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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #11
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI DIRIGENTI E AL PERSONALE DELL'ISPETTORATO
    DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO


    Sala Clementina
    Giovedì, 12 gennaio 2023


    Signor Capo della Polizia,
    Signor Prefetto e Signor Dirigente,
    Cari Funzionari e Agenti!

    Vi do il benvenuto a questo tradizionale appuntamento, nel quale si scambiano gli auguri all’inizio del nuovo anno. Ringrazio vivamente il Capo della Polizia per le cortesi parole e saluto tutti voi, componenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano. Il mio pensiero va anche alle vostre famiglie, ai colleghi che non sono presenti, come pure, con riconoscenza, ai Cappellani, che vi accompagnano spiritualmente nel vostro cammino quotidiano.

    Questo incontro mi offre l’opportunità di rinnovare a ciascuno di voi l’espressione della mia sentita gratitudine per il servizio che svolgete con abnegazione e spirito di sacrificio. E penso ai giorni di caldo, caldo, caldo e ai giorni freddi, freddi, freddi… Voi capite bene, vero? La vostra presenza in Piazza San Pietro e nell’area adiacente al Vaticano è quanto mai importante per la tutela dell’ordine pubblico. Sono ammirato per l’opera dispiegata durante i raduni dei fedeli e dei pellegrini, che giungono da tutto il mondo per incontrare il Papa e per visitare la tomba dell’Apostolo Pietro e pregare su quelle dei suoi successori, la maggior parte delle quali si trova nella Basilica Vaticana.

    E non posso dimenticare, poi, il vostro impegno generoso in occasione dei miei spostamenti nella città di Roma e nelle visite pastorali in Italia. Per tutto questo ribadisco di cuore la mia stima e il mio apprezzamento per la disponibilità e per il servizio attento e qualificato. Vi confido una cosa: mi vergogno a disturbarvi tanto, vorrei andare da solo… Mi vergogno, ma grazie!, si deve fare. Questo servizio, mentre obbedisce ai vostri compiti come funzionari dello Stato Italiano, manifesta anche le buone relazioni che esistono fra l’Italia e la Santa Sede.

    Cari amici, vi incoraggio a perseverare negli ideali e nei propositi che ispirano la vostra vita e il vostro comportamento nell’esercizio delle delicate mansioni a voi affidate. Auspico che il vostro lavoro, compiuto non di rado con rinunce e rischi, sia sempre animato dal desiderio di aiutare il prossimo e la collettività. La nascita del Signore Gesù, che abbiamo da poco celebrato, possa tenere sempre vivo in voi il senso cristiano della fraternità e della solidarietà. Vi invito a riscoprire la bellezza e la forza sempre nuova del Vangelo, e a farlo entrare in modo incisivo nelle vostre coscienze e nella vostra vita, testimoniando coraggiosamente l’amore di Dio in ogni ambiente, anche in quello del lavoro. La forza del Vangelo. Per capire il Vangelo bisogna leggerlo. Mi permetto di darvi un consiglio: abbiate un piccolo Vangelo, piccolino e tascabile. Portatelo in tasca, portatelo nella borsa e poi quando siete di qua, di là, e avete un po’ di tempo, ne leggete un pochettino. Tutti i giorni qualche contatto con il Vangelo. Se uno lo ha con sé, è più facile. E questo semina di cose buone l’anima e lentamente riempie l’anima delle parole di Gesù. Questo è un consiglio, voi vedrete.

    Nel Messaggio in occasione della recente Giornata Mondiale della Pace ho sottolineato che, anche quando gli eventi della nostra esistenza e della storia sono purtroppo carichi di difficoltà e a volte drammatici, «siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino» (n. 1). Anche il vostro servizio può essere segno della vicinanza di Dio ai fratelli e alle sorelle che ogni giorno incontrate e che attendono da voi un gesto di cortesia e di accoglienza. Questo è un modo concreto di essere operatori di pace, “artigiani” di pace. Questo ricevere la gente, ascoltare la gente, aiutare la gente, con gentilezza. E quanto bisogno c’è oggi di persone che lavorano per la pace non con belle parole, ma con i fatti, svolgendo con cura il proprio dovere al servizio del bene comune!

    Con questi auspici, desidero porgere i miei auguri per il nuovo anno a ciascuno di voi e ai vostri familiari. Affido tutti voi alla materna protezione della Vergine Santissima e di San Michele Arcangelo, perché intercedano presso il Signore e vi ottengano prosperità e concordia e vi custodiscano da ogni pericolo. Vi accompagni sempre la mia Benedizione che imparto di cuore a ognuno di voi e alle vostre famiglie. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  2. #12
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DEL CONSIGLIO PRIMAZIALE DELLA CONFEDERAZIONE
    DEI CANONICI REGOLARI DI SANT'AGOSTINO


    Venerdì, 13 gennaio 2023


    Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!

    Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra riunione di Consiglio primaziale. Saluto Lei, padre Abate Primate, e La ringrazio per le Sue parole, come pure voi Superiori Generali e il padre Segretario.

    La vostra Confederazione è stata istituita nel 1959 da San Giovanni XXIII. Questa struttura, anche se non è di tipo giuridico, è importante per favorire la comunione tra le Congregazioni che la compongono e che condividono lo stesso carisma. Infatti, gli obiettivi principali della Confederazione sono di unire i diversi rami del vostro Ordine in un vincolo di carità, di valorizzare il significato evangelico del vostro carisma e di aiutarvi vicendevolmente, soprattutto per quanto riguarda la dimensione spirituale, la formazione dei giovani, la formazione permanente e la promozione della cultura.

    Anche se ogni Congregazione gode della propria autonomia, ciò non impedisce agli Statuti Confederali di prevedere competenze che favoriscano un equilibrio tra tale autonomia e un opportuno coordinamento che eviti, in ogni caso, l’indipendenza e l’isolamento. L’isolamento è pericoloso. Bisogna fare molta attenzione a preservarsi dalla malattia dell’autoreferenzialità e a custodire come vero tesoro la comunione tra le diverse Congregazioni. Siete ben consapevoli di trovarvi tutti sulla stessa barca e che «nessuno costruisce il futuro isolandosi o solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto e all’aiuto reciproco» (Lettera a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della vita consacrata, 21 novembre 2014, II, 3). Praticare la spiritualità dell’incontro: questo è essenziale per vivere la sinodalità nella Chiesa.

    Come ogni altra forma di vita consacrata, anche la vostra deve adattarsi alle circostanze del tempo, dei diversi luoghi in cui siete presenti e delle culture, sempre alla luce del Vangelo e del proprio carisma. La vita consacrata è come l’acqua, se non scorre, marcisce, perde significato, è come il sale che perde sapore, diventa inutile (cfr Mt 5,13). La memoria buona è feconda, è la memoria “deuteronomica” delle radici, delle origini. Non dobbiamo accontentarci di una memoria archeologica, perché questa ci trasforma in pezzi da museo, magari degni di ammirazione ma non di imitazione; invece la memoria deuteronomica ci aiuta a vivere pienamente e senza paura il presente per aprirci al futuro con speranza rinnovata. Anche voi – come scrisse San Giovanni Paolo II – «avete una gloriosa storia da ricordare e da raccontare», ma soprattutto avete «una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi» (Esort. ap. Vita consecrata, 25 marzo 1996, 110).

    Regola fondamentale della vita religiosa è la sequela di Cristo proposta dal Vangelo. Assumere il Vangelo come regola di vita, fino a poter dire con San Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Il Vangelo sia il vostro vademecum, in modo che, stando lontani dalla tentazione di ridurlo a ideologia, esso rimanga sempre per voi spirito e vita. Il Vangelo ci riporta continuamente a porre Cristo al centro della nostra vita e della nostra missione. Ci riporta al “primo amore”. E amare Cristo significa amare la Chiesa, suo corpo. La vita consacrata nasce nella Chiesa, cresce con la Chiesa e fruttifica come Chiesa. È nella Chiesa, come ci insegna sant’Agostino, che scopriamo il Cristo totale.

