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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #181
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE DELLA FAMIGLIA
    "INCONTRO MATRIMONIALE"


    Aula Paolo VI
    Sabato, 9 settembre 2023


    Cari fratelli e sorelle,

    vi do il benvenuto e vi ringrazio per la visita, che si svolge mentre state vivendo alcuni giorni di riflessione in occasione del vostro quarantacinquesimo anniversario: auguri!

    In tutti questi anni, ispirati dal comandamento dell’amore di Gesù (cfr Gv 15,12), vi siete impegnati per la riscoperta del sacramento del Matrimonio e di quello dell’Ordine, cercando non soltanto di approfondirne la ricchezza in modo distinto, ma anche facendo emergere la relazione che intercorre tra queste due importanti vocazioni. Matrimonio e Ordine sacro, infatti, benché in modo diverso e secondo il carisma proprio di ciascuno, sono intimamente legati perché entrambi manifestano l’amore di Dio, edificando il Corpo mistico della Chiesa. Questi due sacramenti, infatti, per strade diverse ma complementari, parlano di sponsalità: da una parte la donazione totale, unica e indissolubile degli sposi, dall’altra l’offerta di vita del sacerdote per la Chiesa, sono segni dell’amore sponsale di Dio per noi.

    Riprendendo il tema che avete scelto per questa circostanza, “Siamo il sogno di Dio”, vorrei dirvi che il vostro “carisma sponsale” è una profezia per la realizzazione del sogno di Dio. E qual è il sogno di Dio? Invitando i discepoli a rimanere legati a Lui come i tralci alla vite (cfr Gv 15,4) e pregando il Padre perché li conservi nell’amore, Gesù stesso ce lo svela, implorando che tutti noi possiamo essere «una sola cosa» (Gv 17,21). Il sogno di Dio per noi è questo: unirci nel suo amore, nella sua comunione, per farci scoprire la bellezza della figliolanza divina e della fraternità tra di noi. Per questo Gesù ha pregato accoratamente. E ci manda sulle strade del mondo ad annunciare che la via per generare una nuova umanità si fonda sulla fraternità, frutto della carità, non sulla prevaricazione e sull’egoismo.

    In tal senso il servizio che offrite alla Chiesa, ma anche alla società, cioè l’accompagnamento dei coniugi e dei sacerdoti, rappresenta un prezioso tassello che contribuisce a realizzare il sogno di Dio. Voi non lo fate con tante parole o con teorie astratte, ma soprattutto entrando con amore nella realtà della vita concreta delle persone. Così il vostro carisma ricorda che la fede è anzitutto un’esperienza di relazione e di incontro.

    È una storia d’amore con Dio, con i fratelli, con le sorelle. Voi guardate da vicino il dialogo a volte non facile tra i coniugi e le situazioni talvolta complesse a cui sono chiamati a far fronte i sacerdoti, favorendo uno scambio fecondo, per apprendere insieme l’arte della relazione, l’arte della comunione. Così portate avanti il sogno di Dio, sogno di comunione sponsale, in un tempo che a volte preferisce battere i sentieri paludosi dell’individualismo invece di avventurarsi verso le splendide vette dell’amore.

    Siete poi anche un segno per la vita della Chiesa, che è chiamata a percorrere la strada di una sempre maggiore reciprocità tra i doni, i carismi e i ministeri. Lo scambio tra i coniugi e i pastori favorisce l’azione evangelizzatrice di cui oggi abbiamo urgente bisogno. Infatti, è attraverso le relazioni, anzitutto testimoniando la bellezza delle relazioni, che riusciamo ad annunciare la ricchezza del Vangelo e a mostrare l’amore che Dio nutre per ogni creatura.

    Vi incoraggio perciò a continuare con generosità e con passione il vostro impegno: a mettere in circolo le esperienze dei coniugi, dei sacerdoti e dei religiosi; ad aprire le porte del vostro cammino ai giovani e ai fidanzati; a non avere paura di battere nuove strade che aiutino le comunità cristiane a realizzare sempre meglio la convergenza tra gli sposi e i loro pastori. E, soprattutto, a lasciarvi guidare dallo Spirito Santo – lasciarvi guidare dallo Spirito Santo –, che è l’amore di Dio, senza il quale le nostre attività sono sterili e vane. È lo Spirito che apre i cuori e le menti – è lo Spirito che lo fa –, che ci fa protagonisti, tutti noi, del sogno di Dio!

    Grazie per il vostro prezioso servizio. Andate avanti, andate avanti non con tristezza, con gioia! Vi benedico e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  2. #182
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 10 settembre 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci parla di correzione fraterna (cfr Mt 18,15-20), che è una delle espressioni più alte dell’amore, e anche delle più impegnative, perché non è facile correggere gli altri. Quando un fratello nella fede commette una colpa contro di te, tu, senza rancore, aiutalo, correggilo: aiutare correggendo.

    Purtroppo, invece, la prima cosa che spesso si crea attorno a chi sbaglia è il pettegolezzo, in cui tutti vengono a conoscere lo sbaglio, con tanto di particolari, tranne l’interessato! Questo non è giusto, fratelli e sorelle, questo non piace a Dio. Non mi stanco di ripetere che il chiacchiericcio è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, porta sofferenza, porta scandalo, e mai aiuta a migliorare, mai aiuta a crescere. Un grande maestro spirituale, San Bernardo, diceva che la curiosità sterile e le parole superficiali sono i primi gradini della scala della superbia, che non porta in alto, ma in basso, precipitando l’uomo verso la perdizione e la rovina (cfr I gradi dell’umiltà e della superbia).

    Gesù, invece, ci insegna a comportarci in modo diverso. Ecco cosa dice oggi: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo» (v. 15). Parlaci “a tu per tu”, parlaci lealmente, per aiutarlo a capire dove sbaglia. E questo fallo per il suo bene, vincendo la vergogna e trovando il coraggio vero, che non è quello di sparlare, ma di dire le cose in faccia con mitezza e gentilezza.

    Ma, possiamo chiederci, e se non basta? Se lui non capisce? Allora bisogna cercare aiuto. Attenzione però: non quello del gruppetto che chiacchiera! Gesù dice: «Prendi con te una o due persone» (v. 16), intendendo persone che vogliano davvero dare una mano a quel fratello o a quella sorella che ha sbagliato.

    E se non capisce ancora? Allora, dice Gesù, coinvolgi la comunità. Ma anche qui precisiamo: non vuol dire mettere una persona alla gogna, svergognandola pubblicamente, bensì unire gli sforzi di tutti per aiutarla a cambiare. Puntare il dito contro non va bene, anzi spesso rende più difficile per chi ha sbagliato riconoscere il proprio errore. Piuttosto, la comunità deve far sentire a lui o a lei che, mentre condanna l’errore, è vicina con la preghiera e con l’affetto alla persona, sempre pronta a offrire il perdono, la comprensione, e a ricominciare.

    E allora ci chiediamo: come mi comporto io con chi sbaglia contro di me? Tengo dentro la cosa e accumulo rancore? “Me la pagherai”: questa parola, che tante volte viene, “me la pagherai…” Ne faccio motivo di chiacchiere alle spalle? “Tu sai cosa ha fatto quello?” e via dicendo… Oppure sono coraggioso, coraggiosa, e cerco di parlarci? Prego per lui o per lei, chiedo aiuto per fare del bene? E le nostre comunità si fanno carico di chi cade, perché possa rialzarsi e iniziare una vita nuova? Puntano il dito o aprono le braccia? Cosa fai tu: punti il dito o apri le braccia?

