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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #131
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELLA "FONDATION INTERNATIONALE RELIGIONS ET SOCIÉTÉS"


    Giovedì, 1° giugno 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono contento di accogliervi oggi insieme alla novità importante che portate con voi, quella del “Patto Educativo Africano”.

    So che questo Patto è frutto del Simposio Internazionale che avete celebrato nel novembre scorso a Kinshasa, con il patrocinio della Conferenza Episcopale del Congo, organizzato dalla Fondazione Internazionale Religioni e Società e dall’Università Cattolica del Congo.

    In quel Simposio, al quale hanno partecipato numerosi vescovi, sacerdoti, scienziati e studiosi di vari Paesi africani, e non solo, avete declinato in stile africano il Patto Educativo Globale, da me lanciato nel settembre 2019. Mi congratulo con voi, perché siete stati i primi a realizzare un Patto educativo continentale. Avete dimostrato di aver ben compreso quanto mi prefiggevo con questa iniziativa, cioè che il Patto educativo globale dovesse diventare una realtà locale, frutto di riflessioni svolte a partire dal proprio contesto e dalle proprie risorse culturali, e che fosse attento ai bisogni educativi del territorio.

    Come sapete, fin dall’inizio, ho pensato questo progetto all’insegna di un proverbio della saggezza vostra africana, per sottolineare quella dimensione comunitaria dell’educazione che da sempre fa parte della vostra millenaria tradizione educativa: “Per educare un bambino, ci vuole un villaggio intero”. Si tratta di un’alleanza educativa siglata idealmente da tutti gli appartenenti del villaggio, per i quali il compito di accompagnare ogni figlio non è responsabilità esclusiva del papà e della mamma, ma di tutti i membri della comunità. Tutti, pertanto, hanno il dovere di sostenere l’educazione, che è sempre un processo corale. Nell’educazione dobbiamo rischiare di più e fare coro. Nello scorso febbraio, parlando alle Pontificie Istituzioni Accademiche ed educative, dicevo: «Fate coro». Lo stesso dico all’Africa: “Fate coro!”. Questa dimensione comunitaria dell’esistenza è espressa perfettamente nel famoso aforisma africano “Io sono perché noi siamo”.

    Il Patto Educativo Africano dovrebbe contribuire, oltre che a recuperare e rafforzare questa dimensione comunitaria e orizzontale delle relazioni, anche a evidenziare l’altra dimensione, altrettanto antica, quella verticale: la relazione con Dio. Alcuni popoli africani, come sappiamo, arrivarono a concepire il monoteismo ben prima di molte altre civiltà. In seguito, l’Africa si è aperta con molto entusiasmo all’annuncio cristiano ed è attualmente il continente che vede crescere maggiormente il numero di cristiani e cattolici. Pertanto il Patto Educativo Africano, oltre che sul motto “io sono perché noi siamo”, si fonda, con giusto orgoglio, sull’affermazione: “io sono perché noi siamo e crediamo”. C’è la fede lì.

    Voi, Fratelli, siete i pastori del continente più giovane del mondo: la vostra ricchezza più grande sono proprio loro, i giovani. Quando ho avuto quell’incontro online con i giovani universitari africani sono rimasto colpito dal livello di intelligenza di quei giovani: svelti, intelligenti. Vi esorto ad ascoltare la voce dei giovani e le loro idee, senza autoritarismi: lo Spirito parla anche attraverso di loro, e sono sicuro che sapranno suggerirvi cose belle e sorprendenti.

    Possiate investire le migliori energie per la loro educazione. Dopo le politiche di educazione di massa, che hanno caratterizzato i primi decenni del post colonialismo, è tempo ora di lavorare insieme ai governi locali per la qualificazione sempre maggiore dell’educazione, soprattutto formando bene gli insegnanti, valorizzandoli e creando le condizioni necessarie per l’esercizio dignitoso della loro professione.

    Guardiamo l’Africa con molta fiducia, perché ha tutto quanto le serve per essere un continente capace di tracciare i cammini futuri. Mi riferisco non solo alle grandi risorse minerarie e ai progressi economici e nei processi di pace, penso soprattutto alle risorse educative: i valori dell’educazione tradizionale africana, soprattutto quelli dell’ospitalità, dell’accoglienza, della solidarietà, sono valori che si integrano perfettamente nel Patto Educativo. Il cristianesimo si sposa con la parte migliore di ogni cultura e aiuta a purificare ciò che non è autenticamente umano, e quindi neppure divino.

    Potete contare sulla riflessione di tanti filosofi e pedagogisti africani. Così pure potete imitare l’esempio di tante figure di educatori missionari e di statisti educatori come, per esempio, Nelson Mandela che nel suo Paese oppresso dall’apartheid ha ricostruito l’unità tra le diverse razze attraverso la riconciliazione e l’educazione. Egli infatti sosteneva che l’educazione è lo strumento più potente che si possa usare per cambiare il mondo.

    Potete ispirarvi anche a un altro grande statista, il servo di Dio Julius Nyerere, chiamato “maestro”, che seppe dar vita a politiche educative per la crescita di tutti i suoi connazionali, indipendentemente dalle condizioni economiche o sociali. Egli era sostenuto dalla sua fede cattolica e affermava che senza la celebrazione eucaristica sarebbe stato impossibile per lui compiere il suo lavoro.

    Cari fratelli e sorelle, con il Patto Educativo Africano confermate ancora una volta quello che diceva Plinio il Vecchio: «Ex Africa semper aliquid novi», «Dall’Africa sorge sempre qualcosa di nuovo». Questo Patto è una novità che si sviluppa a partire da due grandi radici: la cultura tradizionale e la fede cristiana. E, come dice un altro proverbio africano, “quando le radici sono profonde, non c’è motivo di temere il vento”.

    Vi ringrazio per il vostro impegno e mi auguro che il Patto Educativo Africano sia seguito anche dagli altri continenti. La Vergine Maria, Madre dell’Africa, vi accompagni. Di cuore vi benedico e vi chiedo per favore di pregare per me.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
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    Mar. 13, 35).




  2. #132
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DEL "CONSEJO EMPRESARIAL DE AMÉRICA LATINA"


    Sala Clementina
    Giovedì, 1° giugno 2023


    Cari fratelli e sorelle,

    Vi ringrazio per questa iniziativa d’incontro tra imprenditori dell’America Latina per affrontare temi sociali che ci riguardano tutti, come il lavoro, le migrazioni, il cambiamento climatico e lo sviluppo umano integrale, tra gli altri.

    Ho constatato che in questo tempo le stesse preoccupazioni che nutrite voi sono presenti anche in altri punti del pianeta, e perciò lo scambio ci può aiutare a unire le forze per affrontare insieme problemi che in questo momento sono comuni a tutta la famiglia umana.

    Come ho già detto a un gruppo di imprenditori europei, è imprescindibile focalizzare il lavoro partendo da una cultura dell’incontro. I valori di questa cultura sono quelli che ispirano il mondo imprenditoriale perché possa difendersi dalle ombre del male, che ci invadono quando il profitto a ogni costo distorce i nostri rapporti, al punto da svilire e schiavizzare le persone stesse. La cultura dell’incontro, al contrario, esprime la ricerca del bene comune, contribuendo così a dissipare quelle ombre.

    E questi valori si traducono concretamente nei numerosi sforzi e sacrifici quotidiani che le vostre imprese compiono per andare avanti, per riuscire a formare e aggiornare i lavoratori, per evitare conflitti e non giungere al dolore del licenziamento, consapevoli anche del fatto che dietro ogni lavoratore c’è una famiglia, e l’intera società.

    Vi propongo, pertanto, di essere come i primi seguaci di Gesù, “costruttori di reti”. Questo era il loro lavoro, per poter pescare. Loro, per esercitare il mestiere di pescatori, hanno avuto bisogno di tessere reti e reti forti ed efficaci. Così anche voi, per poter affrontare il mare del mondo e le tempeste che si presentano, conseguendo il fine che si persegue, dovete essere uniti, creando reti, aiutandovi gli uni gli altri. Il servizio che realizzate non è astratto, ma a ogni persona e a ogni popolo, è un servizio a ogni persona, un servizio a ogni popolo, e per questo è necessario agire insieme, senza passare sopra nessuno e senza lasciare nessuno indietro. Una sfida abbastanza complessa.