    Dio ci ha fatti per Sé e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui (cfr S. Agostino, Confessioni, 1,1,1). Per questo, come Canonici Regolari, la vostra occupazione principale è la costante e quotidiana ricerca del Signore. Cercarlo nella vita comunitaria, riflesso dell’essere di Dio e della sua consegna e testimonianza che «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). La koinonia vi faccia sentire tutti costruttori, tessitori di fraternità. Cercare il Signore nella lettura assidua della Sacra Scrittura, nelle cui pagine risuonano Cristo e la Chiesa (cfr S. Agostino, Disc. 46, 33). Cercare il Signore nella liturgia, in particolare nell’Eucaristia, culmine della vita cristiana, che significa e realizza l’unità della Chiesa nell’armonia della carità (Conc. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 25). Cercarlo nello studio e nella pastorale ordinaria. Cercarlo anche nelle realtà del nostro tempo, sapendo che nulla di ciò che è umano può esserci estraneo e che, liberi da ogni mondanità, possiamo animare il mondo con il lievito del Regno di Dio. Queste sono le diverse vie di un’unica ricerca, che presuppone il cammino dell’interiorità, della conoscenza e dell’amore del Signore, alla scuola di sant’Agostino: «Non uscire da te stesso, entra costantemente in te stesso; la verità abita nell’uomo interiore» (cfr De Vera Religione, 39,72; Confessioni, 3,6,11). In questo modo la luce del Maestro interiore illumina per noi le realtà temporali.

    Cari fratelli, questo tempo di incontro tra di voi e con il Successore di Pietro vi aiuti a rivisitare il vostro carisma e rafforzare la comunione di vita sull’esempio della primitiva comunità apostolica (cfr At 2,42-47). E questa comunione è anche anticipazione dell’unione piena e definitiva in Dio e via verso di essa.

    Vi ringrazio per la vostra presenza per la vostra testimonianza nella Chiesa. La Madonna vi custodisca e interceda per voi. Benedico di cuore voi e le vostre comunità. E vi chiedo per favore di pregare per me.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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  3. #13
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELLA COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII


    Aula Paolo VI
    Sabato, 14 gennaio 2023


    Cari bambini e bambine,
    cari ragazzi e ragazze,
    fratelli e sorelle, buongiorno!

    Grazie di essere venuti! Grazie al Responsabile generale, che ha dato voce a tutti voi, qui presenti, e anche a quelli che non hanno potuto venire ma ci sono con il cuore. Ringrazio in particolare quelli di voi che mi hanno scritto le loro storie, e anche alcune domande.

    L’incontro di oggi è speciale, perché siete voi più piccoli che rappresentate la grande famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. E di questo dobbiamo ringraziare il Signore e poi Don Oreste Benzi, che ha dato vita a questa bella realtà. Siete d’accordo? Va bene. Allora, tutti insieme possiamo dire: “Grazie Don Oreste!”. Un’altra volta: “Grazie Don Oreste!”.

    E poi c’è un altro aspetto importante, che mi ha colpito nelle presentazioni che mi avete mandato un po’ di tempo fa: il fatto che voi bambini e ragazzi siete tutti presentati ciascuno con il proprio nome. Così piace a Dio, che ci conosce ciascuno per nome. Non siamo anonimi, non siamo fotocopie, siamo tutti originali! E così dobbiamo essere: originali, non fotocopie, lo diceva il Beato Carlo Acutis, un ragazzo come voi. Dio ci conosce ad uno ad uno, con il nostro nome e il nostro volto, che è unico. Certo, abbiamo anche i nostri limiti; alcuni di noi purtroppo hanno limiti pesanti da portare. Ma questo non toglie nulla al valore di una persona: ognuno è unico, è figlio o figlia di Dio, ognuno è fratello o sorella di Gesù, ma unico.

    Una comunità cristiana che accoglie la persona così com’è aiuta a vederla come la vede Dio. E come ci vede Dio? Con lo sguardo dell’amore. Dio vede anche i nostri limiti, è vero, e ci aiuta a portarli; ma Dio guarda soprattutto il cuore, e vede ogni persona nella sua pienezza. Dio ci vede a immagine di Gesù, il suo Figlio, e con il suo amore ci aiuta ad assomigliare sempre più a Lui. Gesù è l’uomo perfetto, lo sappiamo, è la pienezza dell’umano, e l’amore di Dio ci fa crescere verso questa misura completa, verso la pienezza. Sappiamo che la raggiungeremo in paradiso, però già in questa vita l’amore ci fa maturare così. È un po’ come il seme che nel campo germoglia e cresce con l’aiuto della pioggia e del sole, si sviluppa e diventa, ad esempio, una bella spiga di grano.

    E, sapete, ci sono dei segni che fanno capire quando una persona viene accolta con amore, quando un bambino, una bambina, una ragazzo, una ragazza, ma anche una persona grande, di qualsiasi età viene guardata con lo sguardo di Dio, viene accolta con amore. Quali sono questi segni? Ce ne sono diversi, ma ne scelgo uno: il sorriso. Ho visto che l’avete detto anche voi, più di una volta, raccontando le vostre storie: “Quel bambino o quella bambina ha dei problemi, però è sempre sorridente...”. Come mai? Perché si sente amato, amata, si sente accolto, accolta, così com’è. Quando un bimbo appena nato sta in braccio alla sua mamma, che lo guarda e gli sorride, incomincia a sorridere. Il sorriso è un fiore che sboccia nel calore dell’amore.

    Cari bambini e ragazzi, nelle vostre storie, e anche nelle vostre domande, risalta un’esperienza che molti di voi avete in comune: l’esperienza della casa famiglia. Oggi, qui con voi, voglio sottolineare che le “case famiglie” sono nate dalla mente e dal cuore di Don Oreste Benzi. Lui era un prete che guardava i ragazzi e i giovani con gli occhi di Gesù, con il cuore di Gesù. E stando vicino a quelli che si comportavano male, che erano sbandati, ha capito che a loro era mancato l’amore di un papà e di una mamma, l’affetto dei fratelli. Allora Don Oreste, con la forza dello Spirito Santo e il coinvolgimento di persone a cui Dio dava questa vocazione, ha iniziato l’esperienza dell’accoglienza a tempo pieno, della condivisione della vita; e da lì è nata quella che lui ha chiamato “casa famiglia”. Un’esperienza che si è moltiplicata, in Italia e in altri Paesi, e che si caratterizza per l’accoglienza in casa di persone che diventano realmente i propri figli rigenerati dall’amore cristiano. Un papà e una mamma che aprono le porte di casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita. In essa c’è posto per tutti: minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi. La famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni persona.

    Ed ora, cari amici, vorrei rivolgermi personalmente a qualcuno di voi. Saluto Francesco, di sei anni, che oggi non è potuto venire, e prego per la sua mamma che è malata. Saluto Biagio, di 14 anni: anche lui non è potuto venire, e gli mando una benedizione. E tu, Sara, che hai 13 anni e sei scappata dall’Iraq, custodisci nel cuore il tuo santo desiderio che ai bambini non venga rubata la loro infanzia: Dio ti aiuterà a realizzarlo! Tu che vorresti vedere la nonna che è andata in cielo, parla con lei nel tuo cuore e segui i suoi buoni esempi, e un giorno la rivedrai. Tu che, come tanti adolescenti, fai fatica a percepire la bellezza della Messa, non temere: al momento giusto Gesù vivo ti farà sentire la sua presenza. Grazie a te, piccolo amico, che ti ricordi degli innocenti che vengono uccisi nel seno materno. E grazie di cuore a voi, bambini e ragazzi, che ogni domenica vi incontrate online a pregare il Rosario. Voglio dirvi: la vostra preghiera per la pace, anche se non sembra, Dio la ascolta; e noi crediamo che Dio dona la pace, subito, oggi! Dio ce la dona, ma sta a noi accoglierla, nel cuore e nella vita. State sicuri che Dio ascolta la vostra preghiera, e andate avanti!