    Maria, che ha continuato ad amare pur sentendo la gente condannare suo Figlio, ci aiuti a ricercare sempre la via del bene.

    _____________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle,

    desidero esprimere la mia vicinanza al caro popolo del Marocco, colpito da un devastante terremoto. Prego per i feriti, per coloro che hanno perso la vita – tanti! – e per i loro familiari. Ringrazio i soccorritori e quanti si stanno adoperando per alleviare le sofferenze della gente; il concreto aiuto di tutti possa sostenere la popolazione in questo tragico momento: siamo vicini al popolo del Marocco! Oggi a Markowa, in Polonia, sono stati beatificati i martiri Giuseppe e Vittoria Ulma con i loro 7 figli, bambini: un’intera famiglia sterminata dai nazisti il 24 marzo 1944 per aver dato rifugio ad alcuni ebrei che erano perseguitati. All’odio e alla violenza, che caratterizzarono quel tempo, essi opposero l’amore evangelico. Questa famiglia polacca, che rappresentò un raggio di luce nell’oscurità della seconda guerra mondiale, sia per tutti noi un modello da imitare nello slancio del bene e nel servizio di chi è nel bisogno. Un applauso a questa famiglia di Beati!

    E sul loro esempio, sentiamoci chiamati a opporre alla forza delle armi quella della carità, alla retorica della violenza la tenacia della preghiera. Facciamolo soprattutto per tanti Paesi che soffrono a causa della guerra; in modo speciale, intensifichiamo la preghiera per la martoriata Ucraina. Ci sono le bandiere, lì, dell’Ucraina, che sta soffrendo tanto, tanto!

    Dopo domani, 12 settembre, il caro popolo etiope celebrerà il suo tradizionale Capodanno: desidero porgere i più cordiali auguri all’intera popolazione, auspicando che sia benedetta con i doni della riconciliazione fraterna e della pace.

    Rivolgiamo oggi il pensiero all’Abbazia di Mont-Saint-Michel, in Normandia, che celebra il millennio della consacrazione del tempio.

    E saluto tutti voi, romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da vari Paesi, in particolare la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Madrid, la comunità pastorale Cristo Risorto di Saronno, i cresimandi di Soliera, gli studenti delle scuole superiori di Lucca.

    In prossimità dell’inizio dell’anno catechistico, la Elledici, editrice dei Salesiani, dona oggi ai presenti in piazza un sussidio per la catechesi, intitolato “Passo dopo passo”: è un bel regalo! Colgo l’occasione per ringraziare i catechisti della loro preziosa opera e per augurare ai ragazzi e alle ragazze del catechismo la gioia di incontrare Gesù.

    A tutti voi auguro una buona domenica e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  3. #183
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    A SUA SANTITÀ BASELIOS MARTHOMA MATHEWS III,
    CATHOLICOS DELLA CHIESA ORTODOSSA SIRA-MALANKARESE


    Lunedì, 11 settembre 2023


    Santità,

    grazie per le Sue parole, grazie per questa visita nella città degli Apostoli Pietro e Paolo, dove ha già vissuto e studiato, e dove viene ora come Catholicos della venerabile Chiesa ortodossa sira malankarese. Vorrei dirLe, Santità, che qui è a casa, quale Fratello atteso e amato.

    Insieme a Lei vorrei anzitutto rendere grazie al Signore per i legami intessuti negli ultimi decenni. Il riavvicinamento delle nostre Chiese, dopo secoli di separazione, è iniziato con il Concilio Vaticano II, al quale la Chiesa ortodossa sira malankarese inviò alcuni osservatori. In quello stesso periodo, San Paolo VI incontrò il Catholicos Baselios Augen I a Bombay nel 1964. Ora, la Sua venuta qui giunge nel quarantesimo anniversario della prima visita a Roma di un Catholicos della vostra cara Chiesa, compiuta nel 1983 da Sua Santità Baselios Marthoma Mathews I, al quale tre anni più tardi San Giovanni Paolo II rese visita nella Cattedrale di Mar Elia a Kottayam. Quest’anno ricorre anche il decimo anniversario dell’abbraccio fraterno con il Suo immediato predecessore, Sua Santità Baselios Marthoma Paulose II, di benedetta memoria, che ho avuto la gioia di ricevere agli inizi del mio pontificato, nel settembre del 2013.

    Oggi, accogliendo Vostra Santità e i membri della Sua distinta delegazione, desidero salutare fraternamente i vescovi, il clero e i fedeli della Chiesa ortodossa sira malankarese, le cui origini risalgono alla predicazione dell’Apostolo Tommaso. Egli, dinanzi al Risorto, esclamò: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28): questa professione, che proclama la signoria salvifica e la divinità di Cristo, fonda, nella preghiera e nello stupore, la nostra fede comune. È questa stessa fede che celebreremo, auspico insieme, in occasione del 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea; io voglio che lo celebriamo tutti insieme. La fede di San Tommaso è tuttavia inseparabile dalla sua esperienza delle piaghe del Corpo di Cristo (cfr Gv 20,27). Ora, le divisioni che si sono verificate nel corso della storia tra noi cristiani sono lacerazioni dolorose inferte al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Ne tocchiamo ancora con mano le conseguenze. Ma, se mettiamo insieme la mano in queste ferite, se insieme, come l’Apostolo, proclamiamo che Gesù è il nostro Signore e il nostro Dio, se con cuore umile ci affidiamo stupiti alla sua grazia, possiamo affrettare il giorno tanto atteso in cui, con il suo aiuto, celebreremo allo stesso altare il mistero pasquale: che arrivi presto!

    Intanto, caro Fratello, camminiamo insieme nella preghiera che ci purifica, nella carità che ci unisce, nel dialogo che ci avvicina. Penso in modo speciale all’istituzione della Commissione mista internazionale per il dialogo tra le nostre Chiese, che ha portato a uno storico accordo cristologico, pubblicato nella Pentecoste del 1990. Si tratta di una Dichiarazione congiunta, la quale afferma che il contenuto della nostra fede nel mistero del Verbo incarnato è lo stesso, anche se, nella formulazione, sono sorte differenze terminologiche e di enfasi nel corso della storia. In modo ammirevole, il documento dichiara che «queste differenze sono tali da poter coesistere nella stessa comunione e quindi non devono e non dovrebbero dividerci, soprattutto quando annunciamo Cristo ai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo in termini che possono essere facilmente compresi». Annunciare Cristo unisce, non divide; l’annuncio comune del nostro Signore evangelizza il cammino ecumenico stesso.

    Dalla Dichiarazione congiunta in poi, la Commissione si è riunita nel Kerala quasi ogni anno e ha dato frutti, favorendo la collaborazione pastorale per il bene spirituale del Popolo di Dio. In particolare, vorrei ricordare con gratitudine gli accordi del 2010 sull’uso comune dei luoghi di culto e dei cimiteri, nonché sulla possibilità per i fedeli di ricevere l’unzione degli infermi, in determinate circostanze, nell’una o nell’altra Chiesa. Questi sono belli accordi. Benedico Dio per il lavoro di questa Commissione, incentrato soprattutto sulla vita pastorale, perché l’ecumenismo pastorale è la via naturale alla piena unità. Come ho avuto modo di dire alla Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, di cui fin dall’inizio, dal 2003, anche la vostra Chiesa fa parte, «l’ecumenismo ha sempre un carattere pastorale». È infatti andando avanti fraternamente nell’annuncio del Vangelo e nella cura concreta dei fedeli che ci riconosciamo un unico gregge di Cristo in cammino. In tal senso, mi auguro che possano estendersi e aumentare gli accordi pastorali tra le nostre Chiese, che condividono la stessa eredità apostolica, soprattutto in contesti in cui i fedeli si trovano in situazione di minoranza o di diaspora. Mi rallegro pure della vostra attiva partecipazione alle visite di studio per giovani sacerdoti e monaci organizzate annualmente dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, visite che contribuiscono a una migliore comprensione tra i pastori, e questo è molto importante.