    È significativo che abbiate scelto di venire a Roma per realizzare questo incontro. Qui ci sono la tomba dell’apostolo Pietro — un esperto nel tessere e riparare reti — e le tracce di numerosi discepoli del Signore di tutti i tempi che, con la loro testimonianza quotidiana e mossi dalla fede, sono stati capaci — con la grazia di Dio — di trasformare l’ambito in cui vivevano alla luce del Vangelo. Che questi esempi aiutino anche voi a rinnovarvi interiormente per andare avanti.

    Possiamo allora dire che abbiamo uno strumento prezioso: le reti, e una bussola: il Vangelo. Ora bisogna dialogare sul modo migliore di utilizzarli. Potremmo aggiungere che abbiamo anche un’ancora: la speranza. E quindi possiamo uscire a navigare, fiduciosi che è Dio a guidarci e ad accompagnarci nel cammino.

    Che Gesù vi benedica, che benedica le vostre famiglie e quanti fanno parte delle vostre imprese, e che la Vergine vi custodisca. E, per favore, vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me.

    ______________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n. 126, giovedì 1 giugno 2023, p. 8.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  3. #133
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE


    Sala Clementina
    Sabato, 3 giugno 2023


    Eminenza, Eccellenze,
    cari Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie e collaboratori del Dicastero per l’Evangelizzazione,
    fratelli e sorelle, buongiorno!

    Vi saluto con gioia in occasione dell’Assemblea generale annuale delle Pontificie Opere Missionarie. Saluto il Cardinale Pro-Prefetto, l’Arcivescovo Presidente Emilio Nappa e tutti voi, che operate al servizio della missione di evangelizzazione della Chiesa.

    In questo momento storico, mentre portiamo avanti il processo sinodale, è importante ricordare che la Comunità cristiana è per sua natura missionaria. Ogni cristiano, infatti, ha ricevuto in dono lo Spirito Santo ed è inviato a continuare l’opera di Gesù, annunciando a tutti la gioia del Vangelo e portando la sua consolazione nelle diverse situazioni della nostra storia spesso ferita. Chi si lascia attrarre dall’amore di Cristo diventando suo discepolo sente anche il desiderio di portare a tutti la misericordia e la compassione che sgorgano dal suo Cuore. La missionarietà non è una cosa naturale. Naturalmente noi cerchiamo le comodità, sempre, che sia tutto in ordine… È stato necessario che venisse lo Spirito Santo a fare quel “disordine” tremendo che è stata la mattina di Pentecoste, perché lo Spirito per creare la missionarietà, per creare la vita della Chiesa è creatore del disordine, ma poi fa l’armonia. Ambedue le cose sono dello Spirito Santo.

    Vorrei invitarvi proprio alla contemplazione del Cuore di Gesù, di cui ricorre la solennità in questo mese di giugno. Guardando al suo cuore misericordioso e compassionevole, possiamo riflettere sul carisma e sulla missione delle Pontificie Opere Missionarie.

    1. Il Cuore di Gesù e la missione. Anzitutto, contemplando il Cuore di Cristo, scopriamo la grandezza del progetto di Dio per l’umanità. Il Padre, infatti, «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Nel Cuore trafitto del Crocifisso possiamo scoprire la misura infinita dell’amore del Padre: ci ama di amore eterno; ci chiama ad essere suoi figli e a condividere la gioia che viene da Lui; ci viene a cercare quando siamo perduti; ci rialza quando cadiamo e ci fa rinascere dalla morte. Gesù stesso ci parla così dell’amore del Padre, ad esempio quando afferma: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato» (Gv 6,39).

    Carissimi, questo ci ha mostrato Gesù in tutta la sua vita: nella compassione per coloro che erano feriti, nella commozione dinanzi al dolore, nella misericordia con cui ungeva i peccatori, nella sua immolazione per il peccato del mondo. Ci ha manifestato il cuore di Dio, come quello di un Padre che sempre ci aspetta, ci da lontano ci vede, ci viene incontro a braccia aperte; un Padre che non respinge nessuno, ma accoglie tutti; non esclude nessuno, ma chiama tutti. Mi è piaciuta un’opera giovanile di stile pop sulla parabola del figlio prodigo. A un certo punto dello spettacolo, il figlio prodigo racconta a un amico che gli manca il papà. “Insomma, io vorrei tornare, perché mi manca papà, ma non posso, sicuramente papà non mi accetterà”. E l’amico gli dice: “Scrivi una lettera e digli che la tua volontà è tornare a casa, chiedi scusa e digli che, se lui vuole accoglierti, prenda un fazzoletto bianco e lo metta sulla finestra della casa”. Lo spettacolo continua e alla fine, quando già il figlio sta arrivando a casa e si vede la casa, si vede che è piena di fazzoletti bianchi. Questo dice che l’amore, il perdono di Dio non ha misura, non ha misura. Dobbiamo andare su questa strada con questa fiducia.

    Noi siamo stati inviati a continuare questa missione: essere segno del Cuore di Cristo e dell’amore del Padre, abbracciando il mondo intero. Qui troviamo il “cuore” della missione evangelizzatrice della Chiesa: raggiungere tutti con il dono dell’amore infinito di Dio, cercare tutti, accogliere tutti, offrire la vita per tutti senza escludere nessuno. Tutti. Questa è la parola-chiave. Quando il Signore ci racconta di quella festa di nozze (cfr Mt 22,1-14), che è andata male perché gli invitati non sono venuti: uno perché aveva comprato una mucca, un altro perché doveva viaggiare, un altro che si era sposato… cosa dice il Signore? Andate agli incroci delle strade e invitate tutti, tutti: sani e malati, cattivi, buoni, peccatori…tutti. Questo è al cuore della missione: quel “tutti”. Senza escludere nessuno. Tutti. Ogni nostra missione, quindi, nasce dal Cuore di Cristo per lasciare che Egli attiri tutti a sé. E questo è lo spirito mistico e missionario della Beata Pauline Marie Jaricot, fondatrice dell’Opera per la Propagazione della Fede, che è stata tanto devota al Sacro Cuore di Gesù.

    2. Il carisma delle Pontificie Opere Missionarie oggi. In questa prospettiva, vorrei ribadire ancora una volta quanto ho già sottolineato nella Costituzione Praedicate Evangelium, nella quale ho voluto ricordare la vocazione delle POM ad essere «strumenti di promozione e di responsabilità missionaria di ogni battezzato e per il sostegno alle nuove Chiese particolari» (art. 67 § 1).

    Le POM, quindi, non sono una mera agenzia di distribuzione di fondi per chi ha bisogno di aiuto, ma una realtà chiamata a sostenere la «missione evangelizzatrice nella Chiesa universale e in quelle locali» e ad «alimentare lo spirito missionario nel Popolo di Dio» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2022, 3). Vi esorto, perciò, a intensificare ancora di più, con l’audacia e la fantasia dello Spirito Santo, le varie attività di animazione, informazione e formazione dello spirito missionario. Vi invito a promuovere la responsabilità missionaria dei battezzati, valorizzando la rete capillare delle direzioni nazionali, sia nei Paesi di prima evangelizzazione sia in quelli di antica tradizione cristiana, che forse hanno bisogno di un’altra prima evangelizzazione; questi, lo sappiamo, sono segnati da una seria crisi della fede e necessitano di una rinnovata evangelizzazione e di conversione pastorale. Per favore, non ridurre le POM ai soldi! Questo è un mezzo. Ci vogliono i soldi, sì, ma non ridurle a questo. Sono qualcosa di più grande dei soldi. I soldi sono quello di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Perché se manca la spiritualità ed è soltanto un’impresa di soldi, subito viene la corruzione; abbiamo visto anche oggi sui giornali si vedono storie di presunte corruzioni in nome della missionarietà della Chiesa.

