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Discussione: Omelie, discorsi e messaggi di Papa Francesco.

  1. #61
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELLA CONGREGAZIONE DI SAN GIUSEPPE (GIUSEPPINI DEL MURIALDO),
    IN OCCASIONE DEL 150° DI FONDAZIONE


    Sala Clementina
    Venerdì, 17 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio di cuore Padre Tullio Locatelli per le parole che mi ha rivolto, saluto i Vescovi presenti e la Madre Generale, e do il benvenuto a tutti voi.

    Ci incontriamo nel 150° anniversario di fondazione della vostra Congregazione. Infatti, il diciannove marzo 1873 San Leonardo Murialdo fondava la Pia Società Torinese di San Giuseppe per la cura e la formazione soprattutto dei giovani operai. A me fa pensare tanto questo tempo, lì, nel “fuoco” – diciamo così –, nel centro della massoneria, a Torino, nel Piemonte, tanti santi, tanti! E dobbiamo studiare perché, perché in quel momento. E proprio nel centro della massoneria e dei “mangiapreti”, i santi, e tanti, non uno, tanti. Dunque ha fondato a Torino, in questo contesto duro, segnato da tanta povertà morale, culturale ed economica, di fronte alla quale non è rimasto indifferente: ha raccolto la sfida e si è messo al lavoro, in mezzo alla massoneria.

    Così è nata una realtà che nel corso di un secolo e mezzo si è arricchita di persone, di opere, di esperienze culturali diverse, e soprattutto di tanto amore. Una realtà composta oggi da circa cinquecento religiosi – sono pochi, dovete crescere un po’! – e, inoltre, dalle suore Murialdine di San Giuseppe – alle quali pure facciamo gli auguri, nel settantesimo anniversario della loro fondazione –, dall’Istituto secolare e da parecchi laici, tutti uniti in un’unica Famiglia. Tanto è cresciuto il seme posto da Dio nella Chiesa per mezzo delle mani generose di San Leonardo Murialdo!

    Lo scorso anno, in occasione dell’apertura di questa celebrazione giubilare, ho scritto al vostro Superiore Generale e vi auguravo di continuare a crescere nell’«arte di cogliere le esigenze dei tempi, e di provvedervi con la creatività dello Spirito Santo». Non si può controllare lo Spirito, è Lui che ci porta avanti. Ci vogliono solo discernimento e fedeltà. Vi esortavo a prendervi cura specialmente dei «più giovani, i quali, oggi più che mai, hanno bisogno di testimoni credibili». E vi incoraggiavo a non smettere mai di sognare, sull’esempio di San Giuseppe, vostro Patrono, e di San Leonardo, in spirito di autentica paternità [1].

    Oggi, mentre vi rinnovo questo invito, vorrei sottolinearne tre aspetti, che mi sembrano importanti per la vostra vita e per il vostro apostolato. Essi sono: il primato dell’amore di Dio, l’attenzione al mondo che cambia e la dolcezza paterna della carità.

    L’esperienza dell’amore di Dio ha segnato profondamente la vita di San Leonardo. Lo sentiva in sé forte, concreto, irresistibile, come lui stesso testimonia, scrivendo: «Dio mi ama. Che gioia! […] Non si dimentica mai di me, mi segue e mi guida sempre!». E invitava i fratelli a lasciarsi prima di tutto amare da Dio. Lasciarsi amare da Dio: questo è stato il segreto della sua vita e del suo apostolato. Non solo amare, no, lasciarsi amare. Quella passività – sottolineo – quella passività della vita consacrata, che cresce nel silenzio, nella preghiera, nella carità e nel servizio. E l’invito vale anche per noi: lasciamoci amare da Dio per essere testimoni credibili del suo amore; lasciamo che sia sempre più il suo amore a guidare i nostri affetti, pensieri e azioni. Non le regole, non le disposizioni.

    Un aneddoto: quando un Generale della Compagnia di Gesù, padre Ledochowski, ha voluto mettere insieme tutta la spiritualità della Compagnia in un libro, per “regolare” tutto – si regolava tutto, c’era la regola del cuoco, tutto regolato, perché la Compagnia di Gesù avesse davanti l’ideale –, inviò il primo esemplare all’abate benedettino, e lui gli rispose: “Caro Padre Generale, con questo documento ha ucciso la Compagnia di Gesù!”. Quando si vuole regolare tutto, si “ingabbia” lo Spirito Santo. E ce ne sono tanti – religiosi, consacrati, preti e vescovi – che hanno ingabbiato lo Spirito Santo. Per favore, lasciare libertà, lasciare creatività. Sempre camminare con la guida dello Spirito.

    San Leonardo Murialdo era certamente un uomo profondamente mistico. Proprio questo, però, lo ha reso anche molto attento e sensibile ai bisogni degli uomini e delle donne del suo tempo (cfr 2 Cor 5,14), di cui è stato un osservatore acuto e un profeta coraggioso. Ha saputo accorgersi dell’esistenza, attorno a sé, di disagi nuovi, gravi e spesso nascosti, e non ha esitato a prendersene cura. Ha insegnato in particolare ai giovani lavoratori a progettare il loro futuro, a far sentire la loro voce e ad aiutarsi a vicenda. Si è fatto portavoce della parola profetica della Chiesa in un mondo dominato da interessi economici e di potere, dando voce ai più emarginati. Ha saputo poi cogliere il valore del laicato nella vita e nell’apostolato del Popolo di Dio. Nella seconda metà dell’ottocento, un secolo prima del Vaticano II, diceva: «Il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere […] un apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più del prete» [2]. Per quell’epoca questo suona protestantesimo. Era coraggioso! Era un uomo di Dio intelligente, aperto! Vi invito a coltivare la sua stessa passione e il suo stesso coraggio: insieme, laici, religiosi e religiose, su strade condivise di preghiera, di discernimento e di lavoro, per essere artigiani di giustizia e di comunione.

    A questo proposito, vorrei fare riferimento a un ultimo valore importante del vostro carisma: la dolcezza paterna della carità. Possiate ricercarla e viverla tra voi, con spirito di fraternità, ed esercitarla nei confronti di tutti. Essere come Maria nostra Madre: allo stesso tempo forti nella testimonianza e dolci nell’amore. San Leonardo diceva: «La carità è guardare e dire il bello di ognuno, perdonare di cuore, avere serenità di volto, affabilità, dolcezza». E per fare questo bisogna saper portare la croce. Ci vuole preghiera, ci vuole sacrificio. E ancora: «Come senza fede non si piace a Dio, così senza dolcezza non si piace al prossimo». Sono parole sue: un semplice e potente programma di vita e di apostolato.

    Vorrei anche dare testimonianza dei vostri studenti. Quando ero professore a San Miguel, loro studiavano lì, e avevano un Superiore molto pratico e molto bravo. Noi dicevamo che quel Giuseppino, il Superiore, era il “premio Nobel” della furbizia! Perché era un uomo di Dio, ma un furbone! Si muoveva bene! Ricordo bene, un bel gruppo di studenti.

    Vorrei concludere ricordando proprio l’invito del Murialdo alla santità: «Fatevi santi – diceva – e fate presto... Perché il santo ha uno sguardo lungimirante, rende la vita più umana, comunica speranza e fiducia e sa condividere la sua esperienza che Dio è Amore».

    Cari fratelli, care sorelle, vi ringrazio di ciò che siete e di ciò che fate nella Chiesa, sulle orme di San Leonardo e ispirati da San Giuseppe. Vi benedico tutti di cuore. E, mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

    __________________________

    [1] Cfr Lettera al Padre Generale della Congregazione di San Giuseppe nel 150° anniversario di fondazione, 2 marzo 2022.

    [2] S. Leonardo Murialdo, Discorso ad una conferenza di San Vincenzo, Parigi, 1865.


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  2. #62
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLE FAMIGLIE RIFUGIATE ATTRAVERSO I CORRIDOI UMANITARI


    Aula Paolo VI
    Sabato, 18 marzo 2023


    Cari amici e amiche, buongiorno e benvenuti!

    Ringrazio quanti sono intervenuti per spiegare l’iniziativa e per dare le loro testimonianze. Sono contento di incontrare tante persone rifugiate e le loro famiglie che sono giunte in Italia, Francia, Belgio e Andorra attraverso i corridoi umanitari. La loro realizzazione è dovuta sia alla creatività generosa della Comunità di Sant’Egidio, della Federazione delle Chiese Evangeliche e della Tavola Valdese, sia alla rete accogliente della Chiesa italiana, in particolare della Caritas, sia all’impegno del Governo italiano e dei Governi che vi hanno ricevuto.

