelle situazioni più difficili, permettiamo alla paura di prendere il sopravvento e di fare la “voce grossa” dentro di noi. Quando entra la paura, noi ci chiudiamo. La causa, quindi, è la paura: paura di non farcela, di essere soli ad affrontare le battaglie di ogni giorno, di rischiare e poi di restare delusi, di fare delle scelte sbagliate. Fratelli, sorelle, la paura blocca, la paura paralizza. E anche isola: pensiamo alla paura dell’altro, di chi è straniero, di chi è diverso, di chi la pensa in un altro modo. E ci può essere persino la paura di Dio: che mi punisca, che ce l’abbia con me… Se diamo spazio a queste false paure, le porte si chiudono: porte del cuore, le porte della società, e anche le porte della Chiesa! Dove c’è paura, c’è chiusura. E non va bene.

    Il Vangelo però ci offre il rimedio del Risorto: lo Spirito Santo. Lui libera dalle prigioni della paura. Quando ricevono lo Spirito, gli apostoli – lo festeggiamo oggi – escono dal cenacolo e vanno nel mondo a rimettere i peccati e ad annunciare la buona notizia. Grazie a Lui le paure si superano e le porte si aprono. Perché questo fa lo Spirito: ci fa sentire la vicinanza di Dio e così il suo amore scaccia il timore, illumina il cammino, consola, sostiene nelle avversità. Di fronte ai timori e alle chiusure, allora, invochiamo lo Spirito Santo per noi, per la Chiesa e per il mondo intero: perché una nuova Pentecoste scacci le paure che ci assalgono e ravvivi il fuoco dell’amore di Dio.

    Maria Santissima, che per prima è stata ricolmata di Spirito Santo, interceda per noi.

    __________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Lo scorso 22 maggio si è commemorato il 150° anniversario della morte di una delle figure più alte della letteratura, Alessandro Manzoni. Egli, attraverso le sue opere, è stato cantore delle vittime e degli ultimi: essi sono sempre sotto la mano protettrice della Provvidenza divina, che «atterra e suscita, affanna e consola»; e sono sostenuti anche dalla vicinanza dei pastori fedeli della Chiesa, presenti nelle pagine del capolavoro manzoniano.

    Invito a pregare per le popolazioni che vivono al confine tra Myanmar e Bangladesh, duramente colpite da un ciclone: più di ottocentomila persone, oltre ai tanti Rohingya che già vivono in condizioni precarie. Mentre rinnovo a queste popolazioni la mia vicinanza, mi rivolgo ai Responsabili, perché favoriscano l’accesso degli aiuti umanitari, e faccio appello al senso di solidarietà umana ed ecclesiale per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle.

    Saluto di cuore tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi, in particolare i fedeli provenienti da Panama e il pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Tulancingo (Mexico) che celebra Nuestra Señora de los Angeles; come pure il gruppo di Novellana (Spagna). Saluto inoltre i fedeli di Celeseo (Padova) e di Bari, e invio la mia benedizione a quanti sono radunati al Policlinico Gemelli per promuovere iniziative di fraternità con gli ammalati.

    Mercoledì prossimo, a conclusione del mese di maggio, nei Santuari mariani di tutto il mondo sono previsti momenti di preghiera a sostegno dei preparativi alla prossima Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Chiediamo alla Vergine Maria che accompagni questa importante tappa del Sinodo con la sua materna protezione. E a Lei affidiamo anche il desiderio di pace di tante popolazioni in tutto il mondo, specialmente della martoriata Ucraina.

    A tutti auguro buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  6. #126
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI BAMBINI MALATI PROVENIENTI DALLA POLONIA


    Auletta dell'Aula Paolo VI
    Lunedì, 29 maggio 2023


    Grazie di essere venuti! Sono contento di vedervi e di salutarvi. Tante grazie e benvenuti!... [al traduttore] Come si dice in polacco “tante grazie, benvenuti”?

    Carissimi, sono qui in mezzo a voi per incoraggiarvi, per invitarvi ad essere apostoli dell’amore di Dio. Il vostro cammino nella vita è un po’ difficile, perché dovete curarvi, vincere la malattia o convivere con la malattia, e questo non è facile. Quante volte, nella vita, ci troviamo nella situazione di non avere la forza per andare avanti. Ma voi non siete mai soli! Gesù è sempre vicino e vi dice: “Vai, vai, vai avanti! Io sono con te”. “Ti prendo io per mano”, dice Gesù, come quando da piccolo imparavi a fare i primi passi.

    Cari bambini, Gesù sempre è accanto a noi per darci speranza. Sempre, anche nei momenti della malattia, anche nei momenti più dolorosi, anche nei momenti più difficili: il Signore è lì!