    Carissimi, grazie a tutti voi! Che il Signore benedica la Comunità Papa Giovanni XXIII e che la Madonna la custodisca sempre nella fede, nella speranza e nell’amore. Vi benedico di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!


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  4. #14
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    LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    IN OCCASIONE DEI 25 ANNI DEL VIAGGIO APOSTOLICO
    DI SAN GIOVANNI PAOLO II A CUBA


    Al santo Popolo fedele di Dio che peregrina a Cuba

    Cari fratelli e sorelle,

    Sono trascorsi 25 anni dal viaggio apostolico di san Giovanni Paolo II a Cuba, un momento di grazia e di benedizione per tutti. Nel quadro di questo anniversario, i vescovi della vostra Conferenza episcopale hanno avuto la gentilezza di invitare il Cardinale Beniamino Stella, che in quegli anni, come Nunzio Apostolico, è stato un testimone privilegiato dell’evento, affinché vi renda visita, e gli ho chiesto di portarvi il mio saluto e la mia benedizione, esprimendo la vicinanza del Papa a ognuno di voi, a Sua Eminenza il Cardinale Juan de la Caridad García Rodríguez, ai vescovi, sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli laici.

    Mi piacerebbe che in questo tempo rievocaste nei vostri cuori i gesti e le parole che il mio predecessore vi ha rivolto durante la sua visita, affinché risuonino con forza nel presente e conferiscano un nuovo impulso per continuare a costruire con speranza e determinazione il futuro della vostra nazione. Una delle sue esortazioni in quel momento è stata: «Affrontate con forza e temperanza, con giustizia e prudenza le grandi sfide del momento presente; tornate alle radici cubane e cristiane e fate tutto il possibile per costruire un futuro sempre più degno e sempre più libero! Non dimenticate che la responsabilità fa parte della libertà. Inoltre, la persona si definisce principalmente per le sue responsabilità nei confronti degli altri e di fronte alla storia» (Messaggio ai giovani di Cuba, 23 gennaio 1998).

    Anche io vi incoraggio a tornare alle vostre radici cubane e cristiane, ossia alla vostra identità propria, che ha generato e continua a generare la vita del vostro paese. Queste radici si sono rafforzate permettendoci di vederle crescere e fiorire nella testimonianza di tanti di voi che lavorano e si sacrificano ogni giorno per gli altri, non solo per i propri familiari, ma anche per i vicini e gli amici, per tutto il popolo, e in modo particolare per i più bisognosi. Grazie per questo esempio di collaborazione e di aiuto reciproco che vi unisce e che rivela lo spirito che vi caratterizza: aperto, accogliente e solidale. Continuate a camminare insieme con speranza, sapendo che sempre, e in particolare in mezzo alle avversità e alle sofferenze, Gesù e sua Madre Santissima vi accompagnano, vi aiutano a portare la croce e vi consolano con la gioia della resurrezione.

    Come segno della mia vicinanza e comunione con l’amato popolo cubano, che annovera grandi scrittori e artisti, vorrei ricordare alcune parole di padre Varela, che esprimono il bisogno di radicarsi nel bene e la fecondità di questo sforzo: «Dopo essersi radicato, l’albero ben presto allargherà i suoi rami e alla sua ombra riposerà la virtù». Questo albero pieno di vitalità può ben rappresentare l’uomo che radica la propria fiducia nel Signore, come dice il profeta Geremia: «Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti» (Ger, 17 8). Confidando nel Dio della vita, vi invito a continuare ad andare più a fondo nelle vostre radici con coraggio e responsabilità, e a continuare a dare frutti uniti nella fede, la speranza e la carità.

    Che Gesù benedica il popolo cubano e che Nostra Signora della Carità del Cobre vi custodisca e vi accompagni. Prego per voi e vi chiedo, per favore, di pregare per me.

    Fraternamente,

    Francesco

    Roma, San Giovanni in Laterano, 8 dicembre 2022

    ________________________________________

    L'Osservatore Romano, Ed. quotidiana n. 011 del 15 gennaio 2023, p. 10


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  5. #15
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 15 gennaio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

    Il Vangelo della liturgia odierna (cfr Gv 1,29-34) riporta la testimonianza di Giovanni il Battista su Gesù, dopo averlo battezzato nel fiume Giordano. Dice così: «Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me» (vv. 29-30).

    Questa dichiarazione, questa testimonianza, rivela lo spirito di servizio di Giovanni. Egli era stato inviato a preparare la strada al Messia e l’aveva fatto senza risparmiarsi. Umanamente si potrebbe pensare che gli venga riconosciuto un “premio”, un posto di rilievo nella vita pubblica di Gesù. Invece no. Giovanni, compiuta la sua missione, sa farsi da parte, si ritira dalla scena per fare posto a Gesù. Ha visto lo Spirito scendere su di Lui (cfr vv. 33-34), lo ha indicato come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo e ora si mette a sua volta in umile ascolto. Da profeta diventa discepolo. Ha predicato al popolo, ha raccolto dei discepoli e li ha formati per molto tempo. Eppure non lega nessuno a sé. E questo è difficile ma è il segno del vero educatore: non legare le persone a sé. Giovanni fa così: mette i suoi discepoli sulle orme di Gesù. Non è interessato ad avere un seguito per sé, a ottenere prestigio e successo, ma dà testimonianza e poi fa un passo indietro, perché molti abbiano la gioia di incontrare Gesù. Possiamo dire: apre la porta e se ne va.

    Con questo suo spirito di servizio, con la sua capacità di fare posto a Gesù, Giovanni il Battista ci insegna una cosa importante: la libertà dagli attaccamenti. Sì, perché è facile attaccarsi a ruoli e posizioni, al bisogno di essere stimati, riconosciuti e premiati. E questo, pur essendo naturale, non è una cosa buona, perché il servizio comporta la gratuità, il prendersi cura degli altri senza vantaggi per sé, senza secondi fini, senza aspettare il contraccambio. Farà bene anche a noi coltivare, come Giovanni, la virtù di farci da parte al momento opportuno, testimoniando che il punto di riferimento della vita è Gesù. Farsi da parte, imparare a congedarsi: ho fatto questa missione, ho fatto questo incontro, mi faccio da parte e lascio posto al Signore. Imparare a farsi da parte, non prendere qualcosa come un contraccambio per noi.


    Pensiamo a quanto è importante questo per un sacerdote, che è chiamato a predicare e celebrare non per protagonismo o per interesse, ma per accompagnare gli altri a Gesù. Pensiamo a quant’è importante per i genitori, che crescono i figli con tanti sacrifici, ma poi li devono lasciare liberi di prendere la loro strada nel lavoro, nel matrimonio, nella vita. È bello e giusto che i genitori continuino ad assicurare la loro presenza, dicendo ai figli: «Non vi lasciamo soli», ma con discrezione, senza invadenza. La libertà di crescere. E lo stesso vale per altri ambiti, come l’amicizia, la vita di coppia, la vita comunitaria. Liberarsi dagli attaccamenti del proprio io e saper farsi da parte costa, ma è molto importante: è il passo decisivo per crescere nello spirito di servizio, senza cercare il contraccambio.

    Fratelli, sorelle, proviamo a chiederci: siamo capaci di fare posto agli altri? Di ascoltarli, di lasciarli liberi, di non legarli a noi pretendendo riconoscimenti? Anche di lasciarli parlare, a volte. Non dire: “Ma tu non sai niente!”. Lasciar parlare, fare posto agli altri. Attiriamo gli altri a Gesù o a noi stessi? E ancora, sull’esempio di Giovanni: sappiamo gioire del fatto che le persone prendano la loro strada e seguano la loro chiamata, anche se questo comporta un po’ di distacco nei nostri confronti? Ci rallegriamo per i loro traguardi, con sincerità e senza invidia? Questo è lasciare crescere gli altri.

