Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #41
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLA DELEGAZIONE DELLA FEDERAZIONE ITALIANA MALATTIE RARE (UNIAMO)


    Sala Clementina
    Lunedì, 13 febbraio 2023


    Discorso consegnato del Santo Padre

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio la Presidente per le sue cortesi parole e saluto tutti voi, che fate parte della Federazione Italiana Malattie Rare. Ho avuto modo di salutarvi altre volte dopo l’Angelus, in occasione della Giornata delle Malattie Rare, che ricorre il 28 febbraio. Oggi invece possiamo conoscerci meglio e condividere le vostre speranze e le vostre sofferenze. Condividere, come dice il vostro motto, che si riassume nella parola “Uniamo”. Uniamo le esperienze, uniamo le forze, uniamo le speranze. Questa vostra parola-chiave è fondamentale e merita una riflessione.

    Il primo valore della vostra organizzazione è proprio quello della condivisione. All’inizio è una necessità, poi diventa una scelta. Quando un papà e una mamma scoprono che il bambino ha una malattia rara, hanno bisogno di conoscere altri genitori che hanno vissuto e vivono la stessa esperienza. È una necessità. E poiché la patologia è rara, diventa indispensabile riferirsi a un’associazione che mette insieme persone che ogni giorno hanno a che fare con quella malattia: conoscono i sintomi, le terapie, i centri di cura e così via. All’inizio questa è una strada obbligata, una via d’uscita dall’angoscia di trovarsi da soli e disarmati di fronte al nemico. Piano piano, però, la via della condivisione diventa una scelta, sostenuta da due motivazioni. La prima è il rendersi conto che serve, ci aiuta, ci offre soluzioni, almeno provvisorie, ci permette di orientarci un po’ nella nebbia di questa situazione. E la seconda motivazione viene dal piacere delle relazioni umane, dal bene che ci fa l’amicizia con persone che fino a ieri non conoscevamo nemmeno e che adesso ci confidano le loro esperienze per aiutarci a portare insieme una condizione molto pesante. Questo è il primo grande valore che vedo in voi, nella vostra realtà associativa.

    C’è poi un altro valore, altrettanto importante ma diverso, su un piano sociale e anche politico. È la potenzialità che ha una realtà associativa come la vostra di dare un contributo decisivo al bene comune. In questo caso, di migliorare la qualità del servizio sanitario di un Paese, di una regione, di un territorio. In effetti, la buona politica dipende anche dall’apporto delle associazioni, che, su questioni specifiche, hanno le conoscenze necessarie e l’attenzione verso persone che rischiano di essere trascurate. Ecco il punto decisivo: non si tratta di rivendicare favori per la propria categoria, non è questa la buona politica; ma si tratta di battersi perché nessuno sia escluso dal servizio sanitario, nessuno sia discriminato, nessuno penalizzato. E questo a partire da un’esperienza come la vostra che è fortemente a rischio di emarginazione. Faccio un esempio: realtà come la vostra possono fare pressione perché si superino le barriere nazionali e commerciali per condividere i risultati delle ricerche scientifiche, così da poter raggiungere obiettivi che oggi appaiono molto distanti.

    Certo, è difficile impegnarsi per tutti quando già si fa fatica ad affrontare il proprio problema. Ma proprio qui sta la forza dell’associazione e ancor più della federazione: la capacità di dare voce a tanti che, da soli, non potrebbero farsi sentire, e così rappresentare un bisogno. In questo senso, sarebbe importante coinvolgere e ascoltare i rappresentanti dei pazienti fin dalle prime fasi dei processi decisionali. In effetti, le associazioni non solo chiedono, ma anche danno. Nel relazionarvi con le istituzioni, ai vari livelli, voi non solo chiedete, ma anche date: conoscenze, contatti, e soprattutto persone, persone che possono dare una mano per il bene comune, se operano con spirito di servizio e senso civico.

    Cari amici, vi ringrazio di questa visita, tanto gradita. Vi incoraggio ad andare avanti nel vostro impegno. Chiedo alla Madonna di accompagnare ogni persona e ogni famiglia che affronta una malattia rara. Di cuore benedico voi e tutta la vostra comunità. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!

    ________________________________________

    Durante l’udienza, il Santo Padre ha accolto accanto a sé alcuni bambini, donando loro corone del Rosario, e ha pronunciato queste parole:

    A volte, noi prepariamo le cose da dire, tutte le idee… Ma la realtà parla meglio delle idee. Il vero discorso l’hanno fatto loro, oggi, avvicinandosi con tutta naturalezza, dando il meglio di sé stessi, un sorriso, una curiosità, tendere la mano per prendere il rosario… Non sono *****, nessuno! Sanno farlo bene. E questa è stata la predica oggi, per noi. Per questo ho pensato che continuare a parlare, dopo questa predica vivente, non aveva senso. Darò il testo alla Presidente e così lei poi lo farà conoscere. E dopo la benedizione, saluterò tutti voi. Questo è il testo che volevo dire. Ma la vera predica è stata quella che ci hanno fatto loro, con le loro limitazioni, con le loro malattie, ma ci hanno fatto capire che sempre c’è una possibilità per crescere e per andare avanti.

    E a voi grazie, grazie di questo. Questo è stato il premio per voi, vedere come questi ragazzi sono andati. Grazie a voi.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




  2. #42
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    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    PER IL GEMELLAGGIO DEI SANTUARI DI GUADALUPE


    A Sua Eccellenza Reverendissima
    Mons. Francisco Cerro Chaves
    Arcivescovo di Toledo

    Caro fratello,

    Con grande gioia desidero farti giungere il mio saluto in occasione del gemellaggio dei due santuari dedicati alla Beata Vergine Maria, con il titolo di Nostra Signora di Guadalupe. Ti prego di estenderlo, in primo luogo, a Sua Eminenza il cardinale Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Città del Messico, e, insieme a lui, a tutti i vescovi, sacerdoti, consacrati e fedeli che hanno voluto porsi in questo giorno ai piedi della Santissima Vergine, come un unico Popolo santo di Dio.

    Maria, nostra Madre, è sempre per il suo Popolo vincolo di comunione. Tanto la Scrittura quanto la tradizione apostolica ce la mostrano mentre riunisce gli apostoli e la comunità attorno a Sé, in un clima di preghiera. Così lo esprime san Luca negli Atti degli Apostoli: «Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (1, 14). Questa esperienza fondante della prima comunità cristiana trascende le epoche e i luoghi, e la Madre di Gesù, in modo semplice, continua a chiamarci. Ciò è stato espresso in molte parti del mondo con l’invito a costruire un tempio che fosse una casa con le porte sempre aperte per tutti, una casa di preghiera e di comunione.

