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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #31
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 29 gennaio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nella Liturgia odierna si proclamano le Beatitudini secondo il Vangelo di Matteo (cfr Mt 5,1-12). La prima è fondamentale e dice così: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (v. 3).

    Chi sono i “poveri in spirito”? Sono coloro che sanno di non bastare a sé stessi, di non essere autosufficienti, e vivono come “mendicanti di Dio”: si sentono bisognosi di Dio e riconoscono che il bene viene da Lui, come dono, come grazia. Chi è povero in spirito fa tesoro di quello che riceve; perciò desidera che nessun dono vada sprecato. Oggi vorrei soffermarmi su questo aspetto tipico dei poveri in spirito: non sprecare. I poveri in spirito cercano di non sprecare nulla. Gesù ci mostra l’importanza di non sprecare, ad esempio dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, quando chiede di raccogliere il cibo avanzato perché nulla vada perduto (cfr Gv 6,12). Non sprecare ci permette di apprezzare il valore di noi stessi, delle persone e delle cose. Purtroppo, però, è un principio spesso disatteso, soprattutto nelle società più agiate, in cui domina la cultura dello spreco e la cultura dello scarto: ambedue sono una peste. Vorrei proporvi allora tre sfide contro la mentalità dello spreco e dello scarto.

    Prima sfida: non sprecare il dono che noi siamo. Ognuno di noi è un bene, indipendentemente dalle doti che ha. Ciascuna donna, ciascun uomo è ricco non solo di talenti, ma di dignità, è amato da Dio, vale, è prezioso. Gesù ci ricorda che siamo beati non per quello che abbiamo, ma per quello che siamo. E quando una persona si lascia andare e si butta via, spreca sé stessa. Lottiamo, con l’aiuto di Dio, contro la tentazione di ritenerci inadeguati, sbagliati, e di piangerci addosso.

    Poi, seconda sfida: non sprecare i doni che abbiamo. Risulta che nel mondo ogni anno vada sprecato circa un terzo della produzione alimentare totale. E questo mentre tanti muoiono di fame! Le risorse del creato non si possono usare così; i beni vanno custoditi e condivisi, in modo che a nessuno manchi il necessario. Non sprechiamo quello che abbiamo, ma diffondiamo un’ecologia della giustizia e della carità, della condivisione!

    Infine, terza sfida: non scartare le persone. La cultura dello scarto dice: ti uso finché mi servi; quando non mi interessi più o mi sei di ostacolo, ti butto via. E si trattano così specialmente i più fragili: i bambini non ancora nati, gli anziani, i bisognosi e gli svantaggiati. Ma le persone non si possono buttare via, gli svantaggiati non si possono buttare via! Ciascuno è un dono sacro, ciascuno è un dono unico, ad ogni età e in ogni condizione. Rispettiamo e promuoviamo la vita sempre! Non scartiamo la vita!

    Cari fratelli e sorelle, poniamoci qualche domanda. Anzitutto, come vivo la povertà di spirito? So fare spazio a Dio, credo che Lui è il mio bene, la mia vera e grande ricchezza? Credo che Lui mi ama oppure mi butto via con tristezza, dimenticando di essere un dono? E poi: sono attento a non sprecare, sono responsabile nell’utilizzo delle cose, dei beni? E sono disponibile a condividerli con gli altri, o sono egoista? Infine: considero i più fragili come doni preziosi, che Dio mi chiede di custodire? Mi ricordo dei poveri, di chi è privo del necessario?

    Ci aiuti Maria, Donna delle Beatitudini, a testimoniare la gioia che la vita è un dono e la bellezza di farci dono.

    _______________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Con grande dolore apprendo le notizie che giungono dalla Terra Santa, in particolare della morte di dieci palestinesi, tra cui una donna, uccisi durante azioni militari israeliane antiterrorismo in Palestina; e di quanto accaduto vicino a Gerusalemme venerdì sera, quando sette ebrei israeliani sono stati uccisi da un palestinese e tre sono stati feriti all’uscita dalla sinagoga. La spirale di morte che aumenta di giorno in giorno non fa altro che chiudere i pochi spiragli di fiducia che ci sono tra i due popoli. Dall’inizio dell’anno decine di palestinesi sono rimasti uccisi negli scontri a fuoco con l’esercito israeliano. Faccio appello ai due Governi e alla Comunità internazionale, affinché si trovino, subito e senza indugio, altre strade, che comprendano il dialogo e la ricerca sincera della pace. Preghiamo per questo, fratelli e sorelle!

    Rinnovo poi il mio appello per la grave situazione umanitaria nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso Meridionale. Sono vicino a tutti coloro che, in pieno inverno, sono costretti a far fronte a queste disumane condizioni. È necessario compiere ogni sforzo a livello internazionale per trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone.

    Ricorre oggi la 70ª Giornata Mondiale dei malati di lebbra. Purtroppo, lo stigma legato a questa malattia continua a provocare gravi violazioni dei diritti umani in varie parti del mondo.?Esprimo la mia vicinanza a quanti ne soffrono e incoraggio l’impegno per la piena integrazione di questi nostri fratelli e sorelle.

    Rivolgo il mio saluto a tutti voi, venuti dall’Italia e da altri Paesi. Saluto il gruppo di Quinceañeras di Panama e gli studenti di Badajoz in Spagna. Saluto i pellegrini di Moiano e Monteleone di Orvieto, quelli di Acqui Terme e i ragazzi del Gruppo Agesci Cercola Primo.

    E adesso con grande affetto saluto i ragazzi e le ragazze dell’Azione Cattolica della Diocesi di Roma! Siete venuti nella “Carovana della Pace”. Vi ringrazio per questa iniziativa, tanto più preziosa quest’anno perché, pensando alla martoriata Ucraina, il nostro impegno e la nostra preghiera per la pace devono essere ancora più forti. Pensiamo all’Ucraina e preghiamo per il popolo ucraino, così maltrattato. Ascoltiamo ora il messaggio che i vostri amici, qui accanto a me, ci leggeranno.

    [lettura del messaggio]

    Cari fratelli e sorelle, dopodomani partirò per un viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica del Sud Sudan. Ringrazio le Autorità civili e i Vescovi locali per gli inviti e per i preparativi di queste visite, saluto con affetto quelle care popolazioni che mi attendono.

    Quelle terre sono provate da lunghi conflitti: la Repubblica Democratica del Congo soffre, soprattutto nell’Est del Paese, per gli scontri armati e per lo sfruttamento; mentre il Sud Sudan, dilaniato da anni di guerra, non vede l’ora che finiscano le continue violenze che costringono tanta gente a vivere sfollata e in condizioni di grande disagio. In Sud Sudan arriverò insieme all’Arcivescovo di Canterbury e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia: vivremo così insieme, da fratelli, un pellegrinaggio ecumenico di pace.

    A tutti chiedo, per favore, di accompagnare questo Viaggio con la preghiera.

    E auguro a tutti una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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    (Marc. 13, 35).




  2. #32
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELLA FEDERAZIONE ITALIANA PALLAVOLO


    Sala Clementina
    Lunedì, 30 gennaio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio il Presidente per le parole di saluto che mi ha rivolto a nome della Federazione e di tutti voi, atlete e atleti delle nazionali italiane di pallavolo, maschili e femminili, maggiori e giovanili.

