Lo Staff del Forum dichiara la propria fedeltà al Magistero. Se, per qualche svista o disattenzione, dovessimo incorrere in qualche errore o inesattezza, accettiamo fin da ora, con filiale ubbidienza, quanto la Santa Chiesa giudica e insegna. Le affermazioni dei singoli forumisti non rappresentano in alcun modo la posizione del forum, e quindi dello Staff, che ospita tutti gli interventi non esplicitamente contrari al Regolamento di CR (dalla Magna Charta). O Maria concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a Te.
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Discussione: Cronaca della Arcidiocesi Metropolitana di Modena-Nonantola - Anno 2023

  1. #11
    CierRino
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    Citazione Originariamente Scritto da Carpense Visualizza Messaggio
    COMUNICATO DELLA DIOCESI in merito alla vicenda della Parrocchia di San Pietro di Modena

    In relazione alle avvilenti notizie che, di tanto in tanto, la stampa locale riporta sulla gestione di un cospicuo fondo testamentario destinato alla Chiesa Abbaziale cittadina di San Pietro(fulgido monumento modenese e un tempo florida abbazia), la Curia Arcivescovile ha emesso il seguente comunicato:

    "In merito alle informazioni pubblicate sulla stampa locale e sui social circa la vicenda riguardante presunte irregolarità nella gestione di un’eredità da parte dei Padri Benedettini del Monastero di San Pietro in Modena, l’Arcidiocesi esprime gratitudine alla Guardia di Finanza e alla Procura della Repubblica, confermando la propria completa disponibilità, per arrivare alla chiarezza e onorare le volontà della persona che ha disposto il lascito testamentario."
    ___________________
    Cfr: sito dell'Arcidiocesi
    Una nota che non dice niente. In realtà è stato chiesto il rinvio a giudizio di dom Stefano De Pascalis, priore benedettino, per un ammanco da quattro milioni di euro denunciato dalla Curia.

    Se a questa vicenda affianchiamo quella della sospensione a settembre 2022 di don Mikoda e don Braglia e del buco da un milione di euro nella parrocchia di san Benedetto il quadro si fa preoccupante.

  2. #12
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    Don Franco Silvestri parroco di Castelvetro e di Levizzano


    (Foto di Carpense)


    L’antica parrocchia dei SS. Martiri Senesio e Teopompo in Castelvetro, santi nonantolani le cui reliquie sono venerate da secoli nell’Augusta Abbazia nonantolana, dalla quale peraltro dipendeva la prevostura di Castelvetro, come bene potrebbe ricordarci il nostro ottimo "Gregorius Paulus", si appresta ad accogliere il suo nuovo pastore.

    L’arcivescovo Mons. Erio Castellucci ,infatti, con decorrenza 31 gennaio 2023, HA NOMINATO PARROCO DELLE PARROCCHIE: “PARROCCHIA DEI SANTI SENESIO E TEOPOMPO” IN CASTELVETRO PARROCCHIA E “S. ANTONINO DIACONO MARTIRE” IN LEVIZZANO RANGONE (COMUNE DI CASTELVETRO) IL SACERDOTE DON FRANCO SILVESTRI. Don Franco assume questo nuovo incarico, sostituendo don Alessandro Garuti, venuto a mancare prematuramente il mese scorso.

    In pratica tutte le parrocchie del territorio di Castelvetro saranno ora rette da un unico pastore !

    E’ Castelvetro, rinomata terra del “Lambrusco graspa rossa”, una suggestivo cittadina, che sorge sulle prime colline modenesi, giustamente annoverata tra i borghi storici e artistici più belli a livello regionale e anche nazionale.

    Don Franco, ha 70 anni ed è stato ordinato sacerdote nel 1977. In Diocesi da allora ha ricoperto molteplici incarichi: parroco in diverse parrocchie (Spilamberto, Sant’Agostino, S. Barnaba, Pavullo, Castagneto e Verica, Montorso, Niviano e Sassoguidano, Castello, Groppo, Riolunato, Fiumalbo, Sestola e Roncoscaglia, Vesale, Rocchetta Sandri, Castellino delle Formiche, Gainazzo, Roccamalatina, Monteorsello e altre…), Vicario Episcopale per la pastorale, Assistente di Azione Cattolica, Responsabile della Segreteria Arcivescovile, Assistente Ecclesiastico C.I.F.
    Attualmente svolge il suo servizio pastorale come parroco di Solignano e Ca’ di Sola.


    (Foto di proprietà di Carpense)

    (Notizia ripresa e ampiamente sviluppata dal sito dell'Arcidiocesi)
    Virtus ex Alto

  3. #13
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    Festività di San Geminiano

    La Curia Arcivescovile ha reso noto il programma delle celebrazioni in onore di San Geminiano Vescovo, Patrono principale della Città e dell’Arcidiocesi, la cui festa ricorre il 31 gennaio.
    Come da tradizione si attende un grande concorso di popolo per la venerazione delle sante reliquie. I riti solenni in programma come da tradizione saranno presieduti dai vescovi di origine modenese, riservandosi l’Arcivescovo il solenne pontificale del 31 gennaio. Come sempre si registra una certa attesa per l’omelia di Mons. Castellucci, che si annuncia come particolarmente significativa.


    (Immagine di proprietà di Carpense)


    PROGRAMMA delle INIZIATIVE e delle CELEBRAZIONI in CATTEDRALE:

    GIOVEDÌ 26 GENNAIO 2023
    ore 18.30 - CONFERENZA BIBLICA:
    “Ne chiederò conto a te” (Ez 3,18)
    San Geminiano custode dei suoi fratelli? (Mons. Can. Claudio Arletti)

    SABATO 28 GENNAIO 2023
    ore 20.30 - CONCERTO DI SAN GEMINIANO Filarmonica del Teatro Comunale di Modena?
    Direttore: H. Yoshida LUNEDÌ 30 GENNAIO 2023

    Basilica Metropolitana di Modena - SAN GEMINIANO VESCOVO - Patrono principale della città e della Arcidiocesi

    VENERAZIONE DELLE RELIQUIE DI SAN GEMINIANO.

    La tomba del Santo resterà aperta dalle ore 15.30 di sabato 21 gennaio alle ore 14.30 di sabato 11 febbraio. La reliquia del Braccio del Santo sarà esposta dalle ore 14.30 alle ore 17.00 di martedì 31 gennaio.