    Oggi vi riunisce il dolce Nome di Maria, più precisamente un appellativo millenario che già nella sua radice etimologica ci parla di meticciato, d’incontro con Dio e con gli uomini. Meticciato perché gli studiosi non riescono a mettersi d’accordo se dobbiamo leggere il titolo “Guadalupe” in arabo, in latino o in nahuatl. Ma è curioso che ciò che potrebbe presentarsi come un conflitto possa in realtà leggersi come una “strizzata d’occhio” dello Spirito Santo che fa ascoltare il suo messaggio di amore a ognuno nella propria lingua. Così in arabo la parola potrebbe suonare “fiume occulto”, come lo era quella fonte di acqua viva che Gesù promette alla Samaritana, quella forza della grazia che persino in tempi di rifiuto e d’incomprensione mantiene viva la Chiesa (cfr. Gv 4,10). Come pastori, questa allusione deve essere per noi uno stimolo, cercare sempre nell’altro quel fiume occulto di grazia, quell’Amore di Dio che lo rende un tesoro inestimabile. Tutto cambierebbe se, come la Vergine, potessimo vedere nell’altro quel segreto occulto, quanti fallimenti e conflitti eviteremmo.

    Tuttavia, mescolandosi con il latino, la parola ci parlerebbe di un “fiume di lupi” e, in tal senso, di un’oasi di pace per quanti sono tormentati dai loro stessi peccati, dalla violenza, da tante guerre interne ed esterne che fanno dell’uomo un lupo per l’uomo. È lo stesso fiume occulto della grazia che nel dialogo con Gesù ci mostra la nostra realtà (v. 29), aprendoci alla speranza. Come san Francesco, nel suo famoso incontro con il lupo, la Vergine di nuovo ci esorta a essere fermento di comunione e di riconciliazione tra Dio e gli uomini, incoraggiando tanti fedeli che si avvicinano al santuario a questo fine.

    Infine, combinandosi con la radice messicana, Nostra Signora di Guadalupe si proclama come colei che vince il serpente, con una toccante evocazione del protovangelo della Genesi. L’Immacolata è così la vera madre di tutti coloro che vivono; di quanti sono stati riuniti oggi in questo santuario, insieme ai loro pastori, per proclamare la propria fede nel Figlio di Dio, in Colui che, facendo nuove tutte le cose, ha riconciliato a sé il mondo. Vi incoraggio a far sgorgare dai cuori degli uomini e delle donne del nostro tempo quel fiume di acqua viva che salta fino al cielo, per rendere a Dio un culto in Spirito e Verità (cfr. vv. 14, 23).

    Cari fratelli e sorelle, in ogni momento storico, in ogni cultura, il Vangelo, rimanendo sempre lo stesso, si arricchisce di significato. Lungi dallo scartare, include ogni persona che lo accoglie. Chiediamo a Dio che, in ogni tempo e luogo dove Maria nostra Madre ci chiama, rendiamo testimonianza di questa intima unione di cui soltanto lo Spirito può essere artefice.

    Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca. E, per favore, vi chiedo di pregare per me.

    Fraternamente,

    Roma, san Giovanni in Laterano, 11 febbraio 2023

    Francesco

    ________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n. 36, lunedì 13 febbraio 2023, p. 10.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).
    Ultima modifica di Laudato Si’; 14-02-2023 alle 23:17



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  3. #43
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    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Aula Paolo VI
    Mercoledì, 15 febbraio 2023


    Catechesi. 4. Il primo apostolato

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Proseguiamo le nostre catechesi; il tema che abbiamo scelto è: “La passione di evangelizzare, lo zelo apostolico”. Perché evangelizzare non è dire: “Guarda, blablabla” e niente di più; c’è una passione che ti coinvolge tutto: la mente, il cuore, le mani, andare … tutto, tutta la persona è coinvolta con questo di proclamare il Vangelo, e per questo parliamo di passione di evangelizzare. Dopo aver visto in Gesù il modello e il maestro dell’annuncio, passiamo oggi ai primi discepoli, quello che hanno fatto i discepoli. Il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14), due cose: perché stessero con Lu e mandarli a predicare. C’è un aspetto che sembra contraddittorio: li chiama perché stiano con Lui e perché vadano a predicare. Verrebbe da dire: o l’una o l’altra cosa, o stare o andare. Invece no: per Gesù non c’è andare senza stare e non c’è stare senza andare. Non è facile capire questo, ma è così. Cerchiamo di capire un po’ qual è il senso con cui Gesù dice queste cose.

    Anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì. Non si impara in un’accademia: no! Incomincia dall’incontro con il Signore. Testimoniarlo, infatti, significa irradiarlo; ma, se non riceviamo la sua luce, saremo spenti; se non lo frequentiamo, porteremo noi stessi anziché Lui – mi porto io e non Lui –, e sarà tutto vano. Dunque, può portare il Vangelo di Gesù solo la persona che sta con Lui. Uno che non sta con Lui non può portare il Vangelo. Porterà idee, ma non il Vangelo. Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce. Notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Ricordiamo allora questi due momenti costitutivi per ogni discepolo: stare con Gesù e andare, inviati da Gesù.

    Chiamati a sé i discepoli e prima di inviarli, Cristo rivolge loro un discorso, noto come “discorso missionario” – così si chiama nel Vangelo. Si trova al capitolo 10 del Vangelo di Matteo ed è come la “costituzione” dell’annuncio. Da quel discorso, che vi consiglio di leggere oggi – è una paginetta soltanto del Vangelo –, traggo tre aspetti: perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare.

    Perché annunciare. La motivazione sta in cinque parole di Gesù, che ci farà bene ricordare: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8). Sono cinque parole. Ma perché annunciare? Perché gratuitamente io ho ricevuto e devo dare gratuitamente. L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito: incontrare Gesù, conoscerlo, scoprire di essere amati e salvati. È un dono così grande che non possiamo tenerlo per noi, sentiamo il bisogno di diffonderlo; però nello stesso stile, cioè nella gratuità. In altre parole: abbiamo un dono, perciò siamo chiamati a farci dono; abbiamo ricevuto un dono e la nostra vocazione è noi farci dono per gli altri; c’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno! Questo è il perché dell’annuncio. Andare e portare la gioia di quello che noi abbiamo ricevuto.

    Secondo: che cosa, dunque, annunciare? Gesù dice: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (v. 7). Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. Ma, non dimenticatevi mai di questo: Dio sempre è stato vicino al popolo, Lui stesso lo disse al popolo. Disse così: “Guardate, quale Dio è vicino alle Nazioni come io sono vicino a voi?”. La vicinanza è una delle cose più importanti di Dio. Sono tre cose importanti: vicinanza, misericordia e tenerezza. Non dimenticare quello. Chi è Dio? Il Vicino, il Tenero, il Misericordioso. Questa è la realtà di Dio. Noi, predicando, spesso invitiamo la gente a fare qualcosa, e questo va bene; ma non scordiamoci che il messaggio principale è che Lui è vicino: vicinanza, misericordia e tenerezza. Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, noi vogliamo essere protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare. Ma, se al primo posto sta quello che facciamo, i protagonisti saremo ancora noi. Invece l’annuncio deve dare il primato a Dio: dare il primato a Dio, al primo posto Dio, e dare agli altri l’opportunità di accoglierlo, di accorgersi che Lui è vicino. E io, dietro.