    I corridoi umanitari sono stati avviati nel 2016 come risposta alla situazione sempre più drammatica nella rotta Mediterranea. Oggi dobbiamo dire che quell’iniziativa è tragicamente attuale, anzi, più che mai necessaria; lo attesta purtroppo anche il recente naufragio di Cutro. Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta. I corridoi gettano dei ponti che tanti bambini, donne, uomini, anziani, provenienti da situazioni molto precarie e da gravi pericoli, hanno infine percorso in sicurezza, legalità e dignità fino ai Paesi di accoglienza. Essi attraversano i confini e, ancor più, i muri di indifferenza su cui spesso si infrange la speranza di tantissime persone, che attendono per anni in situazioni dolorose e insostenibili.

    Ognuno di voi merita attenzione per la storia dura che ha vissuto. In particolare, vorrei ricordare quanti sono passati attraverso i campi di detenzione in Libia; più volte ho avuto modo di ascoltare la loro esperienza di dolore, umiliazioni e violenze. I corridoi umanitari sono una via praticabile per evitare le tragedie e i pericoli legati al traffico di essere umani. Tuttavia, occorrono ancora molti sforzi per estendere questo modello e per aprire più percorsi legali per la migrazione. Dove manca la volontà politica, i modelli efficaci come il vostro offrono nuove strade percorribili. Del resto, una migrazione sicura, ordinata, regolare e sostenibile è nell’interesse di tutti i Paesi. Se non si aiuta a riconoscere questo, il rischio è che la paura spenga il futuro e giustifichi le barriere su cui si infrangono vite umane.

    Il lavoro che voi fate, individuando e accogliendo persone vulnerabili, cerca di rispondere nella maniera più adeguata a un segno dei tempi. Indica una strada all’Europa, perché non resti bloccata, spaventata, senza visione del futuro. In effetti, «la chiusura in sé stessi o nella propria cultura non è mai la via per ridare speranza» (Discorso all’Università Roma Tre, 17 febbraio 2017). In realtà, la storia europea si è sviluppata nei secoli attraverso l’integrazione di popolazioni e culture differenti. Non abbiamo allora paura del futuro!

    I corridoi umanitari non solo mirano a far giungere in Italia e in altri Paesi europei persone profughe, strappandole da situazioni di incertezza, pericolo e attese infinite; essi operano anche per l’integrazione, perché non c’è accoglienza senza integrazione. Allo stesso tempo, nel vostro lavoro avete imparato che l’integrazione non è priva di difficoltà. Non tutti coloro che arrivano sono preparati al lungo cammino che li attende. Per questo è importante mettere in atto ancora più attenzione e creatività per informare meglio coloro che hanno l’opportunità di venire in Europa sulla realtà che incontreranno. E non dimentichiamo che le persone vanno accompagnate dall’inizio alla fine. Il vostro ruolo finisce quando una persona è veramente integrata nella nostra società. Insegna la Sacra Scrittura: «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi» (Lv 19,34).

    Saluto qui le centinaia di persone, famiglie, comunità, che si sono messe a disposizione generosamente per realizzare questo processo virtuoso. Avete aperto i vostri cuori e le vostre case. Avete sostenuto con le vostre risorse l’integrazione e avete coinvolto altre persone. Vi ringrazio di cuore: voi rappresentate un volto bello dell’Europa, che si apre al futuro e paga di persona.

    A voi, promotori dei “corridoi”, ai religiosi e alle religiose, ai singoli e alle organizzazioni che vi hanno partecipato vorrei dire: siete dei mediatori di una storia di integrazione, non intermediari che guadagnano approfittando del bisogno e delle sofferenze. Non siete intermediari ma mediatori, e mostrate che, se si lavora seriamente a porre le basi, è possibile accogliere e integrare efficacemente.

    Questa storia di accoglienza è un impegno concreto per la pace. Sono presenti tra voi parecchi profughi ucraini; a loro voglio dire che il Papa non rinuncia a cercare la pace, a sperare nella pace e a pregare per essa. Lo faccio per il vostro Paese martoriato e per gli altri che sono colpiti dalla guerra; qui infatti ci sono tante persone che sono fuggite da altre guerre. E questo servizio ai poveri, ai profughi e ai rifugiati è anche un’esperienza forte di unità tra i cristiani. In effetti, questa iniziativa dei corridoi umanitari è ecumenica. È un bel segno che unisce fratelli e sorelle che condividono la fede in Cristo.

    Saluto quindi con affetto quanti tra voi sono passati attraverso i corridoi umanitari e che ora vivono una nuova vita. Avete mostrato una ferma volontà di vivere liberi dalla paura e dall’insicurezza. Avete trovato amici e sostenitori che sono oggi per voi una seconda famiglia. Avete studiato una nuova lingua e conosciuto una nuova società. Tutto questo è stato difficile, ma è fecondo. Lo dico anche come figlio di una famiglia di emigrati che ha fatto questo percorso. Il vostro buon esempio e la vostra laboriosità aiutano a smentire le paure e gli allarmi verso gli stranieri. Anzi, la vostra presenza può essere una benedizione per il Paese in cui vi trovate e del quale avete imparato a rispettare le leggi e la cultura. L’ospitalità che vi è stata offerta è diventata per voi motivo per restituire: infatti alcuni di voi si impegnano nel servizio agli altri che sono nel bisogno.

    Così, fratelli e sorelle, in questa nostra assemblea, dove sono insieme e quasi si confondono quelli che accolgono e quelli che sono accolti, possiamo gustare la parola del Signore Gesù: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Questa parola indica a noi tutti la strada. Una strada da percorrere insieme, con perseveranza. Grazie di averla aperta e di averla tracciata! Andate avanti! Il Signore vi benedica e la Madonna, Madre del cammino, vi custodisca. Anch’io vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.


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    (Fonte, dal sito della Santa Sede.
    Citazione biblica:
    La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, 2008).
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    quand’anche avesse perduto il resto del mondo» (Axel Oxenstierna).



  3. #63
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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 19 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci mostra Gesù che ridona la vista a un uomo cieco dalla nascita (cfr Gv 9,1-41). Ma questo prodigio è accolto in malo modo da varie persone e gruppi. Vediamo nei particolari.

    Ma prima vorrei dirvi: oggi, prendete il Vangelo di Giovanni e leggete voi questo miracolo di Gesù, è bellissimo il modo in cui Giovanni lo racconta. Capitolo 9, in due minuti si legge. Fa vedere come procede Gesù e come procede il cuore umano: il cuore umano buono, il cuore umano tiepido, il cuore umano timoroso, il cuore umano coraggioso. Capitolo 9 del Vangelo di Giovanni. Fatelo oggi, vi aiuterà tanto. E in che modo le persone accolgono questo segno?

    Anzitutto ci sono i discepoli di Gesù, che di fronte al cieco nato finiscono nel chiacchiericcio: si chiedono se la colpa sia dei genitori o sua (cfr v. 2). Cercano un colpevole; e noi tante volte cadiamo in questo che è tanto comodo: cercare un colpevole, anziché porsi domande impegnative nella vita. E oggi possiamo dire: cosa significa per noi la presenza di questa persona, cosa chiede a noi? Poi, avvenuta la guarigione, le reazioni aumentano. La prima è quella dei vicini, che sono scettici: “Quest’uomo è stato sempre cieco: non è possibile che ora veda, non può essere lui!, è un altro”: scetticismo (cfr vv. 8-9). Per loro è inaccettabile, meglio lasciare tutto come era prima (cfr v. 16) e non mettersi in questo problema. Hanno paura, temono le autorità religiose e non si pronunciano (cfr vv. 18-21). In tutte queste reazioni, emergono cuori chiusi di fronte al segno di Gesù, per motivi diversi: perché cercano un colpevole, perché non sanno stupirsi, perché non vogliono cambiare, perché sono bloccati dalla paura. E tante situazioni assomigliano oggi a questa. Davanti a una cosa che è proprio un messaggio di testimonianza di una persona, è un messaggio di Gesù, noi cadiamo in questo: cerchiamo un’altra spiegazione, non vogliamo cambiare, cerchiamo una via di uscita più elegante che accettare la verità.

    L’unico che reagisce bene è il cieco: lui, felice di vedere, testimonia quanto gli è accaduto nel modo più semplice: «Ero cieco e ora ci vedo» (v. 25). Dice la verità. Prima era costretto a chiedere l’elemosina per vivere e subiva i pregiudizi della gente: “è povero e cieco dalla nascita, deve soffrire, deve pagare per i suoi peccati o per quelli dei suoi antenati”. Adesso, libero nel corpo e nello spirito, rende testimonianza a Gesù: non inventa nulla e non nasconde nulla. “Ero cieco e adesso ci vedo”. Non ha paura di quello che diranno gli altri: il sapore amaro dell’emarginazione lo ha già conosciuto, per tutta la vita, ha già sentito su di sé l’indifferenza il disprezzo dei passanti, di chi lo considerava come uno scarto della società, utile al massimo per il pietismo di qualche elemosina. Ora, guarito, quegli atteggiamenti sprezzanti non li teme più, perché Gesù gli ha dato piena dignità. E questo è chiaro, succede sempre: quando Gesù ci guarisce, ci ridona dignità, la dignità della guarigione di Gesù, piena, una dignità che esce dal fondo del cuore, che prende tutta la vita; e Lui di sabato, davanti a tutti, lo ha liberato e gli ha donato la vista senza chiedergli nulla, nemmeno un grazie, e lui ne rende testimonianza. Questa è la dignità di una persona nobile, di una persona che si sa guarita e riprende, rinasce; quel rinascere nella vita, di cui si parlava oggi in “A Sua Immagine”: rinascere.