    INDULGENZA PLENARIA
    Visitando la Cattedrale nei giorni 30 e 31 gennaio si potrà ottenere l’Indulgenza Plenaria alle consuete condizioni: recita del Credo e del Padre Nostro, preghiera secondo le intenzioni del Papa, Comunione e Confessione nei 15 giorni precedenti o successivi.

    LUNEDI' 30 GENNAIO
    ore 17.15 Primi Vespri Pontificali, presieduti da S.E. Mons. ERIO CASTELLUCCI Arcivescovo-Abate, con la partecipazione del Capitolo Metropolitano e del Clero Cittadino

    Ore 18.00 - CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLA VIGILIA, presieduta da S.E. Mons. GIACOMO MORANDI Arcivescovo-Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla

    Ore 21.00 Veglia di preghiera con Ufficio delle Letture presieduta da S.E. Mons. Arcivescovo

    MARTEDI' 31 GENNAIO

    Ore 08.00 - Celebrazione Eucaristica presiedutada S.E. Mons. ENRICO SOLMI, Vescovo di Parma

    Ore 09.00 - Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E. Mons. LINO PIZZI, Vescovo emerito di Forlì-Bertinoro

    Ore 11,00 - SOLENNE CONCELEBRAZIONE PONTIFICALE PRESIEDUTA DALL’ARCIVESCOVO-ABATE S.E. Mons. ERIO CASTELLUCCI
    e concelebrata da altri Ecc.mi Vescovi e dal Capitolo Metropolitano. La celebrazione sarà preceduta dalla Benedizione alla Città con la Reliquia del Braccio di S. Geminiano.

    Saranno presenti le Autorità cittadine, militari e civili

    La celebrazione sarà trasmessa in diretta TV? su TRC Modena e su TVQui (canali 11 e 17)

    ore 17.15 Secondi Vespri Pontificali presieduti da S.E. Mons. ERIO CASTELLUCCI Arcivescovo-Abate

    ore 18.00 - Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E. Mons. GIUSEPPE VERUCCHI? Arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia
    ___________________________________
    Programma desunto dal sito dell'Arcidiocesi
    Ultima modifica di Carpense; 27-01-2023 alle 09:10
    Virtus ex Alto

  4. #14
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    Lettera alla città


    (Stemma dell'Arcivescovo Erio Castellucci sulla lunetta della Porta Pontificia del Duomo di Modena - Foto dello scrivente)

    Proseguendo la bella tradizione iniziata nel lontano 1998 dall’Arcivescovo Benito Cocchi e da allora mai interrotta, il nostro Arcivescovo Don Erio ha indirizzato alla città la tradizionale lettera in occasione della solennità di San Geminiano. Un testo che da sempre, sia per l’autorevolezza di chi lo compone sia per le considerazioni che sviluppa, viene accolto con grande attenzione e consensi.

    «GIUSTIZIA E PACE SI BACERANNO»