    3. Prospettive e sogni per il rinnovamento. Alla luce di tutto ciò, permettetemi infine di sognare con voi “a occhi aperti”, cioè di guardare lontano insieme a voi, verso quelle prospettive che le POM sono chiamate a percorrere a servizio della missione evangelizzatrice di tutta la Chiesa.

    Il sogno più grande è quello di una cooperazione missionaria sempre più stretta e coordinata tra tutti i membri della Chiesa. In questo processo voi avete un ruolo importante, che vi viene ricordato anche dal motto di padre Manna per la Pontificia Unione Missionaria: «Tutta la Chiesa per tutto il mondo». Vi confermo nella chiamata a diventare lievito, per contribuire a promuovere e favorire lo stile missionario nella Chiesa e il sostegno alle opere di evangelizzazione.

    Questa chiamata, che esige da voi una particolare attitudine a coltivare la comunione e la fraternità, si realizza anche attraverso le strutture stabilite in tutte le Conferenze episcopali e diocesi per il bene dell’intero Popolo di Dio. È significativo il fatto che i fondatori delle Opere erano un vescovo, un sacerdote e due laiche, vale a dire rappresentanti di diverse categorie di battezzati: è un segno che ci impegna a coinvolgere tutti i membri del Popolo di Dio nell’animazione missionaria! Non smettiamo di sognare «una nuova stagione dell’azione missionaria delle comunità cristiane» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2022, 3). Per favore, teniamo vivo questo sogno!

    Ringrazio voi qui presenti e tutti i collaboratori e le collaboratrici per il servizio generoso, spesso svolto “dietro le quinte” e tra tante difficoltà. Vi auguro di ardere sempre di zelo apostolico e di essere animati dalla passione per l’evangelizzazione. Portate con gioia il Vangelo, perché si diffonda nel mondo intero, e che la Madonna vi accompagni come Madre! Vi benedico di cuore. E, per favore, pregate per me. Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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  4. #134
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PELLEGRINI DA CONCESIO E DA SOTTO IL MONTE,
    IN OCCASIONE DEL 60° DELLA MORTE DI GIOVANNI XXIII E DELL'ELEZIONE DI PAOLO VI


    Sabato, 3 giugno 2023


    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    È bello incontrare voi, che rappresentate le comunità di origine di due Papi santi, ai quali il Popolo di Dio è tanto affezionato: Giovanni XXIII e Paolo VI. Ed è significativo che questo avvenga in occasione di tre ricorrenze importanti per tutta la Chiesa: il 60° anniversario della Lettera Enciclica Pacem in terris, della nascita al cielo di Papa Giovanni e dell’elezione di Papa Montini.

    Siamo qui insieme, dunque, a rendere grazie al Signore perché dalle vostre comunità ha scelto due Santi Pastori che hanno saputo guidare la Chiesa in tempi di grandi entusiasmi e però altrettanto di grandi domande e sfide. Hanno vissuto come protagonisti l’ondata di nuova vitalità che ha accompagnato il Concilio Vaticano II e hanno dovuto affrontare gravi pericoli come il terrorismo e la “guerra fredda”. E di fronte a tutto questo la storia ci testimonia che sono stati “pastori secondo il cuore di Dio” (cfr Ger 3,15), che hanno saputo cercare la pecora perduta, ricondurre la smarrita, fasciare la ferita, rafforzare quella malata, prendersi cura della grassa e della forte, pascere con giustizia e misericordia (cfr Ez 34,16).

    Rendiamo grazie al Signore prima di tutto per averceli donati. Per averli donati alle vostre comunità come figli e fratelli, cresciuti tra le vostre strade, dove hanno lasciato le tracce del loro cammino di santità, al punto che ancora oggi i luoghi della loro presenza sono meta di pellegrinaggio per tanti uomini e donne che vi si recano dall’Italia e dall’estero. Essi trovano da voi conforto e sostegno, e al tempo stesso rendono la vostra terra più viva e ricca nella fede.

    Rendiamo però grazie al Signore anche perché ha reso voi, loro concittadini, cooperatori di questo dono. Essi hanno potuto essere grandi Pastori, infatti, prima di tutto perché sulla loro strada hanno incontrato buoni compagni di cammino, testimoni del Vangelo che li hanno aiutati a crescere nella fede, fino ad accendere in loro la luce della chiamata. Prima di tutto le loro famiglie, diverse per estrazione e contesto, ma accomunate dalla stessa solida pietà cristiana, vissuta da una parte nel duro lavoro dei campi e dall’altra nel serio impegno culturale e sociale.

    Fratelli e sorelle, vi dico una cosa: Dio non fa i santi in laboratorio, no, li costruisce in grandi cantieri, in cui il lavoro di tutti, sotto la guida dello Spirito Santo, contribuisce a scavare profondo, a porre solide fondamenta e a realizzare la costruzione, ponendo ogni cura perché cresca ordinata e perfetta, con Cristo come pietra angolare (cfr Ef 2,21-22). Questa è l’aria che hanno respirato fin da piccoli Angelo e Giovanni Battista a Sotto il Monte e a Concesio, con tutto il bene che ne è derivato: quello che hanno donato e ricevuto!

    Rendiamo grazie al Signore perché ha dato loro, nei vostri paesi, una terra fertile e ricca di santità in cui porre le radici e crescere, e perché fa anche di voi, come già dei vostri genitori, dei vostri nonni, e di tanti che hanno vissuto, amato, lavorato, seminato e raccolto, gioito e pianto nelle vostre cittadine e nelle vostre campagne, un suolo buono e generoso, in cui piccoli semi di bene possono germogliare e crescere per il futuro. Vengono alla mente le parole che San Paolo rivolge al suo discepolo e compagno di apostolato Timoteo: «Mi ricordo […] della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Loide e tua madre Eunice, e che ora, ne sono certo, è anche in te» (2 Tm 1,5). Anche San Timoteo è stato un grande Pastore, e anche lui ha imparato alla scuola di vita di sua nonna e di sua mamma, in una famiglia e in una comunità.

    Fate sempre tesoro delle vostre radici. Voglio ripeterlo: fate sempre tesoro delle vostre radici, non tanto per trasformarle in un blasone o in un baluardo da difendere, quanto piuttosto come di una ricchezza da condividere. La terra si lavora insieme, si lavora per tutti e si lavora in pace; con la guerra, l’egoismo e la divisione si riesce solo a devastarla, come purtroppo stiamo vedendo in tante parti del mondo e in modi diversi. Amare le vostre radici sia dunque per voi amare il Vangelo di Gesù e amare come Gesù ha amato nel Vangelo! Questo vi insegna la vostra storia di terra e di Chiesa. E dalle vostre radici viene la linfa per andare avanti, per crescere, e anche per dare una storia e un senso della vita ai vostri figli e ai vostri nipoti. Amate le vostre radici, non staccate l’albero dalle radici: non darà frutto. Cercate di progredire sempre in armonia con le vostre radici, in sintonia con le vostre radici.

    Nel pellegrinaggio che state facendo volete ricordare anche l’anniversario dell’Enciclica Pacem in terris. Mi sembra opportuno richiamare in questo contesto quanto San Giovanni XXIII afferma in essa sul valore di una pace fondata sulla giustizia, sull’amore, sulla verità, sulla libertà, fondata sul rispetto della dignità delle persone e dei popoli (cfr nn. 18-19). Anche questi sono valori che certo ha imparato e conosciuto prima di tutto nelle campagne della bergamasca; e lo stesso vale per San Paolo VI nelle terre bresciane.

    I vostri due capoluoghi, Bergamo e Brescia, insieme, sono stati scelti per essere “Capitale italiana della Cultura” per il 2023. È un segno in più che ci porta nella stessa direzione. La vera cultura si fa infatti uniti, nel dialogo e nella ricerca comune e – come ci ha insegnato San Paolo VI – mira a condurre «attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale» (Enc. Populorum progressio, 85). La cultura è amante della verità e del bene, per l’uomo, per la società e per il creato. Possiate continuare a coltivarla, prima di tutto nelle vostre case e nelle vostre parrocchie, per portare avanti la missione che ci hanno affidato i due santi Papi a cui avete dato i natali.