    Fratelli, sorelle, con tutti questi personaggi il Vangelo odierno mette anche noi nel mezzo della scena, così che ci chiediamo: che posizione prendiamo, che cosa avremmo detto allora? E soprattutto, che cosa facciamo oggi? Come il cieco, sappiamo vedere il bene ed esser grati per i doni che riceviamo? Mi domando: com’è la mia dignità? Com’è la tua dignità? Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi? Siamo felici di dire che Gesù ci ama, che ci salva oppure, come i genitori del cieco nato, ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che penserà la gente? I tiepidi di cuore che non accettano la verità e non hanno il coraggio di dire: “No, questo è così”. E ancora, come accogliamo le difficoltà e l’indifferenza degli altri? Come accogliamo le persone che hanno tante limitazioni nella vita? Siano fisiche, come questo cieco; siano sociali, come i mendicanti che troviamo per la strada? E questo lo accogliamo come una maledizione o come occasione per farci vicini a loro con amore?

    Fratelli e sorelle, chiediamo oggi la grazia di stupirci ogni giorno dei doni di Dio e di vedere le varie circostanze della vita, anche le più difficili da accettare, come occasioni per operare il bene, come ha fatto Gesù col cieco. La Madonna ci aiuti in questo, insieme a San Giuseppe, uomo giusto e fedele.

    ____________________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Ieri in Ecuador un terremoto ha causato morti, feriti e ingenti danni. Sono vicino al popolo ecuadoriano e assicuro la mia preghiera per i defunti e per tutti i sofferenti.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini di tanti Paesi – vedo bandiere: colombiane, argentine, polacche… tanti tanti Paesi… –. Saluto gli spagnoli venuti da Murcia, Alicante e Albacete.

    Saluto le parrocchie di San Raimondo Nonnato e dei Martiri Canadesi in Roma, e quella di Cristo Re in Civitanova Marche; l’Associazione dei Salesiani Cooperatori; i ragazzi di Arcore, i cresimandi di Empoli e quelli della parrocchia S. Maria del Rosario in Roma. Saluto i ragazzi dell’Immacolata, così bravi.

    Con piacere saluto anche i partecipanti alla Maratona di Roma! Mi congratulo perché, su impulso di “Athletica Vaticana”, fate di questo importante evento sportivo un’occasione di solidarietà in favore dei più poveri.

    E oggi facciamo gli auguri a tutti i papà! Che in San Giuseppe trovino il modello, il sostegno, il conforto per vivere bene la loro paternità. E tutti insieme, per i Papà, preghiamo il Padre [Padre Nostro…].

    Fratelli e sorelle, Non dimentichiamo di pregare per il martoriato popolo ucraino, che continua a soffrire per i crimini della guerra.

    Auguro a tutti una buona domenica. per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.


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  4. #64
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI MEMBRI DELL'UNIONE NAZIONALE ATTRAZIONISTI VIAGGIANTI (U.N.A.V.)


    Sala Clementina
    Lunedì, 20 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, benvenuti, e grazie!

    Saluto di cuore tutti voi e vi ringrazio per la vostra presenza. Ringrazio il Presidente della vostra Associazione per le sue parole.

    Voi sapete cantare? Per fare gli auguri, cosa cantate? Fate gli auguri, cantando, perché questa ragazzina, suor Geneviève, fa 80 anni! Le cantiamo “compleanno felice”? [cantano] Ecco, guarda! La tenerezza!

    La pandemia vi ha impedito di svolgere le consuete attività, viaggiando di piazza in piazza con le vostre attrazioni. So che la Fondazione Migrantes vi è stata vicina incoraggiandovi ad andare avanti con spirito di fede e di speranza. Ora, grazie a Dio, avete potuto riprendere. La Chiesa continua ad accompagnarvi annunciandovi Cristo Salvatore, il quale percorreva città e villaggi portando a tutti l’annuncio gioioso del Regno di Dio. «Il Signore – ci dice la Scrittura – cammina davanti a te; egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non ti perdere d’animo!» (Dt 31,8). Queste parole le rivolgo oggi a voi, cari fratelli e sorelle operatori dello spettacolo viaggiante.

    L’Esortazione apostolica Evangelii gaudium inizia così: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (n. 1). E anche voi cooperate in senso largo all’annuncio del Vangelo per la gioia che portate alla gente con le vostre attrazioni. Voi siete seminatori di gioia, non dimenticate questo! E a volte seminate gioia in momenti in cui il cuore non è gioioso, è triste per i problemi… Ma voi seminate, la vostra vocazione è seminare gioia. Per questo vi incoraggio a tenere sempre il vostro cuore e la vostra vita aperti a una prospettiva di fede, che nasce dall’incontro con Gesù, presente e operante nella sua Chiesa, presente e operante in voi, in ognuna delle persone che voi trovate, in ognuna delle persone che voi fate ridere. Che è una delle cose belle: seminatori di sorrisi, è bello!

    Sostando con le giostre nei paesi e nelle città, voi offrite ai bambini e agli adulti momenti di spensieratezza, distraendoli un po’ dalle preoccupazioni che assillano la vita quotidiana. La felicità di un bambino sulla giostra è un’immagine di gioia pulita che appartiene alla memoria di ogni famiglia.

    Il senso di gioia e di festa che voi diffondete scaturisce dalla creatività e dalla fantasia, non ricalca i modelli artificiali e conformisti che circolano nei media; si alimenta non dalla ricerca di sensazioni sempre nuove, ma dalla semplicità e genuinità che si può respirare in un luna park.

    Cari fratelli e sorelle, andate avanti nel vostro lavoro itinerante! In un mondo dove si respira spesso un clima grigio e pesante, voi ci ricordate che la strada per essere contenti è la semplicità; e anche una forma di divertimento all’aria aperta e in compagnia: l’opposto di quello che sempre più spesso si vede oggi, ognuno da solo con il suo telefonino o con il computer, che ti isola dalla comunicazione sociale. Voi invitate a uscire, a incontrarsi sulla piazza, a divertirsi insieme. Vi apprezzo per questo. E vi ringrazio perché, in fondo, ci ricordate che non siamo fatti solo per il lavoro ma anche per la festa, e Dio è contento quando noi festeggiamo insieme da fratelli in semplicità. E la vostra vocazione è: ridere e far sorridere. A volte il cuore è triste, ma la vocazione ti porta avanti per dare dei sorrisi agli altri, dei sorrisi che li facciano ridere. E questo è bello: seminare sorrisi, seminare gioia, seminare pace, seminare un orizzonte più positivo di quello che forse sta vivendo la gente in quel momento. Avanti, con la gioia…

    Vi affido all’intercessione della Vergine Maria “Madre dei Viaggianti”, guida sicura che ci conduce a Gesù. E vi sostengano anche il vostro patrono San Giovanni Bosco e il Servo di Dio Don Dino Torregiani, l’apostolo delle carovane. Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!


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    PAPA FRANCESCO

    UDIENZA GENERALE

    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 22 marzo 2023


    Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 8. La prima via di evangelizzazione: la testimonianza (cfr Evangelii nuntiandi)

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi ci mettiamo in ascolto della “magna carta” dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo: l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di San Paolo VI (EN, 8 dicembre 1975). È attuale, è stata scritta nel 1975, ma è come se fosse scritta ieri. L’evangelizzazione è più che una semplice trasmissione dottrinale e morale. È prima di tutto testimonianza: non si può evangelizzare senza testimonianza; testimonianza dell’incontro personale con Gesù Cristo, Verbo Incarnato nel quale la salvezza si è compiuta. Una testimonianza indispensabile perché, anzitutto, il mondo ha bisogno di «evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia loro familiare» (EN, 76). Non è trasmettere un’ideologia o una “dottrina” su Dio, no. È trasmettere Dio che si fa vita in me: questo è testimonianza; e inoltre perché «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, […] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (ibid., 41). La testimonianza di Cristo, dunque, è al tempo stesso il primo mezzo dell’evangelizzazione (cfr ibid.) e condizione essenziale per la sua efficacia (cfr ibid., 76), perché sia fruttuoso l’annuncio del Vangelo. Essere testimoni.