    Insieme alla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana state compiendo un percorso per diffondere sul territorio e tra le società sportive i valori educativi dello sport, in una prospettiva integrale che unisca alla tecnica la possibilità di dare il meglio di sé, sia nell’attività agonistica sia nella vita. Lo sport, infatti, deve essere sempre a servizio della persona e della società, non di interessi o logiche di potere.

    Vorrei dunque incoraggiarvi a proseguire nel cammino intrapreso, proponendovi alcune indicazioni che traggo dalle azioni fondamentali del vostro sport.

    Innanzitutto, la battuta, che è il primo colpo che dà il via al gioco. Nella partita, così come nella vita di ogni giorno, occorre prendere l’iniziativa, assumersi la responsabilità, coinvolgersi. Mai restare fermi! Lo sport può aiutare molto a superare timidezze e fragilità, a maturare nella propria consapevolezza, ad essere protagonisti, senza mai dimenticare che «la dignità della persona umana costituisce il fine e il metro di giudizio di ogni attività sportiva» (Giovanni Paolo II, Giubileo Internazionale degli Sportivi, 12 aprile 1984)).

    Alla battuta corrisponde la ricezione. Come bisogna essere pronti a ricevere la palla per indirizzarla in una determinata area, così è importante essere disponibili ad accogliere suggerimenti e ad ascoltare, con umiltà e pazienza. Non si diventa campioni senza una guida, senza un allenatore disposto ad accompagnare, a motivare, a correggere senza umiliare, a sollevare quando si cade e a condividere la gioia della vittoria. Servono persone che siano punti di riferimento solidi, capaci di insegnare a “ricevere” bene, individuando i talenti dei propri atleti per farli fruttificare al meglio.

    C’è poi l’alzata, il passaggio verso il compagno o la compagna che ha il compito di finalizzare l’azione. Non si è mai soli, c’è sempre qualcuno da servire. Non esiste solo la dimensione individuale, ma si è parte di un gruppo: ognuno è chiamato a dare il proprio contributo perché si possa vincere insieme. I giocatori di una squadra sono come le membra di un corpo: san Paolo dice che «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). In un mondo dove si sgomita per apparire e per emergere a tutti i costi, dove l’io viene prima del noi, dove si scarta chi è debole e improduttivo, lo sport può essere segno convincente di unità, di integrazione, e può lanciare un messaggio forte di pace e di amicizia.

    Decisiva è certamente l’azione di attacco, che consente di fare punti e di costruire la vittoria. Lo sport deve promuovere un sano agonismo, senza scadere nella tentazione di vincere calpestando le regole. Il sacrificio, l’allenamento, il rigore sono elementi imprescindibili dello sport, mentre la pratica del doping, oltre ad essere pericolosa, è un inganno che toglie bellezza e divertimento al gioco, macchiandolo di falsità e facendolo diventare sporco.

    Per opporsi all’attacco, si fa il muro. Questa parola ci fa pensare ai muri presenti in diversi luoghi del mondo, segno di divisione e di chiusura, dell’incapacità degli uomini di dialogare, della presunzione di chi pensa che ci si può salvare da soli. Invece, nella pallavolo, quando si fa muro si salta in alto per affrontare la schiacciata avversaria: questo gesto ci aiuta a pensare la parola in un’accezione positiva. Saltare in alto significa distaccarsi da terra, dalla materialità e dunque da tutte quelle logiche di business che intaccano lo spirito sportivo. I soldi e il successo non devono mai far venire meno la componente di gioco, di divertimento. E per questo mi raccomando tanto: non lasciare mai la dimensione amatoriale dello sport. Lo sport o è amatoriale o non è sport. Questo va custodito bene, perché con questo voi custodite anche il vostro cuore.

    Cari amici, vi ringrazio per questa visita e vi esorto ad essere sempre testimoni di correttezza e lealtà. Molti ragazzi vi guardano e tifano per voi: per loro siete dei modelli, non deludeteli! Vi auguro di giocare bene divertendovi, diffondendo nel campo e fuori dal campo i valori dell’amicizia, della solidarietà e della pace. Di cuore benedico voi e i vostri cari. E, per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie!


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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  3. #33
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    VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    IN OCCASIONE DELLA III GIORNATA INTERNAZIONALE
    DELLA FRATELLANZA UMANA E DEL CONFERIMENTO
    DEL PREMIO ZAYED PER LA FRATELLANZA UMANA


    4 febbraio 2023


    Care sorelle e cari fratelli, buongiorno!

    Saluto con affetto e stima il Grande Imam Ahmed Al-Tayyeb con il quale, esattamente quattro anni fa ad Abu Dhabi, ho firmato il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.

    Ringrazio Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Zayed per il suo impegno in favore del cammino della fratellanza; l’Alto Comitato per la Fratellanza Umana per le iniziative promosse in varie parti del mondo; e ringrazio anche l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché, con la risoluzione del dicembre 2020, ha stabilito il 4 febbraio come Giornata Internazionale della Fratellanza Umana. Sono inoltre lieto di associarmi alla lodevole iniziativa dell’assegnazione del Premio Zayed per la Fratellanza Umana 2023.

    Nel condividere sentimenti di fratellanza gli uni per gli altri, siamo chiamati a farci promotori di una cultura di pace che incoraggi il dialogo, la comprensione reciproca, la solidarietà, lo sviluppo sostenibile e l’inclusione. Tutti noi portiamo nel cuore il desiderio di vivere da fratelli, nell’aiuto reciproco e in armonia. Il fatto che spesso questo non si verifichi – e ne abbiamo purtroppo segnali drammatici – dovrebbe stimolare ancor di più la ricerca della fratellanza.

    È vero che le religioni non hanno la forza politica per imporre la pace, ma, trasformando l’uomo dal di dentro, invitandolo a distaccarsi dal male, esse lo orientano verso un atteggiamento di pace. Le religioni hanno pertanto una responsabilità decisiva nella convivenza tra i popoli: il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni di lacerare il tessuto civile e libera dalla strumentalizzazione delle differenze religiose a fini politici. Rilevante è anche il compito delle religioni nel ricordare che il destino dell’uomo va al di là dei beni terreni e si situa in un orizzonte universale, perché ogni persona umana è creatura di Dio, da Dio tutti veniamo e a Dio tutti torniamo.

    Le religioni, per porsi al servizio della fratellanza, hanno bisogno di dialogare fra loro, di conoscersi, di arricchirsi reciprocamente e di approfondire soprattutto ciò che unisce e la collaborazione in vista del bene di tutti.

    Le diverse tradizioni religiose, attingendo ciascuna dal proprio patrimonio spirituale, possono apportare un grande contributo al servizio della fraternità. Se sapremo dimostrare che è possibile vivere la differenza nella fraternità, potremo a poco a poco liberarci dalla paura e dalla diffidenza nei confronti dell’altro diverso da me. Coltivare la diversità e armonizzare le differenze non è un processo semplice, ma è l’unica via in grado di garantire una pace solida e duratura, è un impegno che richiede di rafforzare la nostra capacità di dialogare con gli altri.

    Uomini e donne di diverse religioni camminano verso Dio percorrendo strade che sempre più spesso si intrecciano. Ogni incontro può essere occasione per contrapporsi oppure, con l’aiuto di Dio, per incoraggiarsi a vicenda ad andare avanti come fratelli e sorelle. Condividiamo infatti non solo una comune origine e discendenza, ma anche un destino comune, quello di creature fragili e vulnerabili, come il periodo storico che stiamo vivendo ci mostra in maniera evidente.