    Terzo punto: come annunciare. È l’aspetto sul quale Gesù si dilunga maggiormente: come annunciare, qual è il metodo, quale dev’essere il linguaggio per annunciare; è significativo: ci dice che il modo, lo stile è essenziale nella testimonianza. La testimonianza non coinvolge soltanto la mente e dire qualche cosa, i concetti: no. Coinvolge tutto, mente, cuore, mani, tutto, i tre linguaggi della persona: il linguaggio del pensiero, il linguaggio dell’affetto e il linguaggio dell’opera. I tre linguaggi. Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. E, nello stile, l’importante è la testimonianza, come ci vuole Gesù. Dice così: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (v. 16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci: no. Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà e vinceremo i lupi: no, non è così. No, vi mando come pecore, come agnelli – questo è l’importante. Se tu non vuoi essere pecora, non ti difenderà il Signore dai lupi. Arrangiati come puoi. Ma se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà dai lupi. Essere umili. Ci chiede di essere così, di essere miti e con la voglia di essere innocenti, essere disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione, tenerezza. E Lui, il Pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati. Un Padre della Chiesa scriveva: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli» (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo). Se io voglio essere del Signore, devo lasciare che Lui sia il mio pastore e Lui non è pastore di lupi, è pastore di agnelli, miti, umili, carini con il Signore.

    Sempre sul come annunciare, colpisce che Gesù, anziché prescrivere cosa portare in missione, dice cosa non portare. Alle volte, uno vede qualche apostolo, qualche persona che trasloca, qualche cristiano che dice che è apostolo e ha dato la vita al Signore, e si porta tanti bagagli: ma questo non è del Signore, il Signore ti fa leggero di equipaggio e dice cosa non portare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (vv. 9-10). Non portare niente. Dice di non appoggiarsi sulle certezze materiali, di andare nel mondo senza mondanità. Questo è quello da dire: io vado al mondo non con lo stile del mondo, non con i valori del mondo, non con la mondanità – che per la Chiesa, cadere nella mondanità è il peggio che possa accadere. Vado con semplicità. Ecco come si annuncia: mostrando Gesù più che parlando di Gesù. E come mostriamo Gesù? Con la nostra testimonianza. E, infine, andando insieme, in comunità: il Signore invia tutti i discepoli, ma nessuno va da solo. La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque: andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, e andare insieme. Qui sta la chiave dell’annuncio, questa è la chiave del successo dell’evangelizzazione. Accogliamo questi inviti di Gesù: le sue parole siano il nostro punto di riferimento.

    __________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les membres de la Diaconie de la Beauté accompagnés par Mgr Le Gall et les élèves du Collège St Michel des Batignolles. Puissions-nous nous souvenir toujours de ces deux moments indispensables à tout disciple : être avec le Christ et aller l’annoncer en le laissant être le protagoniste de l’annonce ! Dieu vous bénisse, vous et tous ceux qui vous sont proches!

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i membri della “Diaconia della Bellezza” accompagnati dal Vescovo Monsignor Le Gall, e gli studenti della Scuola San Michele di Batignolles. Ricordiamo sempre questi due momenti indispensabili per ogni discepolo: stare con Cristo e andare ad annunciarLo, lasciando che sia Lui il protagonista dell'annuncio! Dio benedica voi e tutti coloro che vi sono vicini!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims taking part in today’s Audience, especially those from England, Vietnam and the United States of America. Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Vietnam e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

    Liebe Pilger deutscher Sprache, ich grüße euch und wünsche euch von Herzen eine immer tiefere Erfahrung der Nähe und Gegenwart des Herrn. Möge Gottes Heil durch das, was ihr in seinem Namen tut, sichtbar werden. Gott begleite und beschütze euch auf eurem Weg!

    [Cari pellegrini di lingua tedesca, vi saluto cordialmente e vi auguro di sperimentare sempre più la vicinanza e la presenza del Signore. Possa tutto ciò che fate nel Suo nome rendere manifesta la salvezza di Dio. Egli vi accompagni e vi protegga sul vostro cammino!]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Los animo a leer con frecuencia el Evangelio y a confrontar nuestra vida y nuestros apostolados con las palabras de Jesús, que nos muestran el camino para ser discípulos y misioneros a la medida de su Corazón. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

    Dirijo uma cordial saudação de boas-vindas aos peregrinos de língua portuguesa, especialmente ao grupo de Vila do Conde! Jesus nos convida a proclamar a todos que Deus nos ama e está próximo de nós. Nunca estamos sozinhos nesta missão. Que Deus vos abençoe e vos proteja de todo o mal!

    [Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua portoghese, in modo speciale al gruppo di Vila do Conde. Gesù ci invita a proclamare a tutti che Dio ci ama e ci è vicino. Non ci troviamo mai da soli in questa missione. Dio vi benedica e vi protegga da ogni male!]

    […].

    [Saluto i fedeli di lingua araba. La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque, siamo chiamati ad andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, insieme. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto cordialmente i Polacchi. Sono tanti! Di fronte al disinteresse spirituale e alla mancanza di fede, vi invito a proclamare con coraggio Gesù e a condividerlo con le persone che non hanno alcuna esperienza di incontro con Dio, con il Dio vivente. Non abbiate paura dei vostri limiti in questo cammino, perché l'esempio degli Apostoli ci insegna che l'esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Vi benedico di cuore!]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono tanti! In particolare, saluto i Padri Stimmatini e le Piccole Suore della Divina Provvidenza che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: vi incoraggio ad essere ovunque missionari di unità, fondando la vita e l’apostolato sulla Parola di Dio. Accolgo con gioia voi, diaconi dell’Arcidiocesi di Milano, che sarete ordinati sacerdoti tra qualche mese, ed auguro che la visita a Roma rinnovi in voi l’entusiasmo di una generosa risposta alla chiamata del Signore. Saluto, inoltre, l’Orchestra giovanile di Carpi - vogliamo sentirla! - e l’Aeronautica Militare di Grazzanise e Licola.

    Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Ispirandomi ai Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi e compatroni d’Europa, dei quali ieri abbiamo celebrato la festa liturgica, vi invito a testimoniare ogni giorno il Vangelo, diffondendo attorno a voi il profumo della carità di Cristo, che conquista i cuori al bene.

    E, fratelli e sorelle, non dimentichiamo la cara e martoriata popolazione Ucraina, pregando affinché possano finire presto le sue crudeli sofferenze. A tutti la mia benedizione.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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    Mar. 13, 35).




  4. #44
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    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLA DELEGAZIONE DELL'ALLEANZA BIBLICA MONDIALE


    Giovedì, 16 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle!

    Ringrazio per il saluto il Rev.do Dirk Gevers, Segretario generale dell’Alleanza Biblica Universale. Rivolgo il mio benvenuto a tutti voi e al Cardinale Koch che vi accompagna. «La grazia del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù» (1 Cor 16, 24).