    Maria, la serva del Signore, ci aiuti ad essere liberi dagli attaccamenti, per fare posto al Signore e dare spazio agli altri.

    ______________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle,

    dal 18 al 25 gennaio si svolgerà la tradizionale Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema di quest’anno è tratto dal profeta Isaia: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (1,17). Ringraziamo il Signore che con fedeltà e pazienza guida il suo popolo verso la piena comunione, e chiediamo allo Spirito Santo di illuminarci e sostenerci con i suoi doni.

    Il cammino per l’unità dei cristiani e il cammino di conversione sinodale della Chiesa sono legati. Perciò, colgo questa occasione per annunciare che sabato 30 settembre prossimo, in Piazza San Pietro, avrà luogo una Veglia ecumenica di preghiera, con la quale affideremo a Dio i lavori della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Per i giovani che verranno alla Veglia ci sarà un programma speciale in tutto quel fine settimana, a cura della Comunità di Taizé. Fin da ora invito i fratelli e le sorelle di tutte le confessioni cristiane a partecipare a questo raduno del Popolo di Dio.

    Fratelli e sorelle, non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino, che soffre tanto! Restiamo vicini a loro con i nostri sentimenti, con il nostro aiuto, con la nostra preghiera.

    E ora saluto voi, romani e pellegrini qui convenuti. In particolare, saluto i fedeli spagnoli di Murcia e quelli di Sciacca in Sicilia. La visita alla tomba di Pietro rafforzi la vostra fede e la vostra testimonianza.

    A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.


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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI RAPPRESENTANTI DELLA CONFEDERAZIONE DELLE
    CONFRATERNITE DELLE DIOCESI D’ITALIA


    Sala del Concistoro
    Lunedì, 16 gennaio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Sono contento di incontrarvi. Ringrazio il Presidente, Dottor Rino Bisignano, e S.E. Mons. Michele Pennisi, Assistente Ecclesiastico Nazionale, come pure i membri del Consiglio Direttivo della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia, ai Coordinatori e agli Assistenti Regionali qui presenti.

    Fondata nel 2000, nel contesto del grande Giubileo, la vostra Confederazione opera da ormai più di vent’anni per accogliere, sostenere e coordinare la ricchissima e variegata presenza delle Confraternite nelle Diocesi d’Italia. Ora vi accingete a celebrare, fra due anni, il vostro 25° anniversario nel contesto di un altro Giubileo, quello del 2025, che ha come motto “Pellegrini di speranza”. Ci stiamo preparando a questo momento forte della vita della Chiesa, e voi siete una realtà molto significativa per questa preparazione e poi per la celebrazione.

    Lo siete in primo luogo per la presenza capillare che avete sul territorio nazionale e per la quantità di persone che coinvolgete, con circa tremiladuecento Confraternite iscritte – e altrettante esistenti ma non iscritte – e due milioni di membri; e a questi si aggiunge la comunità allargata di familiari e amici che attraverso di loro si uniscono alle vostre attività. È un quadro impressionante, che richiama alla mente quanto dice il Concilio Vaticano II, a proposito della natura e della missione dei laici nella Chiesa, e cioè che essi «sono chiamati da Dio a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo» (Cost. dogm. Lumen gentium, 31).

    Il vostro “fermento”, il vostro lievito è ben presente nel tessuto ecclesiale e sociale italiano, e dev’essere mantenuto vivo, perché possa far fermentare tutta la pasta. Lo raccomandava San Giovanni Paolo II in una sua omelia nel 1984 quando diceva: «Oggi l’urgenza dell’evangelizzazione esige che anche le Confraternite partecipino più intensamente e più direttamente all’opera che la Chiesa compie per portare la luce, la redenzione, la grazia di Cristo agli uomini del nostro tempo» (Giubileo delle Confraternite, 1° aprile 1984). Nel contesto della nuova evangelizzazione, la pietà popolare costituisce infatti una potente forza di annuncio, che ha molto da dare agli uomini e alle donne del nostro tempo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 126). Qui mi riferisco a Evangeli gaudium 126. Ma sulla pietà popolare, quello che continua a essere il testo più forte, che aiuta tanto, è quello di San Paolo VI, nellEvangelii nuntiandi. È bene tornare sempre a quel testo, che ha chiarito bene il posto della pietà popolare nella vita della Chiesa. L’Evangelii nuntiandi ancora oggi è attuale: quella è un’Esortazione apostolica profetica, che aiuta, che fa andare avanti!

    Per questo vi incoraggio a coltivare con impegno creativo e dinamico la vostra vita associativa e la vostra presenza caritativa, che si fondano sul dono del Battesimo e che comportano un cammino di crescita sotto la guida dello Spirito Santo. Lasciatevi animare dallo Spirito e camminate: come fate nelle processioni, così fatelo in tutta la vostra vita di comunità. La ricchezza e la memoria della vostra storia non diventino mai per voi motivo di ripiegamento su voi stessi, di celebrazione nostalgica del passato, di chiusura verso il presente o di pessimismo per il futuro; siano piuttosto stimolo forte a reinvestire oggi il vostro patrimonio spirituale, umano, economico, artistico, storico e anche folkloristico, aperti ai segni dei tempi e alle sorprese di Dio. È con questa fede e con questa apertura che chi vi ha preceduto ha dato origine un tempo alle vostre fraternità. Senza questa fede e questa apertura, noi oggi non ci troveremmo qui, così numerosi, a rendere grazie al Signore di tanto bene ricevuto e compiuto! Con tante Confraternite!

    Vorrei poi invitarvi ad articolare il vostro cammino secondo tre linee fondamentali: evangelicità, ecclesialità e missionarietà. Questa indicazione la riassumerei così:

    - camminare sulle orme di Cristo;

    - camminare insieme;

    - camminare annunciando il Vangelo.

    Anzitutto, camminare sulle orme di Cristo. Vi esorto a coltivare la centralità di Cristo nella vostra vita, nell’ascolto quotidiano della Parola di Dio. Questo è molto importante: la vicinanza al Vangelo. Noi dobbiamo tutti i giorni leggere il Vangelo. Vi consiglio: prendete un libro del Vangelo tascabile, portatelo nella tasca o nella borsa e poi quando avete un po’ di tempo, leggete qualcosa nella giornata. Un piccolo pezzo tutti i giorni. Fa crescere il Vangelo, fa crescere il cuore. Contatto fisico con il Vangelo e poi contatto spirituale. Vi esorto dunque a coltivare la centralità di Cristo, organizzando e partecipando regolarmente a momenti formativi, nella frequenza assidua ai Sacramenti, in una intensa vita di preghiera personale e liturgica. Le vostre antiche tradizioni liturgiche e devozionali siano animate da una vita spirituale intensa, con fervore, e dall’impegno concreto della carità. E non abbiate paura di aggiornarle in comunione con il cammino della Chiesa, perché possano essere un dono accessibile e comprensibile per tutti, nei contesti in cui vivete e operate, e uno stimolo ad avvicinarsi alla fede anche per i lontani.

    Secondo: camminare insieme. La storia delle Confraternite offre alla Chiesa un’esperienza secolare di sinodalità, che si esprime attraverso strumenti comunitari di formazione, di discernimento e di deliberazione, e attraverso un contatto vivo con la Chiesa locale, con i Vescovi e con le Diocesi. I vostri consigli e le vostre assemblee – come vi chiese l’amato Papa Benedetto XVI –, non si riducano mai a incontri puramente amministrativi o particolaristici [1]; siano sempre e prima di tutto luoghi di ascolto di Dio e della Chiesa, di dialogo fraterno, caratterizzato da un clima di preghiera e di carità sincera. Solo così potranno aiutarvi ad essere realtà vivaci e a trovare nuove vie di servizio e di evangelizzazione.