    Armi che distruggono e armi che edificano

    «C'era una volta un vagone ferroviario» ... sembra l'inizio di una moderna favola, una delle storie fantastiche a lieto fine che affascinano i bimbi. Purtroppo non è una favola e non è neppure a lieto fine. L'armistizio che segnava ufficialmente la conclusione della Prima guerra mondiale fu firmato l'11 novembre 1918 all'interno del vagone 2419D, posizionato nella radura di Compiègne, una cittadina a circa 80 km a Nord di Parigi. La Francia, tra le nazioni vincitrici di quel conflitto mondiale che aveva registrato più di 16 milioni di morti tra militari e civili e un numero ancora maggiore di feriti, inflisse all'Impero tedesco e ai suoi alleati, che avevano perso la guerra, una resa umiliante, sancita poi dal trattato di Versailles, siglato nel maggio 1919. Alla Germania, ritenuta principale responsabile del disastroso conflitto, furono addossati tutti i danni materiali della guerra: i suoi territori vennero ridotti al minimo e il suo esercito fortemente limitato; i vincitori pretendevano un risarcimento esageratamente esoso, pur sapendo che difficilmente sarebbe stato pagato.
    Dal vagone di Compiègne uscì la pace, ma i tedeschi non ne uscirono rappacificati: ne furono anzi frustrati e si sentirono troppo ingiustamente puniti. Tanto che negli anni successivi, complice un'inflazione incontrollata con sacche di povertà e di fame mai provate dal popolo, crebbe in Germania il risentimento e l'odio verso i paesi che avevano vinto la guerra. Hitler se ne fece portatore: e se nel gennaio 1933 fu nominato Cancelliere del Reich, a seguito delle elezioni democratiche stravinte dal suo
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    partito poche settimane prima, fu anche a motivo del riscatto nazionale da lui promesso nel suo delirante Mein Kampf (1925), nel quale programmava una vera e propria vendetta nei confronti di tutti coloro che, a suo giudizio, erano nemici del popolo tedesco, formato dalla razza superiore degli «ariani».
    Quando Hitler, all'inizio della Seconda guerra mondiale, invase la Francia, nel maggio del 1940, conquistando Parigi poche settimane dopo e ottenendo subito la resa del governo francese, impose la firma dell'armistizio nella stessa carrozza 2419 D, e nello stesso punto, la radura di Compiègne, nel quale ventidue anni prima si era consumata l'umiliazione dei tedeschi. L'ignaro vagone, nel frattempo, era stato sistemato in un museo, costruito appositamente, ad un centinaio di metri dal luogo della firma; Hitler pretese che venisse portato fuori - il che comportò l'abbattimento di un grande muro - e collocato esattamente sullo stesso punto: così il 22 giugno 1940, dopo ore di estenuanti trattative, la Germania restituì alla Francia l'umiliazione ricevuta; ma questa volta, a differenza della precedente, il tutto avvenne sotto le telecamere e le macchine fotografiche, con decine di reporter e con la registrazione segreta di tutti i colloqui. La vendetta doveva essere impressionante, e lo fu.
    Si racconta - e qui il tono ritorna ad essere quello della favola, perché mancano fonti sicure - che quella carrozza sia stata portata in Germania e sia stata distrutta dagli stessi tedeschi nel marzo del 1945, quando ormai gli eserciti alleati stavano per entrare a Berlino e decretare la fine del terzo Reich; forse i nazisti temevano una nuova rivalsa: magari i vincitori avrebbero nuovamente riesumato quel povero vagone per farne ancora il teatro di chissà quali umiliazioni...
    ** *
    Da quando ho scoperto la storia di questa carrozza ferroviaria,
    tutte le volte che incrocio nella preghiera il versetto del Salmo 85,11 - «giustizia e pace si baceranno» - non posso fare a meno di
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    ricordarmela. Pace e giustizia sono gemelle, come cercherò di dire in questa Lettera alla città, offrendo solo alcuni spunti. Una giustizia senza pace è impossibile, perché il conflitto crea sempre violenza, iniquità, sopraffazione; una pace senza giustizia è degradante e umiliante, perché impone un ordine che produce risentimento, desiderio di riscatto e di vendetta. Papa Benedetto XV, che era intervenuto con una lettera ai capi dei popoli coinvolti nella Prima guerra mondiale definendola «inutile strage» (1° agosto 1917), e creando con ciò irritazione nei molti convinti belligeranti, poco tempo dopo la firma dell'armistizio di Compiègne scrisse: «se sono stati firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antiche inimicizie; e voi ben comprendete come nessuna pace possa consolidarsi, come nessuna convenzione possa valere (...) se contemporaneamente non si placano gli odi e i rancori per mezzo di una riconciliazione fondata sulla vicendevole carità (...). L’umanità andrebbe incontro ai più gravi disastri, se, pur concordata la pace, continuassero tra i popoli latenti ostilità ed avversioni» (Enc. Pacem, Dei munus pulcherrimum, 23 maggio 1920). Purtroppo le sue parole furono profetiche. Nessuna pace si può costruire su parole e gesti di vendetta; la pace si può costruire solo su parole e gesti di giustizia, che rinunciano all'umiliazione dell'avversario. Una pace costruita sulla vendetta non fa altro che spargere quei semi di odio e risentimento che prepara la rivincita, in una catena di sopraffazioni che non finisce più.
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    Il 24 febbraio 2022, giorno dell'invasione dell'Ucraina da parte
    della Federazione russa, resterà nella memoria come una delle date più tragiche della storia contemporanea. Quando scoppiò quest'ultima insensata guerra, ormai quasi un anno fa, non tutti sapevano che di conflitti nel mondo se ne stavano consumando molti altri: una decina particolarmente devastanti (in Etiopia, Yemen, Sael, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanmar) e molte altre guerre locali, come i conflitti
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    tra gruppi contrapposti o i conflitti civili. Chi conta tutti i focolai di guerra nel mondo, arriva addirittura al numero di 170. Per questo, da tempo, papa Francesco parla della «terza guerra mondiale a pezzi»: molti di questi conflitti sono dimenticati, perché non toccano direttamente gli interessi dell'Occidente e quindi non coinvolgono le grandi potenze.
    Lo stesso mercato delle armi alimenta le guerre, in una sorta
    di tragico circolo vizioso: più si combatte, più si producono e commerciano armi, più si vendono e più si favoriscono i conflitti.
    Nel 2021 le spese per gli armamenti sono state il 2,2% delle spese mondiali, per oltre duemila miliardi di dollari: una parte di queste risorse, se tutti gli Stati si accordassero per ridurre gli armamenti - e dunque la possibilità di difendersi fosse comunque assicurata - si potrebbero destinare agli investimenti per il lavoro, le cure mediche, la lotta alla fame, lo sviluppo. Sarebbe sufficiente il 10% delle spese impiegate negli armamenti per affrontare efficacemente il problema della fame nel mondo, che attanaglia ancora più di 820 milioni di persone. Le guerre poi, oltre al carico immediato di devastazione e di morte, aumentano le ingiustizie, l'inquinamento, le migrazioni forzate, il terrorismo, l'insicurezza, le malattie, il divario tra ricchi e poveri. L'intreccio fra guerre e ingiustizie portava un quarto di secolo fa papa Giovanni Paolo II a scrivere, purtroppo ancora una volta profeticamente: «quando si offende la giustizia, si mette a repentaglio anche la pace (...). Siamo alle soglie di una nuova era, che porta con sé grandi speranze ed inquietanti interrogativi.