    E anche i vostri familiari, i medici, gli amici, vi aiutano ad andare avanti. Pensate alla vostra mamma, che vi ha dato alla luce e al vostro papà.

    Dio vi ama, cari bambini. Siete amati da Lui: volete essere apostoli dell’amore di Dio nella Chiesa e nel mondo? Gesù ha bisogno anche di voi per questa testimonianza. Vi affida i suoi progetti e chiede: volete essere miei apostoli dell’amore di Dio? Rispondetegli “sì” con entusiasmo e portate la gioia dell’amore di Dio agli altri.

    Se qualcuno si ritrova solo e si sente abbandonato, non dimentichiamo che la Madonna ci è sempre vicina, soprattutto quando si fa sentire il peso della malattia con tutti i suoi problemi: è lì vicino, come era accanto al suo Figlio Gesù quando tutti l’avevano abbandonato. Maria è sempre lì, accanto a noi, con la sua tenerezza materna. Pensiamo spesso alla Madonna recitando un’Ave Maria. Preghiamo l’Ave Maria…

    Vi benedico di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Vi benedico di cuore. Padre, Figlio e Spirito Santo. E pregate per me.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  7. #127
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI BAMBINI DA DIVERSE NAZIONI AFRICANE,
    IN OCCASIONE DELLA "GIORNATA PER L’AFRICA"


    Aula Paolo VI
    Lunedì, 29 maggio 2023


    Cari bambini e bambine, buongiorno! Bonjour! Good morning!

    Sono contento di incontrarvi in occasione della celebrazione della Giornata dell’Africa. È bello vedervi, venuti da diversi Paesi, accompagnati dai vostri genitori e da alcuni Ambasciatori. Grazie, Signori Ambasciatori, di averli accompagnati. Li ringrazio per quello che fanno e, attraverso di loro, voglio dire grazie a tutti coloro che lavorano per la vostra crescita umana e spirituale.

    La Giornata dell’Africa, celebrata nel giorno della commemorazione annuale della fondazione dell’Unione Africana, il 25 maggio 1963, rappresenta il simbolo della lotta dell’intero Continente per la liberazione, lo sviluppo e il progresso economico e sociale, come pure per la valorizzazione e l’approfondimento del patrimonio culturale africano. Voi siete il segno di questa ricca diversità culturale. Vi invito ad avere l’audacia di essere “differenti”, a testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, del coraggio, del perdono, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale (cfr Esort. ap. Christus vivit, 36).

    La vostra cara terra africana sta affrontando sfide enormi, come quelle del terrorismo, del malgoverno, della corruzione, della massiccia disoccupazione giovanile, delle migrazioni, dei conflitti intercomunitari, della crisi climatica e alimentare... In questo contesto, potreste sentirvi impotenti e scoraggiati e dire a voi stessi che il futuro è cupo e senza prospettive. Ma voi siete giovani, portate dentro di voi molti talenti, coltivate grandi ambizioni, avete grandi sogni: seguite i grandi sogni! Cari amici, questo vorrei dire a ciascuno di voi: «non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto. Continua sempre a cercare, come minimo, modalità parziali o imperfette di vivere ciò che nel tuo discernimento riconosci come un’autentica vocazione» (ibid., 272). Una delle ricchezze dell’Africa è la spiccata intelligenza dei suoi giovani. Davvero, voi siete intelligenti, intelligenti! Il vostro impegno negli studi possa contribuire allo sviluppo umano e integrale della società. Mi viene da pensare anche ai bambini-soldato, ai bambini vittime di ogni tipo di conflitto che hanno bisogno della vostra amicizia: siate loro vicini, così che non si sentano respinti e stigmatizzati.

    Cari giovani, un’altra cosa molto importante: lasciatevi illuminare dai consigli e dalla testimonianza degli anziani. Il dialogo con le radici, il dialogo con gli anziani, con i nonni, con chi è venuto prima di noi, ci permette di andare avanti. Pensiamo a una delle grandi sfide della vita: la lotta per la pace. Lo sapete bene, stiamo attraversando momenti difficili, con la nostra umanità che si trova in pericolo. Siamo in grave pericolo. Vivete dunque la pace attorno a voi e dentro di voi. Siate ambasciatori di pace, perché il mondo riscopra la bellezza dell’amore, del vivere insieme, della fraternità e della solidarietà.