    Cari fratelli e care sorelle,

    siamo consapevoli che il percorso della fratellanza e? un cammino lungo e difficile. Ai tanti conflitti, alle ombre di un mondo chiuso, contrapponiamo il segno della fratellanza! Essa ci sollecita ad accogliere l’altro e rispettarne l’identità, ci ispira a operare nella convinzione che è possibile vivere in armonia e in pace.

    Ringrazio tutti coloro che si uniranno al nostro cammino di fratellanza, e li incoraggio a impegnarsi per la causa della pace e per rispondere ai problemi e ai bisogni concreti degli ultimi, dei poveri, degli indifesi, di coloro che hanno bisogno del nostro aiuto.

    E in questa direzione va il Premio Zayed per la Fratellanza Umana. Grazie tante, grazie tante per questa vostra seduta con il premio di quest’anno, del quale sono state insignite la comunità di Sant’Egidio e la Signora Shamsa Abubakar Fadhil. Grazie tante per il vostro lavoro, per la vostra testimonianza.

    E a tutti voi, cari fratelli e sorelle, il mio saluto e la mia benedizione.


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  4. #34
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    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 8 febbraio 2023


    Catechesi. Il viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    La scorsa settimana ho visitato due Paesi africani: la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Ringrazio Dio che mi ha permesso di compiere questo viaggio, da tempo desiderato. Due “sogni”: visitare il popolo congolese, custode di un Paese immenso, polmone verde dell’Africa: insieme all’Amazzonia, sono i due polmoni del mondo. Terra ricca di risorse e insanguinata da una guerra che non finisce mai perché c’è sempre chi alimenta il fuoco. E visitare il popolo sud sudanese, in un pellegrinaggio di pace insieme all’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby e al Moderatore generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields: siamo andati insieme per testimoniare che è possibile e doveroso collaborare nella diversità, specialmente se si condivide la fede in Gesù Cristo.

    I primi tre giorni sono stato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Rinnovo la mia gratitudine al Presidente e alle altre Autorità del Paese per l’accoglienza riservatami. Subito dopo il mio arrivo, presso il Palazzo Presidenziale, ho potuto indirizzare il messaggio alla Nazione: il Congo è come un diamante, per la sua natura, per le sue risorse, soprattutto per la sua gente; ma questo diamante è diventato motivo di contesa, di violenze, e paradossalmente di impoverimento del popolo. È una dinamica che si riscontra anche in altre regioni africane, e che vale in generale per quel continente: continente colonizzato, sfruttato, saccheggiato. Di fronte a tutto questo ho detto due parole: la prima è negativa: “basta!”, basta sfruttare l’Africa! Ho detto altre volte che nell’inconscio collettivo c’è “Africa va sfruttata”: basta di questo! Ho detto quello. La seconda è positiva: insieme, insieme con dignità, tutti insieme, con rispetto reciproco, insieme nel nome di Cristo, nostra speranza, andare avanti. Non sfruttare e andare avanti insieme.

    E nel nome di Cristo ci siamo radunati nella grande Celebrazione eucaristica.

    Sempre a Kinshasa si sono svolti poi i diversi incontri: quello con le vittime della violenza nell’est del Paese, la regione che da anni è lacerata dalla guerra tra gruppi armati manovrati da interessi economici e politici. Non sono potuto andare a Goma. La gente vive nella paura e nell’insicurezza, sacrificata sull’altare di affari illeciti. Ho ascoltato le testimonianze sconvolgenti di alcune vittime, specialmente donne, che hanno deposto ai piedi della Croce armi e altri strumenti di morte. Con loro ho detto “no” alla violenza, “no” alla rassegnazione, “sì” alla riconciliazione e alla speranza. Hanno sofferto tanto e continuano a soffrire.

    Ho incontrato poi i rappresentanti di diverse opere caritative presenti nel Paese, per ringraziarli e incoraggiarli. Il loro lavoro con i poveri e per i poveri non fa rumore, ma giorno dopo giorno fa crescere il bene comune. E soprattutto con la promozione:le iniziative di carità devono essere sempre in primo luogo per la promozione, non solo per l’assistenza ma per la promozione. Assistenza sì, ma promozione.

    Un momento entusiasmante è stato quello con i giovani e i catechisti congolesi nello stadio. È stata come un’immersione nel presente proiettato verso il futuro. Pensiamo alla forza di rinnovamento che può portare quella nuova generazione di cristiani, formati e animati dalla gioia del Vangelo! A loro, ai giovani, ho indicato cinque strade: la preghiera, la comunità, l’onestà, il perdono e il servizio. Ai giovani del Congo ho detto: la vostra strada è questa: preghiera, vita comunitaria, onestà, perdono e servizio. Il Signore ascolti il loro grido che invoca pace e giustizia.

    Poi, nella Cattedrale di Kinshasa ho incontrato i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate e i seminaristi. Sono tanti e sono giovani, perché le vocazioni sono numerose: è una grazia di Dio. Li ho esortati ad essere servitori del popolo come testimoni dell’amore di Cristo, superando tre tentazioni: la mediocrità spirituale, la comodità mondana e la superficialità. Che sono tentazioni – io direi – universali, per i seminaristi e per i preti. Certo, la mediocrità spirituale, quando un prete cade nella mediocrità, è triste; la comodità mondana, cioè la mondanità, che è uno dei peggiori mali che possono accadere alla Chiesa; e la superficialità. Infine, con i Vescovi congolesi ho condiviso la gioia e la fatica del servizio pastorale. Li ho invitati a lasciarsi consolare dalla vicinanza di Dio e ad essere profeti per il popolo, con la forza della Parola di Dio, essere segni di come è il Signore, dell’atteggiamento che ha il Signore con noi: la compassione, la vicinanza e la tenerezza. Sono tre modi di come il Signore fa con noi: si fa vicino – la vicinanza – con compassione e con tenerezza. Questo ho chiesto ai preti e ai vescovi.

    Poi, la seconda parte del Viaggio si è svolta a Giuba, capitale del Sud Sudan, Stato nato nel 2011. Questa visita ha avuto una fisionomia del tutto particolare, espressa dal motto che riprendeva le parole di Gesù: “Prego che siano tutti una cosa sola” (cfr Gv 17,21). Si è trattato infatti di un pellegrinaggio ecumenico di pace, compiuto insieme ai Capi di due Chiese storicamente presenti in quella terra: la Comunione Anglicana e la Chiesa di Scozia. Era il punto di arrivo di un cammino iniziato alcuni anni fa, che ci aveva visti riuniti a Roma nel 2019, con le Autorità sud sudanesi, per assumere l’impegno di superare il conflitto e costruire la pace. Nel 2019 è stato fatto un ritiro spirituale qui, in Curia, di due giorni, con tutti questi politici, con tutta questa gente aspirante ai posti, alcuni nemici tra loro, ma erano tutti nel ritiro. E questo ha dato forza per andare avanti. Purtroppo il processo di riconciliazione non è avanzato tanto, e il neonato Sud Sudan è vittima della vecchia logica del potere, della rivalità, che produce guerra, violenze, profughi e sfollati interni. Ringrazio tanto il signor presidente dell’accoglienza che ci ha dato e di come sta cercando di gestire questa strada niente facile, per dire “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo. E questo è vergognoso: tanti Paesi cosiddetti civilizzati offrono aiuto al Sud Sudan, e l’aiuto consiste in armi, armi, armi per fomentare la guerra. Questo è una vergogna. E sì, andare avanti dicendo “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo. Solo così potrà esserci sviluppo, la gente potrà lavorare in pace, i malati curarsi, i bambini andare a scuola.