    Grazie, grazie tante di essere venuti! La Madonna vi accompagni e vi custodisca nella fede, nella speranza e nella carità! Vi benedico tutti di cuore. Non dimenticate le radici! E, vi raccomando, non dimenticatevi pure di pregare per me. Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 4 giugno 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi, Solennità della Santissima Trinità, il Vangelo è tratto dal dialogo di Gesù con Nicodemo (cfr Gv 3,16-18). Nicodemo era un membro del Sinedrio, appassionato del mistero di Dio: riconosce in Gesù un maestro divino e di nascosto, di notte, va a parlare con Lui. Gesù lo ascolta, capisce che è un uomo in ricerca e allora prima lo stupisce, rispondendogli che per entrare nel Regno di Dio bisogna rinascere; poi gli svela il cuore del mistero dicendo che Dio ha amato così tanto l’umanità da mandare il suo Figlio nel mondo. Gesù, dunque, il Figlio, ci parla del Padre e del suo amore immenso.

    Padre e Figlio. È un’immagine familiare che, se ci pensiamo, scardina il nostro immaginario su Dio. La parola stessa “Dio”, infatti, ci suggerisce una realtà singolare, maestosa e distante, mentre sentir parlare di un Padre e di un Figlio ci riporta a casa. Sì, possiamo pensare Dio così, attraverso l’immagine di una famiglia riunita a tavola, dove si condivide la vita. Del resto, quella della mensa, che allo stesso tempo è un altare, è un simbolo con cui certe icone raffigurano la Trinità. È un’immagine che ci parla di un Dio comunione. Padre, Figlio e Spirito Santo: comunione.

    Ma non è solo un’immagine, è realtà! È realtà perché lo Spirito Santo, lo Spirito che il Padre mediante Gesù ha effuso nei nostri cuori (cfr Gal 4,6), ci fa gustare, ci fa assaporare la presenza di Dio: presenza sempre vicina, compassionevole e tenera. Lo Spirito Santo fa con noi come Gesù con Nicodemo: ci introduce nel mistero della nuova nascita – la nascita della fede, della vita cristiana –, ci svela il cuore del Padre e ci rende partecipi della vita stessa di Dio.

    L’invito che ci rivolge, potremmo dire, è quello di stare a tavola con Dio per condividere il suo amore. Questa è l’immagine. Questo è ciò che succede in ogni Messa, all’altare della mensa eucaristica, dove Gesù si offre al Padre e si offre per noi. E sì, è così, fratelli e sorelle, il nostro Dio è comunione d’amore: così ce lo ha rivelato Gesù. E sapete come possiamo fare a ricordarlo? Con il gesto più semplice, che abbiamo imparato da bambini: il segno della croce. Tracciando la croce sul nostro corpo ci ricordiamo quanto Dio ci ha amato, fino a dare la vita per noi; e ripetiamo a noi stessi che il suo amore ci avvolge completamente, dall’alto in basso, da sinistra a destra, come un abbraccio che non ci abbandona mai. E al tempo stesso ci impegniamo a testimoniare Dio-amore, creando comunione nel suo nome. Forse adesso, ognuno di noi, e tutti insieme, facciamo il segno della croce su di noi [fa il segno della croce].

    Oggi allora possiamo chiederci: noi testimoniamo Dio-amore? Oppure Dio-amore è diventato a sua volta un concetto, qualcosa di già sentito, che non smuove e non provoca più la vita? Se Dio è amore, le nostre comunità lo testimoniano? Sanno amare? Le nostre comunità sanno amare? E la nostra famiglia, sappiamo amare in famiglia? Teniamo la porta sempre aperta, sappiamo accogliere tutti, sottolineo tutti, come fratelli e sorelle? Offriamo a tutti il cibo del perdono di Dio e la gioia evangelica? Si respira aria di casa o assomigliamo più a un ufficio o a un luogo riservato dove entrano solo gli eletti? Dio è amore, Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo e ha dato la vita per noi, per questo facciamo il segno della croce.

    E Maria ci aiuti a vivere la Chiesa come quella casa in cui si ama in modo familiare, a gloria di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.

    _______________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Assicuro la mia preghiera per le numerose vittime dell’incidente ferroviario avvenuto due giorni fa in India. Sono vicino ai feriti e ai familiari. Il Padre celeste accolga nel suo regno le anime dei defunti.

    Saluto voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi, in particolare i fedeli provenienti da Villa Alemana (Cile) e i ragazzi della Cresima di Cork (Irlanda). Saluto i gruppi di Poggiomarino, Roccapriora, Macerata, Recanati, Aragona e Mestrino; come pure i ragazzi della Cresima e della Prima Comunione di Santa Giustina in Colle.

    Un saluto speciale ai rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, che ringrazio per la vicinanza quotidiana alla popolazione; la Virgo Fidelis, vostra Patrona, protegga voi e le vostre famiglie. A Lei, Madre premurosa, affido le popolazioni provate dal flagello della guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina.

    Saluto tutti, anche i ragazzi dell’Immacolata che sono bravi, e auguro una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Grazie, buon pranzo e arrivederci!


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  6. #136
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL GREEN AND BLUE FESTIVAL,
    NELLA GIORNATA DELL'AMBIENTE "EARTH FOR ALL"


    Lunedì, 5 giugno 2023


    Cari fratelli e sorelle!

    Sono passati più di cinquant’anni da quando si inaugurò a Stoccolma, il 5 giugno 1972, la prima grande Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano. Essa ha dato il via a varie assise che hanno convocato la comunità internazionale a confrontarsi su come l’umanità sta gestendo la nostra casa comune. Per questo il 5 giugno è diventato la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Non dimentico, quando sono andato a Strasburgo, che l’allora Presidente Hollande aveva invitato per ricevermi la Ministro dell’Ambiente, la Sig.ra Ségolène Royal, e lì mi ha detto che aveva sentito che stavo scrivendo qualcosa sull’ambiente. Le dissi di sì, che stavo pensando con un gruppo di scienziati e anche con un gruppo di teologi. E lei mi ha detto questo: “Per favore, lo pubblichi prima della Conferenza di Parigi”. E così è stato fatto. E Parigi è stato proprio un bell’incontro, non per questo mio documento, ma perché l’incontro era di alto livello. Dopo Parigi, purtroppo… E questo a me preoccupa.

    In questa metà di secolo sono cambiate molte cose; basti pensare all’avvento delle nuove tecnologie, all’impatto di fenomeni trasversali e mondiali come la pandemia, alla trasformazione di una «società sempre più globalizzata [che] ci rende vicini, ma non ci rende fratelli». [1] Abbiamo assistito a una «crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura», maturando «una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta» (Enc. Laudato si’, 19). Gli esperti evidenziano chiaramente come le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio avranno impatti per migliaia di anni. [2] Si è ampliata la nostra conoscenza sull’impatto delle nostre azioni sulla nostra casa comune e su coloro che la abitano e che la abiteranno. Questo ha accresciuto anche il nostro senso di responsabilità davanti a Dio, che ci ha affidato la cura del creato, davanti al prossimo e davanti alle generazioni future.

    «Mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (ibid., 165).

    Il fenomeno del cambiamento climatico ci richiama insistentemente alle nostre responsabilità: esso investe in particolare i più poveri e più fragili, coloro che meno hanno contribuito alla sua evoluzione. È dapprima una questione di giustizia e poi di solidarietà. Il cambiamento climatico ci riporta anche a fondare la nostra azione su una cooperazione responsabile da parte di tutti: il nostro mondo è ormai troppo interdipendente e non può permettersi di essere suddiviso in blocchi di Paesi che promuovano i propri interessi in maniera isolata o insostenibile. «Le ferite portate all’umanità dalla pandemia da Covid-19 e dal fenomeno del cambiamento climatico sono paragonabili a quelle derivanti da un conflitto globale», [3] dove il vero nemico è il comportamento irresponsabile che ha ricadute su tutte le componenti della nostra umanità di oggi e di domani. Sono venuti a vedermi alcuni anni fa i pescatori di San Benedetto del Tronto, che in un anno sono riusciti a togliere dal mare dodici tonnellate di plastica!