    Con la mia benedizione accompagno tutti voi, come pure le vostre famiglie e l’intera gioventù africana. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, ne ho bisogno. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  8. #128
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI CHIERICI REGOLARI DI SAN PAOLO (BARNABITI)


    Sala del Concistoro
    Lunedì, 29 maggio 2023


    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    Sono lieto di condividere con voi questo momento di incontro, in occasione del 125° anniversario dalla canonizzazione di Sant’Antonio Maria Zaccaria e mentre vi preparate a due importanti Capitoli Generali. Siete padri, suore e laici, radunati in tre “collegi”, come li ha definiti il vostro Fondatore; tutti animati dallo spirito apostolico di San Paolo, a cui si sono ispirate le vostre origini e sotto la cui protezione tuttora lavorate in varie parti del mondo.

    Prendo spunto da un’espressione caratteristica di Sant’Antonio Maria. Diceva ai suoi seguaci: «Dovete correre come pazzi! Correre verso Dio e verso gli altri!» – correre come pazzi, non essere pazzi che corrono, è un’altra cosa! – Di questa esortazione, tipicamente paolina, vorrei sottolineare tre aspetti: il rapporto con Cristo, lo zelo apostolico e il coraggio creativo.

    Nell’esperienza dello stesso Zaccaria, alla base della missione c’è il “correre verso Dio”, cioè un rapporto forte con il Signore Gesù, coltivato fin dalla sua giovinezza in un serio cammino di crescita, in particolare meditando la Parola di Dio con l’aiuto di due bravi religiosi. È questo che lo ha portato prima all’impegno catechetico, poi al sacerdozio e infine alla fondazione religiosa. Questo tipo di relazione con Cristo è fondamentale anche per noi, per dire a tutti, avendolo sperimentato personalmente, che la vita non è la stessa con o senza il Signore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 266), per continuare a “correre verso la meta”, come dice San Paolo, e coinvolgere in questa corsa le persone che ci sono affidate (cfr 1Cor 9,24-27). Il nostro annuncio missionario non è proselitismo – sottolineo tanto questo – ma condivisione di un incontro personale che ha cambiato la nostra vita! Senza questo, non abbiamo nulla da annunciare, né una destinazione verso cui camminare insieme.

    Ho avuto, in questo, una brutta esperienza, in un incontro giovanile alcuni anni fa. Uscivo dalla sagrestia e c’era una signora, molto elegante, si vedeva anche che era molto ricca, con un ragazzo e una ragazza. E questa signora, che parlava lo spagnolo, mi dice: “Padre, sono contenta perché ho convertito questi due: questo viene dal tal posto e questa viene dal tal altro”. Mi sono arrabbiato, sapete?, e ho detto: “Tu non hai convertito nulla, hai mancato di rispetto verso queste persone: non li hai accompagnati, hai fatto proselitismo e questo non è evangelizzare”. Era orgogliosa per aver convertito! State attenti a distinguere bene l’azione apostolica dal proselitismo: noi non facciamo proselitismo. Il Signore non ha mai fatto proselitismo.

    «Correre verso gli altri»: questa è la seconda indicazione. Anche questo è fondamentale. Infatti se perdiamo di vista, nella nostra vita di fede, l’orizzonte dell’annuncio, finiamo col chiuderci in noi stessi e coll’inaridirci nei terreni deserti dell’autoreferenzialità (cfr Udienza Generale, 11 gennaio 2023). Ci succede come a un atleta che continua a prepararsi per la grande corsa della sua vita senza partire mai: prima o poi finisce col deprimersi e comincia a lasciarsi andare, l’entusiasmo si spegne. E così si diventa discepoli tristi. Noi non vogliamo diventare discepoli tristi! Anche qui faccio una domanda: c’è dentro di me quel verme della tristezza? A volte in me, religioso, religiosa, laico, lascio che quel verme entri? Qualcuno diceva che un cristiano triste è un triste cristiano: è vero. Ma in noi consacrati la tristezza non deve entrare, e se qualcuno sente quella tristezza, vada subito davanti al Signore e chieda luce, e chieda a qualche fratello o sorella che lo aiuti a uscirne.

    Per questo Gesù mette alle radici stesse della Chiesa il mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); e San Paolo lo conferma quando dice, parlando del suo apostolato: “Non posso farne a meno, e guai a me se non annuncio Cristo” (cfr 1Cor 9,16). Non c’era posto per la tristezza, ha voluto andare avanti. Guai a noi se non annunciamo Cristo! Perciò vi incoraggio ad andare avanti nella direzione indicata dal vostro carisma: “Portare lo Spirito vivo di Cristo dappertutto”. Lo Spirito “vivo” di Cristo è quello che conquista il cuore, che non ti fa stare seduto in poltrona, ma ti fa uscire verso i fratelli, con lo zaino leggero e lo sguardo pieno di carità. Portate questo Spirito dappertutto, non escludendo nessuno e aprendosi anche a nuove forme di apostolato, in un mondo che cambia e che ha bisogno di menti flessibili e menti aperte, di cammini di ricerca condivisi, per individuare i modi adatti a trasmettere l’unico Vangelo di sempre.