    E questo ci porta alla terza dimensione del vostro cammino: camminare annunciando il Vangelo, testimoniando la vostra fede e prendendovi cura dei fratelli, specialmente delle nuove povertà del nostro tempo, come molti di voi hanno dimostrato in questo tempo di pandemia. Studiate bene quali sono le nuove povertà. Noi forse non sappiamo, ma sono tante, le nuove povertà. La storia delle Confraternite ha in questo senso un grande patrimonio carismatico. Non lasciate cadere questa eredità! Mantenete vivo il carisma del servizio e della missione, rispondendo con creatività e coraggio ai bisogni del nostro tempo.

    Evangelicità, ecclesialità e missione: queste, cari fratelli e sorelle, le tre parole che vi affido oggi. E vorrei concludere rinnovandovi l’invito ad essere «missionari dell’amore e della tenerezza di Dio […] missionari della misericordia di Dio, che sempre ci perdona, sempre ci aspetta, e ci ama tanto!» (Omelia nella Giornata delle Confraternite e della pietà popolare, 5 maggio 2013).

    La Madonna, che con tanti titoli venerate come vostra Madre, vi custodisca e vi guidi sempre. Benedico di cuore voi, tutti i confratelli e le consorelle e le vostre famiglie. E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

    ________________________________________

    [1] Cfr Discorso alla Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia, 10 novembre 2007.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  7. #17
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI RAPPRESENTANTI DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICHE
    DI RADIOLOGIA, RIABILITAZIONE E PREVENZIONE


    Sala Clementina
    Lunedì, 16 gennaio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio la Signora Presidente per le sue parole di saluto. Voi rappresentate migliaia di professionisti sanitari: questo incontro, dunque, mi offre l’occasione di rinnovare la mia vicinanza e gratitudine per quanto fate quotidianamente. Desidero ringraziarvi per il vostro impegno e la vostra dedizione, specialmente quando sono nascosti. I professionisti sanitari, negli ultimi tre anni, hanno vissuto un’esperienza molto particolare, difficilmente immaginabile, quella della pandemia. È stato detto altre volte ma non bisogna dimenticarlo: senza il vostro impegno e le vostre fatiche molti malati non sarebbero stati curati. Il senso del dovere animato dalla forza dell’amore vi ha permesso di prestare la vostra opera al servizio del prossimo, anche mettendo a rischio la vostra stessa salute. E con voi ringrazio tutti gli altri operatori sanitari.

    Tra meno di un mese, l’11 febbraio, ricorrerà la Giornata Mondiale del Malato, che sempre invita anche a una riflessione sull’esperienza della malattia. Ciò è oggi tanto più opportuno, anzi necessario, perché spesso la cultura dell’efficienza e dello scarto «spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine» (Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale del Malato).

    In maniera opposta agisce la cultura della cura, impersonata dal buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). Egli non gira lo sguardo altrove, si avvicina al ferito con compassione e si prende cura di quella persona che altri avevano ignorato. Questa parabola indica una precisa linea di comportamento. «Ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Enc. Fratelli tutti, 67).

    Cari amici, la vostra professione nasce da una scelta valoriale. Con il vostro servizio contribuite a “rialzare e riabilitare” i vostri assistiti, ricordando che prima di tutto sono persone. Al centro infatti dev’esserci sempre la persona, in tutte le sue componenti, compresa quella spirituale: una totalità unificata, in cui si armonizzano le dimensioni biologiche e spirituali, culturali e relazionali, progettuali e ambientali dell’essere umano nel percorso della vita. Questo principio, che è alla base della Costituzione etica della vostra Federazione, orienta il cammino e permette di non cedere a sterili efficientismi o a un’applicazione fredda dei protocolli. I malati sono persone che chiedono di essere curate e di sentirsi curate, e per questo è importante relazionarsi a loro con umanità ed empatia. Certamente con un alto livello professionale, ma con umanità ed empatia.

    Ma anche voi, professionisti sanitari, siete persone, e avete bisogno di qualcuno che si prenda cura di voi, attraverso il riconoscimento del vostro servizio, la tutela di condizioni adeguate di lavoro e il coinvolgimento di un numero appropriato di curanti, affinché il diritto alla salute venga riconosciuto a tutti. Spetta ad ogni Paese adoperarsi per ricercare «le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute» (Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale del Malato). La salute non è un lusso! Un mondo che scarta gli ammalati, che non assiste chi non può permettersi le cure, è un mondo cinico e non ha futuro. Ricordiamo sempre questo: la salute non è un lusso, è per tutti.

    Vi esorto a guardare sempre ai valori etici come riferimento indispensabile per le vostre professioni. I valori infatti, se ben assimilati e uniti al sapere scientifico e alle necessarie competenze, permettono di accompagnare nel migliore dei modi le persone che vi sono affidate.

    Cari fratelli e sorelle, vi accompagni la materna intercessione della Vergine Maria, che il Vangelo ci presenta come donna premurosa, che si affretta ad aiutare la sua parente Elisabetta. Vegli su di voi e sul vostro lavoro. Di cuore benedico voi e le vostre famiglie. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  8. #18
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    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 18 gennaio 2023


    Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 2. Gesù modello dell’annuncio

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti tutti!

    Mercoledì scorso abbiamo avviato un ciclo di catechesi sulla passione di evangelizzare, cioè sullo zelo apostolico che deve animare la Chiesa e ogni cristiano. Oggi guardiamo al modello insuperabile dell’annuncio: Gesù. Il Vangelo del giorno di Natale lo definiva “Verbo di Dio” (cfr Gv 1,1). Il fatto che egli sia il Verbo, ossia la Parola, ci indica un aspetto essenziale di Gesù: Egli è sempre in relazione, in uscita, mai isolato, sempre in relazione, in uscita; la parola, infatti, esiste per essere trasmessa, comunicata. Così è Gesù, Parola eterna del Padre protesa a noi, comunicata a noi. Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una Parola, un messaggio: vive, cioè, sempre rivolto verso il Padre e verso di noi. Sempre guardando il Padre che Lo ha inviato e guardando noi a cui Lui è stato inviato.

    Se infatti guardiamo alle sue giornate, descritte nei Vangeli, vediamo che al primo posto c’è l’intimità con il Padre, la preghiera, per cui Gesù si alza presto, quand’è ancora buio, e si reca in zone deserte a pregare (cfr Mc 1,35; Lc 4,42) a parlare con il Padre. Tutte le decisioni e le scelte più importanti le prende dopo aver pregato (cfr Lc 6,12; 9,18). Proprio in questa relazione, nella preghiera che lo lega al Padre nello Spirito, Gesù scopre il senso del suo essere uomo, della sua esistenza nel mondo perché Lui è in missione per noi, inviato dal Padre a noi.

    A tale proposito è interessante il primo gesto pubblico che Egli compie, dopo gli anni della vita nascosta a Nazaret. Gesù non fa un grande prodigio, non lancia un messaggio ad effetto, ma si mischia con la gente che andava a farsi battezzare da Giovanni. Così ci offre la chiave del suo agire nel mondo: spendersi per i peccatori, facendosi solidale con noi senza distanze, nella condivisione totale della vita. Infatti, parlando della sua missione, dirà di non essere venuto «per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45). Ogni giorno, dopo la preghiera, Gesù dedica tutta la sua giornata all’annuncio del Regno di Dio e la dedica alle persone, soprattutto ai più poveri e deboli, ai peccatori e agli ammalati (cfr Mc 1,32-39). Cioè Gesù è in contatto con il Padre nella preghiera e poi è in contatto con tutta la gente per la missione, per la catechesi, per insegnare la strada del Regno di Dio.

    Ora, se vogliamo rappresentare con un’immagine il suo stile di vita, non abbiamo difficoltà a trovarla: Gesù stesso ce la offre, lo abbiamo sentito, parlando di sé come del buon Pastore, colui che – dice – «dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11), questo è Gesù. Infatti, fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva del tempo e molto impegno; era un vero e proprio modo di vivere: ventiquattrore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, prendendosi cura di quelle più deboli. Gesù, in altre parole, non fa qualcosa per noi, ma dà tutto, dà la vita per noi. Il suo è un cuore pastorale (cfr Ez 34,15). Fa il pastore con tutti noi.