    Quali saranno le conseguenze dei cambiamenti in atto? Potranno tutti trarre vantaggio da un mercato globale? Avranno finalmente tutti la possibilità di godere della pace? Le relazioni tra gli Stati saranno più eque, oppure le competizioni economiche e le rivalità tra popoli e nazioni condurranno l'umanità verso una situazione di instabilità ancora maggiore?» (Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale della pace, 1 gennaio
    1998).
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    ** *
    Lo scoppio della guerra in Ucraina è stato un pugno nello
    stomaco che ha risvegliato sentimenti intensi e profondi, come la rabbia, l'incredulità, la paura e l'angoscia, l'impotenza e il desiderio di riscatto; ma ha mosso pure gesti di solidarietà, accoglienza e condivisione, anche nella nostra città di Modena e nelle comunità civili ed ecclesiali presenti nel territorio diocesano. Papa Francesco è intervenuto ormai decine di volte, con toni sempre incisivi e accorati, avanzando anche proposte di trattativa, restando però finora inascoltato. Da qualcuno la sua posizione è ritenuta troppo diplomatica, quasi equidistante tra le due parti in guerra; in realtà ha chiaramente condannato l'invasione da parte della Federazione russa e ha preso le distanze dalla legittimazione teologica che ne ha purtroppo fornito il patriarca ortodosso Kirill. Chi vorrebbe dal Papa prese di posizione ancora più nette contro lo Stato russo, dimentica che il Papa vede la realtà non attraverso gli occhi dei capi di Stato e dei loro governanti, ma attraverso gli occhi delle vittime, soprattutto dei bambini e delle persone fragili, ma anche di quei giovani militari che da entrambe le parti in guerra vengono immolati alla causa, gettando nel dolore da una parte e dall'altra centinaia di migliaia di famiglie. Chi decide la guerra, oggi, solitamente se ne sta al sicuro nel proprio studio o nel proprio bunker, mentre chi la combatte - da qualsiasi parte si collochi - ne è normalmente vittima. Non è questo il tentativo di dare torto a tutti, perché resta fermo che esiste un invasore violento e un popolo che ha subìto l'invasione; è solo il tentativo di ricordare come la guerra abbruttisca e danneggi tutti coloro che la combattono sul campo, i quali finiscono per diventare tutti vittime.
    ** *
    Certamente, dunque, in questa guerra c'è uno Stato invasore e
    c'è uno Stato indipendente invaso: non possiamo metterli sullo stesso piano; e nemmeno possiamo accettare la menzogna
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    linguistica della «operazione militare speciale», imposta dai responsabili della Federazione russa per attenuarne l'impatto e giustificarne le modalità. La manipolazione del linguaggio è sempre il primo segnale di un'ingiustizia in atto: basterebbe solo questo per capire a chi assegnare il maggior torto. Vengono alla mente altre drammatiche manipolazioni, ideate da dittatori del XX secolo. Per rimanere in casa nostra, basta menzionare la falsificazione del linguaggio operata da Mussolini, nell'intento di imitare il suo omologo tedesco, quando nel 1938 promulgò le cosiddette «leggi razziali», seguite da norme e circolari zeppe di termini il cui significato è stravolto: dove ad esempio la parola «discriminati» non connotava quegli ebrei che vennero esclusi dalla scuola, dall'università, dal lavoro e da molti ruoli pubblici, bensì al contrario quelli che risultavano immuni dalle leggi razziali, a motivo dei loro meriti eccezionali verso la nazione: in modo che molti ebrei, per tutelarsi, cercavano di ottenere la qualifica di «discriminato»... oltre al danno, la beffa. Nelle medesime leggi fasciste, per fare un altro esempio, la cosiddetta «bonifica libraria» indicava la normativa che vietava la pubblicazione, e ordinava l’eliminazione, delle opere di ebrei «non gradite in Italia»: una pesante censura, dunque, che colpì gli autori e gli editori e di conseguenza i potenziali lettori. Donne e uomini di grande levatura, individuati come ebrei, si videro vietata la diffusione delle loro opere e l'eliminazione dal commercio, nel caso fossero già state pubblicate; di nuovo la beffa: questa assurda legislazione, presentata come «bonifica», non doveva richiamare l’inquisizione o i roghi dei libri, ma doveva piuttosto fare pensare al risanamento dei territori paludosi... La manipolazione delle parole è un'ingiustizia che prelude ad ogni altra ingiustizia, è una dichiarazione di guerra che rappresenta l'avvisaglia di un imminente conflitto armato.
    ** *
    Il pericolo di stravolgere il linguaggio, facendo violenza alle
    parole e costringendole a significare il contrario di ciò che
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    vorrebbero dire, è tutt'altro che superato. La guardia non va mai abbassata, anzi va alzata: oggi i social permettono di divulgare tutto e il contrario di tutto, dando voce all'arroganza e alla violenza verbale, alle minacce e alle fake news infondate e infamanti, senza la reale possibilità di smentire e ricostruire la verità: sia nei macrosistemi internazionali come nei microsistemi locali. E purtroppo la guerra - anche la guerra delle parole - continua ad attrarre di più rispetto alla pace. Miliardi e miliardi di parole, rimbalzate sui giornali e sui siti, travestite da slogans e luoghi comuni devastanti. Se «le parole sono pietre», come ha scritto Carlo Levi, la bocca (o la tastiera) rischia di diventare una catapulta. Le pietre infatti possono servire per edificare o per lapidare. Oggi spesso volano nell'aria parole che rischiano di uccidere: sono le «parole ostili» che fanno di ogni erba un fascio, mirando a suscitare la rabbia repressa, ad ossigenare le paure ataviche, ad ingigantire i pericoli e ad identificare «l'altro» con il nemico. Quando non ci sono argomenti con cui portare avanti le proprie idee, le parole escono come urla: sfogarsi contro qualcuno, in fondo, fa sentire migliori. All'inizio di ogni conflitto c'è sempre una guerra di parole.
    ** *
    Lo stesso termine «pace» è vulnerabile e ambiguo, se non
    viene immerso da capo a piedi nella giustizia. Ricordava il Concilio Vaticano II che «l
    a pace non è la semplice assenza della
    guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica
    dominazione, ma viene con tutta esattezza definita "opera della giustizia": cf. Isaia 32,17» (Gaudium et Spes, 7 dicembre 1965, n. 78). E continuava provocatoriamente: «Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, l'umanità che, pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte»
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    (n. 82). Una pace che non nasce da un ordine giusto, una pace
    imposta, non è una vera pace.
    Pacem in terris di cui quest'anno ricorre il 60°
    anniversario, ricordava che la pace è «fondata nella verità,
    nell'amore, nella giustizia e nella libertà» (11 aprile 1963).
    grande Enciclica
    Papa Giovanni XXIII, nella sua
    Credo sia questo il motivo per cui Gesù, che di pace se ne
    intendeva e soprattutto la viveva - San Paolo scrive che è lui «la nostra pace» (Efesini 2,14) - distingue tra vera e falsa pace. Chi legge velocemente i Vangeli, ha l'impressione che il Signore ad
    un certo punto si contraddica. Da una parte proclama la pace, fin dall'inizio della sua predicazione: “beati gli operatori di pace” (Matteo 5,9). E dopo la sua risurrezione i discepoli si sentono dire più volte: «pace a voi!» (Giovanni 20,19.21.26). Del resto pochi giorni prima, in occasione del suo arresto, aveva rifiutato la violenza sotto ogni sua forma, anche quando un gesto di legittima difesa l'avrebbe forse sottratto ai soldati venuti per prelevarlo, come dimostra il comando che dà al bellicoso Pietro: «rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada» (Matteo 26,52). Fin qui tutto bene: Gesù è per la pace. Eppure ad un certo punto dice il contrario: «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettere pace, ma spada» (Matteo 10,34). Insomma, è venuto a portare la pace oppure a sguainare la spada? Lui stesso scioglie la contraddizione, quando dice ai