    E con questo veniamo al terzo punto: «correre come pazzi» – che non è lo stesso di pazzi che corrono, è differente – cioè il coraggio creativo. Non si tratta tanto di elaborare tecniche sofisticate di evangelizzazione, quanto piuttosto, come dice San Paolo, di farsi «tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22), di non fermarsi di fronte alle difficoltà e di guardare oltre gli orizzonti dell’abitudine e del quieto vivere, del “si è sempre fatto così”. Sant’Antonio Maria questo coraggio l’ha avuto, dando vita a istituzioni nuove per la sua epoca: una congregazione di riforma del clero in un tempo in cui tanti ecclesiastici si erano abituati a una vita comoda e agiata; una congregazione religiosa femminile non claustrale, dedita all’evangelizzazione, in un tempo in cui per le donne la vita consacrata era prevista solo in clausura; una congregazione di laici missionari attivamente coinvolti nell’annuncio, in un tempo in cui dominava un certo clericalismo. Erano tutte realtà nuove – è stato creativo, ma con la fedeltà al Vangelo –, queste realtà non c’erano prima: il Fondatore ha capito che potevano essere utili per il bene della Chiesa e della società, e per questo le ha inventate e le ha difese di fronte a chi non ne capiva il senso e l’opportunità, fino al punto di venire a renderne conto a Roma. E anche in questo c’è un insegnamento importante, perché non ha esercitato la sua creatività al di fuori della Chiesa: lo ha fatto dentro di essa, accettando le correzioni e i richiami, cercando di spiegare e illustrare le ragioni delle sue scelte e custodendo la comunione nell’obbedienza.

    Concludo richiamando un ultimo valore importante per i vostri “collegi”: l’importanza di fare insieme. La comunione nella vita e nell’apostolato è infatti la prima testimonianza che siete chiamati a rendere, particolarmente in un mondo diviso da lotte ed egoismi. Essa è scritta nel DNA della vita cristiana e dell’apostolato: «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21), come pregò il Signore. Del resto la parola stessa “collegio” indica proprio questo: scelti per stare insieme, per vivere, lavorare, pregare, soffrire e gioire insieme, come comunità. E allora, cari fratelli e sorelle: «Correte come pazzi, verso Dio e verso gli altri, insieme!». E la Madonna, che andò in fretta ad aiutare Elisabetta, vi accompagni. Vi benedico di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  9. #129
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    CONSEGNA DEL "PREMIO PAOLO VI" DELL'ISTITUTO PAOLO VI DI BRESCIA
    AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA SERGIO MATTARELLA

    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Sala Clementina
    Lunedì, 29 maggio 2023


    Signor Presidente della Repubblica,
    distinte Autorità civili e religiose,
    gentili Signore e Signori,
    cari fratelli e sorelle!


    Vi do il benvenuto e vi saluto cordialmente, felice per la vostra presenza. Sono lieto di consegnare al Presidente Sergio Mattarella il Premio Internazionale Paolo VI, che gli è stato attribuito dall’omonimo Istituto, al quale vorrei esprimere riconoscenza per il prezioso lavoro che svolge nella cura della memoria di Papa Montini: i suoi scritti e i suoi discorsi sono una miniera inesauribile di pensiero e testimoniano l’intensa vita spirituale da cui è sgorgata la sua azione di grande Pastore della Chiesa. Grazie dunque ai membri e ai collaboratori dell’Istituto, e grazie a quanti sono giunti dalla Diocesi di Brescia!

    Il Concilio Vaticano II, per il quale dobbiamo essere tanto grati a San Paolo VI, ha sottolineato il ruolo dei fedeli laici, mettendone in luce il carattere secolare. I laici, infatti, in virtù del battesimo hanno una vera e propria missione, da svolgere «nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale» (Lumen gentium, 31). E tra queste occupazioni spicca la politica, che è la «forma più alta di carità» (Pio XI, Ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, 18 dic. 1927). Ma – ci possiamo chiedere – come fare dell’agire politico una forma di carità e, d’altra parte, come vivere la carità, cioè l’amore nel senso più alto, all’interno delle dinamiche politiche?