    Il libro degli Atti degli Apostoli narra la diffusione della Parola di Dio dopo l’evento pasquale. Dopo la Pentecoste, con la forza e la guida dello Spirito Santo, gli Apostoli diffondono il kerygma, spiegano il significato delle Scritture alla luce del mistero di Gesù Cristo e mettono in guardia da coloro che la utilizzano con cattive disposizioni o per interessi meschini.

    Le vicissitudini della Chiesa nascente sono simili a quelle dei nostri giorni. La Parola viene proclamata, ascoltata e vissuta in circostanze favorevoli e sfavorevoli, per vie diverse e con espressioni diverse, affrontando gravi difficoltà e persecuzioni, in un mondo spesso sordo alla voce di Dio.

    La Chiesa nascente vive della Parola, la proclama e, perseguitata, fugge con essa come suo unico bagaglio. Così, le persecuzioni diventano occasioni per diffondere la Parola, mai per dimenticarla. Il caso del diacono Filippo è emblematico: la persecuzione lo spinge ad andare in Samaria e, arrivato là, non parla del suo dolore, ma predica Cristo e guarisce i malati, «e vi fu grande gioia in quella città» (At 8,8).

    Penso a tanti cristiani che, nel nostro tempo, sono costretti a fuggire dalla loro terra. Uomini e donne che, come i primi credenti, fuggono portando con sé la Parola ricevuta. Custodiscono la loro fede come il tesoro che dà senso alle circostanze dure, a volte terribili che devono affrontare: abbracciando la croce di Cristo venerano la Parola di Dio che «dura per sempre» (Is 40,8; cfr 1 Pt 1,23-25).

    Ma il libro degli Atti ci mette anche in guardia. Filippo, nella sua missione, si confronta anche con l’incapacità di comprendere e ricevere la Parola di Dio di due suoi interlocutori. In circostanze molto diverse, ambedue hanno accesso alla Parola, ma Simone il Mago è così pieno di sé che si preclude la possibilità di ricevere il dono di Dio; l’Etiope, invece, è assetato di Dio e non solo comprende la Parola attraverso il ministero di Filippo, ma gli chiede il Battesimo, lo riceve, e prosegue il suo viaggio da cristiano e – dice il testo – «pieno di gioia» (At 8,39).

    Cari fratelli e sorelle, la “corsa” della Parola di Dio prosegue anche oggi, e voi, con la vostra attività, vi ponete al suo servizio. La diffusione della Bibbia attraverso la pubblicazione di testi in varie lingue e la loro distribuzione nei diversi continenti è un’opera encomiabile. I dati che pubblicate sono significativi; e mi rallegra sapere che questo compito dell’Alleanza Biblica viene svolto sempre di più in collaborazione con molti cattolici in molti Paesi.

    Chiedo allo Spirito Santo di guidare e sostenere sempre il vostro servizio. Lui, infatti, è capace di rivelare le profondità di Dio, in modo tale che quanti si accostano al testo sacro «giungano all’obbedienza della fede» (Rm 16,26), all’incontro con Dio, per mezzo di Gesù Cristo (cfr v. 27).

    Vi ringrazio per questa visita e invoco di cuore su di voi e sul vostro lavoro la benedizione del Signore. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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    Mar. 13, 35).




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    AI RESPONSABILI DEL SERVIZIO PER LA PROMOZIONE
    DEL SOSTEGNO ECONOMICO
    ALLA CHIESA CATTOLICA,
    DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA


    Sala Clementina
    Giovedì, 16 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio il Cardinale Zuppi per le sue cortesi parole e saluto tutti voi, che partecipate al Convegno nazionale sul tema «Avevano ogni cosa in comune» (At 2,44). Il Sovvenire nel Cammino sinodale. Giungendo dai diversi territori d’Italia, portate la ricchezza delle vostre Chiese e la responsabilità di un servizio che trova le sue radici nella prima comunità cristiana. Descrivendola, infatti, il libro degli Atti degli Apostoli dice che i credenti avevano «un cuore solo e un’anima sola» (4,32). La fede in Cristo si traduce nella vita e in scelte concrete, come la comunione dei beni, le donazioni dei propri possedimenti e la distribuzione del ricavato da parte degli Apostoli a favore dei più bisognosi (cfr At 4,34-35). La comunità apostolica incomincia a trasformare il mondo a partire dal nuovo stile di vita improntato al Vangelo. Tutti partecipano, in base ai propri talenti e anche con i propri averi, a questa “rivoluzione evangelica”, che rende visibile a tutti l’amore insegnato e donato da Gesù.

    Da allora, le condizioni storiche dell’umanità sono molto cambiate, ma questa dinamica, grazie a Dio, è ancora presente, anche incisiva nella vita della Chiesa e, attraverso di essa, nella società. Essa ha ispirato l’attuale sistema di sostegno economico alla Chiesa in Italia, che voi chiamate Sovvenire e che si può riassumere in due parole: corresponsabilità e partecipazione. Anche in questo tratto di storia nazionale, dalla revisione del Concordato fino a oggi, parecchie cose sono mutate. Eppure, queste due parole – corresponsabilità e partecipazione – mantengono tutta la loro forza e la loro attualità, e anzi aiutano a costruire una Chiesa più solidale e più unita. Corresponsabilità e partecipazione.

    Essere membra del Corpo di Cristo ci lega indissolubilmente al Signore e, nello stesso tempo, gli uni agli altri. Ecco, allora, la corresponsabilità. Nella Chiesa nessuno dev’essere solo spettatore o, peggio ancora, ai margini; ciascuno deve sentirsi parte attiva di un’unica grande famiglia. La corresponsabilità è il contrario dell’indifferenza, come pure del “si salvi chi può”; è l’antidoto contro ogni forma di discriminazione, contro la tendenza a voler primeggiare a tutti i costi, a guardare solo a sé stessi e non a chi ci sta accanto. I cristiani si sorreggono a vicenda, chi è più forte sostiene chi è più debole (cfr Rm 15,1) - almeno dovrebbe essere così - : questo significa amare, essere comunità e condividere ciò che si ha, anche i beni materiali e il denaro, perché a nessuno manchi il giusto sostentamento. Di passaggio ho detto la parola “indifferenza”. Credo che questa è la malattia più brutta che possiamo avere: diventare indifferenti, asettici rispetto ai problemi degli altri, come quei due “ecclesiastici” che sono passati davanti al povero uomo che era stato ferito dai ladri. L’indifferenza: guardare ma non vedere e non voler vedere.