    discepoli: «
    Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Giovanni 14,27). C'è una pace che Gesù non è venuto a portare e che, sebbene mascherata da pace, in realtà si chiama «indifferenza». Diversi sono gli esempi già nel Vangelo: dal ricco che vuole essere «lasciato in pace»: dal sacerdote e levita che vedono l'uomo bastonato dai briganti e tirano dritto per la loro strada (cf. Luca 10,25-37), al ricco sfondato che banchetta lautamente rifiutando qualsiasi aiuto al povero Lazzaro, desideroso di sfamarsi con le briciole che cadono dalla sua tavola (cf. Luca 16,19-31), fino a Ponzio Pilato che, per non
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    rischiare il posto di governatore ed essere lasciato «in pace» dai capi del popolo, si lava le mani sulla sorte di un uomo ingiustamente condannato (cf. Matteo 27,24). Questa è la pace che Gesù non ha portato sulla terra, è quella falsa pace che lui ha sempre combattuto: l'indifferenza, l'atteggiamento di chi vuole essere lasciato «in pace» e guarda solo ai propri interessi. Come la falsa pace dell'oppressione è imposta dai dittatori ai popoli, così la falsa pace dell'indifferenza è imposta dall'egoismo ai cuori.
    La pace che Gesù invece è venuto a portare è una spada, che recide dalla nostra coscienza la tentazione di girare lo sguardo da un'altra parte, di far finta di niente davanti alle ingiustizie, di restare comodamente al calduccio nel nostro nido, accada quel che accada. La pace vera si conquista a prezzo di una lotta contro l'egoismo in se stessi e l'ingiustizia nel mondo. Se una beatitudine, la sesta, loda gli operatori di pace, ben due, la terza e la settima, parlano della giustizia: «beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati; beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Matteo 5,6.10). Un solo combattimento dunque è lecito, anzi doveroso: la guerra contro l'egoismo personale e collettivo, la lotta cioè contro l'ingiustizia. In questo senso San Paolo, riconvertendo le armi dell'epoca in strumenti di pace, scrive: «La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche
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    l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio» (Efesini 6,12-17).
    Uno degli episodi più noti della vita di San Geminiano, scolpito nel Duomo di Modena in una delle sei scene dell'architrave della Porta dei Principi o del Battesimo, raffigura il santo vescovo in viaggio verso Costantinopoli, chiamato dall'imperatore ad esorcizzare la figlia posseduta dal demonio. Durante la navigazione, Geminiano è insidiato dal diavolo, il cui volto orribile compare all'estrema destra del bassorilievo, tra i flutti del mare e la prua della barca. Chi combatte contro il male, sa di averlo come compagno di viaggio e per questo deve stare sempre in guardia, vigilando per l'intero arco della vita.
    ** *
    Un senso di sconforto, tuttavia, può prendere noi, cittadini e
    cristiani comuni, che non abbiamo accesso alle stanze dei bottoni: come possiamo essere operatori di pace e di giustizia insieme? Che peso può avere il nostro comportamento negli equilibri del mondo? Conosciamo la risposta, sia come cittadini sia come cristiani; ed è quella che Madre Teresa di Calcutta ribadì in diverse occasioni: «ciò che faccio è solo una goccia nell'oceano, ma se non lo facessi l'oceano avrebbe una goccia in meno». E siccome l'oceano è un ammasso di gocce, più persone operano la pace vera, fondata sulla giustizia, più l'oceano si risana. La sfida è prima di tutto educativa, a partire dai bambini, i quali non sono solo destinatari di insegnamenti sulla pace e la giustizia, ma ne sono maestri. Nei bimbi c'è infatti un senso innato di giustizia e un desiderio spontaneo di pace; una delle prime frasi compiute che imparano a pronunciare, a volte con disappunto, è: «non è giusto!»; e un'altra è: «facciamo la pace?». Negli ultimi giorni dello scorso febbraio, scoppiata la guerra, sono stati loro a lanciare i messaggi più veri. Niccolò, al secondo anno delle elementari, scrive ai suoi coetanei ucraini: «Noi non vogliamo la guerra. Noi vogliamo la pace. La guerra non si fa. La guerra è brutta. Se avete paura della guerra non vi preoccupate, venite da
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    me, ci divertiremo un mondo!». Per questo Gesù ci chiede insistentemente di diventare come bambini (cf. Matteo 18,1- 5.10.12-14).
    La passione per la pace e la giustizia non legittimano la violenza di chi aggredisce. Tramontata la nozione di «guerra giusta», con la quale si sono - appunto - giustificati tanti conflitti politici e religiosi, si deve ammettere invece che la legittima difesa personale e la «responsabilità di proteggere», declinati sia in senso personale che collettivo, restano capisaldi del diritto e dell'etica. Una persona può autotutelarsi da un attacco ingiusto, reagendo secondo il principio della proporzionalità: ossia cercando di fermare l'aggressore e metterlo in condizioni di non nuocere, senza che la reazione diventi smisurata rispetto all'azione. Una persona può rinunciare per se stessa a questo diritto, ma non può rinunciare per un'altra persona che necessiti di protezione. Un genitore ad esempio ha il diritto e il dovere di difendere un figlio aggredito; analogamente uno Stato, pur dovendo valutare caso per caso quando risulti più efficace la difesa armata o la risposta non-violenta, ha il diritto e il dovere di difendere i propri cittadini aggrediti.
    Disse papa Benedetto XVI nel suo Discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite: «Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall'uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L'azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un'imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale» (18 aprile 2008). Papa Benedetto ha così portato
    11
    l'attenzione su un punto dolente dell'intera questione delle guerre nel mondo: la «comunità internazionale», che purtroppo continua - nel suo organismo più qualificato e rappresentativo, l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) - a dimostrarsi incapace di decidere e intervenire efficacemente. Sono tanti i freni che rendono inefficace la macchina delle Nazioni Unite, tra i quali l'istituto del «veto» dentro il Consiglio di Sicurezza e, ancor più radicalmente, la prevalenza di interessi nazionali sul diritto internazionale, o addirittura le pressioni di alcuni gruppi di potere economico e politico.
    ** *
    "Giustizia e pace si baceranno", come dice il Salmo, ma solo
    nel mondo futuro. Le spade diventeranno aratri e le lance falci, scrive il profeta Isaia (2,4), ma solo alla fine dei giorni. Sembra che la pace e la giustizia tardino ad incontrarsi, almeno su questa terra e dentro a questa storia. Ciascuno di noi, però, può dare il proprio contributo lottando contro l'ingiustizia, a partire dai propri ambienti di vita, evitando di alimentare le catene dell'odio e del risentimento - ricordiamoci il vagone ferroviario di Compiègne - e favorendo così la vera pace. Mai chiudere gli occhi, mai passare accanto alle sopraffazioni, mai cadere nell'indifferenza per essere «lasciati in pace». Costa parecchio, ma è l'unica via per una pace autentica e duratura, a cui tutti gli esseri umani devono dare il loro contributo e che i credenti, inoltre, devono invocare come dono dall'alto.