    Credo che la risposta risieda in una parola: servizio. San Paolo VI disse che quanti esercitano il potere pubblico devono considerarsi «come i servitori dei loro compatrioti, con il disinteresse e l’integrità che convengono alla loro alta funzione» (Ai rappresentanti dell’Unione Europea dei Democratici Cristiani, 8 apr. 1972). E sentenziò: «Il dovere del servizio è inerente all’autorità; e tanto maggiore è tale dovere quanto più alta è tale autorità» (Udienza gen., 1968). Eppure, sappiamo bene quanto ciò non sia facile e come la tentazione diffusa, in ogni tempo, anche nei migliori sistemi politici, sia di servirsi dell’autorità anziché di servire attraverso l’autorità. Com’è facile salire sul piedistallo e com’è difficile calarsi nel servizio degli altri!

    Cristo stesso parlò della difficoltà a servire e prodigarsi per gli altri, ammettendo, con un realismo velato di tristezza, che «coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono». Ma subito disse ai suoi: «Tra voi però non è così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10,42-43). Da allora in poi, per il cristiano, grandezza è sinonimo di servizio. Amo dire che “non serve per vivere chi non vive per servire”. E credo che oggi il conferimento del Premio Paolo VI al Presidente Mattarella sia proprio una bella occasione per celebrare il valore e la dignità del servizio, lo stile più alto del vivere, che pone gli altri prima delle proprie aspettative.

    Che ciò sia vero per Lei, Signor Presidente, lo testimonia il popolo italiano, che non dimentica la sua rinuncia al meritato riposo fatta in nome del servizio richiestole dallo Stato. Una settimana fa ha voluto omaggiare, in occasione dei 150 anni dalla morte, quel grande italiano e cristiano che fu Alessandro Manzoni, capace di intessere con le parole la pregiata stoffa di valori sociali, religiosi e solidali del popolo italiano. Paolo VI lo definì «genio universale», «tesoro inesauribile di sapienza morale», «maestro di vita» (Regina caeli, 20 mag. 1973). Anch’io custodisco nel cuore tanti suoi personaggi. Penso al sarto, che racconta la buona laboriosità di chi concepisce la vita come il tempo dato al singolo per accrescere il bene altrui, per «industriarsi, aiutarsi, e poi esser contenti» (I promessi sposi, cap. XXIV). E con questo lavoro è riuscito ad esprimere uno dei passi più sapienti: «Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene» (ibid.). Perché servire crea gioia e fa bene anzitutto a chi serve. Per dirla ancora con il Manzoni: «Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio» (cap. XXVIII).

    Ma il servizio rischia di restare un ideale piuttosto astratto senza una seconda parola che non può mai esserle disgiunta: responsabilità. Essa, come indica la parola stessa, è l’abilità di offrire risposte, facendo leva sul proprio impegno, senza aspettare che siano altri a darle. Quante volte, Signor Presidente, prima con l’esempio che con le parole, Lei lo ha richiamato! Anche in questo non si può che notare una feconda affinità con Giovanni Battista Montini, che fin da giovane prete fu “educatore di responsabilità”. Da Papa, poi, scrisse che le parole servono a poco «se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 mag. 1971, 48). Perché, spiegava, «è troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la conversione personale» (ivi, 47). Sono parole che mi sembrano molto attuali oggi, quando viene quasi automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per l’insieme si affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai bisogni dell’individuo; dove, in un clima d’incertezza, la diffidenza si trasforma facilmente in indifferenza. La responsabilità, invece, come ci mostrano in questi giorni tanti cittadini dell’Emilia Romagna, chiama ciascuno ad andare contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire proprie le necessità altrui e riscoprire sé stessi come parti insostituibili dell’unico tessuto sociale e umano a cui tutti apparteniamo.

    Sempre a proposito di responsabilità, penso a quella componente essenziale del vivere comune che è l’impegno per la legalità. Essa richiede lotta ed esempio, determinazione e memoria, memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia; penso a suo fratello Piersanti, Signor Presidente, e alle vittime della strage mafiosa di Capaci, di cui pochi giorni fa si è commemorato il trentunesimo anniversario. San Paolo VI notava che nelle società democratiche non mancano istituzioni, patti e statuti, ma «manca tante volte l’osservanza libera ed onesta della legalità» e che lì «l’egoismo collettivo insorge» (Angelus, 31 ag. 1975). Anche in quest’ambito, Signor Presidente, con le sue parole e il suo esempio, avvalorati da quanto ha vissuto, Lei rappresenta un coerente maestro di responsabilità.

    San Paolo VI sentì l’importanza della responsabilità di ciascuno per il mondo di tutti, per un mondo diventato globale. Lo fece parlando di pace – quanto è urgente oggi! –, lo fece esortando a lottare senza rassegnarsi di fronte agli squilibri delle ingiustizie planetarie, perché la questione sociale è questione morale e perché un’azione solidale dopo le guerre mondiali è veramente tale solo se è globale (cfr Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 1). Oltre cinquant’anni fa, avvertì l’urgenza di fronteggiare le sfide climatiche, davanti alla minaccia di un ambiente che – scrisse – sarebbe diventato intollerabile all’uomo in conseguenza della distruttiva attività dell’uomo stesso che, spadroneggiando sul creato, si sarebbe trovato a non padroneggiarlo più. E precisò: «A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune» (Octogesima adveniens, 21).