    Nel nostro cammino verso la piena unità, un’altra importante via è quella della sinodalità, alla quale Lei si è riferito nel Suo discorso. Il Suo Predecessore dieci anni fa a Roma dichiarò: «La partecipazione dei rappresentanti della Chiesa ortodossa malankarese al processo conciliare della Chiesa cattolica, sin dal Concilio Vaticano II, è stata di fondamentale importanza per la crescita della comprensione reciproca». Sono lieto che un Delegato fraterno della vostra Chiesa parteciperà alla prossima sessione dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Sono convinto che noi possiamo imparare molto dalla secolare esperienza sinodale della vostra Chiesa. In un certo senso, il movimento ecumenico sta contribuendo al processo sinodale in corso della Chiesa cattolica, e mi auguro che il processo sinodale possa a sua volta contribuire al movimento ecumenico. Sinodalità ed ecumenismo sono infatti due vie che procedono insieme, condividendo il medesimo approdo, quello della comunione, che significa una migliore testimonianza dei cristiani «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Non dimentichiamo – e lo dico ai cattolici – che il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo, non siamo noi.

    Proprio per questo il Signore ha pregato prima della Pasqua, ed è bello che l’incontro odierno proseguirà con la preghiera. Interceda per il nostro cammino di unità e di testimonianza l’Apostolo San Tommaso, le cui reliquie sono custodite nell’Arcidiocesi di Lanciano-Ortona, qui rappresentata dall’Arcivescovo Emidio Cipollone, che ringrazio. Il Signore mostrò le piaghe all’Apostolo, i cui occhi increduli divennero credenti: la comune contemplazione del Signore crocifisso e risorto favorisca la completa guarigione delle nostre ferite passate, perché davanti ai nostri occhi, al di là di ogni distanza e incomprensione, risalti Lui, “il nostro Signore e il nostro Dio” (cfr Gv 20,28), Signore e Dio che ci chiama a riconoscerlo e ad adorarlo attorno a un solo altare eucaristico. E che questo avvenga presto. Preghiamo. Grazie!


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  4. #184
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE
    FRA LAVORATORI MUTILATI E INVALIDI DEL LAVORO (ANMIL)


    Sala Clementina
    Lunedì, 11 settembre 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Vi do il benvenuto in occasione dell’ottantesimo anniversario della vostra associazione. Era il 1943, anno decisivo per l’Italia nella seconda guerra mondiale. Avete mosso i primi passi in quel contesto, che ci ricorda che ogni conflitto armato porta con sé schiere di mutilati, anche oggi; e che la popolazione civile soffre le drammatiche conseguenze di quella follia che è la guerra. Finito il conflitto, rimangono le macerie, anche nei corpi e nei cuori, e la pace va ricostruita giorno per giorno, anno per anno, attraverso la tutela e la promozione della vita e della sua dignità, a partire dai più deboli, a partire dai più svantaggiati.

    Oggi, allora, vorrei esprimere un sentito ringraziamento a tutti voi. Grazie anzitutto per quello che continuate a fare per la tutela e la rappresentanza delle vittime di infortuni sul lavoro, delle vedove e degli orfani dei caduti. Ancora ho in mente i cinque fratelli ammazzati da un treno mentre stavano lavorando. Grazie perché tenete alta l’attenzione sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove accadono ancora troppe morti e disgrazie. Grazie per le iniziative che promuovete per migliorare la legislazione civile in materia di infortuni sul lavoro e di reinserimento professionale delle persone che si trovano in condizione di invalidità. Si tratta, infatti, non solo di garantire la giusta cura assistenziale e previdenziale verso chi soffre forme di disabilità, ma anche di dare nuove opportunità a persone che possono essere reinserite e la cui dignità chiede di essere riconosciuta in pienezza. Grazie, infine, per la vostra opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla prevenzione degli infortuni e sulle politiche della sicurezza, in particolare in favore delle donne e dei giovani. Le tragedie e i drammi nei luoghi di lavoro purtroppo non cessano, nonostante la tecnologia di cui disponiamo per favorire luoghi e tempi sicuri. A volte sembra di sentire un bollettino di guerra. Questo accade quando il lavoro si disumanizza e, anziché essere lo strumento con cui l’essere umano realizza sé stesso mettendosi a disposizione della comunità, diventa una corsa esasperata al profitto. E questo è brutto. Le tragedie iniziano quando il fine non è più l’uomo, ma la produttività, e l’uomo diventa una macchina di produzione. Amici, i compiti educativi e formativi che vi aspettano sono ancora fondamentali, sia nei riguardi dei lavoratori, sia dei datori di lavoro, sia all’interno della società. La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!

    La parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,30-37) si ripete: davanti alle persone ferite e che rischiano l’abbandono sul ciglio della strada della vita possiamo fare come quei due personaggi religiosi, il sacerdote e il levita che, per non contaminarsi, non si fermano e tirano dritto, nell’indifferenza. E nel mondo del lavoro a volte succede proprio così: si va avanti, come se nulla fosse, devoti all’idolatria del mercato. Ma non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni. Non possiamo accettare lo scarto della vita umana. Le morti e gli infortuni sono un tragico impoverimento sociale che riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie coinvolte. Non dobbiamo stancarci di imparare e reimparare l’arte del prenderci cura, in nome della comune umanità. La sicurezza, infatti, non è solo garantita da una buona legislazione, che va fatta rispettare, ma anche dalla capacità di vivere da fratelli e sorelle nei luoghi di lavoro.

    L’Apostolo Paolo, riflettendo sul valore della corporeità, pone una domanda estremamente attuale: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi». E conclude: «Glorificate Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6,19-20). San Paolo si riferisce all’affettività, ma possiamo allargare lo sguardo anche al mondo del lavoro. Se il corpo è tempio dello Spirito Santo, significa che, curandone le fragilità, rendiamo lode a Dio. L’umanità è dunque “luogo di culto” e la cura è l’atteggiamento con cui collaboriamo all’opera stessa del Creatore. A tanto arriva la fede cristiana: la centralità della persona, in quanto tempio dello Spirito Santo, non conosce scarti, non conosce compravendite o baratti sulla vita umana. Non si può, in nome di un maggior profitto, chiedere troppe ore lavorative, facendo diminuire la concentrazione, oppure pensare di annoverare le forme assicurative o le richieste di sicurezza come spese inutili e perdite di guadagno.

    La sicurezza sul lavoro è parte integrante della cura della persona. Anzi, per un datore di lavoro, è il primo dovere e la prima forma di bene. Sono invece diffuse forme che vanno in senso opposto e che in una parola si possono chiamare di carewashing. Accade quando imprenditori o legislatori, invece di investire sulla sicurezza, preferiscono lavarsi la coscienza con qualche opera benefica. È brutto. Così antepongono la loro immagine pubblica a tutto il resto, facendosi benefattori nella cultura o nello sport, nelle opere buone, rendendo fruibili opere d’arte o edifici di culto, ma non prestando attenzione al fatto che, come insegna un grande padre e dottore della Chiesa, «la gloria di Dio è l’uomo vivente» (Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV,20,7). Questo è il primo lavoro: prendersi cura dei fratelli e delle sorelle, del corpo dei fratelli e delle sorelle. La responsabilità verso i lavoratori è prioritaria: la vita non si smercia per alcuna ragione, tanto più se è povera, precaria e fragile. Siamo esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio. E tante volte alcuni operatori sono trattati come pezzi di ricambio.