    Il carattere ecumenico della visita in Sud Sudan si è manifestato in particolare nel momento di preghiera celebrato insieme con i fratelli Anglicani e quelli della Chiesa di Scozia. Insieme abbiamo ascoltato la Parola di Dio, insieme gli abbiamo rivolto preghiere di lode, di supplica e di intercessione. In una realtà fortemente conflittuale come quella sud sudanese questo segno è fondamentale, e non è scontato, perché purtroppo c’è chi abusa del nome di Dio per giustificare violenze e soprusi.

    Fratelli e sorelle, il Sud Sudan è un Paese di circa 11 milioni di abitanti – piccolino! –, di cui, a causa dei conflitti armati, due milioni sono sfollati interni e altrettanti sono fuggiti in Paesi confinanti. Per questo ho voluto incontrare un grande gruppo di sfollati interni, ascoltarli e far sentire loro la vicinanza della Chiesa. In effetti, le Chiese e le organizzazioni di ispirazione cristiana sono in prima linea accanto a questa povera gente, che da anni vive nei campi per sfollati. In particolare mi sono rivolto alle donne – ci sono brave donne, lì –, che sono la forza che può trasformare il Paese; e ho incoraggiato tutti ad essere semi di un nuovo Sud Sudan, senza violenza, riconciliato e pacificato.

    Poi, nell’incontro con i Pastori e i consacrati di quella Chiesa locale, abbiamo guardato a Mosè come modello di docilità a Dio e di perseveranza nell’intercessione.

    E nella celebrazione eucaristica, ultimo atto della visita in Sud Sudan e anche di tutto il viaggio, mi sono fatto eco del Vangelo incoraggiando i cristiani ad essere “sale e luce” in quella terra tanto tribolata. Dio ripone la sua speranza non nei grandi e nei potenti, ma nei piccoli e negli umili. E questo è il modo di andare di Dio.

    Ringrazio le autorità del Sud Sudan, il signor presidente, gli organizzatori dei viaggi e tutti coloro che hanno messo il loro sforzo, il loro lavoro perché la visita potesse andare bene. Ringrazio i miei fratelli, Justin Welby e Iain Greenshields, per avermi accompagnato in questo viaggio ecumenico.

    Preghiamo perché, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, e in tutta l’Africa, germoglino i semi del suo Regno di amore, di giustizia e di pace.

    ______________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française en particulier les jeunes venus de France, de Belgique et les pèlerins du Cameroun. Frères et sœurs, prions pour que, en République Démocratique du Congo et au Soudan du Sud, puissent s’ouvrir des chemins nouveaux de pardon et de communion, et que des graines d’amour, de justice et de paix puissent germer dans toute l’Afrique. Que Dieu vous bénisse !

    [Saluto cordialmente le persone di lingua francese in particolare i giovani venuti dalla Francia, dal Belgio e i pellegrini del Camerun. Fratelli e sorelle, preghiamo perché nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan possano aprirsi strade nuove di perdono e di comunione, e germoglino in tutta l’Africa semi di amore, di giustizia e di pace. Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims taking part in today’s Audience, especially those from England and the United States of America. I offer a special greeting to the many student groups present. Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente a quelli provenienti da Inghilterra e Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare ai numerosi gruppi di giovani studenti presenti. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore Gesù. Dio vi benedica!]

    Von Herzen grüße ich die Pilger deutscher Sprache. Heute begeht die Kirche den Gedenktag der sudanesischen Heiligen Josefine Bakhita, deren Lebenszeugnis uns mit christlicher Hoffnung erfüllt. Beten wir im Vertrauen auf ihre Fürsprache für unsere Brüder und Schwestern in Afrika um eine gerechte und friedvolle Zukunft.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua tedesca. Oggi la Chiesa celebra la memoria della santa sudanese Giuseppina Bakhita, la cui testimonianza di vita ci riempie di speranza cristiana. Confidando nella sua intercessione, preghiamo per un futuro di giustizia e di pace per i nostri fratelli e sorelle in Africa.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los que han venido de Chile. Encomendemos a las víctimas y a los afectados por los incendios en esta querida nación. Les pido también que recemos por nuestros hermanos y hermanas del continente africano —especialmente por la República Democrática del Congo y Sudán del Sur—, para que Dios los guíe por sendas de amor, de justicia y de paz. Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente os peregrinos de língua portuguesa, com votos de que tragais sempre no coração o amor de Jesus e a oração ao Pai celeste por todos os seus filhos, especialmente por quantos não têm paz. Sobre vós e vossas famílias desça a bênção de Deus!

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese. Vi auguro di portare sempre nel cuore l’amore di Gesù e la preghiera al Padre celeste per tutti i suoi figli, specialmente per quanti non hanno pace. Su di voi e sulle vostre famiglie, scenda la benedizione di Dio!]

    […].

    [Saluto i fedeli di lingua araba. Vi invito ad impegnarvi nella vostra terra, nella vostra patria, nella vostra storia, a non perdere mai la speranza. E ad essere fedeli alla chiamata di Dio: essere il sale della terra e la luce del mondo. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto cordialmente tutti i polacchi. Sabato 11 febbraio, memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, si celebrerà la Giornata Mondiale del Malato. Ricordiamo nella preghiera i nostri cari malati perché siano circondati da affetto e siano assicurate loro le cure sanitarie e l’accompagnamento spirituale. Preghiamo anche per gli operatori sanitari e per tutti quelli che si prendono cura degli infermi. Vi benedico di cuore!]

    ______________________________________

    APPELLO

    Il mio pensiero va, in questo momento, alle popolazioni della Turchia e della Siria duramente colpite dal terremoto, che ha causato migliaia di morti e di feriti. Con commozione prego per loro ed esprimo la mia vicinanza a questi popoli, ai familiari delle vittime e a tutti coloro che soffrono per questa devastante calamità. Ringrazio quanti si stanno impegnando per portare soccorso e incoraggio tutti alla solidarietà con quei territori, in parte già martoriati da una lunga guerra. Preghiamo insieme perché questi nostri fratelli e sorelle
    possano andare avanti, superando questa tragedia, e chiediamo alla Madonna che li protegga: “Ave Maria…”.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto la Delegazione della Fiaccola Benedettina, l’Associazione di Infermieri ospedalieri, l’Istituto Suore Sacramentine di Cesano Maderno, la Banda musicale di Fiano Romano, che già si è fatta sentire durante l’udienza; e poi continuate a suonare…

    Non dimentichiamo la sofferenza del popolo ucraino, così martoriato: con questo freddo, senza luce, senza riscaldamento, e in guerra.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Siamo nella Novena in preparazione alla memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, che ricorrerà sabato prossimo 11 febbraio. Invoco su di voi la protezione della Vergine Immacolata, affinché vi conservi sempre un cuore gioioso e vi sostenga nel cammino della vita.

    A tutti la mia benedizione.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat».
    (Marc. 13, 35).




  5. #35
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE DILETTANTISTICA SPORTIVA IN VATICANO


    Sala del Concistoro
    Giovedì, 9 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio il Presidente per le sue parole e saluto tutti voi, che lavorate in vari ambiti della Curia romana e dello Stato vaticano e siete anche atlete e atleti, membri dell’Associazione Sportiva Dilettantistica “Sport in Vaticano”. In questa occasione ricordiamo il 50° dell’istituzione del campionato di calcio vaticano, organizzato per la prima volta nel 1972. Da quelle prime esperienze, e ancora prima da quel lontano 1521 in cui si giocò la prima partita di calcio fiorentino, nel Cortile del Belvedere, alla presenza di Leone X, si è arrivati all’Associazione attuale, che comprende altre discipline sportive.