    La corresponsabilità implica, dunque, la partecipazione, cioè il coinvolgimento. Come ho detto in altre occasioni, non si può “balconear”, cioè stare alla finestra a vedere la vita che passa. Bisogna prendere l’iniziativa, bisogna rischiare, camminare, incontrare. Solo così possiamo far crescere comunità con il volto di madre e uno stile di fraternità effettiva, dove tutti hanno «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32) e fra loro tutto è comune. Il Sovvenire è un modo concreto di esprimere la partecipazione, di rendere presente quel vincolo di amore che ci lega gli uni agli altri. Nella rivelazione di Gesù non esistono cristiani di “serie A” e di “serie B”, tutti siamo figli dell’unico Padre, fratelli e sorelle. Il processo sinodale sta facendo emergere questa presa di coscienza diffusa e, nello stesso tempo, necessaria: cioè l’esigenza, di mettere da parte certi modelli sbagliati che tendono a dividere le nostre comunità. Guardiamo alla Chiesa delle origini: si evangelizza insieme e con gioia! Solo insieme, nell’armonia delle diversità, si può testimoniare la bellezza dell’amore che libera, che si dona, che permette di uscire dalle dinamiche negative dell’egoismo, dei conflitti, delle contrapposizioni.

    Per questo, vorrei aggiungere una terza parola: comunione. La corresponsabilità e la partecipazione edificano e sostengono la comunione; a sua volta, questa motiva e spinge a partecipare e ad essere corresponsabili. Lo state sperimentando in questi primi due anni di Cammino sinodale dedicati all’ascolto. Teniamo sempre presente la parola del Signore: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35): è il tempo della testimonianza, e di far fruttare i doni ricevuti. Fratelli e sorelle, nel vostro servizio quotidiano, potete porvi questo interrogativo: siamo segno concreto di unione e di amore? Se manca la comunione, viene meno la motivazione e si alimenta la burocrazia.

    Corresponsabilità, partecipazione e comunione. Sono i vostri pilastri, e richiamano le parole-chiave del Sinodo: comunione, partecipazione, missione. Non è un caso. In più, nel tema sinodale, c’è il termine “missione”, a ricordarci che tutto nella Chiesa è per la missione; anche il vostro servizio, anche il Sovvenire, è per sostenere comunità missionarie. E questo, devo dire, si vede nelle vostre campagne: fate trasparire la realtà di una Chiesa “estroversa”, che cerca di assomigliare al modello evangelico del buon samaritano.

    Cari amici, vi ringrazio per il vostro servizio. Vi affido a San Giuseppe, che ha sostenuto con fede e con premura la vita della Santa Famiglia. Buon lavoro per il vostro Convegno. Di cuore benedico voi, benedico i vostri cari, benedico il vostro lavoro. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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  6. #46
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
    DEI CHIERICI MARIANI DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE
    DELLA BEATA VERGINE MARIA


    Sala del Concistoro
    Venerdì, 17 febbraio 2023


    Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio per le sue gentili parole il Superiore Generale e saluto tutti voi. Celebrate questo Capitolo Generale ancora nel contesto del 350° anniversario della fondazione del vostro Istituto, avvenuta a Cracovia nel dicembre 1670, per opera di San Stanislao di Gesù e Maria. Sappiamo che non fu un inizio facile, sia per la ricerca di compagni adatti sia per il lungo iter di approvazione, ma San Stanislao non si arrese, confidando nella forza dello Spirito Santo. E proprio per fare tesoro dell’eredità che con la sua tenacia vi ha lasciato, vorrei ricordare con voi tre grandi linee della sua e vostra spiritualità, tutte segnate da una vivace dinamicità ascetica e pastorale: l’amore alla Vergine Maria, la preghiera di suffragio e l’attenzione ai poveri.

    In primo luogo, l’amore a Maria. È interessante vedere quello che San Stanislao insegna circa la devozione mariana: dice che il principale culto a Maria Immacolata è l’imitazione della sua vita evangelica. Questo è importante, perché la vera devozione alla Madre del Signore si nutre e cresce con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio: Maria è la Donna del Vangelo (cfr Mt 12,46-50).

    Secondo aspetto: la preghiera di suffragio, che caratterizza la dimensione escatologica della vostra congregazione. San Stanislao, però, inserisce in questo sguardo sull’orizzonte ultimo la preghiera particolare per due grandi gruppi di poveri del suo tempo: i soldati caduti in battaglia e i morti di peste. Oggi ci vuole per i soldati: stanno cadendo dappertutto! Pensiamo che nel diciassettesimo secolo circa il 60% della popolazione europea fu sterminata dalle epidemie e dalle guerre! Bisognava pregare allora per le anime dei defunti e per il conforto delle famiglie e delle comunità, segnate dal dolore e dal lutto per la perdita dei loro cari (cfr Gv 11,35-36).

    E il terzo tratto che vorrei rimarcare è l’attenzione ai poveri, in particolare a supporto dei parroci. I Chierici Mariani contribuivano così a rispondere ad alcuni seri problemi del tempo: l’affievolimento della fede, specialmente tra le classi più umili, la carenza di vocazioni sacerdotali e religiose, lo stato di miseria di gran parte della popolazione (cfr Mt 9,35-38).

    Cari fratelli, San Stanislao ha tracciato per la vostra congregazione linee di spiritualità e di azione ben incarnate nella storia concreta degli uomini e delle donne del suo tempo. Ed è importante per voi “raccoglierne il testimone”, continuando a rispondere creativamente alle sfide che anche la nostra epoca presenta. Non scoraggiatevi se incontrate opposizioni o difficoltà. Pensate alle grandi prove che ha affrontato la vostra famiglia religiosa nei secoli, ad esempio quanto all’inizio del novecento si è ridotta ad un solo membro! Con l’aiuto di Dio vi siete ripresi, fino a trovarvi oggi ad essere circa cinquecento religiosi, presenti in diciannove Paesi del mondo. Ricordiamo, in questo contesto, la figura del Beato Giorgio Matulaitis (1871-1927), chierico mariano, sacerdote, vescovo e Nunzio Apostolico in Lituania, uno dei protagonisti della vostra rinascita. Egli seppe ridare vitalità alla comunità aggiornandone le Costituzioni e promuovendone l’opera senza paura, fino a dover agire in clandestinità e a rischiare l’arresto, senza mai rinunciare a promuovere tra i religiosi e tra i fedeli la carità e l’unità.

    Vi incoraggio a tenere viva la fedeltà alle vostre origini in questa attenzione profetica all’oggi. Lo avete fatto in tempi recenti ponendo tra le vostre priorità pastorali l’apertura ai laici, la tutela della vita dal concepimento alla morte, l’attenzione agli ultimi e il sostegno alle famiglie in difficoltà; questo è molto importante: oggi la famiglia è sempre in pericolo… Sono scelte che trovano riscontro ad esempio nel centro di naprotecnologia e di aiuto alla famiglia che avete attivato presso il Santuario di Liche?, in Polonia; e nelle nuove aree di missione a cui vi siete aperti in Asia e in Africa. Il Signore vi aiuti ad andare avanti su queste strade.