    Per questo, rinnovo la mia gratitudine per il vostro impegno e vi incoraggio ad andare avanti, per aiutare la società a progredire dal punto di vista culturale, a comprendere che l’essere umano viene prima dell’interesse economico, che ogni persona è un dono per la comunità e che mutilarne o renderne invalida una sola ferisce l’intero tessuto sociale. Vi affido alla protezione di San Giuseppe, patrono di tutti i lavoratori. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E voi, per favore, pregate per me, ne ho bisogno. Grazie!


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  5. #185
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    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 13 settembre 2023


    Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 20. Il Beato José Gregorio Hernández Cisneros, medico dei poveri e apostolo di pace

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nelle nostre catechesi, continuiamo a incontrare dei testimoni appassionati dell’annuncio del Vangelo. Ricordiamo che questa è una serie di catechesi sullo zelo apostolico, sulla volontà e anche l’ardore interiore per portare avanti il Vangelo. Oggi andiamo in America Latina, precisamente in Venezuela, per conoscere la figura di un laico, il Beato José Gregorio Hernández Cisneros. Nacque nel 1864 e apprese la fede soprattutto dalla madre, come raccontò: «Mia madre mi ha insegnato la virtù fin dalla culla, mi ha fatto crescere nella conoscenza di Dio e mi ha dato per guida la carità». Siamo attenti: sono le mamme a trasmettere la fede. La fede si trasmette in dialetto, cioè con il linguaggio delle mamme, quel dialetto che le mamme sanno parlare con i figli. E a voi mamme: state attente nel trasmettere la fede in quel dialetto materno.

    Veramente la carità fu la stella polare che orientò l’esistenza del Beato José Gregorio: persona buona e solare, dal carattere lieto, era dotato di una spiccata intelligenza; divenne medico, professore universitario e scienziato. Ma fu anzitutto un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come “il medico dei poveri”. Accudiva i poveri, sempre. Alla ricchezza del denaro preferì quella del Vangelo, spendendo l’esistenza per soccorrere i bisognosi. Nei poveri, negli ammalati, nei migranti, nei sofferenti, José Gregorio vedeva Gesù. E il successo che mai ricercò nel mondo lo ricevette, e continua a riceverlo, dalla gente, che lo chiama “santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”. Bei nomi: “Santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”.

    José Gregorio era un uomo umile, un uomo gentile e disponibile. E al tempo stesso era mosso da un fuoco interiore, dal desiderio di vivere al servizio di Dio e del prossimo. Spinto da questo ardore, diverse volte provò a diventare religioso e sacerdote, ma vari problemi di salute glielo impedirono. La fragilità fisica non lo portò però a chiudersi in sé stesso, ma a diventare un medico ancora più sensibile alle necessità altrui; si strinse alla Provvidenza e, forgiato nell’animo, andò maggiormente all’essenziale. Ecco lo zelo apostolico: non segue le proprie aspirazioni, ma la disponibilità ai disegni di Dio. E così il Beato comprese che, attraverso la cura dei malati, avrebbe messo in pratica la volontà di Dio, soccorrendo i sofferenti, dando speranza ai poveri, testimoniando la fede non a parole ma con l’esempio. Arrivò così – per questa strada interiore - ad accogliere la medicina come un sacerdozio: «il sacerdozio del dolore umano» (M. Yaber, José Gregorio Hernández: Médico de los Pobres, Apóstol de la Justicia Social, Misionero de las Esperanzas, 2004, 107). Quanto è importante non subire passivamente le cose, ma, come dice la Scrittura, fare ogni cosa di buon animo, per servire il Signore (cfr Col 3,23).

    Ma chiediamoci: da dove veniva a José Gregorio tutto questo entusiasmo, tutto questo zelo? Venivada una certezza e da una forza. La certezza era la grazia di Dio. Egli scrisse che «se nel mondo ci sono buoni e cattivi, i cattivi ci sono perché loro stessi son diventati cattivi: ma i buoni sono tali con l’aiuto di Dio» (27 maggio 1914). E Lui per primo si sentiva bisognoso di grazia, che mendicava sulle strade e aveva estremo bisogno dell’amore. Ed ecco la forza a cui attingeva: l’intimità con Dio. Era un uomo di preghiera - c’è la grazia di Dio e l’intimità con il Signore - era un uomo di preghiera che partecipava alla Messa.

    E a contatto con Gesù, che si offre sull’altare per tutti, José Gregorio si sentì chiamato a offrire la sua vita per la pace. Il primo conflitto mondiale era in corso. Arriviamo così al 29 giugno 1919: un amico gli fa visita e lo trova molto felice. José Gregorio ha infatti saputo che è stato firmato il trattato che pone termine alla guerra. La sua offerta è stata accolta, ed è come se lui presagisca che il suo compito in terra sia terminato. Quella mattina, come al solito, era stato a Messa e ora scende in strada per portare una medicina a un malato. Ma, mentre attraversa la strada, viene investito da un veicolo; portato in ospedale, muore pronunciando il nome della Madonna. Il suo cammino terreno si conclude così, su una strada mentre compie un’opera di misericordia, e in un ospedale, dove aveva fatto del suo lavoro un capolavoro come medico.

    Fratelli, sorelle, al cospetto di questo testimone chiediamoci: io, davanti a Dio presente nei poveri vicino a me, di fronte a chi nel mondo più soffre, come reagisco? E l’esempio di José Gregorio come tocca a me? Lui ci stimola all’impegno dinanzi alle grandi questioni sociali, economiche e politiche di oggi. Tanti ne parlano, tanti ne sparlano, tanti criticano e dicono che va tutto male. Ma il cristiano non è chiamato a questo, bensì a occuparsene, a sporcarsi le mani: anzitutto, come ci ha detto San Paolo, a pregare (cfr 1 Tm 2,1-4), e poi a impegnarsi non in chiacchiere - il chiacchiericcio è una peste - ma a promuovere il bene e a costruire la pace e la giustizia nella verità. Anche questo è zelo apostolico, è annuncio del Vangelo, e questo è beatitudine cristiana: «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Andiamo avanti sulla strada del Beato Gregorio: un laico, un medico, un uomo di lavoro quotidiano che lo zelo apostolico ha spinto a vivere facendo la carità durante tutta la vita.

    ______________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, en particulier un groupe de la Fédération Internationale des Universités Catholiques et les pèlerins venus du Canada.
    Le chrétien n’est pas appelé à parler seulement, mais à se « salir les mains » et à agir. À l’exemple du bienheureux José Gregorio, sachons nous engager concrètement au service des autres. Que Dieu vous bénisse et vos familles.

    [Saluto cordialmente i fedeli di lingua francese, in particolare il gruppo della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche e i pellegrini venuti dal Canada.
    Il cristiano non è chiamato solo a parlare, ma a "sporcarsi le mani" e ad agire. Seguendo l'esempio del Beato José Gregorio, osiamo impegnarci concretamente al servizio degli altri e della vita del mondo. Dio benedica voi e le vostre famiglie.
    ]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Scotland, the Netherlands, Senegal, Korea, Malaysia, the Philippines and the United States of America. Upon you and your families I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Scozia, Paesi Bassi, Senegal, Corea, Malaysia, Filippine e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

    Ich grüße alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Ich bitte euch um euer Gebet angesichts der vielen Herausforderungen und Nöte unserer Zeit. Bleiben wir nicht Zuschauer, sondern setzen wir uns aktiv ein für eine gerechtere und friedlichere Welt – jeder nach seinen Möglichkeiten und Kräften. Ich begleite euch dabei mit meinem Gebet.