    Durante i vari campionati, come quando viaggiate per manifestazioni di solidarietà, voi siete chiamati a testimoniare il vostro legame con la Santa Sede. Per questo vorrei riflettere con voi partendo da quell’immagine che San Paolo utilizza nella Prima Lettera ai Corinzi, là dove dice: «Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre» (9,24-25). Sempre San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, aggiunge: «Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù» (3,12). Questi due brani permettono di leggere il sano agonismo come un’attività che può contribuire alla maturazione dello spirito. In modo particolare tratteggiano tre regole fondamentali per l’atleta: l’allenamento, la disciplina, la motivazione.

    Anzitutto, l’allenamento. Il pensiero va subito alla fatica – allenarsi è fatica –, al sudore, al sacrificio. Alla base di questo c’è la passione per il proprio sport. Una passione gratuita, quella che si chiama “amatoriale”, da amateur, che esprime proprio l’amore per una certa attività. In italiano si dice “dilettante”, che ha assunto un senso a volte riduttivo, ma che deriva da “diletto”, cioè dal piacere con cui si fa un’attività. E se c’è questo atteggiamento la competizione è sana; altrimenti, se prevalgono gli interessi di vario tipo, la competizione si guasta, a volte può addirittura corrompersi. L’amatorialità è decisiva nello sport!

    C’è poi la disciplina, che è un aspetto dell’educazione, della formazione. Un atleta disciplinato non è solo uno che osserva le regole. Certo, questo è importante, dev’esserci. Ma disciplina richiama “discepolo”, cioè uno che vuole imparare, che non si sente “arrivato” e in grado di insegnare a tutti. Il vero sportivo cerca sempre di imparare, di crescere, di migliorarsi. E questo richiede, appunto, disciplina, cioè la capacità di dominare sé stessi, correggere l’impulsività che tutti abbiamo, più o meno. La disciplina poi permette che ognuno possa giocare la sua parte, e che la squadra esprima il meglio dell’insieme.

    Infine, la motivazione. San Paolo scrive: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tm 4,7). È il suggello perfetto dell’adesione alla chiamata, anche per uno sportivo. In una gara, ciò che dà la spinta, che porta a un buon risultato, è la motivazione, cioè una forza interiore. La verifica non si fa sul risultato numerico, ma su come siamo stati fedeli e coerenti alla nostra chiamata. E, parlando di motivazione, vorrei aggiungere una cosa per voi che siete gli sportivi del Vaticano: il vostro modo di fare squadra e di collaborare può essere di esempio per il lavoro nei Dicasteri e tra i Dicasteri della Curia, come pure nelle Direzioni dello Stato Vaticano. Ancora una volta lo sport è metafora della vita.

    Cari amici, vi ringrazio per questa visita e vi esorto ad andare avanti. Di cuore vi benedico, voi e i vostri cari. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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    (Marc. 13, 35).




  6. #36
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLA DELEGAZIONE DI MEDICI E DI AMMALATI,
    IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO


    Sala Clementina
    Giovedì, 9 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio la Dottoressa Edith Aldama per le parole che mi ha rivolto a nome della vostra area di impegno, espressione della pastorale sanitaria della Diocesi di Roma. E ringrazio i Vescovi Paolo Ricciardi e Benoni Ambarus, e tutti coloro che collaborano in questo ambito.

    Ci incontriamo nel contesto della Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno, nell’alveo del percorso sinodale, ha come tema il motto evangelico «Abbi cura di lui» (Lc 10,35). Sono le parole che, nel Vangelo di Luca (cfr Lc 10,25-37), il buon samaritano rivolge all’albergatore, al quale affida l’uomo ferito che lui stesso ha soccorso. Ripensiamo a questa scena: c’è un uomo che è stato aggredito dai briganti e giace sul bordo della strada; l’indifferenza e l’insensibilità dei passanti lo rendono un escluso, uno ignorato. A un certo punto uno si ferma e lo soccorre: è un samaritano. A ben vedere, sia l’uomo aggredito sia il samaritano portano delle ferite: il primo ha quelle prodotte dalla violenza di chi lo ha derubato, il secondo ha quelle inferte dagli occhi sprezzanti di chi in lui vede solo uno straniero indesiderato. Eppure, grazie alla sensibilità di chi soffre per chi soffre, dal loro incontro nasce una storia di solidarietà e di speranza [1] che abbatte i muri dell’isolamento e della paura.

    La vostra opera, cari amici, è nata grazie a questa dinamica: dall’aver saputo trasformare l’esperienza della sofferenza in vicinanza al dolore degli altri, superando la tentazione della chiusura, rialzando il capo, piegando le ginocchia e tendendo le mani. Con voi vorrei dunque sottolineare, alla luce della Parola di Dio, tre atteggiamenti importanti di questo cammino: primo, farsi vicini a chi soffre; secondo, dare voce alle sofferenze inascoltate; terzo, farsi fermento coinvolgente di carità.

    Ricordiamo prima di tutto quanto è importante farsi vicini a chi soffre, offrendo ascolto, amore e accoglienza. Ma per far questo bisogna imparare a vedere, nel dolore del fratello, un “segnale di precedenza”, che in fondo al cuore ci impone di fermarci e non ci permette di andare oltre. Questa è una sensibilità che aumenta quanto più ci lasciamo coinvolgere dall’incontro con chi soffre. E camminare insieme così aiuta tutti noi a cogliere il senso più vero della vita, che è l’amore.

    È importante, poi, dare voce alla sofferenza inascoltata di chi, nella malattia, è lasciato solo, privo di sostegno economico e morale, facilmente esposto alla disperazione e alla perdita della fede, come può accadere a chi è affetto dalla fibromialgia e da dolore cronico. Lanciamo una sfida alle nostre città, a volte deserte di umanità e sorde alla compassione. Sì, tante volte le nostre società sono così. Accogliamo il grido di chi soffre e facciamo in modo che sia ascoltato. Non lasciamolo chiuso in una stanza, e nemmeno permettiamo che diventi semplicemente “notizia”: facciamogli posto dentro di noi e amplifichiamolo col nostro personale e concreto coinvolgimento.

    E veniamo al terzo atteggiamento: farsi fermento di carità vuol dire “fare rete”. In che modo? Semplicemente condividendo uno stile di gratuità e di reciprocità, perché tutti siamo bisognosi e tutti possiamo donare e ricevere qualcosa, anche solo un sorriso. E questo fa crescere attorno a noi una “rete” che non cattura ma libera, una rete fatta di mani che si stringono, di braccia che lavorano insieme, di cuori che si uniscono nella preghiera e nella compassione. Anche in mezzo alle onde più violente, questa rete si allarga ma non si spezza, e permette di trascinare a riva chi rischia di rimanere sommerso e di affogare. E non dimentichiamo che l’esempio di chi prende l’iniziativa aiuta anche altri a trovare il coraggio di lasciarsi coinvolgere, come dimostra la vostra presenza qui: malati, operatori sanitari e appartenenti al mondo dello sport, uniti in un impegno comune per il bene delle persone. Fare rete è operare insieme come membra di un corpo (cfr 1 Cor 12,12-27). La sofferenza di uno diventa sofferenza di tutti, e il contributo di ciascuno è accolto da tutti come una benedizione.