    E vorrei concludere il nostro incontro di oggi riprendendo tre titoli mariani con cui San Giovanni Paolo II vi invitava a venerare l’Immacolata. Maria “Sede della Sapienza”, perché sia ferma e solida la vostra testimonianza evangelica; Maria “Consolatrice degli afflitti”, perché gli uomini del nostro tempo trovino in voi amore e comprensione, e siano attratti a Dio dalla vostra carità e dal vostro servizio disinteressato; e, terzo, Maria “Madre di Misericordia”, perché siate ricchi di compassione materna per le anime redente dal sangue di Cristo e a voi affidate. [1] E su questo, per favore, non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, misericordia e tenerezza. Dio è così: è vicino, è misericordioso, è tenero. Questo è il nostro Dio. Un religioso, un prete, dev’essere vicino, dev’essere misericordioso, perdonare tutto, ed essere tenero, non aggressivo, paziente e caritatevole tutti i giorni. Di cuore benedico voi e tutti i confratelli. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

    _______________________________________

    [1] Cfr S. Giovanni Paolo II, Discorso al Capitolo Generale dei Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria, 22 giugno 1993.


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  7. #47
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    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    A UN GRUPPO DI IMPRENDITORI DAL MESSICO


    Sala Clementina
    Venerdì, 17 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle,

    Vi saluto e ringrazio il signor Eduardo Pisa, delegato dell’Arcidiocesi di Città del Messico per l’amministrazione dei beni ecclesiastici, per le parole che mi ha rivolto. Mi fa molto piacere potervi incontrare e ripeto la frase che si dice in Messico: “mi casa es tu casa”. Infatti, per tutti i cattolici, anche il Vaticano è come la loro casa; è un luogo in cui i figli della Chiesa possono incontrarsi e lodare Dio in famiglia.

    È molto triste quello che stiamo sperimentando, come le guerre portano distruzione in tutta la famiglia umana, provocando sofferenza e povertà. E questo ci fa perdere il senso dell’essere famiglia, del rispettarci e tollerarci anche con le nostre differenze e difficoltà. La lotta sta al primo posto, e dimentichiamo che in una famiglia le cose si sistemano con pazienza, con amore, dialogando, condividendo i punti di vista e i bisogni di ognuno, per aiutarci reciprocamente. La cultura del nostro tempo è infestata dall’individualismo e dalla chiusura. E pian piano stiamo vedendo le conseguenze delle nostre coscienze addormentate dalla comodità, che porta a perdere di vista quanti stanno soffrendo o sono scartati. E senza volerlo, stiamo acquisendo questo movimento del concentrarci su noi stessi, il famoso “io”, “me”, “mio”, “con me”, “per me”. È un’abitudine che inconsciamente ci può afferrare tutti. Attenzione!

    Qualche mese fa ho detto a un gruppo di imprenditori spagnoli che l’imprenditore cattolico, per poter essere segno della presenza di Dio nel mondo dell’economia e del lavoro, deve prendersi cura del rapporto con il Signore. Il capitale più importante che possiamo avere è il capitale spirituale. Quando il Signore tocca i nostri cuori, ampliamo il nostro sguardo e siamo capaci di vedere quanti sono nel bisogno, di prenderci cura del creato: siamo capaci di mettere al primo posto il bene comune, il “noi” proprio di una famiglia, per mettere da parte la logica mondana dell’“io”, del successo, del dominio, del denaro, escludendo gli altri. Ognuno di noi è chiamato a contribuire affinché la società abbia sempre più artigiani di pace e di una cultura dell’incontro; e affinché nella Chiesa si moltiplichino i costruttori di una comunità in cui tutti, senza eccezioni, si sentano ben accolti e amati dal Signore.

    E a proposito del prendersi cura del rapporto con Dio, sappiamo che per farlo è necessario che ci siano buoni sacerdoti, poiché sono i pastori del popolo di Dio. Sono contento di vedere che voi amate la Chiesa e vi preoccupate dei suoi ministri. È un diritto dei fedeli avere sacerdoti ben formati, che alimentino con gioia la comunità dei credenti con la Parola e l’Eucaristia; e rendano anche testimonianza di una vita dedita agli altri. Vi incoraggio pertanto a pregare per i sacerdoti, e a rendere grazie a Dio per i carismi con cui arricchiscono tutta la famiglia ecclesiale e a intercedere per essi nelle tante fatiche che hanno. E allo stesso modo vi invito a stare loro vicini e ad aiutarli affinché possano incentrare le proprie energie e la propria creatività sull’esercizio della pastorale.

    Vorrei concludere affidandovi alla protezione di Nostra Signora di Guadalupe. Prendetevene cura così com’è: semplice, negrita, e non lasciate che nessuno la ideologizzi. Così com’è. Lei chiese che le si edificasse una casa in cui tutti i suoi figli potessero renderle visita per depositarvi i loro dolori e le loro speranze. Perciò la Basilica di Guadalupe è immagine della Chiesa, che accoglie tutti i suoi figli. Che Lei si prenda cura di voi, delle vostre famiglie e vi incoraggi e accompagni nei vostri progetti di bene. Che Dio vi benedica. E, per favore, vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me.

    ___________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n. 40, venerdì 17 febbraio 2023, p. 8.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



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  8. #48
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 19 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Le parole che Gesù ci rivolge nel Vangelo di questa domenica sono esigenti e sembrano paradossali: Egli ci invita a porgere l’altra guancia e ad amare perfino i nemici (cfr Mt 5,38-48). È normale per noi amare quelli che ci amano ed essere amici di chi ci è amico; eppure, Gesù ci provoca dicendo: se agite in questo modo, «che cosa fate di straordinario?» (v. 47). Che cosa fate di straordinario? Ecco il punto su cui vorrei attirare oggi la vostra attenzione, su questo cosa fate di straordinario.

    “Straordinario” è ciò che va oltre i limiti del consueto, che supera le prassi abituali e i calcoli normali dettati dalla prudenza. In genere, noi cerchiamo invece di avere tutto abbastanza in ordine e sotto controllo, in modo che corrisponda alle nostre aspettative, alla nostra misura: temendo di non ricevere il contraccambio o di esporci troppo e poi restare delusi, preferiamo amare soltanto chi ci ama per evitare le delusioni, fare del bene solo a chi è buono con noi, essere generosi solo con chi può restituirci un favore; e a chi ci tratta male rispondiamo con la stessa moneta, così siamo in equilibrio. Ma il Signore ci ammonisce: questo non basta! Noi diremmo: questo non è cristiano! Se restiamo nell’ordinario, nel bilanciamento tra dare e ricevere, le cose non cambiano. Se Dio dovesse seguire questa logica, non avremmo speranza di salvezza! Ma, per nostra fortuna, l’amore di Dio è sempre “straordinario”, va oltre, va oltre i criteri abituali con cui noi umani viviamo le nostre relazioni.