    Infatti, per riassumere in una parola l’azione della Chiesa si usa spesso proprio il termine “pastorale”. E per valutare la nostra pastorale, dobbiamo confrontarci con il modello, confrontarsi con Gesù, Gesù buon Pastore. Anzitutto possiamo chiederci: lo imitiamo abbeverandoci alle fonti della preghiera, perché il nostro cuore sia in sintonia con il suo? L’intimità con Lui è, come suggeriva il bel volume dell’abate Chautard, «l’anima di ogni apostolato». Gesù stesso l’ha detto chiaramente ai suoi discepoli: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Se si sta con Gesù si scopre che il suo cuore pastorale palpita sempre per chi è smarrito, perduto, lontano. E il nostro? Quante volte il nostro atteggiamento con gente che è un po’ difficile o che è un po’ difficoltosa si esprime con queste parole: “Ma è un problema suo, che si arrangi…”. Ma Gesù mai ha detto questo, mai, ma è andato sempre incontro a tutti gli emarginati, ai peccatori. Era accusato di questo, di stare con i peccatori, perché portava proprio loro la salvezza di Dio.

    Abbiamo ascoltato la parabola della pecora smarrita, contenuta nel capitolo 15 del Vangelo di Luca (cfr vv. 4-7). Gesù parla anche della moneta perduta e del figlio prodigo. Se vogliamo allenare lo zelo apostolico, il capitolo 15 di Luca è da avere sempre sotto gli occhi. Leggetelo spesso, lì possiamo capire cosa sia lo zelo apostolico. Lì scopriamo che Dio non sta a contemplare il recinto delle sue pecore e nemmeno le minaccia perché non se ne vadano. Piuttosto, se una esce e si perde, non la abbandona, ma la cerca. Non dice: “Se n’è andata, colpa sua, affari suoi!”. Il cuore pastorale reagisce in altro modo: il cuore pastorale soffre, il cuore pastorale rischia. Soffre: sì, Dio soffre per chi se ne va e, mentre lo piange, lo ama ancora di più. Il Signore soffre quando ci distanziamo dal suo cuore. Soffre per quanti non conoscono la bellezza del suo amore e il calore del suo abbraccio. Ma, in risposta a questa sofferenza, non si chiude, bensì rischia: lascia le novantanove pecore che sono al sicuro e si avventura per l’unica dispersa, facendo così qualcosa di azzardato e pure di irrazionale, ma consono al suo cuore pastorale, che ha nostalgia di chi se n’è andato. La nostalgia per coloro che se ne sono andati è continua in Gesù. E quando sentiamo che qualcuno ha lasciato la Chiesa cosa ci viene da dire? “Che si arrangi”. No, Gesù ci insegna la nostalgia di coloro che se ne sono andati; Gesù non ha rabbia o risentimento, ma un’irriducibile nostalgia di noi. Gesù ha nostalgia di noi e questo è lo zelo di Dio.

    E io mi domando: noi, abbiamo sentimenti simili? Magari vediamo come avversari o nemici quelli che hanno lasciato il gregge. “E questo? – No, se ne è andato da un’altra parte, ha perso la fede, lo aspetta l’inferno…”, e siamo tranquilli. Incontrandoli a scuola, al lavoro, nelle vie della città, perché non pensare invece che abbiamo una bella occasione di testimoniare loro la gioia di un Padre che li ama e che non li ha mai dimenticati? Non per fare proselitismo, no! Ma che gli arrivi la Parola del Padre, per camminare insieme. Evangelizzare non è fare proselitismo: fare proselitismo è una cosa pagana non è religiosa né evangelica. C’è una parola buona per quelli che hanno lasciato il gregge e a portarla abbiamo l’onore e l’onere di essere noi a dire quella parola. Perché la Parola, Gesù, ci chiede questo, di avvicinarsi sempre, con il cuore aperto, a tutti, perché Lui è così. Magari seguiamo e amiamo Gesù da tanto tempo e non ci siamo mai chiesti se ne condividiamo i sentimenti, se soffriamo e rischiamo in sintonia con il cuore di Gesù, con questo cuore pastorale, vicino al cuore pastorale di Gesù! Non si tratta di fare proselitismo, l’ho detto, perché gli altri siano “dei nostri”, no, questo non è cristiano: si tratta di amare perché siano figli felici di Dio. Chiediamo nella preghiera la grazia di un cuore pastorale, aperto, che si pone vicino a tutti, per portare il messaggio del Signore e anche sentire per ognuno la nostalgia di Cristo. Perché, la nostra vita senza questo amore che soffre e rischia, non va: se noi cristiani non abbiamo questo amore che soffre e rischia, rischiamo di pascere solo noi stessi. I pastori che sono pastori di se stessi, invece di essere pastori del gregge, sono pettinatori di pecore "squisite". Non bisogna essere pastori di se stessi, ma pastori di tutti.

    __________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française présents aujourd’hui, en particulier le groupe de fidèles, venu de la République Démocratique du Congo, un pays que j’irai visiter à la fin du mois et que je recommande à votre prière ! Prions Dieu de nous faire un cœur pastoral qui souffre et qui risque pour témoigner. Non seulement c’est un honneur, mais c’est aussi un devoir d’apporter la Parole de Dieu à ceux qui nous sont confiés comme à ceux que nous rencontrons dans la vie de tous les jours. Dieu vous bénisse, vous et tous ceux qui vous sont proches !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare il gruppo di fedeli proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, paese che andrò a visitare alla fine di questo mese e che raccomando alle vostre preghiere! Preghiamo Dio affinché ci renda un cuore pastorale che soffre e rischia per dare testimonianza. Non è solo un onore, ma anche un dovere portare la Parola di Dio a coloro che ci sono stati affidati e a coloro che incontriamo nella vita quotidiana. Dio benedica voi e quanti vi sono vicini!]

    I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims taking part in today’s Audience, especially the groups from the Democratic Republic of the Congo, Australia and the United States of America. I offer a special greeting to the many student groups present. I ask all of you to join me in praying for Father Isaac Achi, of the Diocese of Minna in northern Nigeria, who was killed last Sunday in an attack on his rectory. So many Christians continue to be the target of violence: let us remember them in our prayers! Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente a quelli provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, dall’Australia e dagli Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare ai numerosi gruppi di studenti presenti. Chiedo a tutti voi di pregare con me per Padre Isaac Achi, della Diocesi di Minna, nel nord della Nigeria, ucciso domenica scorsa nella casa parrochiale. Quanti cristiani soffrono sulla propria pelle la violenza: preghiamo per loro! Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la pace del Signore Gesù. Dio vi benedica!]

    Herzlich heiße ich die Pilger deutscher Sprache willkommen. Bitten wir den Herrn, er möge unser Herz dem seinen ähnlich machen, auf dass auch wir unser Leben für das Wohl und das Heil unserer Brüder und Schwestern einsetzen können.

    [Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua tedesca. Chiediamo al Signore di rendere il nostro cuore simile al Suo perché anche noi possiamo spendere la nostra vita per il bene e la salvezza dei nostri fratelli.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos a Jesús, Buen Pastor, que nos conceda un corazón semejante al suyo, dispuesto a cuidar con ternura de todos los hermanos y hermanas que Él mismo nos confía, de modo especial los que se sienten perdidos o están alejados de su Presencia, que alegra y da vida. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente os peregrinos de língua portuguesa e, nesta Semana de Oração pela Unidade dos Cristãos, convido-vos a agradecer a Deus o serviço que os nossos irmãos de outras Confissões prestam aos mais necessitados. Esta via da caridade aproximar-nos-á cada vez mais, amando e imitando Cristo Bom Pastor. Deus abençoe cada um de vós com as suas famílias.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese e, nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, vi invito a ringraziare Dio per il servizio che i nostri fratelli di altre Confessioni svolgono in favore dei più bisognosi. Questa strada della carità ci farà avvicinare sempre di più, amando e imitando Cristo Buon Pastore. Dio benedica voi e le vostre famiglie.]