    Come «all’indomani della seconda guerra mondiale, è necessario che oggi l’intera comunità internazionale metta come priorità l’attuazione di azioni collegiali, solidali e lungimiranti», [4] riconoscendo «la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta» ( Laudato si’, 15). Una sfida grande, urgente e bella, che richiede una dinamica coesa e propositiva.

    Si tratta di una sfida “grande” e impegnativa, perché richiede un cambio di rotta, un deciso cambiamento dell’attuale modello di consumo e di produzione, troppo spesso impregnato nella cultura dell’indifferenza e dello scarto, scarto dell’ambiente e scarto delle persone. Oggi sono venuti i gruppi del MacDonald's, il ristoratore, e mi hanno detto che hanno abolito la plastica e tutto si fa con carta riciclabile, tutto… In Vaticano è proibita la plastica. E siamo riusciti al 93%, mi hanno detto, senza plastica. Sono passi, veri passi che dobbiamo continuare. Veri passi.

    Inoltre, come indicato da più parti nel mondo scientifico, il cambiamento di questo modello è “urgente” e non può essere più rinviato. Diceva recentemente un grande scienziato – alcuni di voi sicuramente eravate presenti –: “Ieri è nata una mia nipote; non vorrei che la mia nipotina fra trent’anni si trovi in un mondo inabitabile”. Dobbiamo fare qualcosa. È urgente, non può essere rinviato. Dobbiamo consolidare «il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta» (ibid., 14), ben consapevoli che vivere «la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario» (ibid., 217) della nostra esperienza di vita.

    È, poi, una sfida “bella”, stimolante e realizzabile: passare dalla cultura dello scarto a stili di vita improntati alla cultura del rispetto e della cura, cura del creato e cura del prossimo, vicino o lontano nello spazio e nel tempo. Ci troviamo davanti a un cammino educativo per una trasformazione della nostra società, una conversione sia individuale che comunitaria (cfr ibid., 219).

    Non mancano opportunità e iniziative che mirano ad affrontare seriamente questa sfida. Saluto qui i rappresentanti di alcune Città di vari Continenti, che mi fanno pensare come questa sfida vada affrontata, in maniera sussidiaria, a tutti i livelli: dalle piccole scelte quotidiane alle politiche locali, a quelle internazionali. Di nuovo, va richiamata l’importanza di una cooperazione responsabile ad ogni livello. Abbiamo bisogno del contributo di tutti. E questo costa. Ricordo che quei pescatori di San Benedetto del Tronto mi dicevano: “Per noi all’inizio la scelta era un po’ difficile, perché portare plastica invece di pesci non ci faceva guadagnare”. Ma c’era qualcosa: che l’amore per il creato era più grande. Ecco la plastica e i pesci… E così sono andati avanti. Ma costa![/FONT]
    [FONT=Tahoma]È necessario accelerare questo cambiamento di rotta a favore di una cultura della cura – come si curano i bambini –, che ponga al centro la dignità umana e il bene comune. E che sia alimentata da «quell’ alleanza tra essere umano e ambiente che dev’essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino». [5]

    «Non rubiamo alle nuove generazioni la speranza in un futuro migliore». [6] Grazie di tutto quello che fate.

    ___________________________________

    [1] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 19.

    [2] Cfr IPCC, Climate Change 2023 Synthesis Report, Summary for Policymakers, C. 1., p. 24.

    [3] Messaggio al Presidente della COP26, 29 ottobre 2021.

    [4] Ibidem.

    [5] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 50.

    [6] Video-Messaggio al Climate Ambition Summit, 12 dicembre 2020.


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  7. #137
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE CENTESIMUS ANNUS PRO PONTIFICE


    Sala Clementina
    Lunedì, 5 giugno 2023


    La memoria per costruire il futuro:
    pensare e agire termini di comunità

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    È bello festeggiare gli anniversari. La Fondazione Centesimus Annus esiste ormai da trent’anni: tutto ebbe inizio dopo l’Enciclica di San Giovanni Paolo II scritta nel centenario della storica Rerum novarum di Leone XIII. E il vostro impegno si è posto proprio in questo cammino, in questa “tradizione”: l’impegno, cioè, di studiare e diffondere la Dottrina sociale della Chiesa, cercando di mostrare che non è solo teoria, ma può diventare stile di vita virtuoso con cui far crescere società degne dell’uomo.

    La centralità della persona, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà, in questi trent’anni per voi si sono trasformate in azioni concrete e hanno contagiato il cuore e le azioni di tante persone. Sono grato alla Fondazione e a tutti voi per il prezioso lavoro che avete compiuto; in particolare, per quanto operato negli ultimi dieci anni attraverso la recezione e il rilancio dei contributi che ho cercato di dare allo sviluppo della Dottrina sociale.

    Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho voluto mettere in guardia dal pericolo di vivere l’economia in modo malsano. «Questa economia uccide» (n. 53), dicevo nel 2013, denunciando un modello economico che produce scarti e che favorisce quella che si può definire “globalizzazione dell’indifferenza”. Molti di voi operano nel campo economico: sapete bene quanto può essere di giovamento per tutti un modo di immaginare la realtà che ponga al centro la persona, che non sminuisca il lavoratore e che cerchi di creare il bene per tutti.

    L’Enciclica Laudato si’ ha messo in luce il danno dovuto al paradigma tecnocratico dominante e ha proposto la logica dell’ecologia integrale, dove “tutto è connesso”, “tutto è in relazione” e la questione ambientale è inscindibile dalla questione sociale, vanno insieme. La cura dell’ambiente e l’attenzione ai poveri stanno o cadono insieme. In fondo, nessuno si salva da solo e la riscoperta della fraternità e dell’amicizia sociale è decisiva per non scadere in un individualismo che fa perdere la gioia di vivere. E fa perdere anche la vita.

    Sono contento che in questo Convegno Internazionale abbiate scelto come titolo: “La memoria per costruire il futuro: pensare e agire in termini di comunità”, citando esplicitamente il numero 116 dell’Enciclica Fratelli tutti. In realtà, quelle parole provengono da un discorso rivolto ai movimenti popolari, nel 2014. In quella occasione dissi: «Solidarietà è una parola che non sempre piace; […] ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, della disuguaglianza, della mancanza di lavoro, terra e casa, della negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro: i dislocamenti forzati, le migrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia».

    Mi viene in mente – ho parlato di denaro – un passo del Vangelo, quando Gesù dice che non si può servire due padroni: o tu servi Dio, un Signore, o tu servi – e io mi aspettavo che dicesse: il diavolo, ma non dice “il diavolo” – dice: “i soldi”. O tu servi Dio o tu servi i soldi. Peggio del diavolo. Dobbiamo cercare cosa vuol dirci Gesù in questo: c’è un messaggio. O servi Dio, o sei servo del denaro. Non sei libero.

    Oggi, parlando a voi e pensando al titolo che avete scelto, vorrei aggiungere qualcosa che ho letto da un grande giurista italiano, Paolo Grossi, che è stato anche presidente della Corte Costituzionale e che è morto lo scorso anno. Egli ha affermato: «La comunità è sempre un salvataggio per il debole e dà voce anche a chi non ha proprio voce» (Grammatiche del diritto, p. 38).

    Forse, affinché la comunità diventi davvero un luogo dove il debole e chi non ha voce possa sentirsi accolto e ascoltato, serve da parte di tutti quell’esercizio che potremmo chiamare del “fare spazio”. Ognuno ritrae un po’ il proprio “io” e questo permette all’altro di esistere. Ma per questo bisogna che il fondamento della comunità sia l’etica del dono e non quella dello scambio.

    In tal senso potremmo citare un poeta milanese, Giampiero Neri, anch’egli recentemente scomparso. Egli affermava: «Si dice di alcune persone che, quando entrano in una stanza, la occupano tutta. Dovrei immaginare che, quando se ne vanno, lasciano un grande vuoto. Sono invece portato a pensare che a lasciare un grande vuoto siano le persone umili, silenziose, che occupano soltanto lo spazio necessario, che si fanno amare».