    Le parole di Gesù, allora, ci sfidano. Mentre noi tentiamo di restare nell’ordinario dei ragionamenti utilitari, Lui ci chiede di aprirci allo straordinario, allo straordinario di un amore gratuito; mentre noi tentiamo sempre di pareggiare i conti, Cristo ci stimola a vivere lo sbilanciamento dell’amore. Gesù non è un bravo ragioniere: no! Sempre conduce allo sbilanciamento dell’amore. Non meravigliamoci di questo. Se Dio non si fosse sbilanciato, noi non saremmo mai stati salvati: è stato lo sbilanciamento della croce che ci ha salvati! Gesù non sarebbe venuto a cercarci mentre eravamo perduti e lontani, non ci avrebbe amato fino alla fine, non avrebbe abbracciato la croce per noi, che non meritavamo tutto questo e non potevamo dargli nulla in cambio. Come scrive l’Apostolo Paolo, «a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,7-8). Ecco, Dio ci ama mentre siamo peccatori, non perché siamo buoni o in grado di restituirgli qualcosa. Fratelli e sorelle, l’amore di Dio è un amore sempre in eccesso, sempre oltre i calcoli, sempre sproporzionato. E oggi chiede anche a noi di vivere in questo modo, perché solo così lo testimonieremo davvero.

    Fratelli e sorelle, il Signore ci propone di uscire dalla logica del tornaconto e di non misurare l’amore sulla bilancia dei calcoli e delle convenienze. Ci invita a non rispondere al male con il male, a osare nel bene, a rischiare nel dono, anche se riceveremo poco o nulla in cambio. Perché è questo amore che lentamente trasforma i conflitti, accorcia le distanze, supera le inimicizie e guarisce le ferite dell’odio. Allora possiamo chiederci, ognuno di noi: io, nella mia vita, seguo la logica del tornaconto o quella della gratuità, come fa Dio? L’amore straordinario di Cristo non è facile, ma è possibile; è possibile perché Lui stesso ci aiuta donandoci il suo Spirito, il suo amore senza misura.

    Preghiamo la Madonna, che rispondendo a Dio il suo “sì” senza calcoli, gli ha permesso di fare di lei il capolavoro della sua Grazia.

    _____________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle,

    l’amore di Gesù ci chiede di lasciarci toccare dalle situazioni di chi è provato. Penso specialmente alla Siria e alla Turchia, alle tantissime vittime del terremoto, ma pure ai drammi quotidiani del caro popolo ucraino e di tanti popoli che soffrono a causa della guerra o a motivo della povertà, della mancanza di libertà o delle devastazioni ambientali: tanti popoli… Sono vicino in tal senso alla popolazione neozelandese, colpita negli ultimi giorni da un devastante ciclone. Fratelli e sorelle, non dimentichiamo chi soffre e facciamo in modo che la nostra carità sia attenta, sia una carità concreta!

    Rivolgo il mio saluto a tutti voi, venuti dall’Italia e da altri Paesi. Saluto i pellegrini di Oviedo (Spagna) e gli alunni di Vila Pouca de Aguair in Portogallo.

    Saluto poi i gruppi dell’Azione Cattolica di Rimini e di Saccolongo; i fedeli di Lentiai, Torino e Bolzano; i ragazzi della Cresima di Valvasone e Almenno San Salvatore; gli adolescenti e i giovani di Tricesimo, Leno, Chiuppano e Fino Mornasco; i chierichetti di Arcene e gli alunni della scuola Sant’Ambrogio di Milano.

    Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazioni bibliche:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).



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    Mar. 13, 35).




  9. #49
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE ENTE DELLO SPETTACOLO


    Sala Clementina
    Lunedì, 20 febbraio 2023


    Discorso a braccio del Santo Padre

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio per le sue parole il Presidente, Don Davide Milani – grazie per quello che ha detto –, e saluto tutti voi, con cui sono lieto di festeggiare il 75° della Fondazione Ente dello Spettacolo. Delle cose che ho scritto qui, tante le ha dette lui, e credo che sia meglio consegnare a lui il testo perché lui lo faccia conoscere.

    Mi piace il lavoro che fate, il lavoro del cinema, il lavoro dell’arte, il lavoro della bellezza come grande espressione di Dio, che è sempre stata lasciata da parte, o almeno nell’angolo. I libri di teologia parlano tanto del verum, della verità; parlano del bonum; del bello, della bellezza, non tanto: il bello è come l’“ancilla”. Sembrava che non c’entrasse, nella riflessione teologico-pastorale, riflettere sulla bellezza. Quella bellezza che ci salverà, come ha detto qualcuno; quella bellezza che è l’armonia, opera dello Spirito Santo.

    Quando noi vediamo – e vado su questo – l’opera dello Spirito, che è fare l’armonia nelle differenze, non annientare le differenze, non uniformare le differenze, ma armonizzare, allora capiamo cosa sia la bellezza. La bellezza è quell’opera dello Spirito Santo che fa di tutto l’armonia: dei contrari, degli opposti, di tutto… Pensiamo – a me dice tanto, questo – alla mattina di Pentecoste, quando si crea tutto quel problema, tutti parlano, nessuno capisce che succede, un disordine grande… È lo Spirito a fare un’armonia di tutto questo: tutto è differente, tutto sembra contraddittorio, ma l’armonia è superiore a tutto. E il vostro lavoro va sulla strada dell’armonia.

    E poi, se vogliamo qualificare le grandi opere del cinema, possiamo dire che un buon motivo sono gli attori, sì, ma soltanto le opere che sono riuscite a esprimere l’armonia, sia nella gioia, sia nel dolore, l’armonia umana, sono quelle che passano alla storia. Per questo ringrazio per il vostro lavoro. È un lavoro evangelico. Anche un lavoro poetico, perché il cinema è poesia: dare vita è poetica. E ringrazio tanto per il vostro cammino: andate avanti, andate avanti, dietro ai grandi. Voi, come italiani, avete una storia gloriosa su questo, una storia gloriosa. Continuate avanti. Grazie.

    ________________________________________

    Discorso del Santo Padre consegnato

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio per le sue parole il Presidente, Don Davide Milani, e saluto tutti voi, con cui sono lieto di festeggiare i 75 anni della Fondazione Ente dello Spettacolo.

    In Italia il mondo cattolico ha dato vita a una molteplicità di esperienze legate alla comunicazione sociale e in particolare al cinema. L’Azione Cattolica, a partire dai primi decenni del secolo scorso, istituì centri di impegno in ambito radiofonico, teatrale, cinematografico e successivamente televisivo. Erano anni nei quali anche il magistero dei Pontefici affrontava in maniera puntuale l’impatto della nuova arte del cinema sulle persone e sulla società. Proprio un Papa milanese, Pio XI, indicò la necessità di istituire «un ufficio permanente nazionale di revisione, con lo scopo di promuovere i film buoni, classificare tutti gli altri e farne giungere i giudizi ai sacerdoti ed ai fedeli» (Vigilanti Cura, 1936), ufficio che oggi è la Commissione nazionale valutazione film della Conferenza Episcopale Italiana. L’impegno delle parrocchie e degli oratori ha dato vita alle Sale della Comunità, che ho incontrato nel dicembre 2019, in occasione del loro 70°. Penso, poi, alla grande stagione dei cineforum – ricordo anche quelli dei gesuiti – e, oggi, ai centri di ricerca nelle università.