    Modena, 31 gennaio 2023 Solennità di San Geminiano Vescovo

    ERIO CASTELLUCCI - Arcivescovo-Abate
    ________________________________________ ____
    (Il testo della lettera è ripreso dal sito dell'Arcidiocesi)
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  5. #15
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    Solennità di San Geminiano - Omelia dell'Arcivescovo

    SOLENNITÀ DI SAN GEMINIANO - DUOMO DI MODENA – 31.01.2023

    Come iormai da tradizione, anche in questo ultimo "San Geminiano" l'Arcivescovo Erio ci fa dono di una omelia particolarmente intensa ed attuale.


    (Sepolcro di San Geminiano - Modena Basilica Metropolitana. Foto di Carpense)

    SALUTO ALL’INIZIO DELLA CELEBRAZIONE

    In questa Solennità, che dopo tre anni di pandemia può finalmente esprimersi in tutta la sua bellezza, sia in Duomo che nel resto della città, migliaia di fedeli e cittadini modenesi si incontriamo nella Domus clari Geminiani. Ringrazio e saluto tutti i fedeli presenti a questa celebrazione, i confratelli vescovi Mons. Morandi, Mons. Verucchi, e Mons. Pizzi, i vicari generali di Carpi e di Massa-Pontremoli, il Capitolo della Cattedrale e il suo Arciprete, i presbiteri, i diaconi, i seminaristi, i ministri, i consacrati e le consacrate, i Madrigalesi Estensi con il loro direttore, i maestri e i musicisti, tutti i telespettatori che attraverso le reti locali TVqui e TRC sono a noi dalle case e dai luoghi di cura e di riposo, gli operatori della comunicazione, i volontari, chi presta il servizio d’ordine, l’Associazione Garden Club che cura l’addobbo floreale, i volontari e gli impiegati per la pulizia della Cattedrale e la suppellettile. Saluto e ringrazio le associazioni e i movimenti, i Figuranti Estensi che donano a nome del Comune di Modena i ceri votivi e l’olio per la lampada, gli Ordini equestri, le Confraternite e i Decorati pontifici.
    Un saluto e un ringraziamento particolare alla Signora Prefetto, al Sindaco di Modena, al Presidente della Provincia neo-eletto, ai rappresentanti dello Stato e della comunità civile; al Procuratore della Repubblica, al Presidente del Tribunale, ai Sindaci dei comuni di San Gimignano e di Pontremoli, uniti a noi dal medesimo patrono, e agli altri amministratori presenti; a tutte le istituzioni, del mondo politico e da quello scolastico e accademico, in particolare alla neo-eletta Dirigente dell’ufficio scolastico provinciale e al Magnifico Rettore dell’Università; alle autorità militari, agli operatori del diritto e della giustizia, alle forze dell’ordine, di sicurezza e vigilanza, in particolare al Comandante dell’Accademia Militare, alla Signora Questore e ai Comandanti provinciali dei Carabinieri, della Finanza, dei Vigili del Fuoco e della Polizia locale, alla Direttrice della Casa circondariale e al Comandante della polizia penitenziaria; ai rappresentanti delle organizzazioni sociali, cooperative, culturali, sanitarie, commerciali, sindacali, imprenditoriali e sportive e alle fondazioni e organizzazioni bancarie. E mi scuso se l’elenco non è completo, data anche la grande ricchezza e vitalità istituzionale, sociale, culturale e politica della nostra città.
    Tutti si sentano benvenuti in questa casa, che non è solo del grande Geminiano ma di tutti i modenesi, in questa Solennità che rappresenta l’occasione più alta nell’anno per rafforzare la collaborazione tra tutte le istituzioni operanti per il bene comune, in un’alleanza che rafforza nei cittadini la fiducia e nelle autorità il senso del servizio.

    OMELIA DELL’ARCIVESCOVO

    “Tutto è connesso”, continua a ripetere papa Francesco, e ne fa quasi un ritornello nelle sue grandi encicliche, dalla Laudato si’ alla Fratelli tutti. Esiste un legame fra gli esseri viventi, un filo che unisce tra loro ogni persona e ogni popolo, ogni creatura terrena e celeste, ogni avvenimento nella storia e nel mondo. “Tutto è connesso”: nessuno può vivere in una campana di vetro, dentro una tana protetta: è bastato un virus microscopico, in questi ultimi anni, per convincere l’umanità – se ce ne fosse stato bisogno – dell’interconnessione di tutti e di tutto. Ciascuno di noi è un intreccio di fili, di relazioni: nel nostro corpo, nella nostra mente e nella nostra anima sono incise tutte le connessioni possibili. Il corpo è una rete fittissima fatta di elementi materiali: atomi, molecole, cellule e organi; la mente è una rete fittissima fatta di ricordi, affetti, intuizioni, ragionamenti e decisioni; l’anima è una rete fittissima fatta di domande di senso, orizzonti che superano il visibile, inquietudini che cercano Dio.

    “Tutto è connesso”: materia, intelletto, spirito. Eppure mai come oggi, dobbiamo confessarlo, abbiamo l’impressione contraria, che tutto sia sconnesso. Le crisi che stiamo attraversando, addensate l’una sull’altra in un groviglio inestricabile, sembrano proprio dirci che “tutto è sconnesso”. Le decine di guerre in corso, tra le quali l’ultima, sciagurata, dovuta all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, ma anche le guerre nello Yemen e nella Siria, in Etiopia e in Congo, che hanno causato centinaia di migliaia di morti, con il loro corredo di feriti, distruzioni e malattie, continuano a sconnettere tra loro gli esseri umani, le fedi e i popoli, squilibrando continuamente le relazioni internazionali; lo sfruttamento e l’inquinamento sconsiderato del pianeta non fa che aggravare la crisi economica, particolarmente acuta nell’ultimo quindicennio anche a causa di una finanzia spregiudicata che prescinde dall’economia reale; guerre, desertificazione, terrorismo e dittature aumentano il numero dei profughi, alla ricerca di condizioni pacifiche e vivibili per se stessi e per le loro famiglie; e la povertà, compresa la fame e la sete, accresce la massa delle persone malate, le quali a loro volta aggravano i bilanci degli Stati. Le grandi crisi del XXI secolo, insomma, sono intrecciate tra di loro: crisi economica, migratoria, ambientale, sanitaria, bellica: ma è un intreccio che, anziché unire, sconnette gli esseri umani.