    Occorre ricordare che la testimonianza comprende anche la fede professata, cioè l’adesione convinta e manifesta a Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, che per amore ci ha creati, ci ha redenti. Una fede che ci trasforma, che trasforma le nostre relazioni, i criteri e i valori che determinano le nostre scelte. La testimonianza, pertanto, non può prescindere dalla coerenza tra ciò che si crede e ciò che si annuncia e ciò che si vive. Non si è credibili soltanto dicendo una dottrina o un’ideologia, no. Una persona è credibile se ha armonia tra quello che crede e quello che vive. Tanti cristiani soltanto dicono di credere, ma vivono di un’altra cosa, come se non lo fossero. E questa è ipocrisia. Il contrario della testimonianza è l’ipocrisia. Quante volte abbiamo sentito “ah, questo che va a Messa tutte le domeniche, e poi vive così, così, così, così”: è vero, è la contro-testimonianza.

    Ognuno di noi è chiamato a rispondere a tre domande fondamentali, così formulate da Paolo VI: “Credi a quello che annunci? Vivi quello che credi? Annunci quello che vivi?” (cfr ibid.). C’è un’armonia: credi a quello che annunci? Tu vivi quello che credi? Tu annunci quello che vivi? Non ci possiamo accontentare di risposte facili, preconfezionate. Siamo chiamati ad accettare il rischio anche destabilizzante della ricerca, confidando pienamente nell’azione dello Spirito Santo che opera in ciascuno di noi, spingendoci ad andare sempre oltre: oltre i nostri confini, oltre le nostre barriere, oltre i nostri limiti, di qualsiasi genere.

    In questo senso, la testimonianza di una vita cristiana comporta un cammino di santità, basato sul Battesimo, che ci rende «partecipi della natura divina, e perciò realmente santi» (Cost. dogm. Lumen gentium, 40). Una santità che non è riservata a pochi; che è dono di Dio e richiede di essere accolto e fatto fruttificare per noi e per gli altri. Noi scelti e amati da Dio, dobbiamo portare questo amore agli altri. Paolo VI insegna che lo zelo per l’evangelizzazione scaturisce dalla santità, scaturisce dal cuore che è pieno di Dio. Alimentata dalla preghiera e soprattutto dall’amore per l’Eucaristia, l’evangelizzazione a sua volta fa crescere in santità la gente che la compie (cfr EN, 76). Al contempo, senza la santità la parola dell’evangelizzatore «difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo», ma «rischia di essere vana e infeconda» (ibid.).

    Allora, dobbiamo essere consapevoli che destinatari dell’evangelizzazione non sono soltanto gli altri, coloro che professano altre fedi o che non ne professano, ma anche noi stessi, credenti in Cristo e membra attive del Popolo di Dio. E dobbiamo convertirci ogni giorno, accogliere la parola di Dio e cambiare vita: ogni giorno. E così si fa l’evangelizzazione del cuore. Per dare questa testimonianza, anche la Chiesa in quanto tale deve cominciare con l’evangelizzare sé stessa. Se la Chiesa non evangelizza sé stessa rimane un pezzo da museo. Invece, quello che la aggiorna continuamente è l’evangelizzazione di sé stessa. Ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. La Chiesa, che è un Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli – tanti –, ha sempre bisogno di sentir proclamare le opere di Dio. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, ha bisogno di prendere il Vangelo, pregare e sentire la forza dello Spirito che va cambiando il cuore (Cfr EN, 15).

    Una Chiesa che si evangelizza per evangelizzare è una Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo, è chiamata a percorrere un cammino esigente, un cammino di conversione, di rinnovamento. Ciò comporta anche la capacità di cambiare i modi di comprendere e vivere la sua presenza evangelizzatrice nella storia, evitando di rifugiarsi nelle zone protette dalla logica del “si è sempre fatto così”. Sono dei rifugi che ammalano la Chiesa. La Chiesa deve andare avanti, deve crescere continuamente, così rimarrà giovane. Questa Chiesa è interamente rivolta a Dio, quindi partecipe del suo progetto di salvezza per l’umanità, e, nello stesso tempo, interamente rivolta verso l’umanità. La Chiesa dev’essere una Chiesa che incontra dialogicamente il mondo contemporaneo, che tesse relazioni fraterne, che genera spazi di incontro, mettendo in atto buone pratiche di ospitalità, di accoglienza, di riconoscimento e integrazione dell’altro e dell’alterità, e che si prende cura della casa comune che è il creato. Cioè, una Chiesa che incontra dialogicamente il mondo contemporaneo, dialoga con il mondo contemporaneo, ma che incontra ogni giorno il Signore e dialoga con il Signore, e lascia entrare lo Spirito Santo che è il protagonista dell’evangelizzazione. Senza lo Spirito Santo noi potremmo soltanto fare pubblicità della Chiesa, non evangelizzare. È lo Spirito Santo in noi, quello che ci spinge verso l’evangelizzazione e questa è la vera libertà dei figli di Dio.

    Cari fratelli e sorelle, vi rinnovo l’invito a leggere e rileggere l’Evangelii nuntiandi: io vi dico la verità, io la leggo spesso, perché quello è il capolavoro di San Paolo VI, è l’eredità che ha lasciato a noi per evangelizzare.

    ____________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française présents à cette audience, notamment ceux qui sont venus de Suisse et de France : le groupe du Club de France accompagné par l'évêque de Digne, les jeunes filles de Sainte Marie de Neuilly, le groupe des confirmands de l'école Albert de Mun et tous les jeunes des écoles. Chers frères et sœurs, je renouvelle l'invitation à lire ou à relire Evangelii Nuntiandi, chez vous et dans vos communautés. Prions Dieu de faire de nous des évangélisateurs, en témoignant vraiment ce que nous croyons. Je vous souhaite un bon parcours de Carême et demande à Dieu de vous bénir tous ! Et à Sr Geneviève : heureux anniversaire ! Quatre-vingts ans ! Merci.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese in particolare quelli venuti della Svizzera e della Francia: il gruppo del Club de France accompagnato dal Vescovo di Digne; le ragazze di Sainte Marie de Neuilly, il gruppo dei cresimandi della scuola Albert de Mun e tutti i giovani delle scuole. Cari fratelli e sorelle, vi rinnovo l’invito a leggere o rileggere l’Evangelii nuntiandi, a casa e nelle vostre comunità. Preghiamo Dio affinché ci renda evangelizzatori, testimoniando davvero quello che crediamo. Vi auguro un buon cammino quaresimale e chiedo a Dio di benedirvi tutti! E a suor Geneviève: heureux annivesaire! Quatre-vingt ans! Merci.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Indonesia, the Phillipines and the United States of America. May our Lenten journey bring us to Easter with hearts purified and renewed by the grace of the Holy Spirit. Upon you and your families I invoke joy and peace in Christ our risen Lord.

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Indonesia, Filippine e Stati Uniti d’America. A tutti auguro che il nostro cammino quaresimale ci porti alla gioia della Pasqua con cuori purificati e rinnovati dalla grazia dello Spirito Santo. Su voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace in Cristo nostro Risorto!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, in dieser Fastenzeit wollen wir unseren Eifer für die Evangelisierung erneuern. Bemühen wir uns also, in der Heiligkeit zu wachsen, und empfangen wir vertrauensvoll die Sakramente der Buße und der Eucharistie.
    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, in questa Quaresima vogliamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione. Impegniamoci allora a crescere nella santità, accostandoci con fede ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Los invito a leer y a reflexionar, de una manera personal y comunitaria, la Exhortación apostólica Evangelii nuntiandi, y llevar a la oración estas preguntas: ¿Crees lo que anuncias? ¿Vives lo que crees? ¿Anuncias lo que vives? Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente os peregrinos de língua portuguesa, especialmente os fiéis das arquidioceses de Belo Horizonte e Natal no Brasil, e os advogados brasileiros aqui presentes. Queridos irmãos e irmãs, o mundo precisa de ouvir proclamar as grandes obras de Deus, espelhadas na nossa vida santa. São José e a Virgem Mãe nos ajudem a levar a todos a água pura do Evangelho. Deus vos abençoe!
    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i fedeli delle arcidiocesi di Belo Horizonte e di Natal in Brasile, e gli avvocati brasiliani qui presenti. Care sorelle e cari fratelli, il mondo ha bisogno di sentir proclamare le grandi opere di Dio riflesse nella nostra vita santa. San Giuseppe e la Vergine Madre ci aiutino a portare a tutti l’acqua pura del Vangelo. Dio vi benedica!]

    […].

    [Saluto i fedeli di lingua araba. Una Chiesa che si evangelizza per evangelizzare è una Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo, è chiamata a percorrere un cammino esigente, di continua conversione e rinnovamento. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male!]

    […].

    [Saluto cordialmente tutti i polacchi, in particolare i dipendenti, i volontari e gli amici di Radio Maria di Torun. Questo sabato celebreremo la solennità dell’Annunciazione del Signore. Nella vostra patria è anche la Giornata della Santità della Vita. Come segno della necessità di proteggere la vita umana dal concepimento alla morte naturale, la Fondazione “Sì alla vita” destina allo Zambia la campana “La voce dei non nati” che ho benedetto questa mattina. Il suo suono porti il messaggio che ogni vita è sacra, ogni vita è inviolabile. Vi benedico di cuore.]