    In questo quadro così ricco di iniziative e di associazioni, si inserisce anche l’attività della vostra Fondazione. Pensando a voi, mi è venuta in mente la prima pagina della Bibbia, il racconto della creazione. Lo vediamo infatti scorrere quasi come un film, dove Dio appare autore e al tempo stesso spettatore. Egli inizia a comporre la sua opera allestendo ogni cosa: il cielo, la terra, gli astri, gli esseri viventi e infine l’uomo. È una storia di coinvolgimento, di bellezza e di passione: di amore. Ma al termine delle sue azioni creatrici, Dio compie un gesto sorprendente: diventa spettatore della sua opera, contempla quanto ha realizzato ed esprime il suo giudizio: «vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.24). Ma per l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza (cfr v. 26), la “recensione” è ancora più appassionata: «era cosa molto buona» (v.31). In questa pagina sacra, cari amici, registi, attori, donne e uomini che lavorate nel cinema, possiamo trovare anche il senso del vostro lavoro culturale. Da una parte c’è l’azione creativa, dall’altra il contemplare e il valutare. Mi pare che potete rispecchiarvi in questo meraviglioso affresco biblico, che ha affascinato tanti artisti e non finisce mai di stupire e di stimolare l’immaginazione e la riflessione.

    Sarebbero tante le suggestioni che si potrebbero ricavare. Ne colgo una, quella dello stupore. Sembra che Dio stesso provi stupore, meraviglia davanti alla bellezza delle creature, specialmente quando contempla l’essere umano. Vorrei dirvi: ripartiamo da qui, dall’arte come stupore, prima di tutto per chi la fa, per l’artista. Penso a quel capolavoro che è l’Andrej Rublëv di Tarkovski: l’artista rimane muto a causa del trauma della guerra. Viene da pensare a ciò che sta accadendo anche oggi nel mondo. Rublëv non dipinge più, nemmeno parla più. Si aggira smarrito in cerca di un senso, finché assiste alla fusione di una campana. E al primo rintocco di quella grande campana il suo cuore si riapre, la sua lingua si scioglie, riprende a parlare e riprenderà a dipingere. E lo schermo si riempie dei colori delle sue icone. Il suono della campana, che esce dalla terra e dal bronzo, come per miracolo, riempie di stupore l’animo dell’artista e in un certo senso egli avverte in esso la voce di Dio, che gli sussurra: “Apriti”. Come aveva detto Gesù nel Vangelo: «Effatà» (Mc 7,34).

    Cari amici, il mondo, travagliato dalla guerra e da tanti mali, ha bisogno di segni, di opere che suscitino stupore, che lascino trasparire la meraviglia di Dio, il quale non smette mai di amare le sue creature e di stupirsi per la loro bellezza. In un mondo sempre più artificiale, dove l’uomo si è circondato delle opere delle proprie mani, il grande rischio è quello di perdere lo stupore. Condivido con voi questa riflessione e, affidandovi il compito di ridestare la meraviglia, vorrei ringraziarvi per quello che fate in un aspetto essenziale per l’evangelizzazione, perché non c’è fede senza stupore.

    Grazie, dunque, cari amici, e buon lavoro! Chiedo allo Spirito Santo di accompagnarvi sempre con i suoi doni. Di cuore vi benedico e vi chiedo, per favore, di pregare per me.


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  10. #50
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    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI SOCI DEL CIRCOLO SAN PIETRO


    Sala Clementina
    Lunedì, 20 febbraio 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Ringrazio di cuore il Presidente e a tutti do il mio benvenuto qui, nei pressi della tomba di San Pietro, di cui la vostra Associazione porta il nome. Per voi è come ritornare alla sorgente, alla radice da cui proviene la vostra carità e, prima ancora, la fede che vi anima e vi porta avanti.

    Ringrazio Dio per tutto il bene che fate, grazie! Lo sappiamo: è Lui che ci dà la forza di compierlo. Ma rendo merito anche a voi, che ci mettete tutto il vostro impegno, il vostro tempo, le energie, la creatività, la pazienza, la perseveranza. Mi colpisce sempre vedere i numeri delle vostre attività, non per i numeri in sé stessi, ma perché dietro ci sono altrettanti volti, ci sono storie, ci sono molto spesso le ferite, le piaghe. E allora penso a voi che incontrate questi fratelli e sorelle nelle mense, nei centri di ascolto, nel dormitorio, oppure nelle case-famiglia per i piccoli ricoverati al “Bambin Gesù”, e riconosco in voi l’immagine del buon Samaritano. Il buon Samaritano, nella parabola del Vangelo di Luca, si avvicina all’uomo ferito sul bordo della strada, si avvicina mosso dalla compassione. Non lo conosce, è un estraneo, in un certo senso anche un “nemico”, perché i samaritani erano malvisti e disprezzati. Ma lui si avvicina perché il suo cuore è tenero, non è indurito, è capace di tenerezza.

    E questa è la prima cosa che voglio raccomandarvi: la tenerezza. Come fa Dio le cose? Con tre atteggiamenti: la vicinanza, la misericordia e la tenerezza. Così è Dio: vicino, misericordioso e tenero. Attenzione, non parlo di sentimentalismo, no. Parlo di un tratto dell’amore di Dio di cui oggi c’è più che mai bisogno. A volte fa bene più una carezza data dal cuore che qualche moneta. In società spesso inquinate dalla cultura dell’indifferenza e dalla cultura dello scarto, come credenti siamo chiamati ad andare controcorrente con la cultura della tenerezza, cioè del prendersi cura dell’altro come Dio si è preso cura di me, di noi, di te, di ognuno di noi. Lo vediamo nel Vangelo: come Gesù si accosta ai piccoli, agli emarginati, agli ultimi. Lui è il Buon Samaritano che ha dato la vita per noi, bisognosi di misericordia e di perdono.

    E questa, carissimi, è la seconda cosa che non dobbiamo mai dimenticare: che noi amiamo davvero gli altri nella misura in cui ci riconosciamo amati da Lui, dal nostro Signore e Salvatore. Noi aiutiamo nella misura in cui sentiamo di essere stati aiutati; noi risolleviamo se ci lasciamo ogni giorno risollevare da Lui. E questo lo possiamo sperimentare nel silenzio della preghiera, quando ci spogliamo dei ruoli, delle cariche – forse anche delle maschere, Dio non voglia – e rimaniamo davanti a Lui così come siamo, senza maschere. Lì allora Lui può porre il suo Spirito nel nostro cuore, può donarci la sua compassione e la sua tenerezza. E così possiamo andare avanti. Non noi – come direbbe san Paolo – non noi, ma Lui con noi! Questo è il segreto della vita cristiana e, in modo particolare, del servizio caritativo.

    Cari fratelli e sorelle, vi rinnovo la mia gratitudine e il mio incoraggiamento. Non posso accompagnarvi fisicamente nelle strade di Roma, ma lo faccio con il cuore e con la preghiera. Chiedo alla Salus populi Romani di custodirvi e di proteggere le persone che incontrate e le vostre famiglie. Vi benedico tutti e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).



    «Vigilate ergo; nescitis enim quando dominus domus veniat»
    (
    Mar. 13, 35).




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