    Di fronte a questa situazione prende un senso di scoraggiamento. Possibile che non impariamo nulla dalla storia? Possibile che ogni generazione debba sempre ricominciare da capo, quasi che le esperienze passate siano state messe in archivio? Non è possibile. Grazie a Dio, moltissime persone, gruppi, organismi e istituzioni reagiscono a questa sconnessione universale che condurrebbe all’autodistruzione dell’umanità e di tutte le forme viventi.
    Come reagiscono? Assumendo, spesso senza saperlo – parlo di persone di ogni cultura e religione – lo stile incarnato da Gesù: uno stile che unisce ciascuno al tutto. Nel Vangelo appena proclamato ritorna per cinque volte l’aggettivo “ogni”, che racchiude in una sola parola l’attenzione all’intero, “tutto”, e al singolo, “ciascuno”. “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi”, dice Matteo: e significa tutte e ciascuna; lo stesso termine ritorna altre quattro volte, tradotto con “ogni”: lui in persona guariva “ogni malattia e ogni infermità” e diede anche ai discepoli il potere di guarire “ogni malattia e ogni infermità”. Il Signore non contrappone il “tutto” al “ciascuno”, ma per lui “ogni” persona è connessa al “tutto”. Il suo stile è proprio quello di connettere ciascuno e tutto.


    Nel corso della storia, i sistemi sociali e politici non hanno sempre evitato il rischio di ondeggiare tra un’ideologia che fa leva sul singolo a scapito del bene comune, favorendo l’individualismo, e un’ideologia che fa leva sul tutto a scapito del singolo, favorendo il collettivismo. L’individualismo porta alla legge della giungla, dove il più potente, il più ricco o il più spregiudicato finisce per sopraffare chi possiede meno risorse e si trova ai margini della società. Il collettivismo porta alla legge dello zoo, dove si spegne l’iniziativa personale, si entra in una convivenza forzata e compressa dalla ragion di Stato, spesso fissata dal dittatore di turno. I sistemi individualisti esaltano una libertà selvaggia a scapito della giustizia sociale; quelli collettivisti esaltano una giustizia egualitaria e imposta a scapito della libertà personale. Pare insomma che sia proprio difficile integrare il “ciascuno” e il “tutto” e arrivare all’”ogni” testimoniato da Gesù.

    Libertà e uguaglianza, oggi è sempre più chiaro, necessitano anche della terza sorella: la fraternità. La cosiddetta triade della rivoluzione francese, che affonda le radici sia nell’antica Grecia sia nel cristianesimo, va presa tutta insieme, se si vuole assicurare una pace vera. La libertà senza le altre due scade nell’arbitrio del più forte, l’eguaglianza senza le altre due scade nella gabbia della tirannia; la fraternità senza le altre due scade in un vago e inefficace sentimentalismo. Gesù interpreta, come pochi altri nella storia, l’interconnessione di questi grandi valori. Gesù predica una verità che libera (cf. Gv 8,32), combattendo il peccato che rende schiavi; lotta e muore per una giustizia che assicuri a ciascuno e a tutti la possibilità di una vita degna, a cominciare dalle persone svantaggiate. Considera fratelli e sorelle tutti coloro che incontra, sentendo “compassione” – come dice il Vangelo di oggi – per le folle stanche e sfinite.

    San Geminiano è la festa dei cittadini, non solo cristiani, e la festa delle istituzioni. Nel nostro patrono si concentrano i tratti del pastore di cui parla il Vangelo: l’annuncio liberante del regno di Dio, l’impegno contro le ingiustizie e il male, la costruzione di legami fraterni e di pace. Il pastore Geminiano ispira non solo il suo successore di turno, ma anche tutti coloro che rivestono compiti di responsabilità nella città. Il filosofo greco Platone, nella Repubblica, utilizza l’immagine del pastore per chiunque riveste autorità di governo.(cf. De Rep. IV,440d e Polit. 271e).

    Una delle fatiche più grandi, per chi dunque ha il mandato di esercitare l’autorità pastorale nelle istituzioni, è quella di connettere “tutti” e “ciascuno”. Spesso chi guida le comunità sociali, politiche e religiose, deve far fronte a tendenze individualiste, che guardano solo al perimetro dei propri piedi, dimenticando il bene comune; e talvolta queste tendenze, pur esprimendo esigenze autentiche, sono incapaci di pensarsi “connesse” agli altri e rivendicano la loro parziale verità, facendo circolare opinioni tendenziose. Chi ha la responsabilità della comunità, di qualsiasi comunità, sente il dovere di mantenere le “connessioni”, cercando di dosare il bene individuale di singoli e gruppi con il bene comune. Incoraggiano le tante, davvero tante, persone che ogni giorno compiono il loro dovere, si impegnano e si spendono per costruire una convivenza più bella e più giusta, creando “connessioni” profonde nella società e nella Chiesa. Fanno meno rumore di chi vuole “sconnettere”, ma lavorano in profondità: sono gli “operatori di pace”.

    (Dal sito dell'Archidiocesi)
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  6. #16
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    DA MODENA E DA CARPI - Giornata della vita consacrata

    RELIGIOSE E RELIGIOSI INSIEME NELLA GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA

    Nella memoria liturgica della Presentazione di Gesù al Tempio, giovedì 2 febbraio, si celebra la XXVII Giornata mondiale della vita consacrata. Per l’occasione, ALLE 18.00, NEL DUOMO DI MODENA, IL VESCOVO ERIO CASTELLUCCI PRESIEDERÀ LA SANTA MESSA PER TUTTI I RELIGIOSI, LE RELIGIOSE E I CONSACRATI SECOLARI PRESENTI NELLE DIOCESI DI MODENA-NONANTOLA E DI CARPI. Sarà un momento prezioso di preghiera per ringraziare Dio per il dono della vita consacrata e invocare da Lui uomini e donne che sappiano ancora oggi rispondere con generosità il loro “eccomi” alla sequela di Cristo e al servizio della Chiesa.