    Cari amici, stare vicino a chi è nel dolore non è facile, voi lo sapete bene. Per questo vi dico: non scoraggiatevi! E se incontrate ostacoli o incomprensioni, guardate negli occhi il fratello, la sorella sofferente e ricordate le parole del buon samaritano: «Abbi cura di lui». In quel volto è Gesù stesso che vi guarda, Lui che ha voluto condividere la nostra debolezza, la nostra fragilità fino a morire per noi e che, risorto, non ci abbandona mai! È in Lui che noi troviamo la forza per non arrenderci, neanche nei momenti più difficili.

    L’ultima parola è per voi, fratelli e sorelle malati. È la vostra sofferenza vissuta con fede, che ci ha riuniti qui oggi, a condividere questo momento importante. Nella fragilità voi siete vicini al cuore di Dio. Capire le fragilità, accarezzare le fragilità, confortare le fragilità: questa è la strada che noi dobbiamo fare. Chiedo per questo, a voi ammalati, la vostra preghiera, perché crescano tra noi la prossimità a chi soffre e l’impegno concreto nella carità, e perché nessun grido di dolore rimanga più inascoltato. Di cuore benedico tutti voi, benedico il vostro lavoro e il vostro impegno pastorale. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

    ______________________________________

    [1] Cfr Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale del Malato 11 febbraio 2023 (10 gennaio 2023).


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
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  7. #37
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    A DIRIGENTI E ATLETI DELLA NAZIONALE DI PENTATHLON


    Sala Clementina
    Venerdì, 10 febbraio 2023


    Cari amici, buongiorno!

    Ringrazio il Presidente per le sue gentili parole e do il mio benvenuto a tutti voi, dirigenti della Federazione Italiana Pentathlon Moderno e atleti della squadra nazionale.

    È la prima volta che incontro una rappresentativa di questo sport, che prevede le prove di scherma, nuoto, equitazione, tiro a segno e corsa. Una disciplina molto antica, che è stata modificata in epoca moderna secondo questa modalità. L’atleta deve dare il meglio di sé in cinque sport molto diversi tra loro, che richiedono doti ed esercizi differenti. Di conseguenza emerge la fisionomia di un atleta poliedrico, versatile, che sviluppa vari aspetti del corpo e della mente.

    Questa caratteristica del pentathlon moltiplica, per così dire, la funzione educativa dello sport. Direi che non è solo una somma, ma una moltiplicazione, perché il pentatleta non è un robot che deve eseguire alla perfezione una serie di prestazioni, è una persona, e dunque l’operazione è molto più complessa. Non si deve aggiungere una cosa all’altra, si deve armonizzare tutto: per questo è complesso. E proprio qui sta la valenza educativa, perché nella vita noi siamo chiamati ad agire così, mettendo in atto diverse dimensioni di noi stessi, a seconda dei contesti, delle relazioni, dei momenti, e così via. Se ad esempio sei un genio matematico ma non sai fare altro, avrai problemi nella vita. E così per ogni cosa: l’eccellenza va bene, ma la qualità della vita non dipende da quella, dipende da una buona media nelle diverse situazioni, cioè da un equilibrio, meglio, da un’armonia delle diverse dimensioni. Anche qui emerge il valore del poliedro, di una personalità poliedrica, che presuppone una forte unità, un centro solido, una grande coerenza e, nello stesso tempo, la capacità di cambiare, di adattarsi, di avere tante fasi, di spostarsi… Una stabilità nella versatilità. E questo è un valore, un valore che segna un po’ la maturità delle persone. Una stabilità nella versatilità: sa muoversi e ha stabilità.

    Cari amici, vi ringrazio perché con questa vostra disciplina sportiva ci date un esempio vivente di tutto questo. Sappiamo tutti che nella vita è molto più difficile che nello sport! Ma lo sport ci può aiutare, ci aiuta, perché ci insegna che con la pazienza, con l’esercizio, con la creatività e la perseveranza si può migliorare, si possono raggiungere traguardi che sembravano impensabili. E questo avviene attraverso una dimensione che sta al di sotto di tutte le altre e le anima tutte, che è la dimensione spirituale. In effetti, la capacità ludica è una dimensione spirituale. Non mi riferisco a quella psicologica, che pure è decisiva, ma proprio a quella spirituale, cioè alla nostra relazione con il senso del vivere, del nostro essere e delle nostre relazioni. E la capacità ludica aiuta questa dimensione spirituale, anzi, si radica in quella per essere matura e forte.

    Al centro dell’essere umano c’è un cuore, non in senso fisico, ma simbolico, un cuore che sa ricevere e dare amore. E so che voi, come Federazione, cercate di impegnarvi in questa dimensione anche con gesti concreti di solidarietà. Vi ringrazio in particolare per l’appoggio che date all’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, sia per la ricerca sia per il sostegno logistico ai bambini e ai loro familiari. Grazie, davvero grazie! Questa è una gara più esigente, ma il premio riempie la vita e dura per sempre.

    Vi auguro i migliori risultati, sia nelle gare sia nel servizio associativo. Benedico di cuore tutti voi e i vostri cari e il vostro lavoro sportivo. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  8. #38
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL FORUM DEI POPOLI INDIGENI


    Sala del Concistoro
    Venerdì, 10 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle!

    Ringrazio per questa visita, nel mezzo dei lavori del Forum dei Popoli Indigeni che state realizzando in questi giorni nella sede del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Fida). Il tema di quest’anno — “Leadership climatica dei popoli indigeni: soluzioni basate sulla comunità per migliorare la resilienza e la biodiversità” — è un’opportunità per riconoscere il ruolo fondamentale che i popoli indigeni svolgono nella protezione dell’ambiente ed evidenziare la loro saggezza nel trovare soluzioni globali alle immense sfide che il cambiamento climatico pone ogni giorno all’umanità.

    Purtroppo stiamo assistendo a una crisi sociale e ambientale senza precedenti. Se vogliamo veramente prenderci cura della nostra casa comune e migliorare il pianeta in cui viviamo, sono imprescindibili cambiamenti profondi negli stili di vita, sono imprescindibili modelli di produzione e di consumo. Dovremmo ascoltare di più i popoli indigeni e imparare dal loro modo di vivere, per capire in modo adeguato che non possiamo continuare a divorare avidamente le risorse naturali, perché «la terra ci è stata affidata perché possa essere per noi madre, la madre terra, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere» (Videomessaggio per l’Incontro di 500 rappresentanti nazionali e internazionali: “Le idee di Expo 2015 – verso la Carta di Milano, 7 febbraio 2015). Pertanto il contributo dei popoli indigeni è fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico. E questo è dimostrato scientificamente.

    Oggi più che mai sono molti quelli che richiedono un processo di riconversione delle strutture di potere consolidate che reggono la società, nella cultura occidentale; essi, al tempo stesso, trasformano le relazioni storiche segnate dal colonialismo, dall’esclusione e dalla discriminazione, dando luogo a un dialogo rinnovato sul modo in cui stiamo costruendo il nostro futuro nel pianeta. Abbiamo urgentemente bisogno di azioni congiunte, frutto di una leale e costante collaborazione, perché la sfida ambientale che stiamo vivendo e le sue radici umane hanno un impatto su ognuno di noi. Un impatto non solo fisico, ma anche psicologico e culturale.