    Sì, il senso di responsabilità e lo spirito di servizio stavano per San Paolo VI alla base della costruzione della vita sociale. Egli ci ha lasciato l’impegnativa eredità di edificare comunità solidali. Era il suo sogno, che si scontrò con vari incubi diventati realtà – penso alla terribile vicenda di Aldo Moro; era il desiderio ardente che portava nel cuore e che espresse nei termini di «comunità di partecipazione e di vita», animate dall’impegno a «prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute» (ivi, 47). Non sono utopie, ma profezie; profezie che esortano a vivere ideali alti. Perché di questo oggi hanno bisogno i giovani. E sono lieto, Signor Presidente, di farmi strumento di riconoscenza a nome di quanti, giovani e meno giovani, vedono in Lei un maestro, un maestro semplice, e soprattutto un testimone coerente e garbato di servizio e di responsabilità. Ne sarebbe lieto Papa Montini, del quale mi piace ripetere, infine, alcune parole tanto note quanto vere: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41). Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  10. #130
    Cronista di CR L'avatar di Laudato Si’
    Data Registrazione
    Jan 2020
    Località
    Vado dovunque il Signore mi conduce, sicuro di Lui!
    Messaggi
    26,946
    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 31 maggio 2023


    Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 15. Testimoni: il Venerabile Matteo Ricci

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Noi continuiamo in queste catechesi parlando sullo zelo apostolico, cioè quello che sente il cristiano per portare avanti l’annuncio di Gesù Cristo. E oggi vorrei presentare un altro grande esempio di zelo apostolico: noi abbiamo parlato di San Francesco Saverio, di San Paolo, lo zelo apostolico dei grandi zelanti; oggi parleremo di uno – italiano – ma che è andato in Cina: Matteo Ricci.

    Originario di Macerata, nelle Marche, dopo aver studiato nelle scuole dei Gesuiti ed essere entrato egli stesso nella Compagnia di Gesù, entusiasmato dalle relazioni dei missionari che ascoltava e si è entusiasmato, come tanti altri giovani che sentivano quello, chiese di essere inviato nelle missioni dell’Estremo Oriente. Dopo il tentativo di Francesco Saverio, altri venticinque Gesuiti avevano provato inutilmente ad entrare in Cina. Ma Ricci e un suo confratello si prepararono molto bene, studiando accuratamente la lingua e i costumi cinesi, e alla fine riuscirono a ottenere di stabilirsi nel sud del Paese. Ci vollero diciotto anni, con quattro tappe attraverso quattro città differenti, prima di arrivare a Pechino, che era il centro. Con costanza e pazienza, animato da una fede incrollabile, Matteo Ricci poté superare difficoltà, pericoli, diffidenze e opposizioni. Pensate in quel tempo, camminare o andare a cavallo, tante distanze … e lui andava avanti. Ma qual è stato il segreto di Matteo Ricci? Per quale strada lo zelo lo ha spinto?

    Lui ha seguito sempre la via del dialogo e dell’amicizia con tutte le persone che incontrava, e questo gli ha aperto molte porte per l’annuncio della fede cristiana. La sua prima opera in lingua cinese fu proprio un trattato Sull’amicizia, che ebbe grande risonanza. Per inserirsi nella cultura e nella vita cinese in un primo tempo si vestiva come i bonzi buddisti, all’usanza del Paese, ma poi capì che la via migliore era quella di assumere lo stile di vita e le vesti dei letterati, come i professori universitari, i letterati vestivano: e lui vestiva così. Studiò in modo approfondito i loro testi classici, così da poter presentare il cristianesimo in dialogo positivo con la loro saggezza confuciana e con gli usi e i costumi della società cinese. E questo si chiama un atteggiamento di inculturazione. Questo missionario ha saputo “inculturare” la fede cristiana in dialogo, come i Padri antichi con la cultura greca.

    La sua ottima preparazione scientifica suscitava interesse e ammirazione da parte degli uomini colti, a cominciare dal suo famoso mappamondo, la carta del mondo intero allora conosciuto, con i diversi continenti, che rivela ai cinesi per la prima volta una realtà esterna alla Cina assai più ampia di quanto avessero mai pensato. Fa vedere loro che il mondo è più grande della Cina, e loro capivano – perché erano intelligenti. Ma anche le conoscenze matematiche e astronomiche di Ricci e dei missionari suoi seguaci contribuirono a un incontro fecondo fra la cultura e la scienza dell’occidente e dell’oriente, che vivrà allora uno dei suoi tempi più felici, nel segno del dialogo e dell’amicizia. Infatti, l’opera di Matteo Ricci non sarebbe mai stata possibile senza la collaborazione dei suoi grandi amici cinesi, come i famosi “Dottor Paolo” (Xu Guangqi) e “Dottor Leone” (Li Zhizao).