    […].

    [Saluto i fedeli di lingua araba. Gesù è il Buon Pastore che ci ama sempre e non ci lascia mai soli. Soprattutto nelle sofferenze, nelle fatiche, nelle crisi che sono il buio: Lui ci sostiene attraversandole con noi. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto cordialmente i polacchi qui presenti! Nelle vostre case e parrocchie, risuonano ancora tradizionali canti natalizi, si continuano le visite pastorali. Questi eventi vi aiutino a essere una Chiesa aperta, in uscita, verso chi non partecipa più alla vita parrocchiale. Tanti sacerdoti e comunità parrocchiali soffrono per chi se ne va e, pensando a loro li ricorda nella preghiera di più. Chiediamo per tutti la grazia di una fede forte e il dono dello zelo pastorale per i sacerdoti. Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore della Compagnia di Maria che celebrano il loro Capitolo generale, le figlie di Maria Ausiliatrice, gli studenti della scuola Deledda-San Giovanni Bosco di Ginosa, e quelli dell’Istituto Caetani di Cisterna di Latina.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. All’inizio della “Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani”, invito ciascuno di voi a pregare e ad operare affinché fra tutti i credenti in Cristo si affermi sempre più il cammino verso la piena comunione, e nello stesso tempo vi incoraggio a impegnarvi, con dedizione ed in ogni ambiente di vita, per essere costruttori di riconciliazione e di pace.

    E non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina, tanto bisognosa di vicinanza, di conforto e soprattutto di pace. Sabato scorso un nuovo attacco missilistico ha causato molte vittime civili, tra cui bambini. Faccio mio il dolore straziante dei familiari. Le immagini e le testimonianze di questo tragico episodio sono un forte appello a tutte le coscienze. Non si può rimanere indifferenti!

    A tutti la mia benedizione.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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  9. #19
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    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLE SUORE DEL SERVIZIO SOCIALE


    Venerdì, 20 gennaio 2023


    Stimata Madre generale,
    care Suore del Servizio Sociale,

    Ci riunisce oggi qui la celebrazione del primo centenario della vostra fondazione. È certamente un evento molto speciale per voi e per questo avete voluto commemorarlo accanto alla tomba dell’apostolo Pietro. Desidero assicurarvi che lo è anche per la Chiesa, perché ogni carisma è per essa un dono di Dio, che le concede, attraverso il suo Spirito Santo, quelle grazie di cui c’è più bisogno in ogni momento storico.

    E qui sta il mistero: i doni che riceviamo dalle persone e quello che possiamo confezionare con le nostre proprie forze invecchiano e si rovinano. Invece i doni dello Spirito hanno una vita sempre nuova e in ogni circostanza di tempo e di luogo si rigenerano e si reinventano, restando al tempo stesso fedeli alla loro radice.

    In tal modo possiamo vedere il carisma che 100 anni fa ricevette la vostra fondatrice, Margit Slachta, e che, nel corso del tempo e del magistero sociale della Chiesa, si è adattato ai diversi scenari politici e sociali, fino ad arrivare ai nostri giorni. Mi ha sorpreso il fatto che, anche da consacrata, la vostra fondatrice mantenne un impegno politico tanto attivo. È impressionante la sua affermazione, durante l’olocausto, che i precetti della fede obbligavano le suore a proteggere gli ebrei, a rischio della propria vita.

    È una verità che ci costa ammettere: molti martiri morirono per la fede, non a causa della negazione di una mera libertà di rendere culto al loro Dio, ma per la coerenza di vita che quella fede imponeva loro e, di conseguenza, per la difesa della libertà, della giustizia e della verità. Può sembrare sorprendente, ma la prima prova di ciò è il martirio di san Giovanni Battista. Il profeta morì per aver rimproverato il tiranno che non viveva secondo la legge divina, per aver invitato il popolo a rinnegare quel sistema perverso che lo allontanava dalla volontà di Dio, e in questo fu testimone — martire — della Verità con la maiuscola.

    Quelle circostanze di inizio secolo scorso, con i cambiamenti sociali che spianarono la via alle guerre mondiali, furono momenti cruciali, in cui Dio incoraggiò la nascita della vostra Società. Non lo sono meno i tempi presenti, e oggi, come allora, la chiamata a essere testimoni continua a essere attuale. Che bello sarebbe se risuonassero nei vostri cuori le parole di Margit con la stessa intensità che sicuramente ebbero in quelle prime suore. Sono per voi uno stimolo, che vi insegna ad affrontare le sfide sociali, come fecero loro contro il nazismo, con l’unica arma della carità.

    Care sorelle, la vostra fondatrice, la Chiesa e lo Spirito Santo ci interpellano, ribadendo sempre la stessa verità: non c’è amore più grande che dare la vita per gli altri. La carità sociale, che ho ricordato nell’Enciclica Fratelli tutti, e che permea gli scritti di Margit Slachta, sono prova di questa perenne novità. Che Dio ci dia la forza per essere testimoni di questo amore, verità e giustizia, nella vocazione a cui ci ha chiamati. Glielo chiediamo per intercessione della beata Sara Salkaházi. Che Gesù vi benedica e la Vergine vi custodisca.

    ____________________________________

    L'Osservatore Romano, Ed. quotidiana del 21 gennaio 2023, p. 12


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  10. #20
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL CORSO "VIVERE IN PIENEZZA L'AZIONE LITURGICA"


    Sala del Concistoro
    Venerdì, 20 gennaio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno benvenuti!

    E mi scuso del ritardo, ma è stata una mattinata “indiavolata”.

    Ringrazio il Padre Abate Primate per le sue parole; saluto il Rettore Magnifico e il Preside del Pontificio Istituto Liturgico, i Professori e gli studenti; e saluto il Cardinale Prefetto [del Dicastero del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti] e il Monsignore segretario, grazie di essere qui. Sono lieto di accogliervi e ho apprezzato l’iniziativa di organizzare un itinerario formativo rivolto a coloro che preparano e guidano la preghiera delle comunità diocesane, in comunione con i vescovi e a servizio delle Diocesi.

    Questo corso, che giunge ora a conclusione, corrisponde alle indicazioni della Lettera Apostolica Desiderio desideravi sulla formazione liturgica. In effetti, la cura delle celebrazioni esige preparazione e impegno. Noi vescovi, nel nostro ministero, ce ne rendiamo ben conto, perché abbiamo bisogno della collaborazione di chi prepara le liturgie e ci aiuta a compiere il nostro mandato di presiedere l’orazione del popolo santo. Questo vostro servizio alla liturgia richiede, oltre alle conoscenze approfondite, un senso pastorale. Mi rallegra pertanto vedere che ancora una volta rinnovate il vostro impegno di studio della liturgia. Essa – come diceva San Paolo VI – è «fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo» (Allocuzione per la chiusura della II sessione del Conc. Vat. II, 4 dicembre 1963). Per questo la liturgia non si possiede mai pienamente, non si impara come le nozioni, i mestieri, le competenze umane. Essa è l’arte prima della Chiesa, quella che la costituisce e la caratterizza.

    Vorrei affidarvi alcuni spunti di riflessione per questo vostro servizio, che si colloca nel contesto dell’attuazione della riforma liturgica.

    Oggi non si parla più del “cerimoniere”, cioè di colui che cura le “sacre cerimonie”; piuttosto i libri liturgici fanno riferimento al maestro delle celebrazioni. E il maestro ti insegna la liturgia quando ti guida all’incontro con il mistero pasquale di Cristo; nello stesso tempo egli deve disporre tutto perché la liturgia risplenda per decoro, semplicità e ordine (cfr Caeremoniale Episcoporum, 34). Il ministero del maestro è una diaconia: egli collabora con il vescovo al servizio della comunità. Ecco perché ogni vescovo incarica un maestro, che agisca con discrezione, in modo diligente, non anteponendo il rito a ciò che esprime, ma aiutando a coglierne il senso e lo spirito, sottolineando con il suo agire che il centro è Cristo crocifisso e risorto.