    [Saluto di cuore i fedeli di lingua tedesca. Dinanzi alle numerose sfide e difficoltà del nostro tempo, vi chiedo le vostre preghiere. Non restiamo spettatori, ma impegniamoci attivamente per un mondo più giusto, più pacifico – ognuno secondo le proprie possibilità e forze. Vi accompagno con la mia preghiera.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos al Señor, por intercesión del beato José Gregorio Hernández, que nos ayude a ser apóstoles de la caridad y misioneros de la esperanza, especialmente atentos y compasivos con los hermanos que sufren. Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente os peregrinos de língua portuguesa, especialmente o grupo vindo de Portugal. O testemunho do Beato José Gregório nos impele a um empenho concreto em favor dos mais pobres e necessitados, em quem somos chamados a ver o próprio Jesus. A todos vós, a minha bênção!

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese, in modo speciale il gruppo venuto dal Portogallo. La testimonianza del Beato José Gregorio ci spinge all’impegno concreto verso i più poveri e bisognosi, nei quali siamo chiamati a vedere lo stesso Gesù. A tutti voi la mia benedizione!]

    […].

    [Saluto i fedeli di lingua araba. Il cristiano è chiamato a pregare, e poi a impegnarsi a promuovere il bene, a costruire la pace e la giustizia nel mondo di oggi. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto cordialmente i Polacchi e in modo particolare l'arcivescovo Adam Szal, che con una delegazione ha portato a Roma le reliquie dei nuovi martiri beati: Giuseppe e Wiktoria Ulma e i loro sette figli. Possa questa Famiglia di Beati essere per voi e per le famiglie polacche un modello di devozione al Sacro Cuore di Gesù, la cui immagine, che oggi benedirò, porterete in pellegrinaggio nella vostra Arcidiocesi. A tutti la mia Benedizione.]

    ______________________

    APPELLO

    Il mio pensiero va alle popolazioni della Libia, duramente colpite da violente piogge, che hanno provocato allagamenti e inondazioni, causando numerosi morti e feriti, come anche ingenti danni. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per quanti hanno perso la vita, per i loro familiari e per gli sfollati. Non manchi la nostra solidarietà verso questi fratelli e sorelle, provati da così devastante calamità. E il mio pensiero va ancora al nobile popolo marocchino che ha sofferto queste scosse della terra, questi terremoti. Preghiamo per il Marocco, preghiamo per gli abitanti. Che il Signore dia loro la forza di riprendersi dopo questo terribile “agguato” che è passato sulla loro terra.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Suore Serve dei Poveri, auspicando che il Capitolo generale rinnovi il loro slancio apostolico al servizio del Vangelo.

    Sono lieto di accogliere il Gruppo AVIS di Vallecorsa, il Gruppo volontariato Love Bridges, i militari di Motta di Lavenza e di Portogruaro: incoraggio ciascuno nelle rispettive attività al servizio del prossimo.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Domani la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Non stanchiamoci di essere fedeli alla Croce di Cristo, segno di amore e di salvezza.

    E per favore, fratelli e sorelle, continuiamo a pregare per la pace nel mondo, specialmente nella martoriata Ucraina, le cui sofferenze sono sempre presenti alla nostra mente e al nostro cuore.

    A tutti voi la mia Benedizione.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  6. #186
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL XXVI COLLOQUIO ECUMENICO PAOLINO


    Sala del Concistoro
    Giovedì, 14 settembre 2023


    Reverendissimo Padre Abate, illustri professori, cari studiosi, buongiorno a tutti!

    Vi ringrazio per la vostra visita, che si svolge mentre siete riuniti qui a Roma, nella splendida cornice della Basilica di San Paolo fuori le Mura, per il Colloquio Ecumenico Paolino.

    Questa iniziativa, nata poco dopo il Concilio Vaticano II da un gruppo di studiosi provenienti da una decina di Paesi e da varie tradizioni cristiane, è giunta alla ventiseiesima edizione. Può dunque vantare un intenso cammino di studi e di ricerca che, grazie alla vostra competenza e alla vostra passione, ha contribuito alla conoscenza biblica e spirituale delle Lettere dell’Apostolo delle genti. Si tratta di un evento ancora più importante in quanto i colloqui avvengono tra Confessioni cristiane diverse, e voi stessi, appassionati studiosi di Paolo, provenite da varie nazioni, portando con voi non solo la specificità degli studi, ma anche l’originalità della cultura di origine e la vita di fede della comunità cristiana a cui appartenete.

    Questo – vorrei dire – è il grande contributo del Colloquium: l’incontro tra cristiani diversi tra loro, eppure uniti dalla sapienza del magistero paolino; il dialogo tra punti di partenza differenti, che cercano un terreno comune a partire dalla Scrittura; il confronto esegetico rigoroso e scientifico, che trova il proprio alveo vitale in un contesto di preghiera e di spiritualità, perché emerga la bellezza dell’epistolario dell’Apostolo e la sua importanza per la vita cristiana ed ecclesiale.

    C’è dunque qualcosa di coraggioso e di profetico nella vostra iniziativa. C’è il coraggio di superare le barriere della diffidenza, che spesso si ergono quando siamo chiamati a incontrare l’altro, e ancor di più quando l’altro ha una tradizione diversa dalla mia. E poi c’è la profezia ecumenica, quella della sana “impazienza dello Spirito” a cui tutti noi cristiani siamo chiamati, perché proceda il cammino verso la pienezza dell’unità e non venga meno l’impegno nella testimonianza. Se nel corso della storia le divisioni sono state motivo di sofferenza, oggi dobbiamo impegnarci a invertire la rotta, progredendo in percorsi di unità e di fraternità, che cominciano proprio pregando, studiando e lavorando insieme.

    Il vostro desiderio di approfondire le Lettere dell’Apostolo, l’apporto dei vostri studi, il valore dei contributi che vi state scambiando e che poi pubblicherete, quest’anno si concentrano sui capitoli 9-11 della Lettera ai Romani.

    Si tratta di un’esposizione straordinaria del mistero della salvezza, che mette in relazione – e perciò in dialogo – i doni e la chiamata di Dio per Israele, che l’Apostolo definisce «irrevocabili» (Rm 11,29), con la speranza del Vangelo. L’Apostolo ci consegna un messaggio di fondamentale importanza, che rappresenta ancora quel fondamento su cui non soltanto approfondire gli studi biblici, ma anche continuare a coltivare il dialogo ecumenico: Dio non viene meno alle sue promesse di salvezza e le porta avanti con pazienza, anche attraverso vie impensate e sorprendenti. Ma la certezza di fondo è che «i credenti possono fare affidamento sulla misericordia e sulle promesse di Dio. Anche nella loro debolezza e nelle molteplici minacce che mettono in pericolo la loro fede, essi possono contare, in forza della morte e della resurrezione di Cristo, sulla promessa efficace della grazia di Dio» (Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione tra Chiesa Cattolica e Federazione Luterana Mondiale, n. 34).