    Tuttavia, la fama di Ricci come uomo di scienza non deve oscurare la motivazione più profonda di tutti i suoi sforzi: cioè, l’annuncio del Vangelo. Lui, con il dialogo scientifico, con gli scienziati, andava avanti ma dava testimonianza della propria fede, del Vangelo. La credibilità ottenuta con il dialogo scientifico gli dava autorevolezza per proporre la verità della fede e della morale cristiana, di cui egli parla in modo approfondito nelle sue principali opere cinesi, come Il vero significato del Signore del Cielo – così si chiama quel libro. Oltre alla dottrina, sono la sua testimonianza di vita religiosa, di virtù e di preghiera: questi missionari pregavano. Andavano a predicare, si muovevano, facevano mosse politiche, tutto quanto: ma pregavano. È la preghiera che alimenta la vita missionaria, una vita di carità, aiutavano gli altri, umili, in totale disinteresse per onori e ricchezze, che inducono molti dei suoi discepoli e amici cinesi ad accogliere la fede cattolica. Perché vedevano un uomo così intelligente, così saggio, così furbo – nel senso buono della parola – per portare avanti le cose, e così credente che dicevano: “Ma, quello che predica è vero perché è detto da una personalità che dà testimonianza: testimonia con la propria vita quello che annuncia”. Questa è la coerenza degli evangelizzatori. E questo tocca tutti noi cristiani che siamo evangelizzatori. Io posso dire il “Credo” a memoria, posso dire tutte le cose che noi crediamo, ma se la tua vita non è coerente con quello che professi non serve a nulla. Quello che attira le persone è la testimonianza di coerenza: noi cristiani siamo chiamati a vivere quello che diciamo, e non far finta di vivere come cristiani ma vivere come mondani. Guardate questi grande missionari – come Matteo Ricci che è un italiano – guardando questi grandi missionari, vedrete che la forza più grande è la coerenza: sono coerenti.

    Negli ultimi giorni della sua vita, a chi gli stava più vicino e gli domandava come si sentisse, Matteo Ricci «rispose che stava pensando in quel momento se era più grande la gioia e l’allegria che provava interiormente all’idea che stava vicino al suo viaggio per andare a gustare Dio, o la tristezza che gli poteva causare il lasciare i compagni di tutta la missione che amava grandemente, e il servizio che poteva ancora fare a Dio Nostro Signore in questa missione» (S. De Ursis, Relazione su M.Ricci, Archivio Storico Romano S.I.). È lo stesso atteggiamento dell’apostolo Paolo (cfr Fil 1,22-24), che voleva andarsene dal Signore, trovare il Signore ma “rimango per servire voi”.

    Matteo Ricci muore a Pechino nel 1610, all’età di 57 anni, un uomo che ha dato tutta la vita per la missione. Lo spirito missionario di Matteo Ricci costituisce un modello vivo attuale. Il suo amore per il popolo cinese è un modello; ma ciò che rappresenta una strada attuale è la sua coerenza di vita, la testimonianza della sua vita come cristiano. Lui ha portato il cristianesimo in Cina; lui è grande sì, perché è un grande scienziato, lui è grande perché è coraggioso, lui è grande perché ha scritto tanti libri, ma soprattutto lui è grande perché è stato coerente con la sua vocazione, coerente con quella voglia di seguire Gesù Cristo. Fratelli e sorelle, oggi noi, ognuno di noi, domandiamoci dentro: “Sono coerente, o sono un po’ così così?”.

    __________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, en particulier les pèlerins venus du Gabon, de Dijon, de l’ile de la Réunion, ainsi que les collégiens de saint Joseph et Sainte Croix de Neuilly. Le Seigneur nous envoie annoncer à tous la Bonne Nouvelle de l’amour miséricordieux de Dieu pour tout homme. Demandons-lui la grâce de porter par notre vie, à la manière de Mateo Ricci, un témoignage crédible de la foi par la fraternité et l’amitié vécues avec tout homme. Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente le persone di lingua francese, in particolare i pellegrini del Gabon, di Digione e dell'Isola della Riunione, nonché gli alunni delle scuole San Giuseppe e Santa Croce di Neuilly. Il Signore ci ha mandato a proclamare la Buona Novella dell'amore misericordioso di Dio per tutti. Chiediamogli la grazia di usare la nostra vita, ad imitazione di Matteo Ricci, per dare una testimonianza credibile della fede attraverso la fraternità e l'amicizia con tutti gli uomini. Dio vi benedica.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Malta, Indonesia, Malaysia and the United States of America. In a special way, I greet the many groups of university students. Upon you and your families I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Malta, Nigeria, Indonesia, Malaysia e Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare ai numerosi gruppi di giovani universitari. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

    Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger deutscher Sprache! Der Heilige Geist, Seele der Kirche, helfe jedem von uns, allen alles zu werden, um so den Menschen die Wahrheit des Evangeliums kundzutun.