    Cari fratelli e sorelle, pensare e agire in termini di comunità è dunque fare spazio agli altri, è immaginare e lavorare per un futuro dove ciascuno possa trovare il suo posto e avere il suo spazio nel mondo. Una comunità che sa dar voce a chi non ha voce è ciò di cui tutti abbiamo bisogno.

    Il lavoro prezioso della Fondazione Centesimus Annus può essere anche questo: contribuire a un pensiero e a un’azione che favoriscano la crescita di una comunità in cui camminare insieme sulla via della pace. Benedico tutti voi, benedico i vostri cari. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.


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  8. #138
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    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 7 giugno 2023


    Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 16. Testimoni: Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni

    Cari fratelli e sorelle, benvenuti, buongiorno!

    Sono qui davanti a noi le reliquie di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona universale delle missioni. È bello che ciò accada mentre stiamo riflettendo sulla passione per l’evangelizzazione, sullo zelo apostolico. Oggi, dunque, lasciamoci aiutare dalla testimonianza di santa Teresina. Lei nacque 150 anni fa, e in questo anniversario ho intenzione di dedicarle una Lettera Apostolica.

    È patrona delle missioni, ma non è mai stata in missione: come si spiega, questo? Era una monaca carmelitana e la sua vita fu all’insegna della piccolezza e della debolezza: lei stessa si definiva “un piccolo granello di sabbia”. Di salute cagionevole, morì a soli 24 anni. Ma se il suo corpo era infermo, il suo cuore era vibrante, era missionario. Nel suo “diario” racconta che essere missionaria era il suo desiderio e che voleva esserlo non solo per qualche anno, ma per tutta la vita, anzi fino alla fine del mondo. Teresa fu “sorella spirituale” di diversi missionari: dal monastero li accompagnava con le sue lettere, con la preghiera e offrendo per loro continui sacrifici. Senza apparire intercedeva per le missioni, come un motore che, nascosto, dà a un veicolo la forza per andare avanti. Tuttavia dalle sorelle monache spesso non fu capita: ebbe da loro “più spine che rose”, ma accettò tutto con amore, con pazienza, offrendo, insieme alla malattia, anche i giudizi e le incomprensioni. E lo fece con gioia, lo fece per i bisogni della Chiesa, perché, come diceva, fossero sparse “rose su tutti”, soprattutto sui più lontani.

    Ma ora, mi chiedo, possiamo chiederci noi, tutto questo zelo, questa forza missionaria e questa gioia di intercedere da dove arrivano? Ci aiutano a capirlo due episodi, avvenuti prima che Teresa entrasse in monastero. Il primo riguarda il giorno che le cambiò la vita, il Natale del 1886, quando Dio operò un miracolo nel suo cuore. Teresa avrebbe di lì a poco compiuto 14 anni. In quanto figlia più giovane, in casa era coccolata da tutti, ma non “malcresciuta”. Tornata dalla Messa di mezzanotte, il papà, molto stanco, non aveva però voglia di assistere all’apertura dei regali della figlia e disse: «Meno male che è l’ultimo anno!», perché a 15 anni già non si facevano più. Teresa, di indole molto sensibile e facile alle lacrime, ci restò male, salì in camera e pianse. Ma in fretta represse le lacrime, scese e, piena di gioia, fu lei a rallegrare il padre. Cos’era successo? Che in quella notte, in cui Gesù si era fatto debole per amore, lei era diventata forte d’animo – un vero miracolo: in pochi istanti era uscita dalla prigione del suo egoismo e del suo piangersi addosso, cominciò a sentire che “la carità le entrava nel cuore col bisogno di dimenticare sé stessa” (cfr Manoscritto A, 133-134). Da allora rivolse il suo zelo agli altri, perché trovassero Dio e anziché cercare consolazioni per sé si propose di «consolare Gesù, [di] farlo amare dalle anime», perché – annotò Teresa – «Gesù è malato d’amore e [...] la malattia dell’amore non si guarisce che con l’amore» (Lettera a Marie Guérin, luglio 1890). Ecco allora il proposito di ogni sua giornata: «fare amare Gesù» (Lettera a Céline, 15 ottobre 1889), intercedere perché gli altri lo amassero. Scrisse: «Vorrei salvare le anime e dimenticarmi per loro: vorrei salvarle anche dopo la mia morte» (Lettera al P. Roullan, 19 marzo 1897). Più volte disse: «Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra». Questo è il primo episodio che le cambiò la vita a 14 anni.

    E questo suo zelo era rivolto soprattutto ai peccatori, ai “lontani”. Lo rivela il secondo episodio. Teresa viene a conoscenza di un criminale condannato a morte per crimini orribili, si chiamava Enrico Pranzini – lei scrive il nome: ritenuto colpevole del brutale omicidio di tre persone, è destinato alla ghigliottina, ma non vuole ricevere i conforti della fede. Teresa lo prende a cuore e fa tutto ciò che può: prega in ogni modo per la sua conversione, perché lui che, con compassione fraterna, chiama «povero disgraziato Pranzini», abbia un piccolo segno di pentimento e faccia spazio alla misericordia di Dio, in cui Teresa confida ciecamente. Avviene l’esecuzione. Il giorno dopo Teresa legge sul giornale che Pranzini, appena prima di poggiare la testa nel patibolo, «a un tratto, colto da un’ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava e bacia per tre volte le piaghe sacre» di Gesù. La santa commenta: «Poi la sua anima andò a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dichiarò che in Cielo ci sarà più gioia per un solo peccatore che fa penitenza che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza!» (Manoscritto A, 135).

    Fratelli e sorelle, ecco la forza dell’intercessione mossa dalla carità, ecco il motore della missione. I missionari, infatti, di cui Teresa è patrona, non sono solo quelli che fanno tanta strada, imparano lingue nuove, fanno opere di bene e sono bravi ad annunciare; no, missionario è anche chiunque vive, dove si trova, come strumento dell’amore di Dio; è chi fa di tutto perché, attraverso la sua testimonianza, la sua preghiera, la sua intercessione, Gesù passi. E questo è lo zelo apostolico che, ricordiamolo sempre, non funziona mai per proselitismo – mai! – o per costrizione – mai! –, ma per attrazione: la fede nasce per attrazione, non si diventa cristiani perché forzati da qualcuno, no, ma perché toccati dall’amore. Alla Chiesa, prima di tanti mezzi, metodi e strutture, che a volte distolgono dall’essenziale, occorrono cuori come quello di Teresa, cuori che attirano all’amore e avvicinano a Dio. E chiediamo alla santa – abbiamo le reliquie, qui – chiediamo alla santa la grazia di superare il nostro egoismo e chiediamo la passione di intercedere perché questa attrazione sia più grande nella gente e perché Gesù sia conosciuto e amato.

    ______________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française en particulier les délégations des Diocèses Séez et de Bayeux-Lisieux conduites par leurs évêques respectifs, qui accompagnent les reliques de Sainte Thérèse de l’Enfant Jésus à l’occasion du 150ème anniversaire de sa naissance et du 100ème anniversaire de sa béatification. Demandons à notre Sainte la grâce d’aimer Jésus comme elle l’a aimé, de Lui offrir nos épreuves et nos peines comme elle l’a fait, pour qu’Il soit connu et aimé de tous.

    [Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua francese, in particolare alle delegazioni delle diocesi di Séez e Bayeux-Lisieux, guidate dai rispettivi Vescovi, che accompagnano le reliquie di Santa Teresa di Gesù Bambino nel 150° anniversario della sua nascita e nel 100° anniversario della sua beatificazione. Chiediamo alla nostra Santa la grazia di amare Gesù come lei Lo ha amato, di offrirGli le nostre prove e i nostri dolori, come lei l’ha fatto, perché sia conosciuto e amato da tutti.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Scotland, Indonesia and the United States of America. Upon you and your families I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Scozia, Indonesia e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

    Ein herzliches Willkommen den Pilgern deutscher Sprache. Die heilige Theresia von Lisieux lädt uns ein, dem Herrn auf dem kleinen Weg nachzufolgen, indem wir uns in all unserem Tun von der Nächstenliebe leiten lassen. Die Heilige Eucharistie, Sakrament der Liebe, möge uns auf diesem Weg himmlische Speise sein.