    ______________________________

    APPELLI

    Oggi si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua. Tornano alla mente le parole di San Francesco d’Assisi: «Laudato si’ mi’ Signore per sora acqua, la quale è molto utile et umile et pretiosa et casta». In queste parole semplici sentiamo la bellezza del creato e la consapevolezza delle sfide che implica il prendersene cura. In questi giorni si svolge a New York la seconda Conferenza dell’Acqua dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Prego per il buon esito dei lavori ed auspico che l’importante evento possa accelerare le iniziative in favore di quanti soffrono la scarsità di acqua, questo bene primario. L’acqua non può essere oggetto di sprechi e di abusi o motivo di guerre, ma va preservata a beneficio nostro e delle generazioni future.

    Sabato si celebrerà la Solennità dell’Annunciazione del Signore e il pensiero va al 25 marzo dello scorso anno, quando, in unione con tutti i Vescovi del mondo, si sono consacrate la Chiesa e l’umanità, in particolare la Russia e l’Ucraina, al Cuore Immacolato di Maria. Non stanchiamoci di affidare la causa della pace alla Regina della pace. Desidero perciò invitare ciascun credente e comunità, specialmente i gruppi di preghiera, a rinnovare ogni 25 marzo l’atto di consacrazione alla Madonna, perché lei, che è Madre, possa custodirci tutti nell’unità e nella pace.

    E non dimentichiamo, in questi giorni, la martoriata Ucraina, che soffre tanto.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli aderenti al Movimento dei Focolari, l’Associazione Francescani nel mondo e l’Associazione Internazionale delle Carità. Saluto il personale sanitario dell’Ospedale di Asiago, gli alunni dell’Istituto Pentasuglia di Matera, quelli dell’Istituto Deledda-San Giovanni Bosco di Ginosa e gli Sbandieratori dei Borghi e Sestrieri Fiorentini: grazie!

    Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo vi aiuti a riscoprire il grande dono di essere discepoli di Gesù: seguitelo senza riserve, imitate la sua dedizione alla volontà del Padre ed il suo amore per i fratelli.

    A tutti voi la mia benedizione.


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  6. #66
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DELLA
    COMMISSIONE DEGLI EPISCOPATI DELL'UNIONE EUROPEA (COMECE)


    Sala del Concistoro
    Giovedì, 23 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, benvenuti!

    Ringrazio il neo-Presidente e gli auguro ogni bene per il suo servizio. Al Cardinale Hollerich va la mia sentita riconoscenza. Lui mai si ferma, mai si ferma! E saluto tutti voi e vi ringrazio per il vostro lavoro, impegnativo anche appassionante, se non ci si arena nella burocrazia e si tiene lo sguardo alto sull’orizzonte, sui valori ispiratori del progetto-Europa. Per questo oggi vorrei brevemente soffermarmi con voi su due punti focali, che corrispondono ai due grandi “sogni” dei padri fondatori dell’Europa: il sogno dell’unità e il sogno della pace.

    L’unità. Su questo primo punto è decisivo precisare che quella europea non può essere un’unità uniforme, che omologa, ma al contrario dev’essere un’unità che rispetta e valorizza le singolarità, le peculiarità dei popoli e delle culture che la compongono. Pensiamo ai padri fondatori: appartenevano a Paesi diversi e a culture differenti: De Gasperi e Spinelli italiani, Monnet e Schuman francesi, Adenauer tedesco, Spaak belga, Beck lussemburghese, per ricordare i principali. La ricchezza dell’Europa sta nella convergenza delle diverse fonti di pensiero e di esperienze storiche. Come un fiume vive dei suoi affluenti. Se gli affluenti vengono indeboliti o bloccati, tutto il fiume ne risente e perde forza. L’originalità degli affluenti. Bisogna rispettare questo: l’originalità di ogni Paese.

    Questa è la prima idea su cui richiamo la vostra attenzione: l’Europa ha futuro se è veramente unione e non riduzione dei Paesi con le rispettive caratteristiche. La sfida è proprio questa: l’unità nella diversità. Ed è possibile se c’è una forte ispirazione; altrimenti prevale l’apparato, prevale il paradigma tecnocratico, che però non è fecondo perché non appassiona la gente, non attira le nuove generazioni, non coinvolge le forze vive della società nella costruzione di un progetto comune.

    Ci domandiamo: qual è il ruolo dell’ispirazione cristiana in questa sfida? Non c’è dubbio che nella fase originaria essa ha giocato una parte fondamentale, perché era nei cuori e nelle menti degli uomini e delle donne che hanno iniziato l’impresa. Oggi molto è cambiato, certo, ma rimane sempre vero che sono gli uomini e le donne a fare la differenza. Perciò il primo compito della Chiesa in questo campo è quello di formare persone che, leggendo i segni dei tempi, sappiano interpretare il progetto Europa nella storia di oggi.

    E qui veniamo al secondo punto: la pace. La storia di oggi ha bisogno di uomini e donne animati dal sogno di un’Europa unita al servizio della pace. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa ha vissuto il più lungo periodo di pace della sua storia. Nel mondo però si sono susseguite diverse guerre. Nei decenni scorsi alcune guerre si sono trascinate per anni, fino ad oggi, tanto che si può parlare ormai di una terza guerra mondiale. La guerra in Ucraina è vicina, e ha scosso la pace europea. Le nazioni confinanti si sono prodigate nell’accoglienza dei profughi; tutti i popoli europei partecipano all’impegno di solidarietà con il popolo ucraino. A questa corale risposta sul piano della carità dovrebbe corrispondere – ma è chiaro che non è facile né scontato – un impegno coeso per la pace.

    Questa sfida è molto complessa, perché i Paesi dell’Unione Europea sono coinvolti in molteplici alleanze, interessi, strategie, una serie di forze che è difficile far convergere in un unico progetto. Tuttavia, un principio dovrebbe essere condiviso da tutti con chiarezza e determinazione: la guerra non può e non deve più essere considerata come una soluzione dei conflitti (cfr Enc. Fratelli tutti, 258). Se i Paesi dell’Europa di oggi non condividono questo principio etico-politico, allora vuol dire che si sono allontanati dal sogno originario. Se invece lo condividono, devono impegnarsi ad attuarlo, con tutta la fatica e la complessità che la situazione storica richiede. Perché «la guerra è un fallimento della politica e dell’umanità» (ibid., 261). Questo dobbiamo ripeterlo ai politici.

    Anche su questa sfida della pace la COMECE può e deve dare il suo contributo valoriale e professionale. Voi siete per natura un “ponte” tra le Chiese in Europa e le istituzioni dell’Unione. Siete per missione costruttori di relazioni, di incontro, di dialogo. E questo è già lavorare per la pace. Ma non basta. Ci vuole anche profezia, ci vuole lungimiranza, ci vuole creatività per far avanzare la causa della pace. In questo cantiere ci vogliono sia architetti sia artigiani; ma direi che il vero costruttore di pace dev’essere sia architetto sia artigiano: così è il vero costruttore di pace. Lo auguro anche ad ognuno di voi, ben sapendo che ciascuno ha i propri carismi personali che concorrono con quelli degli altri al lavoro comune.

    Carissimi, vi esprimo di nuovo la mia gratitudine e vi assicuro che prego per voi e prego per il vostro servizio. Oggi mi sono soffermato su questi due punti focali, particolarmente urgenti, ma vi incoraggio a portare avanti come sempre anche il vostro lavoro sul versante ecclesiale. La Madonna vi custodisca e vi sostenga. Di cuore benedico tutti voi, e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.


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  7. #67
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALL'ACCADEMIA ALFONSIANA


    Sala Clementina
    Giovedì, 23 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono lieto di accogliervi al termine del vostro Convegno sull’attualità della proposta morale alfonsiana e alla vigilia del 75° anniversario di fondazione del vostro Istituto Pontificio, che celebrerete il 9 febbraio del prossimo anno. Ringrazio il Preside per le sue parole e saluto il Moderatore Generale, il Rettore dell’Università Lateranense, i docenti, gli ufficiali e gli studenti, grato per il servizio formativo che offrite alla Chiesa nell’ambito della teologia morale. Vorrei salutare anche i numerosi Professori Emeriti, che con il loro lavoro hanno lasciato un’impronta nell’Alfonsiana e nella Chiesa, e i tanti ex studenti che si sono formati con voi e continuano a dare il loro contributo nel Popolo di Dio. Grazie per questo prezioso servizio di formazione!