    [Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca! Lo Spirito Santo, anima della Chiesa, aiuti ciascuno di noi a farsi tutto a tutti, manifestando così la verità del Vangelo agli uomini.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos al Señor que nos dé la humildad de sabernos acercar a los demás con esa actitud de amistad, respeto y conocimiento de su cultura y sus valores. Que sepamos acoger todo lo bueno que hay en ellos, como Jesús al encarnarse, para hacernos capaces de hablar su lenguaje. Que no dudemos en ofrecerles todo lo bueno que tenemos, para dar prueba del Amor que nos mueve. Que tengamos la fuerza de vivir con coherencia la fe que profesamos, para transmitir el Evangelio del reino sin imposiciones ni proselitismos. Que sea esta la bendición de Jesús y que la Virgen Santa, primera misionera en esta fiesta de la Visitación, nos sostenga en este propósito. Muchas gracias.

    Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, especialmente os sacerdotes do Sagrado Coração de Jesus, vindos do Brasil! Seguindo o exemplo do Pe. Matteo Ricci, devemos anunciar o Evangelho não pela força, mas através da amizade sincera e do diálogo fraterno, que espelham o Amor de Deus por todos os seus filhos e filhas. Que o Senhor vos abençoe e vos proteja de todo o mal!

    [Saluto i pellegrini di lingua portoghese, in modo speciale i sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù venuti dal Brasile! Seguendo l’esempio di P. Matteo Ricci, dobbiamo annunciare il Vangelo non per la forza, ma tramite l’amicizia sincera e il dialogo fraterno, che rispecchiano l’Amore di Dio verso tutti i suoi figli e figlie. Il Signore vi benedica e vi protegga da ogni male!]

    […].

    [Saluto i fedeli di lingua araba. Chiediamo allo Spirito Santo, con il cuore aperto e disponibile a Dio, di donarci una fede audace e zelo apostolico, per proclamare il Vangelo in tutto il mondo. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto i polacchi qui presenti e, mentre invoco su ciascuno i doni dello Spirito Santo, vi affido alla protezione di Maria Regina della Polonia e di cuore vi benedico. Il mio pensiero va altresì a quanti si raduneranno nei campi di Lednica, il primo sabato di giugno, per l’incontro dei Giovani che ha come tema le parole “Segui l’Agnello”. La riflessione sul mistero dell’Eucaristia, aiuti tutti a scegliere di nuovo Cristo, ad accoglierLo nei cuori. Dio benedica questo incontro!]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Clarisse Francescane del Santissimo Sacramento che celebrano il Capitolo Generale e il Liceo cattolico di Vipava (Slovenia). Saluto i Seminaristi del Pontificio Seminario Regionale Pugliese, i partecipanti a “Palestra-natura” della Provincia di Barletta-Andria-Trani e i fedeli della parrocchia dei Santi Antonio e Annibale Maria in Roma, che incoraggio a vivere il Vangelo, imitando l’ardore apostolico della Vergine Santa.

    Accolgo con affetto i giovani di “Rondine Cittadella della Pace” di Arezzo, accompagnati dal Vescovo Monsignor Andrea Migliavacca, con un pensiero grato per quanti, venendo dall’Ucraina e dalla Russia e da altri Paesi di guerra, hanno deciso di non essere nemici, ma di vivere da fratelli. Il vostro esempio possa suscitare propositi di pace in tutti, anche in coloro che hanno responsabilità politiche. E questo ci deve portare a pregare di più per la martoriata Ucraina ed esserle vicini.

    Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi, ultimo giorno del mese di Maggio, la Chiesa celebra la Visita di Maria alla cugina Elisabetta, dalla quale è proclamata beata perché ha creduto alla parola del Signore (cf. Lc 1, 45). Guardate a Lei e da Lei implorate il dono di una fede sempre più coraggiosa. Alla sua materna intercessione affidiamo quanti sono provati dalla guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina che tanto soffre.

    A tutti voi la mia benedizione.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




Tag per Questa Discussione

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
>