    Carissimi, su questo fondamento di speranza desidero sostenere il vostro prezioso lavoro. È bello che proseguiate nel dialogo accademico, biblico, spirituale e fraterno, e che mettiate in circolo l’originale ricchezza di cui ciascuno è portatore. Continuate, per favore, la vostra ricerca biblica con rigore e competenza, ma lasciatevi anche e soprattutto stupire dalle innumerevoli risorse spirituali contenute nelle Lettere paoline, per offrire alle Comunità cristiane “parole nuove”, in grado di comunicare la bontà misericordiosa del Padre, l’attualità della salvezza di Cristo, la speranza rinnovatrice dello Spirito. Che attraverso il vostro lavoro, spesso faticoso e nascosto, possa crescere fra i credenti lo spirito ecumenico, spirito di dialogo e di fraternità che aiuta il comune cammino di ricerca del Signore.

    Il cammino ecumenico. Una volta, a un grande teologo ortodosso, è stata fatta la domanda: “Cosa pensa dell’unità dei cristiani, come va, quando sarà il momento della piena unità? E quel bravo teologo, morto alcuni mesi fa, disse: “Io so quando ci sarà la piena unità: il giorno dopo il giudizio finale!” [ridono]. Questo non toglie la speranza: nel frattempo dobbiamo camminare insieme, pregare insieme e lavorare insieme. Il vero ecumenismo si fa in cammino: non bisogna aver paura di camminare, di camminare con gli altri, con la fiducia negli altri; e nel servizio: servire i poveri, aiutare le comunità cristiane e anche quelle non cristiane. Cammino e servizio: andate avanti così.

    Grazie, dunque, per tutto ciò che fate e per l’impegno di questi giorni. Vi ricordo e voi, per favore, pregate per me. E adesso vi invito, insieme, a pregare il Padre Nostro, ognuno nella propria lingua.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


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  7. #187
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL "CHRISTMAS CONTEST"


    Sala del Concistoro
    Sabato, 16 settembre 2023


    Cari amici, benvenuti!

    Saluto con gioia tutti voi, giovani musicisti partecipanti al Christmas Contest 2023, organizzatori, accompagnatori e benefattori. Sono contento di questa iniziativa, che ha lo scopo di investire nell’educazione per dare voce ai giovani e alla loro creatività. Esprimo gratitudine anche al Dicastero per la Cultura e l’Educazione, alla Fondazione Gravissimum Educationis e alla Repubblica di San Marino per la proficua collaborazione nella realizzazione dell’evento, come pure ai promotori del progetto “Il bene fa notizia”, ad esso collegato, che durante l’estate ha offerto un’importante possibilità formativa a giovani di Paesi lontani presso il Dicastero per la Comunicazione. Grazie a tutti voi!

    Cari giovani, voi siete compositori! E la composizione è un’arte impegnativa, che richiede, da una parte, conoscenza della musica con le sue regole e il suo linguaggio e, dall’altra, capacità di dare voce alle domande, alle ispirazioni e ai desideri del cuore. È un’arte che richiede, in due parole, armonia e creatività, che vanno insieme. In questo senso possiamo dire che comporre musica è una metafora della vita, in cui abbiamo bisogno sia di sintonizzarci armoniosamente con gli altri, con la società e con le sue leggi, sia di dare spazio all’originalità del modo di essere e di esprimersi di ognuno.

    Armonia e creatività. Non sono in contrasto: infatti la ricerca dell’armonia, che richiede impegno, dedizione e costanza, nella musica come nella vita, non umilia, ma libera l’unicità di ciascuno, offrendo all’artista gli strumenti per comunicarsi in modo comprensibile agli altri, così da diventare un dono costruttivo per la gioia di tutti. Perciò un primo grazie va proprio a questo vostro impegno nello studiare l’arte armonica della musica, che comporta fatica e tante ore di esercizio!

    Al tempo stesso, però, ciò che l’artista condivide in ogni sua opera parla di sentimenti unici, personali ed intimi. Così nelle composizioni che presentate al Contest, dietro ciascuno dei titoli che avete proposto, ci date la possibilità di incontrarvi in un momento irripetibile, quello dell’ispirazione, che è tutto vostro, ma che avete voluto condividere: un guizzo di luce, un fremito d’amore, uno squarcio di azzurro nel cielo della vita, un sobbalzo di stupore di fronte alla bellezza, o magari una fitta di dolore o un grido di protesta, che è apparso nel vostro cuore e a cui mediante l’arte avete dato voce. Questo ci donate, e perciò qui giunge un secondo grazie, perché con le vostre canzoni ci regalate un po’ di voi stessi! Questo è importante, l’artista regala se stesso quando compone l’opera.

    Questo concorso, infine, si svolge in vista del Concerto di Natale, durante il quale saranno eseguiti i brani dei primi classificati. Sembra un po’ presto parlare di Natale adesso, a metà settembre. Le feste importanti, però, si cominciano a preparare in anticipo, e la Nascita di Gesù merita questo e altro! E poi la musica non ci parla solo di noi, ma anche della ricerca di Dio, e talvolta di Dio stesso! Ed è bene, perché l’armonia e la creatività, di cui ho voluto dirvi qualcosa, si trovano prima di tutto in Lui, e il Natale le mostra in un modo speciale e commovente, regalandoci il farsi piccolo del Signore per noi, il suo farsi uomo per comunicarci il calore infinito del suo amore divino. Nel Natale Dio, la Parola eterna, viene ad ascoltarci e si mette all’opera per fare armonia con l’umanità, mentre nella sua sorprendente creatività ci guarda attraverso gli occhi di un bambino, stupendoci con la sua innocente tenerezza. E questo non accade solo il 25 dicembre, ma ogni giorno! C’è una bella canzone nella mia terra che incomincia così: “Ogni giorno è Natale”; per ognuno di noi, ogni giorno, c’è la possibilità di far nascere il Signore e di dare vita agli altri: “ogni giorno è Natale”.

    Cari amici, è bello vedervi qui, vedere nel vostro sguardo il sogno e la forza della musica, insieme al desiderio di farne un dono di festa per gli altri! Continuate, per favore, a coltivare i vostri grandi sogni, il vostro talento e la vostra passione: sogni, talento e passione, insieme e con creatività, faranno bene a voi e a quanti troverete sul vostro cammino. Io vi ringrazio per questo incontro e vi chiedo, per favore, di dire una preghiera per me. Grazie.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  8. #188
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI FEDELI COREANI IN OCCASIONE DELL'ANNIVERSARIO
    DEL MARTIRIO DI SANT'ANDREA KIM TAEGON


    Sala Clementina
    Sabato, 16 settembre 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Vi do il benvenuto, lieto di incontrarvi nel giorno del martirio di Sant’Andrea Kim Taegon, avvenuto 177 anni fa, e in occasione della benedizione della sua statua, installata in una delle nicchie esterne della Basilica di San Pietro. Ringrazio il Signore per la testimonianza di vita e di fede del vostro grande santo, e anche per la vostra, perché il popolo coreano, quando segue Gesù Cristo, dà una bella testimonianza. E un grazie speciale va a tutti coloro che si sono dedicati alla realizzazione di questo progetto, in particolare al Cardinale Lazzaro – è bravo! -, a Mons. Mathias Ri Iong-hoon, Presidente della Conferenza Episcopale, e ai fratelli Vescovi della Corea. Saluto pure cordialmente le Autorità civili presenti, i sacerdoti, le consacrate e i consacrati, e i fedeli laici: in tanti siete venuti pellegrini dalla Corea e da altre parti del mondo! Esprimo sentita riconoscenza al Signor Joseph Han Jin-seop, alla sua consorte e alla Professoressa Maria Ko Jong-hee, che hanno scolpito la statua.