    [Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua tedesca. Santa Teresa di Lisieux ci invita a seguire il Signore nella piccola via, animando ogni nostro gesto con la carità. La Santissima Eucaristia, Sacramento della Carità, sia il nostro nutrimento celeste su questo cammino.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. En este mes del Corazón de Jesús, pidamos al Señor que haga nuestros corazones semejantes al suyo, y que seamos sus instrumentos para que Él pueda “pasar haciendo el bien”. Como santa Teresita, que vivió entregada a Dios y olvidada de sí misma, amando y consolando a Jesús, e intercediendo por la salvación de todos. Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

    Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, de modo particular quantos vieram do Brasil e Portugal. A todos vos abençoo, desejando que as vossas comunidades, a começar pela própria família, procurem consolidar-se imitando Jesus que Se deu na Eucaristia fazendo-se alimento para os irmãos! Sede seus comensais devotos e assíduos adoradores!

    [Saluto i pellegrini di lingua portoghese, in particolare quanti sono venuti dal Brasile e Portogallo. Vi benedico tutti, auspicando che le vostre comunità, a cominciare dalla famiglia stessa di ognuno, cerchino di consolidarsi imitando Gesù che si è donato nell’Eucaristia facendosi cibo per i fratelli! Siate suoi devoti commensali e assidui adoratori.]

    […].

    Saluto i fedeli di lingua araba. Alla Chiesa occorrono cuori come quello di Santa Teresa di Gesù Bambino, cuori che attirano all’amore e avvicinano a Dio. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto cordialmente i Polacchi. L’esempio di Santa Teresa di Gesù Bambino, incoraggi il vostro popolo nello zelo per l'evangelizzazione, anche mediante la preziosa opera dei missionari polacchi nelle periferie del mondo. Testimoniate Gesù con l'esempio della vostra vita, perseverate nella carità cristiana e nel sostegno nei confronti degli Ucraini. Vi benedico di cuore!]

    * * *

    Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana. In particolare, la Pia Unione delle Mamme Cristiane della diocesi di Iasi, in Romania, i religiosi dell’Istituto Missioni della Consolata e le suore Missionarie della Consolata che celebrano i rispettivi Capitoli generali. Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a camminare sempre con gioia nelle vie del Signore.

    Sono lieto di accogliere i fedeli della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, l’Accademia militare di Modena, gli Scout d’Europa cattolici Roma Uno, i partecipanti alla Scuola Arti e mestieri della Fabbrica di San Pietro in Vaticano. Tutti esorto a scoprire il volto paterno e misericordioso di Dio e a sperimentare la forza rinnovatrice dello Spirito Santo.

    Rivolgo ora un pensiero ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli, ispirato alla prossima festa del “Corpus Domini”, che celebra l’Eucaristia, centro e fonte della vita della Chiesa. Accostatevi con frequenza e con devozione a Gesù, Pane di vita che dona forza, luce e gioia, ed Egli diventerà la sorgente, delle vostre scelte e delle vostre azioni.

    Domani, alle ore 13, l’Azione Cattolica Internazionale suggerisce ai credenti delle varie confessioni e religioni di raccogliersi in preghiera, dedicando “Un minuto per la pace”. Accogliamo questo invito, pregando per la fine delle guerre nel mondo e specialmente per la cara e martoriata Ucraina.

    A tutti voi la mia benedizione.


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  9. #139
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    MEETING MONDIALE SULLA FRATERNITÀ UMANA “NOT ALONE” (#NOTALONE)

    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Piazza San Pietro
    Sabato, 10 giugno 2023


    Care sorelle e cari fratelli, buon pomeriggio!

    Anche se non posso accogliervi di persona, vorrei darvi il mio benvenuto e ringraziarvi di cuore per essere venuti. Sono contento di affermare insieme a voi il desiderio di fraternità e di pace per la vita del mondo. Uno scrittore ha posto sulle labbra di Francesco di Assisi queste parole: «Il Signore è là dove sono i tuoi fratelli» (E. Leclerc, La sapienza di un povero). Davvero, il Cielo che sta sopra di noi ci invita a camminare sulla terra insieme, a riscoprirci fratelli e a credere nella fraternità come dinamica fondamentale del nostro peregrinare.

    Nell’Enciclica Fratelli tutti ho scritto che «la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza» (n. 103), perché chi vede un fratello vede nell’altro un volto, non un numero: è sempre “qualcuno” che ha dignità e merita rispetto, non “qualcosa” da utilizzare, sfruttare o scartare. Nel nostro mondo, dilaniato dalla violenza e dalla guerra, non bastano ritocchi e aggiustamenti: solo una grande alleanza spirituale e sociale che nasca dai cuori e ruoti attorno alla fraternità può riportare al centro delle relazioni la sacralità e l’inviolabilità della dignità umana.

    Per questo la fraternità non ha bisogno di teorie, ma di gesti concreti e di scelte condivise che la rendano cultura di pace. La domanda da porci non è dunque che cosa la società e il mondo possono darmi, ma che cosa posso dare io ai miei fratelli e alle mie sorelle. Tornando a casa, pensiamo a quale gesto concreto di fraternità fare: riconciliarci in famiglia, con gli amici o con i vicini, pregare per chi ci ha ferito, riconoscere e aiutare chi è nel bisogno, portare una parola di pace a scuola, in università o nella vita sociale, ungere di prossimità qualcuno che si sente solo...

    Sentiamoci chiamati ad applicare il balsamo della tenerezza all’interno delle relazioni che si sono incancrenite, tra le persone come tra i popoli. Non stanchiamoci di gridare “no alla guerra”, in nome di Dio o nel nome di ogni uomo e di ogni donna che aspira alla pace. Mi vengono alla mente quei versi di Giuseppe Ungaretti che, nel cuore della guerra, sentì il bisogno di parlare proprio dei fratelli come «Parola tremante / nella notte / Foglia appena nata». La fraternità è bene fragile e prezioso. I fratelli sono l’ancora di verità nel mare in tempesta dei conflitti che seminano menzogna. Evocare i fratelli è ricordare a chi sta combattendo, e a tutti noi, che il sentimento di fraternità che ci unisce è più forte dell’odio e della violenza, anzi accomuna tutti nello stesso dolore. È da qui che si parte e si riparte, dal senso del “sentire insieme”, scintilla che può riaccendere la luce per fermare la notte dei conflitti.

    Credere che l’altro sia fratello, dire all’altro “fratello” non è una parola vuota, ma la cosa più concreta che ciascuno di noi può fare. Significa infatti emanciparsi dalla povertà di credersi al mondo come figli unici. Significa, al tempo stesso, scegliere di superare la logica dei soci, che stanno insieme solo per interesse, sapendo anche andare oltre i limiti dei vincoli di sangue o etnici, che riconoscono solo il simile e negano il diverso. Penso alla parabola del Samaritano (cfr Lc 10,25-37), che si ferma con compassione davanti al giudeo bisognoso di aiuto. Le loro culture erano nemiche, le loro storie diverse, le loro regioni ostili l’una all’altra, ma per quell’uomo la persona trovata per strada e il suo bisogno vengono prima di tutto.

    Quando gli uomini e le società scelgono la fraternità anche le politiche cambiano: la persona torna a prevalere sul profitto, la casa che tutti abitiamo sull’ambiente da sfruttare per i propri interessi, il lavoro viene pagato con il giusto salario, l’accoglienza diventa ricchezza, la vita speranza, la giustizia apre alla riparazione e la memoria del male procurato viene risanata nell’incontro tra vittime e rei.

    Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per aver organizzato questo incontro e per aver dato vita alla “Dichiarazione sulla fraternità umana”, elaborata stamani dagli illustri Premi Nobel presenti. Credo che essa ci offra “una grammatica della fraternità” e sia una guida efficace per viverla e a testimoniarla ogni giorno in modo concreto. Avete lavorato bene insieme e vi ringrazio tanto! Facciamo in modo che quanto vissuto oggi sia il primo passo di un cammino e possa avviare un processo di fraternità: le piazze collegate da varie città del mondo, che saluto con gratitudine e affetto, testimoniano sia la ricchezza della diversità, sia la possibilità di essere fratelli anche quando non siamo vicini, com’è capitato a me. Andate avanti!

    Vorrei salutarvi lasciandovi un’immagine, quella dell’abbraccio. Di questo pomeriggio trascorso insieme vi auguro di custodire nel cuore e nella memoria il desiderio di abbracciare le donne e gli uomini di tutto il mondo per costruire insieme una cultura di pace. La pace, infatti, ha bisogno di fraternità e la fraternità ha bisogno di incontro. L’abbraccio dato e ricevuto oggi, simboleggiato dalla piazza nella quale vi state incontrando, diventi impegno di vita. E profezia di speranza. Io stesso vi abbraccio e, mentre vi ripeto il mio grazie, di cuore vi dico: sono con voi!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  10. #140
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    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DEL GRUPPO DEL PARTITO POPOLARE EUROPEO
    NEL PARLAMENTO EUROPEO


    Illustri Signore e Signori!

    Sono lieto di rivolgere un saluto cordiale a voi, membri del Gruppo del Partito Popolare nel Parlamento Europeo, istituzione che ho visitato nel novembre del 2014, e colgo l’occasione per condividere con voi alcune riflessioni.

    La prima: siete parlamentari, dunque siete rappresentanti dei cittadini che vi hanno affidato un mandato. Quando ci furono le prime elezioni del Parlamento Europeo, la gente si è interessata, era una novità, un passo avanti importante nella costruzione dell’Europa unita. Ma, come sempre, col passare del tempo l’interesse diminuisce; e allora è necessario curare bene il rapporto tra i cittadini e i parlamentari. Questo è un problema classico delle democrazie rappresentative. E se già è difficile tenere vivo il legame all’interno di ciascun Paese, a maggior ragione lo è per il Parlamento Europeo, che è ancora più “lontano”. Ma d’altra parte oggi la comunicazione può aiutare molto a superare le distanze.

    Un secondo spunto: il pluralismo. È chiaro che un grande gruppo parlamentare debba prevedere un certo pluralismo interno. Tuttavia, su alcune questioni in cui sono in gioco valori etici primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana occorre essere uniti. Questo mi sembra un aspetto particolarmente interessante, perché chiede di pensare alla formazione permanente dei parlamentari. È normale che anche voi abbiate bisogno di momenti di studio e di riflessione in cui approfondire e confrontarsi sulle questioni eticamente più rilevanti. È una sfida appassionante, che si gioca soprattutto al livello della coscienza, e che mette anche in luce la qualità di chi fa politica. Il politico cristiano dovrebbe distinguersi per la serietà con cui affronta i temi, respingendo le soluzioni opportunistiche e tenendo sempre fermi i criteri della dignità della persona e del bene comune.

    A questo proposito, voi avete un patrimonio ricchissimo a cui attingere per portare il vostro contributo originale alla politica europea, cioè la dottrina sociale della Chiesa. Pensiamo, ad esempio, ai due principi di solidarietà e sussidiarietà e alla loro dinamica virtuosa. Ci sono aspetti etico-politici, legati ad ognuno di questi due principi, che voi condividete con colleghi di diverse appartenenze, i quali accentuano rispettivamente o l’uno o l’altro; ma l’intreccio dei due, il fatto di attivarli insieme e farli funzionare in maniera complementare, questo è proprio del pensiero sociale ed economico di ispirazione cristiana, e quindi è affidato particolarmente alla vostra responsabilità.

    Un altro aspetto che ha analogia con questo: la visione di un’Europa che tenga insieme unità e diversità. Questo è fondamentale; ho avuto modo di sottolinearlo recentemente nella visita in Ungheria. Un’Europa che valorizzi pienamente le diverse culture che la compongono, la sua ricchezza enorme di tradizioni, di lingue, di identità, che sono quelle dei suoi popoli e delle loro storie; e che nel contempo sia capace, con le sue istituzioni e le sue iniziative politiche e culturali, di far sì che questo mosaico ricchissimo componga figure coerenti.

    E per questo ci vuole una forte ispirazione, un’“anima”, a me piace dire che ci vogliono dei “sogni”. Ci vogliono valori alti, e una visione politica alta. Non intendo con ciò sminuire l’importanza della gestione ordinaria, della buona amministrazione normale, anzi, se è buona questa è già moltissimo. Ma non basta, non basta a sostenere un’Europa che si trova a far fronte alle grandi sfide globali del XXI secolo. Per affrontare tali sfide come Europa unita, ci vuole un’ispirazione alta e forte. E voi, vorrei dire, dovreste essere i primi a fare tesoro degli esempi e degli insegnamenti dei padri fondatori di questa Europa. La scommessa originaria, che può essere anche la scommessa attuale, è di puntare non solo a un’organizzazione che tuteli gli interessi delle nazioni europee, ma a un’unione dove tutti possano vivere una vita «a misura d’uomo, fraterna e giusta». [1]

    Vorrei mettere in evidenza questo termine: fraterna. Come sapete, la fraternità e l’amicizia sociale è il grande “sogno” che ho condiviso con tutta la Chiesa e tutti gli uomini e le donne di buona volontà (cfr Enc. Fratelli tutti, 8). Penso che la fraternità possa essere anche fonte di ispirazione per chi vuole oggi ri-animare l’Europa, perché risponda pienamente alle attese sia dei suoi popoli sia del mondo intero. Perché un progetto di Europa oggi non può che essere un progetto di respiro mondiale. Ritengo che i politici cristiani oggi si dovrebbero riconoscere dalla capacità di tradurre il grande sogno di fraternità in azioni concrete di buona politica a tutti i livelli: locale, nazionale, internazionale. Ad esempio: sfide come quella delle migrazioni, o quella della cura del pianeta, mi pare che si possano affrontare solo a partire da questo grande principio ispiratore: la fraternità umana.

    Cari amici, facciamo memoria delle origini: non dimentichiamo come è nata l’Europa unita; non dimentichiamo la tragedia delle guerre del XX secolo. Il graduale e paziente lavoro di costruzione di un’Europa unita, in ambiti prima particolari e poi sempre più generali, che cosa aveva dentro come ispirazione? Quale ideale, se non quello di generare uno spazio dove si potesse vivere in libertà, giustizia e pace, rispettandosi tutti nella diversità? Oggi questo progetto è messo alla prova in un mondo globalizzato, ma può essere rilanciato attingendo all’ispirazione originaria, che è più che mai attuale e feconda non solo per l’Europa, ma per l’intera famiglia umana.

    E vorrei concludere con un’ultima osservazione: chi sono quelli che vivono di più l’Europa unita? Voi me lo insegnate: sono i giovani. Oggi si comincia presto a fare periodi di studio all’estero; poi, per l’università, specialmente le specializzazioni, l’orizzonte è europeo; e così per la ricerca del lavoro… Non mi riferisco alla triste necessità, che purtroppo c’è, di andare altrove per la mancanza di opportunità in patria; no, ma al fatto che per i giovani ormai è normale, ad esempio, fare una prima parte di studi nel proprio Paese e specializzarsi in un altro. Un po’ come avveniva nel Medioevo: si studiava un po’ a Padova, un po’ a Parigi, un po’ a Oxford o a Heidelberg… Guardiamo a loro, ai giovani, e pensiamo a un’Europa e a un mondo che siano all’altezza dei loro sogni.

    Per questo vi incoraggio ad andare avanti con coraggio e speranza, con l’aiuto di Dio. Il Vangelo sia la vostra stella polare e la Dottrina sociale la vostra bussola. Benedico di cuore tutti voi e i vostri cari. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.

    Roma, Policlinico “Gemelli”, 9 giugno 2023

    ______________________________

    [1] P.H. Spaak, Discorso pronunciato in occasione della firma dei Trattati di Roma, 25 marzo 1957.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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    (
    Mar. 13, 35).




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