    Perciò chiedo ai Governi di riconoscere i popoli indigeni di tutto il mondo, con le loro culture, lingue, tradizioni, spiritualità, e di rispettare la loro dignità e i loro diritti, con la consapevolezza che la ricchezza della nostra grande famiglia umana consiste proprio nella sua diversità. Su questo torno dopo.

    Ignorare le comunità originarie nella salvaguardia della terra è un grave errore — è il funzionalismo estrattivo — per non dire una grande ingiustizia. Al contrario, valorizzare il loro patrimonio culturale e le loro tecniche ancestrali aiuterà a intraprendere cammini per una migliore gestione ambientale. In tal senso, è encomiabile il lavoro del fida per assistere le comunità indigene in un processo di sviluppo autonomo, grazie soprattutto al Fondo di Sostegno ai Popoli Indigeni, sebbene questi sforzi vadano ancora moltiplicati e accompagnati da un più deciso e lungimirante processo decisionale, in una transizione giusta.

    Desidero soffermarmi su due parole chiave in questo: il buon vivere o il vivere bene, e armonia.

    Il vivere bene non è il “dolce far niente”, la “dolce vita” della borghesia “distillata”, no, no. È il vivere in armonia con la natura, il saper cercare non l’equilibrio, no, più dell’equilibrio, l’armonia, che è superiore all’equilibrio. L’equilibrio può essere funzionale, l’armonia non è mai funzionale, è sovrana in sé stessa.

    Sapersi muovere nell’armonia: è questo che dà la saggezza che noi chiamiamo il buon vivere. L’armonia tra una persona e la sua comunità, l’armonia tra una persona e l’ambiente, l’armonia tra una persona e tutto il creato.

    Le ferite contro questa armonia sono quelle che chiaramente stiamo vedendo che distruggono i popoli: l’estrattivismo, nel caso dell’Amazzonia, per esempio, la deforestazione, o in altri posti l’estrattivismo dell’industria mineraria.

    Allora bisogna sempre cercare l’armonia. Quando i popoli non rispettano il bene del suolo, il bene dell’ambiente, il bene del tempo, il bene della vegetazione o il bene della fauna, questo bene generale, quando non lo rispettano, cadono in atteggiamenti non umani, perché perdono il contatto con, dico la parola, la madre terra. Non in un senso superstizioso, bensì nel senso di quella che ci dà la cultura e ci dà questa armonia.

    Le culture aborigene non ci sono per essere trasformate in una cultura moderna, no. Ci sono per essere rispettate. [Occorre considerare] due cose: primo, lasciare che proseguano nel loro cammino di sviluppo e, secondo, ascoltare i messaggi di saggezza che ci danno. Perché è una saggezza non enciclopedica. È la saggezza del vedere, dell’ascoltare e del toccare la vita quotidiana.

    Continuate a lottare per proclamare questa armonia, perché questa politica funzionalista, questa politica dell’estrattivismo la sta distruggendo. E che tutti possiamo imparare dal ben vivere in questo senso armonioso dei popoli indigeni.

    Vi accompagno con la mia vicinanza, vi accompagno con la mia preghiera. Che Dio vi benedica, che benedica le vostre famiglie, che benedica le vostre comunità, e vi illumini nei lavori che state realizzando, a favore di tutto il creato. E vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me. E se qualcuno non prega, che mi mandi “onde positive”, che qui ce n’è bisogno. Grazie.

    ___________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n. 34, venerdì 10 febbraio 2023, p. 8.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  9. #39
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 12 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel Vangelo della liturgia odierna Gesù dice: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Dare compimento: questa è una parola-chiave per capire Gesù e il suo messaggio. Ma che cosa significa questo “dare compimento”? Per spiegarla, il Signore comincia a dire che cosa non è compimento. La Scrittura dice di “non uccidere”, ma questo per Gesù non basta se poi si feriscono i fratelli con le parole; la Scrittura dice di “non commettere adulterio”, ma ciò non basta se poi si vive un amore sporcato da doppiezze e falsità; la Scrittura dice di “non giurare il falso”, ma non basta fare un solenne giuramento se poi si agisce con ipocrisia (cfr Mt 5,21-37). Così non c’è compimento.

    Per darci un esempio concreto, Gesù si concentra sul “rito dell’offerta”. Facendo un’offerta a Dio si ricambiava la gratuità dei suoi doni. Era un rito molto importante – fare un’offerta per ricambiare simbolicamente, diciamo così, la gratuità dei suoi doni –, tanto importante che era vietato interromperlo se non per motivi gravi. Ma Gesù afferma che si deve interromperlo se un fratello ha qualcosa contro di noi, per andare prima a riconciliarsi con lui (cfr vv. 23-24): solo così il rito è compiuto. Il messaggio è chiaro: Dio ci ama per primo, gratis, facendo il primo passo verso di noi senza che lo meritiamo; e allora noi non possiamo celebrare il suo amore senza fare a nostra volta il primo passo per riconciliarci con chi ci ha ferito. Così c’è compimento agli occhi di Dio, altrimenti l’osservanza esterna, puramente rituale, è inutile, diventa una finzione. In altre parole, Gesù ci fa capire che le norme religiose servono, sono buone, ma sono solo l’inizio: per dare loro compimento è necessario andare oltre la lettera e viverne il senso. I comandamenti che Dio ci ha donato non vanno rinchiusi nelle casseforti asfittiche dell’osservanza formale, se no rimaniamo in una religiosità esteriore e distaccata, servi di un “dio padrone” piuttosto che figli di Dio Padre. Gesù vuole questo: non avere l’idea di servire un Dio padrone, ma il Padre; e per questo è necessario andare oltre la lettera.

    Fratelli e sorelle, questo problema non c’era solo ai tempi di Gesù, c’è anche oggi. A volte, per esempio, si sente dire: “Padre, io non ho ucciso, non ho rubato, non ho fatto male a nessuno…”, come dire: “Sono a posto”. Ecco l’osservanza formale, che si accontenta del minimo indispensabile, mentre Gesù ci invita al massimo possibile. Cioè Dio non ragiona per calcoli e tabelle; Lui ci ama come un innamorato: non al minimo, ma al massimo! Non ci dice: “Ti amo fino a un certo punto”. No, l’amore vero non è mai fino a un certo punto e non si sente mai a posto; l’amore va sempre oltre, non può farne a meno. Il Signore ce lo ha mostrato donandoci la vita sulla croce e perdonando i suoi uccisori (cfr Lc 23,34). E ci ha affidato il comandamento a cui più tiene: che ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amati (cfr Gv 15,12). Questo è l’amore che dà compimento alla Legge, alla fede, alla vera vita!

    Allora, fratelli e sorelle, possiamo chiederci: come vivo io la fede? È una questione di calcoli, di formalismi, oppure una storia d’amore con Dio? Mi accontento soltanto di non fare del male, di tenere a posto “la facciata”, o cerco di crescere nell’amore a Dio e agli altri? E ogni tanto mi verifico sul grande comando di Gesù, mi chiedo se amo il prossimo come Lui ama me? Perché magari siamo inflessibili nel giudicare gli altri e ci scordiamo di essere misericordiosi, com’è Dio con noi.

    Maria, che ha osservato perfettamente la Parola di Dio, ci aiuti a dare compimento alla nostra fede e alla nostra carità.