    Nell’agosto del 2014 ho avuto la gioia di visitare il vostro Paese per incontrare i giovani partecipanti alla VI Giornata della Gioventù Asiatica. In quell’occasione mi recai al Santuario di Solmoe, presso la casa dove Sant’Andrea Kim nacque e trascorse l’infanzia. Lì pregai in silenzio, in modo speciale per la Corea e per i giovani. Quando penso all’intensa vita di questo grande santo, mi torna nel cuore la frase di Gesù: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Sono parole che ci aiutano a leggere con intelligenza spirituale la bella storia della vostra fede, di cui Sant’Andrea Kim è seme prezioso: lui, primo sacerdote martire coreano, ucciso in giovane età poco tempo dopo aver ricevuto l’ordinazione.

    La sua figura ci invita a scoprire la vocazione affidata alla Chiesa coreana, a tutti voi: siete chiamati a una fede giovane, a una fede ardente che, animata dall’amore di Dio e del prossimo, si fa dono. In tal senso, con la profezia del martirio, la Chiesa coreana ricorda che non si può seguire Gesù senza abbracciare la sua croce e che non ci si può proclamare cristiani senza essere disposti a seguire fino in fondo la via dell’amore.

    Su Sant’Andrea Kim vorrei dire ancora un’altra cosa: aveva un grande ardore per la diffusione del Vangelo. Si dedicò all’annuncio di Gesù con nobiltà d’animo, senza tirarsi indietro davanti ai pericoli e nonostante molte sofferenze: basti pensare che anche suo nonno e suo padre furono martirizzati e che sua mamma fu costretta a vivere come una mendicante. Guardando a lui, come non sentirci esortati a coltivare nel cuore lo zelo apostolico, a essere segno di una Chiesa che esce da sé stessa per spargere con gioia il seme del Vangelo, anche attraverso una vita spesa per gli altri, in pace e con amore? E su questo io vorrei sottolineare una cosa: voi avete la grazia di tante vocazioni sacerdotali; per favore, “cacciatele via”, mandatele alle missioni, perché se no saranno più i sacerdoti che la gente, e non va: che siano missionari fuori. Io ho l’esperienza di averli visti in Argentina e fanno tanto bene i vostri missionari: mandateli via, che i preti siano quelli necessari, gli altri vadano via missionari.

    La vostra Chiesa, che sorge dal laicato ed è fecondata dal sangue dei martiri, si rigenera attingendo alle sue radici lo slancio evangelico generoso dei testimoni e la valorizzazione del ruolo e dei carismi dei laici. Da questo punto di vista, è importante allargare lo spazio della collaborazione pastorale, per portare avanti insieme l’annuncio del Vangelo; sacerdoti, religiose e religiosi, e tutti i laici: insieme, senza chiusure. Il desiderio di donare al mondo la speranza del Vangelo apre il cuore all’entusiasmo, aiuta a superare tante barriere. Il Vangelo non divide, ma unisce; spinge a incarnarsi e a farsi prossimi dentro la propria cultura, dentro la propria storia, con mitezza e in spirito di servizio, senza mai creare contrasti, ma sempre edificando la comunione. Edificare la comunione. Riflettete bene su questo.

    Desidero allora invitarvi a riscoprire la vostra vocazione di “apostoli di pace” in ogni ambito della vita. Mentre Andrea Kim studiava teologia a Macao, dovette assistere agli orrori delle Guerre dell’oppio; eppure, in quel contesto conflittuale, riuscì a essere seme di pace per molti, dando prova della sua aspirazione a incontrare tutti e a dialogare con tutti. È una profezia per la Penisola coreana e per il mondo intero: è lo stimolo a farsi compagni di strada e testimoni di riconciliazione; è la testimonianza credibile che l’avvenire non si costruisce con la forza violenta delle armi, ma con quella mite della prossimità. Affidiamo a Sant’Andrea Kim il sogno di pace della Penisola coreana, che è sempre nei miei pensieri e nella mia preghiera.

    Come sapete, ho annunciato che Seoul sarà la sede della prossima Giornata Mondiale della Gioventù nel 2027, in preparazione della quale vi auguro di dedicarvi con zelo alla diffusione della Parola di Dio. In particolare, vorrei affidare alla Chiesa coreana proprio i giovani. Nonostante la vostra meravigliosa storia di fede e il grande lavoro pastorale che portate avanti con entusiasmo, tanti giovani, anche da voi, si lasciano sedurre dai falsi miti dell’efficienza e del consumismo, e affascinare dall’illusione dell’edonismo. Ma il cuore dei giovani cerca altro, è fatto per orizzonti ben più ampi: abbiate cura di loro, cercateli, avvicinateli, ascoltateli, annunciate loro la bellezza del Vangelo perché, interiormente liberi, diventino testimoni gioiosi di verità e di fraternità.

    Cari fratelli e sorelle, davvero grazie per questo incontro. Prego per voi e invoco l’intercessione di Sant’Andrea Kim e dei Santi Martiri coreani, perché vi proteggano e vi indichino la via. Vi benedico di cuore e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  9. #189
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AGLI UFFICIALI E MILITARI DELL'ARMA DEI CARABINIERI


    Piazza San Pietro
    Sabato, 16 settembre 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Vi accolgo con gioia e vi ringrazio per essere venuti. È bello incontrarvi. Oggi siamo qui nel ricordo del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto, Servo di Dio ed Eroe della Patria, che pagò col sacrificio della vita il suo impegno nell’Arma dei Carabinieri e ottant’anni fa, il 23 settembre del 1943, si immolò per salvare degli ostaggi innocenti catturati dalle truppe naziste.

    Ci fa bene guardare a questo vostro collega, alla missione che svolse con spirito di abnegazione, alla testimonianza estrema che ci ha lasciato. Facciamone memoria insieme, ma non per restare fissati nel passato quanto, piuttosto, per ritrovare motivazioni solide su cui costruire il futuro. Ricordare questo collega, cioè, non significa indugiare in una sterile commemorazione che rimane rivolta all’indietro, ma imparare, da quel sacrificio e da quella generosità, a rinnovare oggi l’impegno nell’Arma, a servizio del bene e della verità, a servizio della società.

    Salvo D’Aquisto visse in anni terribili: il mondo era in guerra, in Europa imperversavano le persecuzioni razziali e la logica dell’odio sembrava prevalere. Nella piccola periferia di Torrimpietra, alla quale era stato inviato in seguito alla sua richiesta di volersi sentire utile alla povera gente, ventidue giovani uomini rischiavano la fucilazione da parte delle SS. La falsità dell’accusa a loro rivolta, la rabbia cieca tesa alla vendetta di cui erano vittime, la potenza dell’odio che prevaricava sulla pietà, vennero scardinate dalla generosità di quel giovane Vice Brigadiere, il quale con prontezza si accusò al posto degli altri e convinse i responsabili di essere l’unico da giustiziare. Come non vedere, sullo sfondo di questa storia drammatica e toccante, l’imitazione di Gesù che, inviato dal Padre per manifestarci il suo amore, ha dato la vita per liberarci dal potere della morte, ha preso su di sé le nostre colpe, «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» e proprio «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5).