    “Cari fratelli e sorelle consacrati, siete uomini e donne semplici che avete visto il tesoro che vale più di tutti gli averi del mondo. Per esso avete lasciato cose preziose, come i beni, come crearvi una famiglia vostra. Perché l’avete fatto? Perché vi siete innamorati di Gesù, avete visto tutto in Lui e, rapiti dal suo sguardo, avete lasciato il resto. La vita consacrata è questa visione. È vedere quel che conta nella vita. È accogliere il dono del Signore a braccia aperte, come fece Simeone. Ecco che cosa vedono gli occhi dei consacrati: la grazia di Dio riversata nelle loro mani. Cari fratelli e sorelle, non ci siamo meritati la vita religiosa, è un dono di amore che abbiamo ricevuto. (Papa Francesco, Omelia nella Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, Giornata della vita consacrata, 2 febbraio 2020).

    (Dal sito della Diocesi di Carpi)
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  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da Marco123 Visualizza Messaggio
    Una nota che non dice niente. In realtà è stato chiesto il rinvio a giudizio di dom Stefano De Pascalis, priore benedettino, per un ammanco da quattro milioni di euro denunciato dalla Curia.

    Se a questa vicenda affianchiamo quella della sospensione a settembre 2022 di don Mikoda e don Braglia e del buco da un milione di euro nella parrocchia di san Benedetto il quadro si fa preoccupante.
    "QUID NON MORTALIA PECTORA COGIS, AURI SACRA FAMES", verrebbe tristemente di dire con il sommo Virgilio e con grande tristezza nostra, trattandosi di uomini consacrati. In relazione a questa penosa vicenda dell'eredità della Vedova Ghisellini, un lascito assai cospicuo risalente agli anni sessanta, emerge, piuttosto, il perdurante silenzio da parte della Congregazione Benedettina Cassinese e dell'Abate Visitatore. Sui giornali locali la vicenda ritorna di tanto in tanto, ovviamente "ad edificazione" di chi legge.
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  8. #18
    CierRino
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    Più che scomodare Virgilio io scomoderei Gesù che ordinò ai suoi discepoli: "Vendi ciò che hai e regalalo ai poveri".

    Poi ognuno ha le sue scuse per giustificare patrimoni milionari "a fin di bene" che non vende e non regala mai.

    E dice ci sono patrimoni ed entrate milionari c'è chi vuol appropriarsene.

  9. #19
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    512° Anniversario del Miracolo di San Geminiano


    (Scatto dello scrivente dalla locandina dell'evento)

    La venerabile e benemerita Confraternita di San Geminiano, che con encomiabile fedeltà e zelo mantiene vive le tradizioni di culto in onore del nostro glorioso Patrono San Geminiano Vescovo, annuncia l’annuale solenne celebrazione in ricordo dell’ultimo miracolo di San Geminiano in protezione di Modena, risalente al 1511.

    Narrano le cronache passate come sin dall’agosto 1510 Modena si trovasse sotto l’estenuante assedio di Charles d’Amboise, Vicerè di Francia, intenzionato a non mollare la presa e a conquistare la nostra florida città.
    Il 18 febbraio 1511 San Gemiiano apparve improvvisamente all’assalitore sotto le sembianze di un austero vecchio in zona San Leonardo, attuale quartiere Madonnina, e lo convinse a desistere. Così Modena fu salva!

    SOLENNE CONCELEBRAZIONE NEL DUOMO METROPOLITANO IL 18 FEBBRAIO ALLE ORE 18,00 PRESIEDUTA DALL’ARCIVESCOVO METROPOLITA S.E. MONS. ERIO CASTELLUCCI.
    ___________
    *
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  10. #20
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    La nostra solidarietà alle popolazioni colpite dal terremoto

    L'Arcidiocesi di Modena-Nonantola dà voce all'appello della CEI per un'operante solidarietà verso le popolazioni della Turchia e della Siria colpite da rovinoso terremoto.

    COLLETTA NAZIONALE PER LE POPOLAZIONI COLPITE DAL TERREMOTO IN TURCHIA E SIRIA V DOMENICA DI QUARESIMA (26 MARZO 2023)

    “Il mio pensiero va, in questo momento, alle popolazioni della Turchia e della Siria duramente colpite dal terremoto, che ha causato migliaia di morti e di feriti. Con commozione prego per loro ed esprimo la mia vicinanza a questi popoli, ai familiari delle vittime e a tutti coloro che soffrono per questa devastante calamità. Ringrazio quanti si stanno impegnando per portare soccorso e incoraggio tutti alla solidarietà con quei territori, in parte già martoriati da una lunga guerra”.

    Facendo proprio l’appello di Papa Francesco, al termine dell’udienza generale di mercoledì 8 febbraio, la Presidenza della CEI, a nome dei Vescovi italiani, rinnova profonda partecipazione alle sofferenze e ai problemi delle popolazioni di Turchia e Siria provate dal terremoto. Per far fronte alle prime urgenze e ai bisogni essenziali di chi è stato colpito da questa calamità, la CEI ha disposto un primo stanziamento di 500.000 euro dai fondi dell’8xmille per iniziative di carità di rilievo nazionale. Tale somma sarà erogata tramite Caritas Italiana, già attiva per alleviare i disagi causati dal sisma e a cui è affidato il coordinamento degli interventi locali. Continua a crescere, infatti, il numero delle vittime accertate, mentre sono ancora diverse migliaia le persone disperse e quelle ferite. Drammatica anche la condizione dei sopravvissuti, che hanno bisogno di tutto, stretti tra le difficoltà del reperimento di cibo e acqua e le rigide condizioni climatiche.

    Consapevole della gravità della situazione, la Presidenza della CEI ha deciso di indire una colletta nazionale, da tenersi in tutte le chiese italiane domenica 26 marzo 2023 (V di Quaresima): sarà un segno concreto di solidarietà e partecipazione di tutti i credenti ai bisogni, materiali e spirituali, delle popolazioni terremotate. Sarà anche un’occasione importante per esprimere nella preghiera unitaria la nostra vicinanza alle persone colpite. Le offerte raccolte dovranno essere integralmente inviate a Caritas Italiana entro il 30 aprile 2023.

    Sin d’ora è, comunque, possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana per questa emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o donazione on-line tramite il sito www.caritas.it o bonifico bancario specificando nella causale “Terremoto Turchia-Siria 2023” tramite:

    Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma –Iban: IT24 C050 1803 2000 0001 3331 111
    Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT66 W030 6909 6061 0000 0012 474 ?
    Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT91 P076 0103 2000 0000 0347 013
    UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119
    Roma, 9 febbraio 2023
    _______________________________
    Con integrazioni dal sito dell'Arcidiocesi
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