    Il Concilio Vaticano II afferma che la teologia morale, nutrita della Sacra Scrittura, deve aiutare i fedeli a comprendere la grandezza della loro vocazione di portare nel mondo la carità di Cristo (cfr Decr. Optatam totius, 16). Ogni proposta teologico-morale ha in ultima analisi questo fondamento: è l’amore di Dio la nostra guida, la guida delle nostre scelte personali e del nostro cammino esistenziale. Di conseguenza, teologi moralisti, missionari e confessori sono chiamati ad entrare in un rapporto vivo con il Popolo di Dio, facendosi carico specialmente del grido degli ultimi, per comprenderne le difficoltà reali, per guardare all’esistenza dalla loro angolazione e per offrire loro risposte che riflettano la luce dell’amore eterno del Padre [1]. Fedeli alla tradizione alfonsiana, voi cercate di offrire una proposta di vita cristiana che, nel rispetto delle esigenze della riflessione teologica, non sia però una morale fredda, una morale da scrivania, direi una morale “casistica”. Lo dico per esperienza, perché purtroppo io ho studiato una morale “casistica” in quel tempo. Pensate che a noi era vietato leggere il primo libro di Häring, La legge di Cristo: “E’ eretico, non si può leggere!”. E ho studiato con quella morale: “Peccato mortale se mancano due candele sull’altare, veniale se ne manca una sola”. E tutta la casistica così, lo dico umilmente. Grazie a Dio questo è passato, era una morale fredda da scrivania. A voi si chiede una proposta che risponda ad un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, rivolto a comprendere, perdonare, accompagnare e soprattutto integrare (cfr Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 312). Essere ecclesiale suppone questo: integrare.

    In coerenza con l’opera di Sant’Alfonso [2], avete iniziato il vostro Convegno riflettendo sulla coscienza e sul dinamismo della sua formazione. Questo è un tema importante. Infatti, nel complesso e rapido cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, solo persone dotate di una coscienza matura saranno in grado di esercitare, nella società, un sano protagonismo evangelico a servizio dei fratelli.

    La coscienza, del resto, è anzitutto il luogo in cui ogni uomo «è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Cost. past. Gaudium et spes, 16). La parola che essa dice non è sua, ma viene dalla Parola stessa del Creatore, che si è fatta carne per stare con gli uomini [3]. Ed è alla sua scuola, alla scuola del Verbo Incarnato, che ciascuno impara a dialogare con gli altri, coltivando l’aspirazione a una fraternità universale, radicata nel riconoscimento della dignità inviolabile di ogni persona (cfr Enc. Fratelli tutti, 8; Gaudium et spes, 16).

    Vi siete soffermati anche su alcune questioni di bioetica. In questo campo complesso vi invito a coltivare la pazienza dell’ascolto e del confronto, come raccomanda Sant’Alfonso per le situazioni conflittuali. Non avere paura di ascoltare. Essa sarà fondamentale per la ricerca di soluzioni comuni, che riconoscano e garantiscano il rispetto della sacralità di ogni vita, in ogni condizione. Un arricchimento decisivo verrà poi a questo ascolto dall’adozione di metodi di ricerca transdisciplinari (cfr Cost. ap. Veritatis gaudium, 4c), che permettano di accostarsi a sfide nuove con maggiore competenza e capacità critica, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana (cfr Gaudium et spes, 46). Solo così si potranno elaborare, in campo bioetico, argomenti ragionevoli e solidi, radicati nella fede, adatti a coscienze adulte e responsabili e capaci di ispirare il dibattito socio-politico. Occorre rifuggire da dinamiche estremistiche di polarizzazione, tipiche più del dibattito mediatico che di una sana e fertile ricerca scientifica e teologica: applicate piuttosto il principio, sempre indicato da S. Alfonso, della “via media”, che non è un equilibrio diplomatico, no, la via media è creativa, nasce da una creatività e crea. Soltanto chi ha studiato e chi si è esercitato in questa può capirlo. Non si tratta di equilibrio? No, non è questa la via media.

    La proposta bioetica dev’essere attenta ai drammi reali delle persone, che spesso si trovano confuse di fronte ai dilemmi morali della vita [4]. Per questo vi raccomando di rendere accessibili i frutti del vostro lavoro usando il “linguaggio del popolo” ed elaborando proposte di vita morale praticabili e umanizzanti. “Il linguaggio del popolo”. Mi raccomando, non dimenticatevi del santo popolo fedele di Dio! Ma non a livello di pensiero, ma a partire dalle tue radici che stanno nel santo popolo di Dio; non dimenticare che tu sei stato preso dal gregge, tu sei di loro, non dimenticare l’aria del popolo, il pensiero del popolo, il sentire del popolo. E questo non è comunismo, socialismo, no! Questo è il santo popolo fedele di Dio che è infallibile “in credendo”: non dimenticare questo, lo dice il Vaticano I e poi il Vaticano II. Per stare sempre dalla parte dell’essere umano concreto, usate gli strumenti della riflessione etica per costruire argini solidi, che lo difendano dalla mentalità dilagante dell’efficientismo e dello scarto (cfr Enc. Laudato si’, 130-136).

    Il terzo ambito del vostro convegno ha trattato questioni di morale sociale. Anche in questo ambito c’è bisogno oggi di una solida riflessione. La crisi ambientale, la transizione ecologica, la guerra, un sistema finanziario capace di condizionare la vita delle persone fino a creare nuovi schiavi, la sfida di costruire fratellanza tra le persone e tra i popoli: questi temi devono stimolarci alla ricerca e al dialogo.

    «Il Signore è il fine della storia» (Gaudium et spes, 45) e il genere umano, rinnovato in Cristo, è destinato a crescere come famiglia di Dio (cfr ibid., 40). Questa è la meta del nostro lavoro! Cerchiamo allora di entrare con umiltà e sapienza nel tessuto complesso della società in cui viviamo, per conoscerne bene le dinamiche e proporre agli uomini e alle donne del nostro tempo cammini adeguati di maturazione in questa direzione (cfr Gaudium et spes, 26). E parlo di cammino, cammini adeguati, non soluzioni matematiche, cammini adeguati. I problemi si risolvono camminando ecclesialmente come popolo di Dio. E camminare con le persone nello stato morale in cui stanno. Camminare con loro e cercare una via per risolvere i loro problemi, ma camminare, non seduti come dottori che con il dito alzato condannano senza preoccuparsi. Negli ultimi anni abbiamo affrontato questioni morali gravi come le migrazioni e la pedofilia; oggi vediamo l’urgenza di aggiungerne altre, come i profitti concentrati nelle mani di pochi e la divisione dei poteri globali. Accogliamo anche queste sfide con fiducia, pronti a «rendere ragione della speranza che è in noi» (cfr 1 Pt 3,14).

    In conclusione, dalla Pontificia Accademia Alfonsiana la Chiesa si attende che sappia conciliare rigore scientifico e vicinanza al santo Popolo fedele di Dio, che dia risposte concrete a problemi reali, che accompagni e che formuli proposte morali umane, attente alla Verità salvifica e al bene delle persone. Sant’Alfonso è stato un creatore della vita morale e ha fatto delle proposte… “Ma è un grande teologo”. Sì ma era capace – in questi giorni ho ascoltato i canti che voi mi avete regalato a Natale – era capace anche di scrivere quelle cose! Come si spiega? Questa è la strada, questa è la bellezza dell’anima, la delicatezza, questa è l’appartenenza al popolo di Dio che mai va negoziata, mai. Lo Spirito Santo vi aiuti ad essere formatori di coscienze, maestri di quella speranza che apre il cuore e conduce a Dio. Vi benedico di cuore, vi ringrazio tanto per il vostro lavoro, e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

    _____________________________

    [1] Cfr Messaggio di per il 150° anniversario della proclamazione di Sant’Alfonso a Dottore della Chiesa, 23 marzo 2021

    [2] Cfr specialmente Alfondo Maria de’ Liguori, Trattato sulla coscienza.

    [3] Cfr B. Häring, Liberi e fedeli in Cristo, I, 1994, 268.

    [4] Cfr Discorso ai docenti e studenti dell’Alfonsianum, 9 febbraio 2019.


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  8. #68
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    SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    ALLE FAMIGLIE DEI MINATORI POLACCHI PERITI
    NELLE MINIERE DI CARBONE IL 20 E 23 APRILE 2022


    Sala del Concistoro
    Venerdì, 24 marzo 2023


    Grazie per la visita! Davanti a voi, non so cosa dire. Il silenzio è compassionevole. Perdere il marito, il papà in un incidente come questo, è brutto. E anche il fatto che alcuni sono sepolti lì, nelle miniere… Non vorrei dire parole, soltanto dirvi che vi sono vicino, tanto vicino, con la vicinanza del cuore, e prego con voi in questa situazione così difficile e brutta.

    La preghiera a volte, in questi momenti… sembra che Dio non ci ascolti. C’è il silenzio dei morti e il silenzio di Dio. E questo silenzio alle volte ci dà rabbia. Non abbiate paura: quella rabbia è una preghiera. È uno dei “perché?”, che continuamente in queste situazioni ripetiamo. E la risposta è: “Nell’oscurità il Signore ci è vicino. Non sappiamo come, ma ci è vicino”.