    Specialmente nella cattedrale, il responsabile delle celebrazioni episcopali coordina, come collaboratore del Vescovo, tutti coloro che esercitano un ministero durante l’azione liturgica, perché sia favorita la fruttuosa partecipazione del popolo di Dio. Ritorna qui uno dei principi cardine del Vaticano II: dobbiamo avere sempre davanti agli occhi il bene delle comunità, la cura pastorale dei fedeli (cfr ibid., 34), per condurre il popolo a Cristo e Cristo al popolo. È l’obiettivo principale, che dev’essere al primo posto anche quando preparate e guidate le celebrazioni. Se trascuriamo questo avremo delle belle ritualità, ma senza forza, senza sapore, senza senso perché non toccano il cuore e l’esistenza del popolo di Dio. E questo succede quando il presidente de facto non è il vescovo, il sacerdote, ma è il cerimoniere, e quando questa presidenza scivola verso il cerimoniere, è finito tutto. Il presidente è colui che presiede, non è il cerimoniere. Anzi, il cerimoniere più nascosto è, meglio è. Meno si fa vedere, meglio è. Ma che coordini tutto. È Cristo che fa vibrare il cuore, è l’incontro con Lui che attira lo spirito. «Una celebrazione che non evangelizza non è autentica» (Desiderio desideravi, 37). È un “balletto”, un bel balletto, estetico, bellissimo, ma non è autentica celebrazione.

    Il Concilio aveva tra le sue finalità quella di accompagnare i fedeli a recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica e a continuare a stupirsi di ciò che nella celebrazione accade sotto i nostri occhi (cfr Desiderio desideravi, 31). Si noti, non parla della gioia estetica, per esempio, o del senso estetico, no, ma dello stupore. Lo stupore è una cosa diversa dal piacere estetico: è l’incontro con Dio. Soltanto l’incontro con il Signore ti dà lo stupore. Come si può raggiungere questo obiettivo? La risposta si trova già in Sacrosanctum Concilium. Al n. 14, vi si raccomanda la formazione dei fedeli, ma – dice la Costituzione – «poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero». Dunque, il maestro stesso per primo cresce alla scuola della liturgia e partecipa alla missione pastorale di formare il clero e i fedeli.

    Uno degli aspetti più complessi della riforma è la sua attuazione pratica, cioè il modo in cui si traduce nel quotidiano ciò che i Padri conciliari hanno stabilito. E tra i primi responsabili dell’attuazione pratica c’è proprio il maestro, che insieme al direttore dell’ufficio per la pastorale liturgica accompagna la diocesi, le comunità, i presbiteri e gli altri ministri ad attuare la prassi celebrativa indicata dal Concilio. Questo lo fa soprattutto celebrando. Come abbiamo imparato a servire la Messa da bambini? Guardando i nostri amici più grandi che lo facevano. È quella formazione dalla liturgia di cui ho scritto in Desiderio desideravi. Il decoro, la semplicità e l’ordine si raggiungono quando tutti pian piano nel corso degli anni, frequentando il rito, celebrandolo, vivendolo, comprendono ciò che devono fare. Certo, come in una grande orchestra, ognuno deve conoscere la propria parte, i movimenti, i gesti, i testi che pronuncia o che canta; allora la liturgia può essere una sinfonia di lode, una sinfonia appresa dalla lex orandi della Chiesa.

    Presso le cattedrali vengono avviate scuole di prassi liturgica. È una buona iniziativa. Si riflette “mistagogicamente” su quanto si celebra. Si valuta lo stile celebrativo, per considerare i progressi e gli aspetti da correggere. Vi incoraggio ad aiutare i superiori dei seminari a presiedere al meglio, a curare proclamazione, gesti, segni, così che i futuri presbiteri, insieme allo studio della teologia liturgica, imparino a celebrare bene: e questo è lo stile della presidenza. Si impara guardando quotidianamente un presbitero che sa come presiedere, come celebrare, perché vive della liturgia e, quando celebra, prega. Vi esorto ad aiutare i responsabili dei ministranti a preparare la liturgia delle parrocchie avviando piccole scuole di formazione liturgica, che coniughino insieme fraternità, catechesi, mistagogia e prassi celebrativa.

    Quando il responsabile delle celebrazioni accompagna il vescovo in una parrocchia, è bene valorizzare lo stile celebrativo che lì si vive. Non serve fare una bella “parata” quando c’è il vescovo e poi tutto torna come prima. Il vostro compito non è disporre il rito di un giorno, ma proporre una liturgia che sia imitabile, con quegli adattamenti che la comunità può recepire per crescere nella vita liturgica. Così, pian piano, lo stile celebrativo della diocesi cresce. Infatti, andare nelle parrocchie e non dire nulla di fronte a liturgie un po’ sciatte, trascurate, mal preparate, significa non aiutare le comunità, non accompagnarle. Invece con delicatezza, con spirito di fraternità, è bene aiutare i pastori a riflettere sulla liturgia, a prepararla con i fedeli. In questo il maestro delle celebrazioni deve usare una grande saggezza pastorale: se sta in mezzo al popolo capirà subito e saprà bene come accompagnare i confratelli, come suggerire alle comunità quello che è adatto e realizzabile, quali sono i passi necessari per riscoprire la bellezza della liturgia e del celebrare insieme.

    E infine vi esorto a curare il silenzio. In quest’epoca si parla, si parla… Silenzio. Specialmente prima delle celebrazioni – un momento che a volte si prende come un incontro sociale, si parla: “Ah, come stai? Come vai, come non vai?” –, il silenzio aiuta l’assemblea e i concelebranti a concentrarsi su ciò che si va a compiere. Spesso le sacrestie sono rumorose prima e dopo le celebrazioni, ma il silenzio apre e prepara al mistero: è il silenzio che ti prepara al mistero, permette l’assimilazione, lascia risuonare l’eco della Parola ascoltata. È bella la fraternità, è bello il salutarsi, ma è l’incontro con Gesù che dà senso al nostro incontrarci, al nostro ritrovarci. Dobbiamo riscoprire e valorizzare il silenzio!

    Questo voglio sottolinearlo tanto. E qui dico una cosa che è collegata al silenzio, ma per i preti. Per favore, le omelie: sono un disastro; a volte io sento qualcuno: “Sì, sono andato a Messa in quella parrocchia… sì, una buona lezione di filosofia, 40, 45 minuti… Otto, dieci: non di più! E sempre un pensiero, un affetto e un’immagine. La gente si porti qualcosa a casa. NellEvangelii gaudium ho voluto sottolineare questo. E l’ho detto tante volte, perché è una cosa che non finiamo di capire: l’omelia non è una conferenza, è un sacramentale. I luterani dicono che un sacramento, è un sacramentale – credo che siano i luterani –; è un sacramentale, non è una conferenza. La si prepara in preghiera, la si prepara con spirito apostolico. Per favore, le omelie, che sono un disastro, in genere.

    Carissimi, prima di salutarvi, desidero ancora una volta esprimere il mio incoraggiamento per ciò che fate al servizio dell’attuazione della riforma, che i Padri conciliari ci hanno affidato. Impegniamoci tutti per proseguire l’opera buona che è stata avviata. Aiutiamo le comunità a vivere della liturgia, a lasciarsene plasmare, perché – come dice la Scrittura – «chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17). Offriamo a tutti l’acqua sorgiva che sgorga copiosa dalla liturgia della Chiesa.

    Vi auguro buon lavoro e di cuore vi benedico. E per favore, vi chiedo di pregare per me, non dimenticatevi. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




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