    ___________________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Continuiamo a stare vicini, con la preghiera e con il sostegno concreto, alle popolazioni terremotate in Siria e Turchia. Stavo vedendo nel programma “A Sua Immagine”, le immagini di questa catastrofe, il dolore di questi popoli che soffrono per il terremoto. Preghiamo per loro, non dimentichiamolo, preghiamo e pensiamo cosa possiamo fare per loro. E non dimentichiamo la martoriata Ucraina: che il Signore apra vie di pace e dia ai responsabili il coraggio di percorrerle.

    Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco e non posso qui non ricordare con preoccupazione il Vescovo di Matagalpa, Mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti. Prego per loro e per tutti quelli che soffrono in quella cara Nazione, e chiedo la vostra preghiera. Domandiamo inoltre al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace, che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo. Preghiamo insieme la Madonna. [Ave Maria]

    Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini italiani e di altri Paesi. Saluto i gruppi provenienti dalla Polonia, dalla Repubblica Ceca e dal Perù. Saluto i cittadini congolesi che sono qui presenti. È bello il vostro Paese, è bello! Pregate per il Paese! Saluto gli studenti di Badajoz (Spagna) e quelli dell’Istituto Gregoriano di Lisbona.

    Saluto i giovani di Amendolara – Cosenza e il gruppo AVIS di Villa Estense – Padova.

    E auguro a tutti voi una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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  10. #40
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLA DELEGAZIONE DELL'UNIVERSITÀ
    SULKHAN-SABA ORBELIANI (TBILISI, GEORGIA)


    Sala del Concistoro
    Lunedì, 13 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, gamarjobat! [buongiorno!]

    Ringrazio Mons. Pasotto per le sue parole – ha iniziato con un adagio malinconico: “Chi avrebbe pensato…”, quella malinconia dei ricordi… Grazie! – e do il benvenuto a tutti voi, professori, studenti e amici dell’Università Sulkhan-Saba Orbeliani, che ha da poco compiuto vent’anni: ghilotsav! [auguri!] È giovane, vent’anni.

    Vi ringrazio per la vostra visita e per quello che fate: offrite un bell’esempio di ricerca culturale appassionata e di cura per quel bene inestimabile che è la crescita formativa dei giovani. L’educazione fa proprio questo: aiuta le giovani generazioni a crescere, scoprendo e coltivando le radici più feconde, così che portino frutti. Ciò ben corrisponde all’identità della Georgia, Paese giovane ma dalla storia antica, terra benedetta dal Cielo di cui conservo felici ricordi. Mi viene in mente il Patriarca Ilia – un grande! Sapete, quando io sono un po’ triste ascolto la sua musica, le sue canzoni, fa bene!, bravo –, uomo di Dio che porto nelle mie preghiere e del quale mi piace ascoltare i pregevoli componimenti musicali. Porto nel cuore gli incontri che abbiamo avuto, specialmente quello nella Cattedrale Patriarcale, quando siamo stati l’uno a fianco dell’altro nel segno della tunica di Cristo; quella tunica che il Vangelo descrive «tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo» (Gv 19,23) e che, secondo la tradizione, simboleggia l’unità della Chiesa, Corpo di Cristo. La vostra Università rappresenta un bell’esempio anche in questo senso per la proficua collaborazione tra cattolici e ortodossi in ambito culturale ed educativo. Non dimentico quel buon vino che mi ha fatto assaggiare il Patriarca Ilia, forte, ma molto buono!

    Ho saputo che nella nobile lingua georgiana il termine educazione, “ganatleba”, è molto interessante: deriva dalla parola luce ed evoca il passaggio dall’oscurità dell’ignoranza alla luminosità della conoscenza. Educare per voi è venire un’altra volta alla luce, è sinonimo di illuminazione. Ciò è significativo, fa pensare a quando si accende una lampada in una stanza buia: non si modifica nulla di quanto c’è, ma cambia l’aspetto di ogni cosa. Così è la conoscenza che acquisite nella vostra Università, la quale si propone di porre al centro la dignità della persona umana. Attraverso lo studio e l’impegno si può dunque giungere, come recitava l’antico oracolo di Delfi, a conoscere sé stessi [traduzione in greco – N.d.R.]. Ed è importante anche per la fede, tanto che un monaco antico scrisse: «Vuoi conoscere Dio? Comincia a conoscere te stesso» (Evagrio Pontico, Sentenze, Roma 2020, 72).

    C’è bisogno di questa benefica illuminazione del conoscere, mentre nel mondo si infittiscono le tenebre dell’odio, che spesso provengono dalla dimenticanza e dall’indifferenza. Sì, sono spesso la dimenticanza e l’indifferenza a far apparire tutto scuro e indistinto, mentre la cultura e l’educazione restituiscono la memoria del passato e fanno luce sul presente. Ciò è indispensabile per la crescita di un giovane, ma anche di una società perché, come diceva un padre della vostra patria, «la caduta del popolo comincia là, dove finisce la memoria del passato» (I. Chavchavadze, Il popolo e la storia, in Iveria, 1888). Al contrario, con l’aiuto di Dio, «tutto è possibile per un uomo istruito» (Id., Lettere di un viaggiatore, Santa Maria di Castellabate 2021, 59). La cultura georgiana invita a tenere accesa la lampada dell’educazione e a tenere aperta la finestra della fede, perché entrambe illuminano le stanze della vita. Non a caso, in georgiano la radice del termine luce compare sia nella parola educazione sia nella parola battesimo, imparentando cultura e fede.

    Cari amici, la storia della Georgia racconta tanti passaggi dall’oscurità alla luce, perché il vostro Paese è sempre riuscito a rialzarsi e risplendere, anche quando, più volte lungo i secoli, ha subito invasioni e dominazioni straniere. E penso a quelle terre che ancora vi sono tolte. Il vostro popolo, gioviale e coraggioso, accogliente e innamorato della vita, ha saputo coltivare, pure nei periodi più bui, un’attitudine positiva proprio grazie alla sua fede e alla sua cultura. In ciò il ruolo della Chiesa cattolica è prezioso. Essa ha consentito feconde aperture culturali di cui ha giovato la storia del Paese. Voi rappresentate la continuità di tale apporto ed è bello che, in modo gioioso e costruttivo, alimentiate il servizio in terra georgiana della comunità cattolica, affinché sia un seme che porta frutto per tutti. Vi invito a continuare questo servizio umile e fraterno; so che, alle diverse facoltà già esistenti, state aggiungendo quella di medicina, che potrà fare tanto bene.

    Questo ruolo di creare spazi e ponti per il bene di un Paese e della sua gente è inscritto nel nome del vostro Istituto, dedicato al grande Sulkhan-Saba Orbeliani, il diplomatico georgiano per eccellenza, persona di notevole cultura e apertura. I georgiani, a partire dai giovani, meritano di avere opportunità sempre più ampie. E al tempo stesso il tipico umanesimo georgiano, nella sua unicità e bellezza, merita di essere apprezzato altrove, con la sua arte, letteratura, musica e con tante altre espressioni rilevanti, che potranno arricchirsi attraverso il confronto rispettoso con altre culture. La luce ci è d’esempio anche in questo: essa non esiste per essere vista, ma per far vedere, per far vedere attorno e di più: così è la cultura, che dischiude gli orizzonti e dilata i confini.

    Vi auguro dunque di essere “luce gentile” per tanti giovani, mentre vi rinnovo la gratitudine per quello che fate. E vi chiedo, per favore, di ricordarmi nelle vostre preghiere. Didi madloba. [Molte grazie].


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat».
    (Marc. 13, 35).




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