    Anch’io faccio la preghiera in silenzio e vi do la mia benedizione. Poi vi saluterò personalmente.

    [silenzio per la preghiera personale]

    [Benedizione]


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  9. #69
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    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    AI FEDELI DELLE PARROCCHIE DI RHO (MILANO)


    Aula Paolo VI
    Sabato, 25 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Saluto tutti voi e in particolare Mons. Michele Di Tolve, il vostro Parroco, che conosco da tanti anni e che ringrazio per le sue parole. L’ho conosciuto appena nominato cardinale: ero andato a visitare una mia cugina e lei mi ha parlato di un vice-parroco eccezionale che avevano lì, “guarda, lavora quel prete!” – “Ah sì? Fammelo conoscere, ma non dirgli che sono un cardinale” – “No, non lo dirò”. Mi sono tolto l’anello, siamo arrivati in oratorio e lui andava da una parte all’altra, si muoveva come un ballerino con tutti… Così l’ho conosciuto. E così è rimasto per tutta la vita: uno che sa muoversi, non aspetta che le pecore vengano a cercarlo. E come rettore del seminario ha fatto tanto bene, ai ragazzi che si preparano al sacerdozio, tanto bene. Adesso, come parroco, fa tanto bene e per questo vorrei davanti a tutti voi dare testimonianza e ringraziare per quello che sta facendo: grazie, grazie!

    Tempo fa dissi a don Michele che desideravo conoscervi, e oggi voi mi avete accontentato: grazie di essere venuti! La scorsa estate, chiamando Monsignor Michele al telefono durante le vostre vacanze comunitarie, ho potuto salutare anche alcuni del gruppo e ho sentito la gioia e l’entusiasmo del vostro stare insieme.

    Oggi siete venuti numerosi, e so che avete fatto anche qualche sacrificio per poterci essere tutti e per non escludere nessuno. Rappresentate tante realtà diverse delle vostre Parrocchie e portate con voi, nel cuore, i fratelli e le sorelle che per vari motivi non sono potuti venire, grazie! Raggruppate generazioni, provenienze, servizi e doni differenti e complementari, e questo è bellissimo. La Chiesa è questo! La Chiesa infatti è un corpo composto di tante membra, tutte al servizio le une delle altre e tutte animate dallo stesso amore: quello di Cristo (cfr 1 Cor 12,12). E quando la Chiesa non è così, cade nella mondanità, cade nel clericalismo che è una cosa bruttissima. Ricordatevi sempre che è con la bellezza e la ricchezza di questa varietà e di questa comunione che voi portate Gesù al mondo: è questo il mezzo più potente con cui annunciate il Vangelo, prima ancora delle parole!

    Alcuni dei gruppi presenti quest’anno festeggiano un anniversario speciale. Ringraziamo insieme il Signore, di cui siamo tutti umili servitori, per il bene che ha compiuto e che continua a compiere attraverso di noi, e rinnoviamo il nostro impegno ad essere generosi nel dono di noi stessi e docili alla sua volontà. Mons. Michele, nel suo saluto, ha ricordato tra l’altro proprio le parole che ho pronunciato dieci anni fa, il 13 marzo 2013. Appena eletto Vescovo di Roma, affacciandomi per la prima volta alla loggia della Basilica di San Pietro, dicevo: «Incominciamo questo cammino insieme: Vescovo e popolo […]. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi». È il desiderio che mi ha accompagnato per tutti questi anni, ed è l’augurio che faccio anche a voi, con il vostro vescovo. Io sono il vescovo di Roma, ma voi ne avete un altro. Avanti!

    Vi esorto a camminare insieme come fratelli e sorelle, perché la fratellanza rende le persone più libere e felici. Il mondo non finisce con noi stessi, per favore! La comunità non si fa davanti allo specchio, io e lo specchio, no! Scopriamo veramente il mondo solo quando camminiamo insieme con gli altri, giorno per giorno. Per questo è importante la Parrocchia: perché è il luogo in cui, alla sequela di Gesù, ci si incontra, ci si conosce, ci si arricchisce gli uni gli altri, persone di diverse generazioni e diverse condizioni culturali e sociali, tutti con qualcosa di unico da dare e da ricevere. Vediamo nelle nostre città cosa succede quando ci si dimentica di questo: l’orizzonte si restringe e si diventa tutti più soli.

    Camminare insieme, camminare con amore. L’amore tra voi sia sempre al primo posto (cfr 1 Cor 13,1-13; Enc. Fratelli tutti, 92). Attraverso le attività formative, la Scuola dell’Infanzia, i gruppi, le attività dell’Oratorio, l’attenzione ai poveri e agli ultimi, alle persone anziane e sole, ai fidanzati e alle giovani famiglie, attraverso la banda musicale e le attività sportive, voi preparate il terreno, a volte un po’ arido e duro, per seminare amore e trasformare il territorio in cui vivete in una campagna rigogliosa, ricca dei frutti buoni del Vangelo. In particolare, amare significa “allargare la cerchia”, costruendo unità nella fiducia e nell’accoglienza, lavorando insieme e cercando sempre i punti in comune e le occasioni per fare comunità, piuttosto che i motivi di divisione (cfr Fratelli tutti, 97). Rispettare le differenze.

    Sapete, io sono stato parroco per sei anni, e quella esperienza la porto nel cuore. A me piaceva la Messa con i bambini… Pensate che in quel quartiere ce n’erano tanti, e alla Messa domenicale dei bambini ce n’erano 200, 280 – in quei quartieri, le famiglie hanno quattro-cinque bambini –, e sempre incominciavo a interloquire con loro. Una volta – era Pentecoste – dicevo: “Oggi è Pentecoste!”. I bambini rispondevano: “Sì, padre, sì”. “Insomma, è lo Spirito Santo… Chi di voi sa chi è lo Spirito Santo?”. E alcuni alzavano le mani. “Va bene, tu!” – “Il paralitico!”. “Cosa hai detto?” – “Il paralitico” – “Quello che va sulla sedia a rotelle?” – “Sì!”- “No, caro, è il Paraclito, è un’altra cosa!”. Ma era bello. Un’altra volta, ho parlato di non chiacchierare perché le chiacchiere fanno male, e le persone che chiacchierano fanno male. “Ah! – dice subito un bambino – come la signora Tale e Tale!”. I bambini sono spontanei, la Messa con i bambini è una cosa bellissima: portatela avanti sempre. La Parrocchia è un luogo benedetto, dove si va per sentirsi amati. Chi bussa alla porta delle nostre chiese e dei nostri ambienti cerca spesso prima di tutto un sorriso accogliente, cerca braccia e mani aperte, occhi desiderosi di incontro e carichi di affetto.

    In una Parrocchia, tu bussi alla porta e, se non è l’ora, ti dicono: “Vattene, è finito l’orario”. Una volta, un parroco mi diceva: “Ho voglia di chiudere con mattoni le finestre” – “Ma sei pazzo?” – “No, perché la gente viene e se non ricevo alla porta, bussano alle finestre”. La gente non si stanca di chiedere e di chiamare, e noi non dobbiamo stancarci di aprire le porte e le finestre. Se tu sei prete, è per questo; se tu sei nel circolo della Parrocchia, è per questo: per aprire porte, per aprire finestre, per ricevere sempre con un sorriso. E non dire “non è ora”. Apertura totale: braccia e mani aperte, occhi desiderosi di incontro e carichi di affetto. Questa è la pastorale di una parrocchia. In Parrocchia ciascuno porta anche il proprio fardello, per poterlo condividere con qualcun altro e alleggerirne il peso, ma anche per condividere le cose buone che contiene!

    Sì, c’è un nemico grande, nelle Parrocchie, come dappertutto: il chiacchiericcio. State attenti, non lasciate entrare il chiacchiericcio. Il chiacchiericcio uccide. E non sparlare gli uni degli altri. Se a te non piace questo, non ti piace questa, mangiati il tuo giudizio, ma non condividerlo per rovinare l’altro. “Eh, Padre, è così facile chiacchierare…”. Sì, è facile, è vero. Ma c’è una medicina molto buona contro il chiacchiericcio, non so se voi la conoscete, ma è buona, è una medicina buona. Se a te viene voglia di chiacchierare, morditi la lingua! Si gonfierà la lingua e non potrai parlare. Morditi la lingua prima di chiacchierare. Niente chiacchiericcio, per favore, quello è una peste che rovina le parrocchie, rovina le famiglie e tante cose…

    Cari fratelli e sorelle, le vostre Parrocchie si trovano in un luogo ricco di spiritualità, caratterizzato da una storia di Chiesa generosa e feconda. Partecipate della grande e vivace eredità pastorale ambrosiana e vivete all’ombra dell’antico Santuario dell’Addolorata di Rho, voluto da San Carlo Borromeo poco prima della sua morte, luogo di devozione e meta di pellegrinaggi ieri come oggi. Vi ringrazio perché, con la vostra fede e il vostro amore fraterno, mantenete viva questa eredità, così che non smetta di crescere. Ci saranno tante difficoltà, ci saranno tante lotte interne, tante invidie, ma insieme bisogna reggere, perché questo non distrugga la bella storia parrocchiale che voi avete. Andate avanti! Voi anziani, voi adulti trasmettete ai giovani il testimone che a vostra volta avete ricevuto dalle generazioni che vi hanno preceduto; e lo date arricchito del vostro impegno e della vostra testimonianza. E voi giovani, non abbiate paura a parlare con i vecchi! Vai a parlare, a discutere, vai ad ascoltare i vecchi, perché ti daranno forza, prendendo dalla loro storia, perché tu possa andare avanti, tu che sei giovane adesso. Questo non significa guardare sempre indietro, no. Tu vai dai vecchi, parla, ma guarda avanti, all’orizzonte. È importante che i giovani incontrino i vecchi e parlino con i vecchi.