    Anche oggi la storia e il sacrificio del Vice Brigadiere D’Acquisto rappresentano un monito di grande attualità: mentre viviamo un tempo inquinato dall’individualismo e dall’insofferenza nei confronti degli altri, oltre che dall’inasprimento di tante forme di violenza e di odio che vediamo nelle nostre città, la sua testimonianza ci consegna un messaggio carico della potenza dell’amore. A voi, che siete quotidianamente impegnati a servizio della giustizia e della legalità – e quanto bisogno di legalità c’è oggi! – vorrei dire che tutto questo trova la sua ragione e il suo fine ultimo nell’amore. La giustizia, infatti, non tende semplicemente a comminare delle pene a chi ha sbagliato, ma a ristabilire le persone nel segno del rispetto e del bene comune. È grande, in tal senso, la vostra missione. Vorrei dire che voi Carabinieri siete chiamati non solo a “fare il vostro dovere”, applicando regolamenti e procedure, ma a rendere più giusta e umana la società. È bello perciò che siate persone appassionate, appassionate come Salvo D’Acquisto; servitori dello Stato e del bene comune, che combattono l’ingiustizia, difendono i più deboli, offrono un senso di protezione alle nostre città. L’affetto degli italiani per voi testimonia che queste non sono solo parole ma, grazie all’esempio di tanti di voi, sono realtà!

    Certo, tutto ciò richiede sacrificio e impegno, disciplina e disponibilità, senso di responsabilità e dedizione. Penso a quelli di voi che si trovano immersi in contesti difficili, in cui la giustizia viene spesso calpestata, chiamati a lottare contro ogni genere di illegalità, contro la criminalità organizzata e contro un senso di impunità a volte purtroppo radicato, contro la mentalità mafiosa. Penso a quelli di voi che svolgono compiti di carattere investigativo, mettendo sofisticate tecnologie a servizio di una ricerca paziente, meticolosa e competente, perché la menzogna venga smascherata. Penso ancora a quelli di voi che, in luoghi di conflitto e in contesti internazionali, sanno tendere la mano alla popolazione locale, diventando artigiani di pace attraverso la mediazione, la promozione umana e la costruzione silenziosa del bene. E penso anche a quanti svolgono un prezioso servizio quotidiano sulle strade delle nostre città e negli angoli dei nostri quartieri: fratelli e sorelle, grazie per tutto quello che fate, grazie, grazie!

    Non scoraggiatevi mai, non cedete alla tentazione di pensare che il male sia più forte, che al peggio non ci sia mai fine e che il vostro impegno sia inutile. Guardando a Salvo d’Acquisto, lasciatevi animare dalla passione per il bene. E continuate, per favore, a manifestare vicinanza alla gente, che da sempre riconosce questo vostro bel tratto. Io benedico voi, i vostri familiari e affetti più cari: anche loro partecipano alla vostra missione! La Virgo fidelis vi accompagni e, quando la invocate, per favore, non dimenticatevi di dire una preghiera anche per me. Grazie.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  10. #190
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 17 settembre 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci parla di perdono (cfr Mt 18,21-35). Pietro chiede a Gesù: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?» (v. 21).

    Sette, nella Bibbia, è un numero che indica completezza, e dunque Pietro è molto generoso nei presupposti della sua domanda. Ma Gesù va oltre e gli risponde: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (v. 22). Gli dice, cioè, che quando si perdona non si calcola, che è bene perdonare tutto e sempre! Proprio come fa Dio con noi, e come è chiamato a fare chi amministra il perdono di Dio: perdonare sempre. Io questo lo dico tanto ai sacerdoti, ai confessori: perdonate sempre come perdona Dio.

    Gesù illustra poi questa realtà attraverso una parabola, che ha sempre a che fare con dei numeri. Un re, dopo esser stato pregato, condona a un servo il debito di 10.000 talenti: è un valore esagerato, immenso, che oscilla tra le 200 e le 500 tonnellate d’argento: esagerato. Era un debito impossibile da saldare, anche lavorando una vita intera: eppure quel padrone, che richiama il Padre nostro, lo condona per pura «compassione» (v. 27). Questo è il cuore di Dio: perdona sempre perché Dio è compassionevole. Non dimentichiamo com’è Dio: è vicino, compassionevole e tenero; così è il modo di essere di Dio. Poi, però, questo servo, al quale è stato rimesso il debito, non usa alcuna misericordia nei riguardi di un compagno che gli deve 100 denari. Anche questa è una cifra consistente, equivalente a circa tre mesi di stipendio – come a dire che perdonarci tra noi costa! –, ma per nulla paragonabile alla cifra precedente, che il padrone aveva condonato.

    Il messaggio di Gesù è chiaro: Dio perdona in modo incalcolabile, eccedendo ogni misura. Lui è così, agisce per amore e per gratuità. Dio non si compra, Dio è gratuito, è tutto gratuità. Noi non possiamo ripagarlo ma, quando perdoniamo il fratello o la sorella, lo imitiamo. Perdonare non è dunque una buona azione che si può fare o non fare: perdonare è una condizione fondamentale per chi è cristiano. Ognuno di noi, infatti, è un “perdonato” o una “perdonata”: non dimentichiamo questo, noi siamo perdonati, Dio ha dato la vita per noi e in nessun modo potremo compensare la sua misericordia, che Egli non ritira mai dal cuore. Però, corrispondendo alla sua gratuità, cioè perdonandoci a vicenda, gli possiamo dare testimonianza, seminando vita nuova attorno a noi. Fuori del perdono, infatti, non c’è speranza; fuori del perdono non c’è pace. Il perdono è l’ossigeno che purifica l’aria inquinata dall’odio, il perdono è l’antidoto che risana i veleni del rancore, è la via per disinnescare la rabbia e guarire tante malattie del cuore che contaminano la società.

    Domandiamoci, allora: io credo di aver ricevuto da Dio il dono di un perdono immenso? Avverto la gioia di sapere che Lui è sempre pronto a perdonarmi quando cado, anche quando gli altri non lo fanno, anche quando nemmeno io riesco a perdonare me stesso? Lui perdona: credo che Lui perdona? E poi: so perdonare a mia volta chi mi ha fatto del male? A questo proposito, vorrei proporvi un piccolo esercizio: proviamo, adesso, ciascuno di noi, a pensare a una persona che ci ha ferito, e chiediamo al Signore la forza di perdonarla. E perdoniamola per amore del Signore: fratelli e sorelle, questo ci farà bene, ci restituirà la pace nel cuore.

    Maria, Madre di Misericordia, ci aiuti ad accogliere la grazia di Dio e a perdonarci gli uni gli altri.

    _____________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Venerdì mi recherò a Marsiglia per partecipare alla conclusione dei Rencontres Méditerranéennes, una bella iniziativa che si snoda in importanti città del Mediterraneo, riunendo responsabili ecclesiali e civili per promuovere percorsi di pace, di collaborazione e di integrazione attorno al mare nostrum, con un’attenzione speciale al fenomeno migratorio. Esso rappresenta una sfida non facile, come vediamo anche dalle cronache di questi giorni, ma che va affrontata insieme, in quanto essenziale per il futuro di tutti, che sarà prospero solo se costruito sulla fraternità, mettendo al primo posto la dignità umana, le persone concrete, soprattutto le più bisognose. Mentre vi chiedo di accompagnare questo viaggio con la preghiera, vorrei ringraziare le autorità civili e religiose, e quanti stanno lavorando per preparare l’incontro a Marsiglia, città ricca di popoli, chiamata a essere porto di speranza. Già da ora saluto tutti gli abitanti, nell’attesa di incontrare tanti cari fratelli e sorelle.

    E saluto tutti voi, romani e pellegrini d’Italia e di vari Paesi, in particolare i rappresentanti di alcune parrocchie di Miami, la Banda de Gaitas del Batallón de San Patricio, i fedeli di Pieve del Cairo e di Castelnuovo Scrivia, le Suore Missionarie del Santissimo Redentore della Chiesa greco-cattolica ucraina. E continuiamo a pregare per il martoriato popolo ucraino e per la pace in ogni terra insanguinata dalla guerra.

    E saluto i ragazzi dell’Immacolata!

    A tutti auguro una buona domenica e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




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