    E grazie ancora di questa visita, che si doveva fare due anni fa, credo, ed è stata rimandata. Che i Santi Pietro e Paolo vi rafforzino nella fede, nella speranza e nella carità. E che la Madonna vi custodisca e vi accompagni sempre. Vi benedico tutti di cuore. E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).
    «Chi ha conservato la fede in Dio non ha perduto niente,
    quand’anche avesse perduto il resto del mondo» (Axel Oxenstierna).



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    PAPA FRANCESCO

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 26 marzo 2023


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi, quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta la risurrezione di Lazzaro (cfr Gv 11,1-45). È l’ultimo dei miracoli di Gesù narrati prima della Pasqua: la risurrezione del suo amico Lazzaro. Lazzaro è un caro amico di Gesù, il quale sa che sta per morire; si mette in cammino, ma arriva a casa sua quattro giorni dopo la sepoltura, quando ogni speranza è ormai perduta. La sua presenza però riaccende un po’ di fiducia nel cuore delle sorelle Marta e Maria (cfr vv. 22.27). Esse, pur nel dolore, si aggrappano a questa luce, a questa piccola speranza. E Gesù le invita ad avere fede e chiede di aprire il sepolcro. Poi prega il Padre e grida a Lazzaro: «Vieni fuori!» (v. 43). E questi torna a vivere ed esce. Questo è il miracolo, così, semplice.

    Il messaggio è chiaro: Gesù dà la vita anche quando sembra non esserci più speranza. Capita, a volte, di sentirsi senza speranza – a tutti è capitato questo –, oppure di incontrare persone che hanno smesso di sperare, amareggiate perché hanno vissuto cose brutte, il cuore ferito non può sperare. Per una perdita dolorosa, una malattia, una delusione cocente, per un torto o un tradimento subito, per un grave errore commesso… hanno smesso di sperare. A volte sentiamo qualcuno che dice: “Non c’è più niente da fare!”, e chiude la porta ad ogni speranza. Sono momenti in cui la vita sembra un sepolcro chiuso: tutto è buio, intorno si vedono solo dolore e disperazione. Il miracolo di oggi ci dice che non è così, la fine non è questa, che in questi momenti non siamo soli, anzi che proprio in questi momenti Lui si fa più che mai vicino per ridarci vita. Gesù piange: il Vangelo dice che Gesù, davanti al sepolcro di Lazzaro ha pianto, e oggi Gesù piange con noi, come ha potuto piangere per Lazzaro: il Vangelo ripete due volte che si commosse (cfr vv. 33.38) e sottolinea che scoppiò in pianto (cfr v. 35). E al tempo stesso Gesù ci invita a non smettere di credere e di sperare, a non lasciarci schiacciare dai sentimenti negativi, che ti tolgono il pianto. Si avvicina ai nostri sepolcri e dice a noi, come allora: «Togliete la pietra» (v. 39). In questi momenti noi abbiamo come una pietra dentro e l’unico capace di toglierla è Gesù, con la sua parola: “Togliete la pietra”.

    Questo dice Gesù, anche a noi. Togliete la pietra: il dolore, gli errori, anche i fallimenti, non nascondeteli dentro di voi, in una stanza buia e solitaria, chiusa. Togliete la pietra: tirate fuori tutto quello che c’è dentro. “Ah, mi dà vergogna”. Gettatelo in me con fiducia, dice il Signore, io non mi scandalizzo; gettatelo in me senza timore, perché io sono con voi, vi voglio bene e desidero che torniate a vivere. E, come a Lazzaro, ripete a ognuno di noi: Vieni fuori! Rialzati, riprendi il cammino, ritrova fiducia! Quante volte, nella vita, ci siamo trovati così, in questa situazione di non avere forza per rialzarci. E Gesù: “Vai, vai avanti! Io sono con te”. Ti prendo io per mano, dice Gesù, come quando da piccolo imparavi a fare i primi passi. Caro fratello, cara sorella, togliti le bende che ti legano (cfr v. 45); per favore, non cedere al pessimismo che deprime, non cedere al timore che isola, non cedere allo scoraggiamento per il ricordo di brutte esperienze, non cedere alla paura che paralizza. Gesù ci dice: “Io ti voglio libero, ti voglio vivo, non ti abbandono e sono con te! È tutto buio, ma io sono con te! Non lasciarti imprigionare dal dolore, non lasciar morire la speranza. Fratello, sorella, ritorna a vivere!” – “E come faccio?” – “Prendimi per mano”, e Lui ci prende per mano. Lasciati tirare fuori: e Lui è capace di farlo. In questi momenti brutti che succedono a tutti noi.

    Cari fratelli e sorelle, questo brano del capitolo 11 del Vangelo di Giovanni, che fa tanto bene leggere, è un inno alla vita, e lo si proclama quando la Pasqua è vicina. Forse anche noi in questo momento portiamo nel cuore qualche peso o qualche sofferenza, che sembrano schiacciarci; qualche cosa brutta, qualche peccato vecchio che non riusciamo a tirare fuori, qualche errore di gioventù, non si sa mai. Queste cose brutte devono uscire. E Gesù dice: “Vieni fuori!”. Allora è il momento di togliere la pietra e di uscire incontro a Gesù, che è vicino. Riusciamo ad aprirgli il cuore e ad affidargli le nostre preoccupazioni? Lo facciamo? Riusciamo ad aprire il sepolcro dei problemi, siamo capaci, e a guardare oltre la soglia, verso la sua luce, o abbiamo paura di questo? E a nostra volta, come piccoli specchi dell’amore di Dio, riusciamo a illuminare gli ambienti in cui viviamo con parole e gesti di vita? Testimoniamo la speranza e la gioia di Gesù? Noi, peccatori, tutti? E anche, vorrei dire una parola ai confessori: cari fratelli, non dimenticatevi che anche voi siete peccatori, e siete nel confessionale non per torturare, per perdonare, e perdonare tutto, come il Signore perdona tutto. Maria, Madre della speranza, rinnovi in noi la gioia di non sentirci soli e la chiamata a portare luce nel buio che ci circonda.

    ____________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Ieri, solennità dell’Annunciazione, abbiamo rinnovato la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, nella certezza che solo la conversione dei cuori può aprire la strada che conduce alla pace. Continuiamo a pregare per il martoriato popolo ucraino.

    E restiamo vicini anche ai terremotati della Turchia e della Siria. A loro è destinata la speciale raccolta di offerte che si svolge oggi in tutte le parrocchie d’Italia. Preghiamo anche per la popolazione dello Stato del Mississippi, colpite da un devastante tornado.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini di tanti Paesi, in particolare quelli di Madrid e di Pamplona e i messicani; come pure i peruviani, rinnovando la preghiera per la riconciliazione e la pace nel Perù. Dobbiamo pregare per il Perù, che sta soffrendo tanto.

    Saluto i fedeli di Zollino, Rieti, Azzano Mella e Capriano del Colle, Bellizzi, Crotone e Castelnovo Monti con l’Unitalsi; e saluto i cresimandi di Pavia, Melendugno, Cavaion e Sega, Settignano e Prato; i ragazzi di Ganzanigo, Acilia e Longi; e l’Associazione Amici del Crocifisso delle Marche.

    Rivolgo un saluto speciale alla delegazione dell’Aeronautica Militare Italiana, che celebra il centenario di fondazione. Formulo i miei auguri per questa ricorrenza e vi incoraggio ad operare sempre per la costruzione della giustizia e della pace.

    Prego per tutti voi e fatelo per me. E a tutti auguro una buona domenica. Buon pranzo e arrivederci.


    Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana


    (Fonte, dal sito della Santa Sede).
    «Chi ha conservato la fede in Dio non ha perduto niente,
    quand’anche avesse perduto il resto del mondo» (Axel Oxenstierna).



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